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La mostra “Artemisia Gentileschi e il suo tempo” è visitabile fino all’8 Maggio a Palazzo Braschi a Roma

Nata da un’idea di Nicola Spinoza e curata dallo stesso per la sezione napoletana, da Francesca Baldassari, per la sezione fiorentina, e da Judith W. Mann per la sezione romana, la mostra si avvale di molti prestiti di musei stranieri e presenta accanto alle opere di Artemisia, anche quelle dei grandi protagonisti del Seicento, come Cristofano Allori, Simon Vouet, Giovanni Baglione, Antiveduto Grammatica e Giuseppe Ribera. Ancora riflettori su Artemisia Gentileschi: dalla prima mostra monografica in Italia su Artemisia Gentileschi (Roma 1593 – Napoli dopo il 1654), organizzata più di venticinque anni fa presso Casa Buonarroti a Firenze, un susseguirsi di iniziative hanno prepotentemente contribuito alla conoscenza e all’affermazione artistica di una delle più affascinanti donne artiste che, come capita alle figlie femmine di grandi personalità, era considerata ‘una costola’ del più noto padre, famoso caravaggesco romano.

Con la curatela di Keith Christiansen e Judith W. Mann, nel 2001 fu realizzata una mostra su Orazio e Artemisia Gentileschi a Palazzo Venezia a Roma, in cui vennero precisati infatti i debiti della figlia verso il magistero paterno. Un impianto monografico molto ampio ha caratterizzato, invece, la bellissima mostra del 2011 di Palazzo Reale a Milano, curata da un comitato di alto livello scientifico, che ha attraversato in modo anche narrativo la produzione artistica della Gentileschi nei suoi molteplici spostamenti. Le note vicende biografiche, il padre violento, il lungo processo per stupro, il marito ignavo e i grandi amori della sua vita, incisero sulla sua determinatezza caratteriale come ben mise in risalto Anna Banti, moglie di Roberto Longhi nel suo romanzo storico su Artemisia del 1947, diffondendone l’immagine di donna combattiva, orgogliosa, dotata di spirito di indipendenza e intraprendenza, doti che le permetteranno d promuovere il proprio talento straordinario presso le Corti di mezza Europa. La Banti sottolinea anche come Artemisia sia stata una delle prime donne della storia capaci di affermarsi con il proprio lavoro e al contempo dotate della singolare capacità di promuoversi tra chi contava davvero.

E tutto il suo modo di essere ne ha fatto, prima che un’artista di rango, un’eroina protofemminista. E’ nella letteratura artistica della seconda metà del secolo scorso che si va consolidando la fama di Artemisia a scapito di quella del celebre padre “condannato ormai a vivere all’ombra della figlia.” Ma è con il contributo della prima generazione di studiose femministe storiche dell’arte che Artemisia è stata riscoperta ed è entrata nella storia dell’arte da protagonista. Le sue opere, infatti, occupavano un posto di grande rilievo nella mostra ‘Women Artists : 1550 – 1950’ allestita nel 1976 al Los Angeles Country Museum of Art curata da Ann Sutherland Harris e Linda Nochlin. L’esposizione americana ha indotto Mary Garrad a intraprendere un lungo studio della produzione pittorica dell’artista romana, culminato nella monografia del 1989 dal titolo ‘Artemisia Gentileschi: The Images of the Female Hero in Italian Baroque Art’. L’autrice insiste sull’incomprensione ed emarginazione subite da Artemisia nell’ambiente artistico, dove era ritenuta più un personaggio fuori dal comune, quasi un fenomeno in quanto donna artista in un mondo sociale esclusivamente maschile.

