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Ogni giorno un brano intonato alla cronaca selezionato e commentato dalla redazione di Radio Strike.

[per ascoltarlo cliccare sul titolo]

You Are My Sunshine di Mississippi John Hurt.

Oggi è il 3 luglio ed è la giornata mondiale spazza-via-ogni-tipo-di-stereotipo.
Infatti pare che oggi (o a marzo) sia nato Mississippi John Hurt, l’uomo che più di tutti ha spazzato via gli stereotipi sulla musica afroamericana.
E’ stranissimo che non abbiano ancora fatto un film su di lui.
Nato a Teoc (forse) il 3 luglio 1893 (o 1892), ovviamente in Mississippi, ottavo di dieci fratelli. A nove anni inizia a suonare una chitarrazza che pare gli abbia comprato sua madre per un dollaro e mezzo. La mitologia “da bluesman” però si ferma qui.
Niente diavolo, niente incroci. Solo un lavoro da bracciante ed esibizioni alle feste in campagna.
Le cose “strane” invece iniziano più o meno nel 1923, quando John Hurt inizia a suonare con Willie Narmour, violinista e pure bianco. Nel 1928 Narmour vince un concorso e gli viene offerta una sessione in studio a cui invita il suo amico John Hurt. Non mi ricordo bene ma pare che i due vadano a registrare a Memphis in macchina e che in quella macchina ci fossero anche lo sceriffo e un tipo che produceva whiskey in casa. Vedi te di nuovo gli stereotipi. John Hurt registra due pezzi, lo stesso anno ne registra altri undici a New York ma poi sparisce.
Nei primi ’60 però, all’epoca del folk revival, un certo Tom Hoskins si mette in testa di andare a cercarlo. Si deve sbattere come un pazzo ma la scintilla arriva quando capisce che in Avalon Blues il nostro non parla della leggendaria Avalon ma di quel buco di posto in cui abita.
Ovviamente lo trova e ovviamente John Hurt torna in auge diventando il più luminoso dei “bluesman ritrovati”.
Non tanto per la sua storia ma per il suo stile completamente diverso da tutto ciò a cui siamo abituati a pensare quando ci dicono “blues”.
A parte l’assenza di quella mitologia tipica la vera aura unica di John Hurt è quel suo stile di chitarra nero ma bianco, blues ma country che come una volta ha detto una mia amica lo rende “il bluesman pop”.
Pare che la chitarra abbia imparato a suonarla da autodidatta e probabilmente è proprio da quel suo metodo che arriva quel suo stile così lontano dai cliché della “chitarra blues”.
E infatti Elizabeth Cotten, unico altro esempio simile ha fatto lo stesso.
Un classico del punk, praticamente. E quella voce poi, porca vacca. Completamente diversa diversa da tutti gli altri e di nuovo nera ma anche bianca ma completamente sensata visto che il nostro amico adorava quel biancuzzo di Jimmie Rodgers.
Auguri quindi al tranquillone del blues, punk inconsapevole, inventore di John Fahey ma anche trendsetter inconsapevole.
Vedi il bellissimo cardigan che sfoggia sulla copertina del disco da cui ho preso il pezzo di oggi.
Nettamente in anticipo su Bill Cosby.

PS:
La storia del viaggio in macchina, insieme a tante altre belle storie e a un’analisi da manuale ma da Manuale proprio, roba da testo universitario si trova in “Musica di Plastica: La ricerca dell’autenticità nella musica pop” di Hugh Barker e Yuval Taylor.

In Ariostea c’è!
(Se non lo trovate quasi sicuramente è perchè l’ho preso in prestito di nuovo io. Quindi se volete leggerlo scrivetemi che vado a metterlo giù e potete prenderlo voi.)

album: D.C. Blues – The Library Of Congress Recordings Vol. 2

Selezione e commento di Andrea Pavanello, ex DoAs TheBirds, musicista, dj, pasticcione, capo della Seitan! Records e autore di “Carta Bianca” in onda su Radio Strike a orari reperibili in giorni reperibili SOLO consultando il calendario patafisico. xoxo <3 Radio Strike è un progetto per una radio web libera, aperta ed autogestita che dia voce a chi ne ha meno. La web radio, nel nostro mondo sempre più mediatizzato, diventa uno strumento di grande potenza espressiva, raggiungendo immediatamente chiunque abbia una connessione internet.
Un ulteriore punto di forza, forse meno evidente ma non meno importante, è la capacità di far convergere e partecipare ad un progetto le eterogenee singolarità che compongono il tessuto cittadino di Ferrara: lavoratori e precari, studenti universitari e medi, migranti, potranno trovare nella radio uno spazio vivo dove portare le proprie istanze e farsi contaminare da quelle degli altri. Non un contenitore da riempire, ma uno spazio sociale che prende vita a partire dalle energie che si autorganizzano attorno ad esso.

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Radio Strike


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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