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Undici giugno 1984: muore Enrico Berlinguer. Dopo trent’anni, il tempo per un giudizio equanime sulla sua figura di politico e di statista non è ancora giunto. Questa rubrica non è certo il luogo per tentare un bilancio della sua leadership alla testa del più grande partito comunista dell’occidente democratico. Una cosa è certa: non va raccolto l’invito di Miriam Mafai che chiedeva di “Dimenticare Berlinguer”, come recitava il titolo di un suo infelice saggio.
In questa sede vorrei limitarmi a rilevare una drammatica conferma in occasione di questo anniversario. Negli ultimi anni della sua segreteria Berlinguer si caratterizzò per l’allarme che lanciò sui rischi di degrado morale che correvano la politica e il paese. Do per conosciuti gli elementi fondamentali della sua diagnosi. Ne cito solo i titoli: i partiti sono diventati macchine di potere e di clientela; la corruzione si combatte con pene severe e con la riforma delle istituzioni e della pubblica amministrazione; gli italiani onesti di tutti i partiti devono reagire e cacciare i corrotti dalla vita pubblica. Meno nota è la previsione fatta pochi mesi prima di morire: “Affrontare la questione morale è una condizione ineliminabile per poter proporre e fare accettare una politica severa di riforme e di risanamento finanziario. Ciò significa correttezza e onestà dal vertice alla base di tutta la vita pubblica. Come ha detto Norberto Bobbio, la prima riforma istituzionale consiste nel non rubare. Questo è lo stato di cose da cambiare per evitare una rivolta che sta maturando contro tutti i partiti”. Per i successivi decenni quella profezia fu ignorata e questo fu l’errore capitale commesso da chi si propose come erede innovatore di quella storia. Nessuna sorpresa se oggi dobbiamo fare i conti con Grillo e Casaleggio!
La denuncia di Berlinguer fu contestata fin dall’inizio. E’ doveroso ricordare che il segretario del Pci fu lasciato solo in questa difficile battaglia politica. Tranne Ugo La Malfa, tutti i partiti di quel momento lo snobbarono, e anche dentro il suo partito fu isolato e marchiato con il titolo di moralista. Cosa è accaduto da allora? La risposta è quotidianamente sotto gli occhi di tutti. La corruzione è diventata un sistema che impedisce di realizzare onestamente grandi opere pubbliche. Ecco l’elenco sommario degli scandali degli ultimi anni: mondiali di nuoto, G8 alla Maddalena, terremoto dell’Aquila, Expo 2015, Mose.
Che fare? Non esiste una misura in grado da sola di aggredire un fenomeno sistemico. Bisogna muoversi, contemporaneamente, su molti piani. Innanzitutto abolire tutte le leggi ‘ad personam’ e regolamentare la prescrizione in modo che non sia più usata per evitare le sentenze. Approvare nuove leggi che consentano controlli e pene adeguate da scontare in carcere. A questo riguardo basta un dato per segnalare lo scandalo dell’impunità di cui continuano a godere i corrotti: oggi, in tutto il Paese, i condannati per corruzione che si trovano in carcere sono meno di dieci. In Italia i colletti bianchi sono lo 0,4 per cento dei detenuti, a fronte di una media europea dieci volte superiore, anche se vantiamo il triste primato di essere uno dei paesi più corrotti del mondo. L’altro dato strutturale che ha contribuito a saldare nel malaffare pezzi di pubblica amministrazione-imprese-politici è l’ordinaria emergenza a cui si fa appello fin dagli anni ottanta per fare tutto in deroga, al di fuori di regole e trasparenza. Da questo sistema è nata una perenne mangiatoia di Stato. Insieme a queste misure vanno approvate le indispensabili riforme per rendere trasparente ed efficiente la gestione del denaro pubblico e il funzionamento dei controlli: riformare la Pubblica Amministrazione; rafforzare, aumentando organici e mezzi, le istituzioni e i corpi dello Stato addetti al controllo di legalità: magistratura, guardia di Finanza, carabinieri. Infine, è prioritaria la costruzione della cornice dentro cui collocare questa guerra quotidiana: la riforma della politica e dei partiti. Nella impostazione di Berlinguer questo elemento era centrale. Nella sua visione tutto si tiene: giustizia sociale, riforma morale e culturale, rinnovamento della politica e delle istituzioni. Bisogna investire sulla diffusione di una cultura della cittadinanza democratica fin dalle scuole per creare il deterrente più efficace contro la corruzione: la condanna e la sanzione sociale dei cittadini verso chi ruba il denaro pubblico. Il corrotto deve essere circondato dalla riprovazione generale della società senza distinzione tra destra e sinistra. Diventeremo un paese normale quando non accadrà più che un condannato per corruzione (l’on. Raffaele Fitto di Forza Italia) sia il secondo più votato in Italia, come è accaduto nelle recenti elezioni europee. Oppure che un capo di partito condannato in via definitiva per frode fiscale e in attesa di altri processi per reati infamanti, sia ricevuto al Quirinale o scelto come interlocutore per cambiare la Costituzione. E’ con questa speranza che ricordiamo e onoriamo la memoria di Enrico Berlinguer. Fu un politico capace e onesto, verso la cui integrità morale proviamo una legittima e sana nostalgia.

Fiorenzo Baratelli è direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara

Il brano intonato: Dolce Enrico di Antonello Venditti

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Fiorenzo Baratelli

È direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara. Passioni: filosofia, letteratura, storia e… la ‘bella politica’!

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

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Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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