Del resto anche gli studi di stampo femminista che l’hanno portata all’attenzione del pubblico, hanno concentrato il loro interesse sulla sua particolare biografia, mettendola in connessione con le qualità espressive del suo lavoro. Per cui, spesso, si è istituita una relazione tra la violenza sessuale subita nel marzo 1511 da parte di Agostino Tassi (1578 – 1644) collega e amico del padre e la violenza espressa nei dipinti giovanili, in particolare nelle due versioni di ‘Giuditta che uccide Oloferne’ (Napoli, Museo di Capodimonte; Firenze, Galleria degli Uffizi). Che il desiderio di vendetta si sia concretizzato in queste opere, crudeli ed eroiche ad un tempo, è probabile: tuttavia il soggetto era ambito dai collezionisti ed era già stato trattato da Caravaggio, fonte di ispirazione sia per Orazio che per lei stessa. Se la fama dell’artista è ancora oggi legata alle sconvolgenti vicende personali degli anni giovanili, sarà lei stessa con lo sguardo rivolto al futuro ad avere la rivincita attraverso il proprio lavoro. Infatti, nel 1614 fu la prima donna ad essere ammessa all’Accademia del disegno di Firenze e potè godere della protezione dei Medici. Nel decennio successivo entrò a far parte dell’Accademia romana dei Desiosi. Nel suo ritratto inciso da Jerome David in cui si celebra il legame di Artemisia con l’Accademia è chiamata “pittrice celeberrima, prodigio della pittura, più facile da invidiare che da imitare”. Il soggiorno fiorentino (1613 – 1620) è anticipato da un’opera ardita e inconsueta per una donna artista, solita eseguire ritratti e nature morte: il nudo. Riconosciuta quale prima opera autografa e firmata, ‘Susanna e i vecchioni’ (Pommersfelden, Stiftung Schloss Weissenstein) rivela, malgrado la luce chiara e l’atmosfera tonale classica derivata dal padre, dirette relazioni con la pittura romana di Caravaggio nella figura della giovane donna solidamente naturale nelle forme femminili, nei lunghi capelli ramati e nella fronte corrucciata, mentre il tipico gesto di Susanna di protezione-ripulsa, trova un famoso prototipo caravaggesco nel chierichetto urlante del ‘Martirio di san Matteo’ a San Luigi dei Francesi a Roma.

Nel capoluogo toscano, Artemisia si trasferisce dopo il processo contro il suo violentatore Agostino Tassi e in seguito al frettoloso matrimonio con il mercante fiorentino Pierantonio Stiattesi, combinato dal padre per garantire la moralità della figlia. Nella città medicea, sotto la protezione di Filippo Buonarroti (nipote di Michelangelo) e di Galileo Galilei, nascono le sue appassionate e sensuali eroine dotate di pathos barocco come la ‘Maddalena penitente’ (1616 – 18, Firenze, Palazzo Pitti), “Giuditta e la fantesca Abra” (1617 – 18, Firenze, Palazzo Pitti), ‘Santa Cecilia’ (1617- 18, Roma, Galleria Spada), “Giaiele e Sisara” (1620, Budapest, Szepmuweszeti Museum), ‘Giuditta decapita Oloferne’ (1612-13, Napoli, Museo di Capodimonte e la variante del 1620, Firenze, Uffizi). Ancora un approccio al luminismo caravaggesco nella ‘Maddalena’, non più controriformata con teschio in primo piano e ombre nere, ma immagine femminile dolce e misteriosa, illuminata dall’alto a dissolvere i contorni e spingere in primo piano la dinamica silhouette avvolta in un lussuoso abito di seta gialla (il giallo era il colore dell’abito delle cortigiane): saggio di bravura di Artemisia per Cosimo I, caratterizzato da due iscrizioni dipinte nella spalliera della seggiola da camera (firma) e nella cornice dello specchio. Eroina sospesa tra ansia e esitazione è Giuditta nel celebre dipinto ‘Giuditta e la fantesca Abra con la testa di Oloferne’ .

E’ ancora una Giuditta caravaggesca con elaborata acconciatura di capelli color rame e il volto insistito come un autoritratto (come del resto nella ‘Maddalena penitente’). Stoffe, drappeggi, gioielli e sfumature di colore connotano la composizione concentrata e il ritmo teatrale assecondato dalla luce notturna, che sottolinea la violenza ancora incombente nello sguardo di Giuditta. E’ chiaro che Artemisia nel suo essere estroversa, loquace, aggressiva, ha scelto in questi anni la narrazione retorica del melodramma teatrale tanto in voga nel primo Seicento fiorentino. Se delle due celebri redazioni di “Giuditta decapita Oloferne”, la prima ideata da Artemisia agli esordi del periodo fiorentino (Napoli Capodimonte), costituisce uno dei suoi più maturi saggi caravaggeschi, interpretandone la carica emotiva e il luminismo con contrasti drammatici di chiaroscuro, “la seconda, nella sua redazione degli Uffizi è sontuosa nell’impeccabile e studiata composizione triangolare, nel dinamismo accentuato dall’evidente torsione del busto di Giuditta e del corpo rantolante del re assiro. Uno sguardo narrativo descrive i volumi del letto ricoperto di raso bianco, l’accurata acconciatura, il bracciale d’oro con cammei, la resa dei tessuti (…) sino ai sottilmente frangettati lenzuoli di lino. Inondata di luce la tragedia della morte violenta per decapitazione è spinta sul proscenio di un teatro dell’orrore spettacolare come un dramma barocco” (F.Solinas, 2011).

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Susanna e i vecchioni
Maddalena penitente
Giuditta e la fantesca Abra
Giuditta decapita Oloferne
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Anna Maria Baraldi Fioravanti


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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