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E’ il 5 novembre 1605 a Londra. Guy Fawkes tenta, attraverso la Congiura delle polveri (Gunpowder Plot), di uccidere re Giacomo I, assolutista e irresponsabile, e i membri del Parlamento inglese.

I ‘re incapaci’ oggi ce li indica Anonymous, associazione attivista composta di singoli utenti o comunità online dedita ad ‘hacktivism’ e ‘vigilantism’. Difficile da definire, estremamente fluido come parterre di significati ma non liquido come lo intenderebbe Bauman nella sua azzeccatissima visione della società postmoderna – carente di legami e strutture forti – non esiste solo online ma anche nella vita reale, in cui si concretizza attraverso manifestazioni in cui i simpatizzanti sono diretti discendenti di Guy Fawkes, di cui riprendono i connotati facciali. Gli ormai iconici baffi e il sorriso, mantello nero e cappellaccio a falda larga, diventati simbolo di ribellione anche per gli Indignados spagnoli. Una volta re incapace era uno che sedeva sul trono senza troppo occuparsi di quello che gli succedeva intorno. La corona bastava a farne il capo, come oggi bastano soldi, contatti e manipolazioni a decidere chi vince e chi perde. Le vittime degli attacchi di Anonymous sono disparate, trasversali rispetto a credo politico o sociale: dalla seconda metà degli anni Duemila da Casaleggio Associati al Sindacato di polizia nazionale, dal Ku Klux Klan a Isis, da Matteo Renzi a Expo 2015, il cui portale per l’acquisto dei biglietti è stato messo per breve tempo fuori uso alla vigilia della inaugurazione.

anonymous
Il logo degli attivisti: il busto senza capo rappresenta l’organizzazione senza leader e l’anonimato.

Anonymous è un’etica e un’estetica riferita alla libertà di pensiero e di azione, che in virtù di questo principio non suppone l’attacco ai mezzi di informazione. “We are legion“, recita il loro credo. Secondo la diffusa logica per cui il web sarebbe l’unico posto rimasto completamente democratico, a cui tutti possono accedere. Quel “tutti” viene distrutto con grande facilità dal ‘digital divide‘, uno spartiacque tanto netto quanto doloroso, per chi non possiede strumenti di connessione o non ha possibilità di accesso a una rete pubblica o privata. Da teorie più e meno condivise, una tra tutte quella che non è vero che sul web tutti hanno la stessa possibilità di essere ottenere visualizzazioni, ‘like‘ e ‘thumb up‘ semplicemente perché la distribuzione dei link è frutto della legge di potenza che stabilisce, nella rete, che è più visibile e chi no, o il sito che ha più possibilità di essere visitato; chi ha più potere rispetto a qualcun altro, chi ottiene il ‘pollice in su‘ oggi nel temp(i)o di Zuckerberg come all’era di Augusto, quando bastava un pollice verso per comunicare all’arena chi vinceva e chi moriva. In questa ottica, non è così assurdo pensare che agiscano in modo democratico in un doppio senso: colpiscono chi esibisca manchevolezza etica in un sistema politico, commerciale, religioso; chiunque può partecipare alle azioni sovversive che promuovono, senza esclusioni di natura elitaria. Unica regola: condividerne i principi e le regole.

Resta vero che “Tutto tocca tutto”, come diceva Borges; e questo rende di Anonymous una legione. Una minaccia lo è certamente; come lo è il principio di WikiLeaks, come per altri versi lo fu il Cristianesimo di Paolo nel momento in cui il futuro santo se ne andava da Roma a Gerusalemme a convertire tutte le persone che poteva, collegando teologia e reti sociali per diffondere un messaggio. A piedi scalzi, come sullo strumento a forma di topo che permette materialmente di cliccare e navigare in rete. Anche Anonymous è una fede, fatta di tanti piccoli Guy Fawkes. Una fede in cui esibire una uguaglianza formale non significa catena di montaggio, quella che scatena una risata nella sua chapliniana interpretazione. Né nascondersi dietro un dito, un dito che oramai è diventato molto ingombrante e scomodo, confermando che è proprio dietro a una maschera che l’uomo vi dirà la verità, come l’amara verità di Oscar Wilde. Ma qui è la faccia stessa a cambiare il discorso, a diventare qualcosa in più. La lezione che forse si può imparare è quella di un collegamento reale e volto a uno scopo che si manifesta nelle prassi, dopo che è stata ampiamente sostenuta all’interno di un manifesto. Non è eresia e non è santificazione, stati che d’altra parte la storia insegna a non escludere se accolti in un ragionevole lasso di tempo (Giovanna di Orléans passa da folle totale a santa, anche se nel giro di cinque secoli).

Lo scopo è mettere in dubbio e destabilizzare sistemi che mostrano carenze, ingiustizie o punti oscuri rispetto alla filosofia di cui si fanno promotori; protesta e attacco, critica ed esposizione alla pubblica gogna, esattamente al pari di qualcuno che cerca di fare passare una sola notizia al posto di cento, una sola visione delle cose, un solo partito da votare invece della libera scelta in cabina elettorale. Siamo lontani da destra e sinistra hegeliana, che prendevano a mazzate il re dell’idealismo per poi non poterne prescindere dagli insegnamenti.
Forse il loro è l’unico modo per rovesciare inetti re che affamano di giustizia e verità le persone della loro platea di riferimento che, volente o nolente, alle sue leggi deve prestare orecchio. Giudicando con pura razionalità, a violenza non si risponde con altra violenza – così almeno ci insegnano a scuola e a casa. Ma è coscienza individuale e collettiva, la stessa che porta un prete a difendere due uomini che hanno ucciso per vendicarsi di una ingiustizia subita, quando la cattedra di un tribunale li avrebbe molto probabilmente condannati (Sleepers, 1996, regia di Barry Levinson, ndr.).

Nessuno vi può dare la libertà. Nessuno vi può dare l’uguaglianza o la giustizia. Se siete uomini, prendetevela.” Malcolm X

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Giorgia Pizzirani

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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