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Vizi e virtù della scuola italiana continuano a coesistere imperterriti. Il vizio è quello ormai atavico di ritenere che la scuola italiana si cambia dall’alto, calando di volta in volta nel suo contesto i provvedimenti di riforma di questo o quel governo. La virtù è che la scuola, nonostante tutto, nel suo tessuto e nel suo modo di essere resta inossidabile, pressoché identica a se stessa da decenni e decenni, nel bene e nel male. Il miracolo è che generazioni e generazioni di ragazze e di ragazzi siano riuscite ad uscirne indenni, e ancora riescano a sopravviverci.
Se a un essere comune, dotato di normale buon senso, a proposito della scuola di suo figlio gli capita tra le mani un documento sulla autovalutazione, sì, “autovalutazione”, già tutto un programma di ossimori e autoreferenzialità, in cui le espressioni forti, quelle calde, sono ‘start up’, ‘help desk’, ‘task force’ pensa a tutto, a guerre stellari, a un programma del Pentagono, meno che mai che si parli della scuola di suo figlio.
E qui si sbaglia. Perché si tratta del “Rav”. Un’astronave interplanetaria? No. È l’acronimo del Rapporto di autovalutazione che la scuola di suo figlio in nome della trasparenza e del bilancio sociale dovrà compilare online entro l’estate 2015. Il Miur l’ha presentato il 27 novembre 2014 come uno strumento di lavoro che tutte le scuole italiane potranno utilizzare per riflettere su se stesse e darsi degli obiettivi di miglioramento. Si tratta del primo Rapporto di autovalutazione articolato in 5 sezioni, con 49 indicatori attraverso i quali le scuole potranno scattare la loro fotografia, individuare i loro punti di forza e di debolezza, mettendoli a confronto con dati nazionali e internazionali, ed elaborare le strategie per rafforzare la propria azione educativa.
Ma la prima domanda che a qualunque sprovveduto viene da formulare è: ma se “la buona scuola” ancora non c’è, ancora deve partire, cosa c’è da autovalutare, se non una scuola che così s’è già detto che non va bene? Non è forse una perdita di tempo che potrebbe essere risparmiata, rimboccandosi le mani semmai fin da subito a raddrizzare quello che c’è da raddrizzare?
Le scuole sono chiamate ad analizzarsi attraverso la lente di cinque sezioni, che già da sole costituiscono un progetto e un programma di scuola. Inquieta, pertanto, l’idea che qualcuno possa solo pensare che si tratti di adempimenti amministrativi da evadere entro l’anno scolastico.
Le indicazioni ministeriali per la ‘compilazione’ del Rapporto di autovalutazione, con il concetto così scolastico di ‘compilazione’ ci hanno proprio poco a che fare.
La struttura del rapporto disegna un profilo di scuola che non è per nulla scontato e che per di più non appartiene al normale modo di essere, alle ordinarie prassi delle nostre istituzioni scolastiche.
Studiare il contesto e le risorse, analizzare gli esiti degli studenti e i successivi percorsi scolastici, monitorare i processi messi in atto dalla scuola a partire dalla qualità e dall’organizzazione dell’offerta formativa e degli ambienti di apprendimento, integrare i processi di autovalutazione in corso nelle scuole, ammesso che ci siano, con il nuovo sistema, individuare le priorità su cui si intende agire al fine di migliorare gli esiti, in vista della predisposizione di un piano di miglioramento. Tutte procedure che propongono un’idea di scuola come ‘sistema’, dove però la cultura di sistema non è mai stata praticata, dove ancora ogni elemento non si sente assolutamente parte del tutto, tanto da pensare che gli effetti di ogni sua azione ricadono di riflesso sulla qualità, sui processi e gli output dell’intero sistema. Una scuola, che ancora poggia sulle monadi degli insegnanti e delle classi, improvvisamente dovrebbe sentirsi un’organizzazione di cui ciascuno porta la propria parte di responsabilità.
Insomma si introduce, senza esplicitarlo, e ritenendo che questo sia sufficiente, l’idea di una scuola non più come solo luogo in cui vengono forniti gli apprendimenti, ma come organizzazione che apprende, come organizzazione con una propria cultura riflessiva. Un sistema scolastico finalmente non solo di nome ma anche di fatto.
Questo è un avvenimento estremamente importante e serio. Troppo serio per essere affidato all’improvvisazione e alla faciloneria del Rav ministeriale.
C’è un’idea del tutto nuova di scuola e di sistema formativo per il Paese. Di un sistema formativo che a regime dialoga al suo interno e al suo esterno con il territorio e le università. Quando mai? Non è qualcosa che si può improvvisare, non è qualcosa per dilettanti, né può essere la scimmiottatura di modelli e di pratiche importate da altri paesi. Una analisi, una documentazione e una conoscenza di come funzionano le nostre istituzioni scolastiche, non per un’autovalutazione, che già di per sé è una stupida contraddizione in termini, ma per accompagnarne i continui miglioramenti in funzione della formazione e del successo delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi richiedono una organizzazione del sistema formativo e una distribuzione delle sue risorse che siano le stesse su tutto il territorio nazionale.
È necessario iniziare innanzitutto con la formazione di figure di sistema professionalmente preparate, capaci di raccogliere dati, d’assemblarli e confrontarli, capaci di supportare i gangli vitali dei processi formativi e di apprendimento che si realizzano nelle scuole. Una scuola dove i docenti siano preparati ad una didattica che non può più essere quella della classe, delle lezioni frontali, dell’uso delle nuove tecnologie in un sistema che resta vecchio, ma capace di traguardare le nuove sfide formative, capace di dialogo, di ricerca e di continua riflessione.
Insomma non si può pretendere di autovalutare senza avere chiara l’dea della scuola che si vuole. Certo questa non è la scuola che serve al paese e ai nostri giovani. Prima del Rav è meglio “rav-vedersi” e ragionare a fondo sulla scuola di cui hanno bisogno le nostre bambine e i nostri bambini, le nostre ragazze e i nostri ragazzi.Soprattutto abbiamo bisogno di cambiare i nostri occhiali, perché diversamente continueremo a non vedere, ed ogni autovalutazione sarà un’autoillusione contro il perdurare della nostra cecità. Investire risorse per la riqualificazione del personale docente e non docente. Solo allora sarà possibile avviare le indispensabili pratiche di valutazione e di bilancio sociale del nostro sistema scolastico, con degli occhi capaci di guardare al nuovo, anziché ripiegati sul vecchio a cui sono assuefatti, per cui difficilmente in grado di osservare da una prospettiva altra ciò che tutti i giorni sembra normale.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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