Skip to main content

Il giardino all’ingresso al Padiglione d’Arte Contemporanea è gremito di gente, tutti in attesa di poter visitare la XVI edizione della Biennale Donna, inaugurata ieri dopo due anni di sospensione a causa del terremoto. Il Padiglione non aveva subito ingenti danni durante il terremoto, eppure i controlli e i ritocchi necessari ne avevano richiesto la chiusura; ieri, in un caldo sabato pomeriggio, i ferraresi hanno potuto riaccedervi, riconquistando uno spazio amato dalla cittadinanza.

biennale donna inaugurazione

Il vicesindaco Massimo Maisto, presente all’inaugurazione, ha sottolineato l’importanza dell’appuntamento della Biennale Donna, la cui prima edizione fu nel 1984. Perché Ferrara non è solo il suo illustre passato, messo in risalto da mostre come quella sulla Videoarte o su Ariosto (“Orlando furioso 500 anni. Cosa vedeva Ariosto quando chiudeva gli occhi”, in arrivo al Palazzo Diamanti dal 24 settembre), ma è anche un territorio fatto di grandi professionalità.

“Cultura e arte rappresentano la memoria della storia”. Con questa citazione di Ana Mendieta, artista cubana le cui opere aprono la mostra, la curatrice Silvia Cirelli ha presentato l’esposizione, intitolata “Silencio Vivo. Artiste dall’America Latina”. Silencio Vivo, due parole scelte con attenzione per il loro significato, lo stesso sia nella lingua spagnola che in quella portoghese, rappresenta il corpus del lavoro delle artiste esposte. “Quando abbiamo ideato l’esposizione abbiamo scelto di non limitarci all’arte contemporanea degli ultimissimi anni, ma di andare più indietro nel tempo. Le opere, che vanno dalla metà degli anni Sessanta alla metà degli anni Ottanta, sono rappresentative del periodo drammatico delle dittature militari, che ha influenzato le varie generazioni nel tempo”, ha spiegato Silvia. “Il Padiglione dell’Arte Contemporanea di Milano, importante centro di cultura riconosciuto a livello internazionale – ha aggiunto l’altra curatrice Lola G. Bonora – ci ha contattate per chiederci di presentare l’esposizione da loro. Ferrara torna a essere un centro importante non solo per il suo passato, ma anche per l’arte contemporanea”.

Le voci si perdono nel cortile, le persone sono troppe perché la presentazione della mostra raggiunga tutti, ma il concetto sembra essere chiaro a chiunque sia presente: come la fenice che risorge dalle ceneri, anche Ferrara si rialza, riappropriandosi dei suoi spazi. Il Padiglione si riempie di passi, di voci, di sguardi. Non è facile muoversi all’interno senza urtarsi a vicenda. Le opere che danno il benvenuto ai visitatori sono di Ana Mendieta, giovane artista cubana scomparsa prematuramente, che usava il proprio corpo come strumento per veicolare la propria arte. Legata alla natura, alle tradizioni e agli elementi dei rituali cubani, come il sangue o la polvere da sparo, le sue opere denunciano la violenza e stringono i legami del binomio vita/morte. Ad attirare l’attenzione è un filmato in cui l’artista, di cui non si vede mai il corpo, riprende i passanti che percorrono un marciapiede su cui lei ha versato del sangue. La performance è la loro reazione: gente distratta che non si sofferma, abituata alla violenza, non si domanda chi possa essersi ferito in tal modo, ma passa avanti, indifferente.
L’uso del corpo è presente anche nei lavori di Anna Maria Maiolino, artista di origini italiane vissuta in Brasile, dove si trasferì negli anni Sessanta e visse da protagonista l’affermarsi della dittatura. Proprio uno dei suoi lavori è stato scelto come immagine simbolo della Biennale: una strada ricoperta di uova, simboleggianti la vita, ma anche la fragilità degli esseri umani, percorsa dall’artista. Come personificazione della dittatura, si muove cercando di non schiacciarle ma, se non è possibile, le distrugge senza pensarci. Artista poliedrica, col passare degli anni allontana la fisicità dai suoi lavori, esponendo non più se stessa, ma ciò che il suo corpo può creare, scegliendo di non combattere più il senso di alienazione e fragilità ma di accettarlo come parte dell’esistenza dell’essere umano. Esposte in mostra le sue opere degli ultimi anni, realizzate tra il 2014 e il 2015, in cui utilizza materiali di difficile lavorazione come le ceramiche raku o facili da plasmare come l’argilla.

biennale-donna-inaugurazione

Salendo al piano superiore, l’occhio cade subito sul lavoro inedito di Teresa Margolles, artista messicana che con crudo realismo parla per chi non ha più voce. L’artista sabato mattina era presente al Padiglione e ha raccontato lei stessa il lavoro dietro le sue opere. “Questi sono i manifesti che i famigliari di queste ragazze scomparse appendono in giro per le città del Messico. Alcune sono sparite da così tanto tempo che anche le immagini sono usurate. È il sintomo di una scomparsa ulteriore, una doppia perdita. La gente è talmente abituata a vedere questi manifesti appesi per la città che non ci fa più troppo caso, su alcuni volti ci sono i segni di chi ha contribuito alla loro distruzione, colorandoci sopra o creando delle caricature con i volti di queste ragazze”. Questo enorme collage, riadattato per gli spazi del Padiglione, si intitola “Pesquisas”, ovvero ricerca, che risulta essere spesso vana perché le uniche volte che si ritrovano queste giovani donne sono ormai corpi morti. “Non siamo davanti alla morte – ha specificato Teresa – perché quella fa parte del ciclo della vita. Qui dobbiamo riflettere e discutere su una morte violenta, un assassinio”. La morte violenta è sempre presente nelle opere dell’artista messicana, prende forma e acquista fisicità. Così per l’installazione “Aire”: in una piccola stanza sono presenti due piccoli umidificatori attivi e l’acqua che respiriamo lì proviene dagli obitori di Città del Messico, utilizzata per lavare i corpi di chi è stato assassinato.
La censura, la violenza, la fragilità degli esseri umani ci accompagnano per tutto il percorso espositivo, fino alle opere dell’argentina Amalia Pica che, utilizzando vari tipi di media, dalla performance alla scultura, riflette sulle varie forme di linguaggio, la sua evoluzioni, i suoi limiti e gli eccessi. La ridondanza e la quantità di messaggi che ci inonda quotidianamente sembra portare sulla strada dell’alienazione piuttosto che al dibattito e alla condivisione. Così realizza dei tappi per le orecchie, in bronzo, rame, oro e argento, ma invita anche a riflettere sui modi di dire, comuni tra Italia e Argentina, permettendo al famoso “cavallo bianco” di divenire tale.
Le sale sono affollate e, tra i commenti positivi e quelli stupiti (“Aire” di Teresa Margolles ha avuto un forte impatto sul pubblico) in molti torneranno, per visitarla con più calma o per accompagnare gli assenti.

La XVI edizione della Biennale Donna di Ferrara sarà visitabile al Padiglione d’Arte Contemporanea dal 17 aprile al 12 giugno.

Alcune opere in mostra. Clicca sulle immagini per ingrandirle.

maiorino
Ana-Mendieta
amalia-pica

Leggi anche
Alla Biennale Donna gli esperimenti sulla comunicazione di Amalia Pica

tag:

Chiara Ricchiuti

I commenti sono chiusi.


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it