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È un Karl Marx squisitamente umano quello che il pubblico si ritrova davanti in questi sabati sera al Teatro Off di Ferrara. Il leggendario Marx, interpretato da Marco Sgarbi con naturalezza e autenticità, ‘si fa uomo’ e si mette a nudo raccontando della propria vita, della sua amata moglie Jenny di cui dice «quello che lei ha fatto per me è di un valore incalcolabile», delle tre carissime figlie sopravvissute alla miseria, degli altri tre scomparsi precocemente, oltre che dell’esperienza dei bassifondi di Soho, a Londra, che ne ispirarono i famosi scritti di denuncia e di analisi sociale ed economica del sistema capitalistico.
Con la pièce di Howard Zinn “Marx a Soho” si ha il piacere di incontrare un Marx ironico e disincantato, che arriva a dire «Mettetevi in testa una cosa: non sono marxista!» prendendo di fatto le distanze dal personaggio creato ad hoc dagli adulatori e dalle manipolazioni del suo pensiero.
Lo spettacolo, diretto da Giulio Costa, ha un’impostazione particolare, fortemente incentrata nel creare relazioni sia con il personaggio che con il pubblico, con cui si cerca un rapporto costante durante la rappresentazione.
Anche a fine spettacolo gli spettatori vengono direttamente coinvolti per una chiacchierata con l’attore; così a fine monologo Marco Sgarbi smette i panni di Marx e arriva sul palco con in mano una tazza di tisana a base di acqua, miele e limone, e si comincia a parlare della messa in scena appena vista. Tante, incalzanti e attente le domande degli spettatori/interlocutori che chiedono prima di tutto come sia riuscito ad entrare in un personaggio così “mastodontico”: “Per entrare nel personaggio di Karl Marx, si è proceduto per sottrazione, fino ad arrivare alla spontaneità” – racconta Marco Sgarbi – “ho messo nel personaggio ciò che mi appartiene e che si avvicina di più al lavoro di Zinn. La mia immagine di Marx prima di questo lavoro era un po’ stereotipata, si rifaceva agli studi liceali. Solo addentrandomi nel testo ho visto emergere l’Uomo. Per questo ciò che ho fatto non è stato altro che impersonare semplicemente un essere umano, che parla alla gente, a un pubblico. ‘Grazie a Dio un pubblico, proprio come dice la prima battuta del testo”.
L’operazione di coinvolgimento e condivisione con il pubblico riesce molto bene, complice l’atmosfera intima dello spazio, e ne nasce anche un dibattito su vari temi: l’urgenza dell’agire, del far sì che le cose accadano, della passione per il cambiamento – che Marx ha avuto per tutta la vita – che precede e va oltre l’aspetto teorico. Si è parlato inoltre del tema della miseria/ricchezza del mondo contemporaneo: “Marx che ritorna nel mondo al giorno d’oggi, a New York, uno dei centri nevralgici dell’economia contemporanea (per un errore torna nella Soho newyorkese, non nella Soho di Londra), non sarebbe stato forse più colpito dalla ricchezza che dalla miseria, come invece emerge in questa pièce?” chiede una spettatrice. Sgarbi risponde che scegliere New York è stato un escamotage, una scelta simbolica; Zinn ha voluto mettere al centro del suo lavoro la miseria, per denunciare come ancora oggi una grande parte del mondo sia soggetta a miseria e diseguaglianza. Un’altra spettatrice si complimenta dicendo: “C’è un’intelligenza pura in questo lavoro!”.
Per questo viene naturale riprendere una delle battute più accattivanti del testo: «Potete spargere la voce, Marx è tornato!…» anche se per poco più di un’ora a replica: l’ultima in programma sabato prossimo 15 novembre al Teatro Off di Viale Alfonso I d’Este, 13 nell’ambito della rassegna di monologhi intitolata “Ricomincio da uno”  [vedi].

Lo spettacolo è tratto dal testo scritto nel 1999 dallo storico americano Howard Zinn ed è stato co-prodotto in occasione del 131° anniversario della morte di Karl Marx dalla Fondazione Aida, Teatro stabile Innovazione Verona, e dall’Associazione culturale Arkadiis di Occhoibello.

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Sara Cambioli

È tecnico d’editoria. Laureata in Storia contemporanea all’Università di Bologna, dal 2002 al 2010 ha lavorato presso i Servizi educativi del Comune di Ferrara come documentalista e supporto editoriale, ha ideato e implementato siti di varia natura, redige manuali tecnici.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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