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Aculei di ironia per proteggere un’anima delicata: Laura Raimondi è un adorabile ‘riccio’. Sensuale e provocante sulla copertina del suo cd ‘Cabaret macabro’, affettuosa, vulnerabile e vera quando la incontri e hai il privilegio di affacciarti al suo universo: complicato e nudo al tempo stesso. Profondissimo. Abitato da un’incessante ricerca di significato. Ne è prova quel suo ‘O forse no’, annotato da Laura sulla brochure del cd: “Il teatro mi ha dato una maschera ironica e pungente, a volte macabra, che difficilmente riesco a togliere. La musica mi ha consentito di tradurre le emozioni in suono. La scrittura mi ha permesso di essere ancora più chiara in quello che volevo dire. O forse no”.
Classe 1990, milanese, frangia liscia e lucente che accarezza grandi occhi scuri, attenti e indagatori, Laura Raimondi ascolta, riflette, sorride, non si nasconde. La sua passione per la musica è iniziata da piccolissima.

Puoi raccontarci come è cominciato tutto?
Sulla pagina del mio diario segreto, l’8 agosto del 1999, avevo scritto così: “da grande voglio fare la cantante e ho anche una bella voce”. A nove anni ho chiesto in regalo un microfono, e tutto è partito da lì. La mia prima esperienza ‘professionale’ è stata a 11 anni: sono stata ammessa al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano e ho avuto l’onore di esibirmi nel coro per voci bianche del maestro Chailly.

Chi ha incoraggiato la tua passione?
Ci sono state molte figure importanti nel mio percorso artistico, da amici a musicisti a colleghi cantanti. Sicuramente una figura chiave è stata Ginetta Tarenzi, che mi ha portato a pensare alla musica come una ragione di vita e al canto come a una professione. Oggi continuo a studiare con Maurizio Zappatini, che è il mio ‘faro’ vocale, uno stimolo continuo di lavoro sulla mia voce.

Il tuo primo cd è ‘Cabaret macabro’, prodotto dalla Unconventional Music Publishing, con testi e musiche originali. Puoi descriverci questo tuo lavoro? Ti ci riconosci?
Mi ci riconosco tantissimo, ci ho messo tutta me stessa. C’è tanto del mio percorso teatrale e del mio vissuto, ma soprattutto ha preso veramente forma una volta messo in scena nei teatri. In ogni data, le canzoni hanno preso sempre più vita propria, anche grazie a dei musicisti eccezionali con cui ho condiviso il palco. È uno spettacolo dove si ride, si scherza e si gioca con il pubblico: l’ironia è fondamentale per distaccarsi dall’esperienza. Ma cerco anche di far riflettere su alcuni problemi tipici della mia generazione.

Qual è la tua canzone preferita?
Di solito è l’ultima che ho scritto! Il cd è all’unisono con lo spettacolo ‘Cabaret macabro: sei personaggi in cerca di cantautore’ rappresentato nei teatri di tutta Italia.

A chi ti ispiri sul palcoscenico?
Mi ispiro molto al teatro, in particolare ai vecchi café chantant e al cabaret francese. Sebbene la mia musica sia decisamente musica leggera, mi affascina il tocco un po’ retrò. In realtà cerco sempre di essere me stessa e di seguire l’istinto.

Uno stile originale che Francesco Renga ha descritto con parole lusinghiere: “Laura è sorprendente! La sua voce lo è… Il suo spettacolo, divertente, ironico… Cinico, ben costruito e perfetto per quello che Laura è in questo momento: una artista in crescita che è riuscita a trovare una cifra e un percorso assolutamente personale e unico nel panorama italiano”. 
Puoi raccontarci qualcosa del tuo Cabaret?
È uno spettacolo-concerto in cui racconto alcuni personaggi singolari che ho sfiorato nella mia vita reale, caratterizzati da tic e manie, soprattutto donne. Mi piace analizzare ed esportare la femminilità in ogni sua forma, mi interessa il lato ironico dell’essere donna, soprattutto le ansie, le paranoie e le piccole cose che invece spiegano il totale.

L’approccio ironico per te è fondamentale?
Lo è stato finora, ma ultimamente sento l’esigenza di un cambiamento e sono molto curiosa di vedere che cosa uscirà dalla mia testa.

Che cosa rappresenta per te l’arte?
È un bisogno fondamentale, è la massima espressione dell’individualità, che però si immerge successivamente nel collettivo. Credo fortissimamente nel valore pedagogico e universale dell’arte: secondo me dovrebbe esserci sempre un po’ d’arte quando si insegna e quando si apprende.

Arte e vita sono necessariamente legate per te?
La vita è la prima fonte d’ispirazione. Mi piace visitare posti diversi e conoscere gente strana. Il canto mi ha permesso di essere libera e di esprimere in modo sintetico tutta una serie di emozioni complesse che nascono dal vissuto. Forse è l’unico ambito in cui sono sintetica: nella vita spesso tendo a essere logorroica (ride)!

Invece come sei tu? Come ti definiresti?
Empatica nei confronti delle persone e della vita. Sono decisamente emotiva, e non è facile conviverci nel quotidiano. Se fosse un hobby, il mio sarebbe quello di conoscere le persone. Le persone ti permettono di vivere mille vite.

Hai un sogno nel cassetto?
I sogni si tengono in posti meno nascosti. E soprattutto i miei cassetti sono un casino, li uso più come pattumiere che come ripostigli!

Alla Gigi Marzullo, “si faccia una domanda e si dia una risposta”…
Hai fatto il tuo dovere oggi? Perché non ti soffochi?

E con l’ironia pungente di questa ultima battuta, ci salutiamo sghignazzando. Dolce e ribelle. Intrigante e paranoica. Rispettosa e ardita. Menzognera e sincera. Bambina e donna. Questa è Laura Raimondi. O forse no.

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Eleonora Rossi

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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