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Parafrasando uno dei libri più felici di Wilhelm Reich, “Bambini del futuro”, analizziamo uno dei cardini dell’invenzione futurista: l’invenzione o il tempo del futuro (anche con lo scienziato François Jacob, “I giochi del possibile”). Vale a dire la speranza in Reich, specificatamente biologica ed erotica – diversamente dal Fromm più spirituale (o il Marcuse più politico) – di un avvenire felice, parallelo all’utopia futurista possibile. Cosicché da questo albero si diramano rami interdipendenti: futuro, nuova educazione, sintesi più olistica tra vita e macchina, biologia e tecnologia, eresia e disillusione rispetto ai modelli tradizionali e neotradizionali, che inquinano sessualità, libertà e futuro.
Dove Jung anticipa il Futuro attraverso il Puer divino e divinatorio – reinventando geneticamente il Mito – Reich è veggente di scienza in una scommessa squisitamente moderna, quella del corpo, quasi il corpo di Cristo sottratto alla Vergine e sedotto da Maria Maddalena.
Così, il futurismo e-o futuribile non esplora più la Natura casta, ma la Natura tecnologica più spregiudicata: quando l’ecologia è specchio o paradosso della tecnologia e viceversa, nei riflessi ‘biocosmici’ di Reich e quelli ‘elettrici’ di Marinetti, giocare e scegliere la Natura nella sua casualità o evoluzione. E come progettare il progetto, se non anche dai giochi d’infanzia, nel “Novum Bambino” dei futuri umani?
Ovvero dalla velocità irresistibile della pulsione sessuale e quella tecnologica, nel sogno e la musa dell’infanzia d’oggi, mentre il mondo macchina – computer – e la città futura aspettano bambine-donne e uomini-bambini, non solo fate e principi azzurri naturali, ma pure demoni e streghe artificiali.
Come le Amazzoni e gli Uomini Nuovi futuristi, oppure Marinetti e Reich per la società, l’arte, l’amore e i figli del futuro!

*(2016) La sensualizzazione del mondo, il valore stesso dell’Eros come conoscenza (dal carteggio stesso straordinario tra Freud e Lou von Salomé), l’amore dell’uomo – letteralmente sensoriale proposto da Marx e Gramsci, fino alle utopie di liberazione sia sessuale sia sociale dei decenni scorsi, hanno sì generato la famosa rivoluzione sessuale e dionisiaca, ma per varie motivazioni profonde, gli esiti sono oggi regressivi e implosivi. La sintesi stessa Natura-Techno, appare congelata in una contrapposizione scientificamente semi-patologica, foraggiata dal predominio di un ambientalismo più ideologico e moralistico che oggettivante. Il ritorno di certo umanismo superficiale e mistificatorio, turbo-borghese, mischiato con dinamiche omologatrici e non nella danza delle differenze creative, la questione femministica e misogina, quella interetnica acritica nella contaminazione con paleovalori neomedievali se non tribalistici, quella genderistica promossa non come variabili possibili, ma come strutturali e biopolitiche, il baco stesso dell’Aids non ancora debellato, segnalano un trend di mercificazione del piacere, di illusioni neoluddiste e alienazioni intrapsichiche e di ruoli, con gravi effetti collaterali nella psicologia quotidiana diffusa, sull’educazione, sul linguaggio, sul senso del domani defuturizzato, sul Sé personale, sull’Identità comunitaria e collettiva. La rimozione paradossale delle pulsioni e del cosiddetto Male di memoria nietzchiana, freudiana e lorenziana, solo apparentemente liberate senza confini, testimoniano la fine delle alter native rivoluzionarie e progressistiche, il trionfo dell’Io minimo e reificato cattocomunista o cattofascista o neoanimistico/fondamentalistico. In nome della diversità stessa assolutizzata e perversamente idealizzata, direbbe Foucault, il controllo sociale, come prevedeva la distopia di Orwell in 1984 attraverso la Parola politicamente e culturalmente corretta, innesta l’autoalienazione psicosociale. “Più normali della normalità”! Nonostante il trionfo delle scienze di punta, dall’informatica alla robotica, dalla genetica alle neuroscienze e, per la prima volta nella storia, la sovrabbondanza tecnologica per l’abolizione relativa, ma concretissima, del lavoro e del regno della Necessità, è evaporato il Regno della Libertà possibile. L’uomo opera d’arte vivente è allo stato attuale, solo un ologramma. Lo shock del futuro è generalmente letto alla rovescia, il futuro è venuto alla luce, ma assomiglia non a un nuovo rinascimento, ma a un nuovo medioevo pieno di X anche inquietanti. I figli del futuro, leggi, dopo la rivoluzione e mutazione forse persino antropologica postInternet, i famosi Nativi Digitali, spesso creativi nel ciberspazio, sembrano, nella fondamentale poi pragmatica off line, quotidiana e politico-sociale, praticamente in Animazione Sospesa. Venuti al mondo in scenari dove mappa e territorio non sono più dinamicamente differenziati, sono facile preda dei residui e le zavorre di un Novecento ideologico mai terminato. I più recenti scenari desideranti e futuribili, leggi città e pianeta della conoscenza, non decollano dalla comunità scientifica o da nicchie culturali al mondo Reale e delle non eludibili, in democrazia, macchine politiche. Fiorirà, prima o poi, la nuova Era del… Ghepardo?

da R. Guerra, “Gramsci 2017”, Armando editore, Roma, 2014 (prima edizione “Gramsci e il 2000”, La Carmelina, Ferrara, 2013)
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Roby Guerra


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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