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Il Capodanno è un appuntamento a cui non ci si può sottrarre: lo attendiamo con trepidazione perché ne abbiamo bisogno. E’ una di quelle scadenze che segnano la scansione del tempo che passa, una data che ci permette di sospendere per un attimo la lunga quotidianità, giorno dopo giorno, ci offre il beneficio di prendere respiro ed ossigenarci quel tanto che basta per riprendere il cammino ed affrontare un nuovo divenire. Ma soprattutto ci autorizza a lasciarci alle spalle tutto ciò che di negativo ha caratterizzato certi momenti e tutto quello che non ha lasciato segno nel nostro processo di crescita individuale. Abbondano i buoni propositi, i nuovi progetti, gli entusiasmi, le promesse, le scaramanzie e le propiziazioni perché è il momento giusto in cui rigenerarsi, rinascere, ricominciare. Ci sentiamo in preda a quell’euforia che sicuramente accompagnerà la notte del 31 dicembre ma che speriamo intimamente non ci abbandoni anche gli altri giorni dell’anno; formuliamo nuovi ottimistici pensieri positivi davanti a un inevitabile bilancio dei 365 giorni trascorsi, in cui attività e passività immancabilmente differiscono e le criticità occupano un posto d’onore.

Diventiamo tutti abili nell’analizzare le nostre azioni passate e le attività che abbiamo intrapreso, le scelte che abbiamo operato, i comportamenti e i risultati, quasi fossimo impeccabili psicanalisti di noi stessi, ci confrontiamo e ne parliamo con gli altri con quella leggerezza e quella voglia di esternare che anticipa il radicale cambiamento prossimo venturo. Carichiamo di grandi attese l’anno nuovo che verrà e diamo il via ai grandi festeggiamenti che lo introdurranno nelle nostre vite. Speranza e aspettativa per noi stessi e per la collettività, per quella società umana più globale di cui facciamo parte e che, magari solo in poche occasioni, ricordiamo con trasporto, partecipazione e condivisione perché il Capodanno unisce in un unico magico momento.
E’ per questo che amiamo così tanto questa festa che assume le manifestazioni più varie in ogni angolo di mondo e da sempre è presente nelle culture e civiltà della nostra storia, anche se in date a volte diverse, con antiche origini pagane o religiose piuttosto che trovate più recenti. Ed è per questo che siamo disposti ad adottare e attivare ogni tipo di gesto e ritualità scaramantica per rafforzare le nostre convinzioni e speranze, indirizzare il destino dalla nostra parte, strizzare l’occhio all’anno in arrivo e, perché no?, divertirci.

Non importa se noi mangiamo un bel piatto di lenticchie mentre in Spagna sono previsti 12 chicchi d’uva, uno ogni rintocco della mezzanotte, per favorire nuove entrate finanziarie. O il colore rosso da indossare in Europa per l’evento, piuttosto che il giallo in Brasile. Non importa nemmeno se solo in Colombia, la notte del 31 dicembre, gli uomini si fanno un grande giro nel quartiere trascinando una valigia vuota per propiziare un anno ricco di viaggi e scoperte. Mettiamoci le Filippine, dove a fine anno si tengono accese tutte le luci di casa e aperte porte e finestre per allontanare gli spiriti maligni, per poi chiudere precipitosamente tutto a mezzanotte. A El Salvador è il turno dell’uovo rotto in un bicchiere e tenuto sul davanzale fino mattina; sarà la forma assunta che determinerà l’andamento dell’anno successivo. Un po’ come in Finlandia, dove lo stesso trattamento viene riservato ad un cucchiaio di metallo fuso introdotto nell’acqua. E’ anche un po’ come raccontava sempre mia nonna: in alcune valli del Trentino veniva usato il mercurio che, a seconda delle linee e disegni che formava, pronosticava bella o cattiva sorte. In fondo, non esiste grande differenza di latitudine e longitudine per quanto riguarda la paura del futuro, il bisogno di controllare ciò che deve ancora venire, la propensione all’invocazione e all’ingraziarsi chi può effettivamente determinare gli eventi. Molto più pragmatici gli scozzesi che, non appena le campane smettono di suonare la mezzanotte, al primo amico o vicino di casa che varca la soglia regalano una moneta, del pane, un pugno di sale, del carbone e whisky. Ricchezza, cibo, sapore, calore e buon umore.

La notte del 31, fra un po’, ci sarà chi festeggerà follemente, chi fingerà di divertirsi, chi rimarrà tra le tranquille pareti domestiche da solo o in compagnia e chi lo passerà viaggiando, chi andrà a dormire alle 22, chi guarderà i fuochi d’artificio dalle finestre dell’ospedale o dal carcere, chi dormirà per strada perché il 31 dicembre è un giorno come un altro, chi lavorerà per far divertire gli altri, chi rimarrà nelle redazioni dei giornali e delle TV per raccontare.

In qualunque dei casi, Buon Anno a tutti, ma proprio tutti. E che succeda quello che ciascuno desidera che accada.

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Liliana Cerqueni

Autrice, giornalista pubblicista, laureata in Lingue e Letterature straniere presso l’Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano. E’ nata nel cuore delle Dolomiti, a Primiero San Martino di Castrozza (Trento), dove vive e dove ha insegnato tedesco e inglese. Ha una figlia, Daniela, il suo “tutto”. Ha pubblicato “Storie di vita e di carcere” (2014) e “Istantanee di fuga” (2015) con Sensibili alle Foglie e collabora con diverse testate. Appassionata di cinema, lettura, fotografia e … Coldplay, pratica nordic walking, una discreta arte culinaria e la scrittura a un nuovo romanzo che uscirà nel… (?).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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