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di Riccardo Rimondi e Sirio Tesori

Quarantotto ore dopo, la Cgil è ancora sotto shock. Mai, nella storia del sindacato bolognese, era successo che l’organizzazione rimanesse senza un segretario in carica. E, trattandosi della Camera del Lavoro più grande d’Italia, si tratta di un fatto clamoroso. Soprattutto perché il vuoto di potere rischia di protrarsi per almeno tre mesi. Come fanno notare i sindacalisti, i precedenti sono pochi anche nelle altre città. Proprio per questo è difficile capire come progredirà la situazione dopo le dimissioni a sorpresa di Danilo Gruppi, che mercoledì ha ritirato la sua disponibilità a ricandidarsi in seguito alla bocciatura, da parte di 110 delegati, del documento politico su cui aveva chiesto una larghissima maggioranza.

«Per il momento continueremo con la segreteria dimissionaria per mandare avanti gli affari correnti, le vertenze, le cause contro i licenziamenti», spiegano da via Marconi 69, ma nessuno sa per quanto si protrarrà la situazione. A norma di regolamento, infatti, ora la palla passa a Roma, e precisamente al Centro regolatore nazionale. L’organismo dovrà consultare uno per uno i centocinquanta membri del nuovo direttivo eletto al Congresso. Lo scopo è quello di trovare una nuova proposta per sostituire Gruppi, ma se i membri del direttivo non riusciranno a convergere su un nome, sarà scelto un segretario “tecnico”, deciso dalla segreteria nazionale ed esterno alla Cgil Bologna. Circostanza, questa, che non fa felice nessuno.

Intanto cominciano a trapelare dettagli sul giorno più lungo di Cgil Bologna. Secondo un giovane delegato della Funzione pubblica, a votare contro il documento è stata quasi tutta la Fiom, insieme agli esponenti della mozione di minoranza “Il sindacato è un’altra cosa” (che fa capo, a livello nazionale, a Giorgio Cremaschi) e a qualche singolo. L’odg sulla scuola interamente pubblica, che ha visto la maggioranza andare sotto 168 a 165, è invece stato votato da quasi tutta Fiom, dall’opposizione, e da ampi settori di Nidil e Flc. Questo esito pesa, perché reindirizza la linea Cgil sull’esito del referendum del maggio scorso.

Una fronda trasversale, quindi, che però non riesce a proporre un’alternativa. Almeno, questa è l’analisi di Antonella Raspadori, componente della segreteria uscente: «Quando si decide di mettere in discussione una linea politica o un gruppo dirigente – attacca la sindacalista – bisogna avere un progetto alternativo, e in questo caso io non lo vedo. Eravamo pronti a gestire una situazione complicata con la Fiom e la minoranza, ma gli ultimi giorni hanno manifestato che c’erano altre posizioni di dissenso che sono una particolarità di Bologna e che si sono coalizzate». Secondo la Raspadori, quindi, c’è una regia dietro gli eventi che hanno portato alle dimissioni di Gruppi, anche se la responsabilità non è della Fiom, che «ha sempre portato avanti la sua posizione».

E in effetti, se la Cgil appare rintronata, anche nel portone a fianco non si festeggia. Benché proprio i metalmeccanici siano stati i più decisi oppositori di Gruppi, infatti, l’atmosfera non è serena. «Non sono soddisfatto, io volevo fare un congresso diverso -chiarisce Alberto Monti, il segretario provinciale- noi abbiamo mantenuto una posizione coerente, di opposizione all’accordo di rappresentanza. E per quanto il nostro emendamento abbia raccolto più voti di quelli dei soli delegati Fiom, non ne abbiamo ottenuti abbastanza per far cambiare linea alla Cgil. Certo, siamo riusciti a farlo passare alla discussione regionale, ma abbiamo comunque solo il 30%».

Tra chi sostiene la mozione Cremaschi, invece, c’è più soddisfazione. «Per me le dimissioni di Gruppi sono un buon risultato – afferma uno dei delegati che hanno votato contro il documento politico, Gianmarco Scaini – perché mettono in luce un dato politico di scontento ben superiore, per numeri, a quello della nostra mozione. Ora vedremo cosa fare».

[© www.lastefani.it]

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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