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Parlare di ciò di cui non si parla mai, nominare l’innominabile, sfatare un tabù mescolando impegno e ironia, comicità e indagine intima, dramma e piacere, sessualità e identità di genere. Partono da questi elementi qui, i “Monologhi della vagina”, mini-brani scritti dall’americana Eve Ensler quasi vent’anni fa, messi in scena a Broadway e poi, via via, trasformati in una specie di format di impegno e popolarità crescente. I testi sono stati scritti facendo raccontare a duecento donne la loro idea del sesso, il loro rapporto con l’organo più intimo, le relazioni, le paure, i desideri. Da qui partono brevi interviste che danno voce a episodi emblematici legati alla sessualità, all’amore, ma anche alla nascita, ad episodi di violenza, vergogna, avvilimento. Un luogo oscuro da cui partire e che, alla fine, racchiude secondo l’autrice il nocciolo più intimo e profondo dell’identità di ogni donna, il modo in cui ne gioisce e ne soffre, come attorno a ciò spera e teme. Dietro al divertimento, poi, resta sempre vigile e presente la voglia di denunciare episodi di violenza e sopraffazione.

Il successo dell’opera teatrale e del libro negli Stati Uniti è stato fondamentale per esportare un’iniziativa che, altrimenti, sarebbe rimasta forse più piccola, sconosciuta e di nicchia. Invece, così, con testimonial come Tina Turner e Whoopi Goldberg, i “Monologhi della vagina” si sono espansi, sono arrivati in Italia e si sono trasformati in un movimento, che è quello del V-Day. Si tiene ogni anno tra febbraio e marzo. La città di Ferrara questa iniziativa spettacolare e questo movimento li ha fatti suoi dal 2012 e, a partire da domani, li riporta in scena.

A raccontare il coinvolgimento tra la città e questo modo innovativo di unire spettacolo e voglia di fare campagna di sensibilizzazione è Laura Benini, che ha fondato il gruppo insieme a un uomo e quattro donne. “Nel 2012 – ricorda Laura – c’erano già state altre esperienze sporadiche in Italia e, in particolare a Trieste, dove l’opera era andata in scena per tre anni di seguito. Poi l’organizzatore si è trasferito a Ferrara e ci ha coinvolte aiutandoci a organizzare lo spettacolo e ad aderire al movimento internazionale del V-Day”. Da allora, ogni anno le ragazze – che ora sono una ventina – ricevono dall’America il copione con una selezione di monologhi, insieme li leggono, ciascuna sceglie quello che sente più vicino a sé e alla propria sensibilità, li studiano, fanno le prove e poi li portano sul palco sentendosi a quel punto sempre più unite, complici e consapevoli. Oltre alla parte della messa in scena c’è un lavoro di squadra per coinvolgere le istituzione, produrre materiale di comunicazione, ma anche per allestire la scenografia, inventare uno stile di presentazione, fare i costumi.

Lo spettacolo si basa sul contributo volontario di tutti: le attrici, i luoghi, la tipografia che stampa il materiale, così come chi mette a disposizione arredi scenici. Perché alla fine – racconta Laura – l’obiettivo, è quello di parlare di questi temi, ma anche di raccogliere il contributo che ogni spettatore lascia con un’offerta libera. Il ricavato va tutto a sostenere associazioni che operano sul territorio in modo da aiutare donne in difficoltà o vittime di violenze.

Lo spettacolo quest’anno prevede tre appuntamenti, tutti alle 21: domani, venerdì 27 febbraio, nella sala del Centro documentazione donna di via Terranuova 12/b, dove verrà allestita anche una mostra di fotografie di Antonella Monzoni dedicate a questi temi e visitabile fino all’8 marzo; domenica 8 marzo di nuovo a teatro nella Sala estense, in piazza Municipale di Ferrara, e domenica 15 marzo nell’auditorium di Santa Maria Maddalena, in provincia di Rovigo, via Amendola 29.

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Lettura dei Monologhi della vagina (foto Stefano Pavani)
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Un’altra lettrice dei Monologhi della vagina (foto Stefano Pavani)
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Lettura dei Monologhi della vagina (foto Stefano Pavani)
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Monologhi della vagina: il gruppo delle attrici l’anno scorso in Sala estense (foto Stefano Pavani)
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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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