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Viaggi a tema, esotici, leggeri o di contenuto impegnato vengono offerti oggi nelle più curiose combinazioni. Le mete, anche le più stravaganti, a corto, medio o lungo raggio sono alla portata di ogni viaggiatore. Internet consente la virtualità in ogni angolo del pianeta: poche domande al touch screen di uno smartphone o di un i-pad e le molte risposte negano spesso l’effetto della scoperta, caro ai viaggiatori di qualche tempo fa. Nulla ci è negato, tutto è condiviso e via si parte.
Ma ancora un luogo c’è dove pochi, pochissimi, possono entrare, perlustrare, indagare, navigare, dove la cibernetica è bandita e ciascuno di noi raccoglie, accumula e protegge il proprio sentire, e dove l’ingresso è riservato a selezionati visitatori, gli altri rimangono fuori: è il nostro mondo interiore.
Qui lo spazio è infinito e senza confini, qui ciascuno di noi costruisce le proprie motivazioni, vive le proprie trepidazioni ed emozioni, matura la fede, le proprie sfide spesso accantonate, ma che di tanto in tanto abbiamo necessità di riscoprire, di riportare alla luce, di ripulire dal velo di polvere della quotidianità, di rivalutare potendo rimanere soli con i propri pensieri.
Riconquistare il proprio spazio, spesso trascurato, attraverso un pellegrinaggio avrebbe potuto rappresentare una risposta soddisfacente al bisogno di ritrovarsi con se stessi: ho seguito l’istinto e grazie anche a qualche prezioso consiglio ho intrapreso il ‘Camino de Santiago’.
Con i miei tre compagni di viaggio, mi sono messo in marcia in un continuo saliscendi fra boschi, camminando per un impegnativo tratto di circa 130 chilometri: una prima frazione del percorso più popolare di 870 chilometri, che prende avvio dai Pirenei di Roncisvalle, che da Sarria attraverso la verde (e di sapore celtico) Galizia porta al sagrato della Basilica di Santiago di Compostela nell’estremo nord-ovest della penisola iberica, a pochi chilometri dall’Oceano Atlantico.
La tradizione vuole che Giacomo Maggiore, evangelizzatore della Spagna nei primi anni del primo secolo d.C., dalla Galizia tornasse in Palestina, dove fu decapitato. In seguito, secoli dopo, furono riportati i resti in barca da fedeli discepoli per una degna sepoltura nella stessa Galizia. Oltre otto secoli dopo la tomba venne ritrovata e riconosciuta: da allora il Camino attrae e affascina milioni di pellegrini, uomini, donne, bambini, anziani, giovani, meno giovani e giovanissimi attratti dal mistero religioso e dall’avventura, perché è davvero un’avventura globale questa, che lascia una traccia profonda e indelebile in ogni pellegrino.
Zaino leggero e calzature adeguate sono il complemento essenziale al passo tenuto al giusto ritmo. Intanto la riflessione interiore prende il sopravvento nel silenzio del percorso sterrato, interrotto solamente da qualche vociare di gruppi di camminatori da Roncisvalle che salutano con il “Buen Camino” e che ti superano almeno momentaneamente. Il percorso è segnalato alla perfezione, qualche ruscello da guadare in perfetta sicurezza e intanto inizia a piovere, ma la smisurata curiosità che si affolla nella mente sul come affrontare le tappe successive per arrivare alla méta lenisce ogni minimo disagio.
Il Camino non è solamente religiosità, non chiede l’obbligo della fede ai pellegrini, la rende possibile, non costringe a motivazioni mistiche o a chissà quali penitenze per i peccatori anche i più incalliti. Credenti e non credenti, in cammino insieme sono uniti da una ferma volontà nel portare a termine il percorso quotidiano alla stregua dei pellegrini medievali dei secoli passati, e li induce ad assumere una quota accettabile di piacere del rischio sui propri limiti (di non farcela).
Fra ostelli, piccoli ristori e il pensiero ai piedi che spesso tradiscono, e dopo aver superato valli fra altissimi alberi, finalmente spiccano le guglie della Cattedrale di Santiago.
L’arrivo sul sagrato al tramonto, il passaggio attraverso l’agognato e secolare portale lasciano spazio alle forti emozioni. La stanchezza sembra scomparsa d’incanto mentre iI rituale dell’accoglienza si completa con lo spettacolare pendolare nella Cattedrale del Botafumeiro, il gigantesco incensiere in argento sollevato da dieci persone e che nei secoli passati serviva a ricoprire gli odori non sempre gradevoli dei Pellegrini con l’inconfondibile e forte odore dell’incenso.
Cammina, cammina siamo arrivati alla méta (credenziale compresa) pur assaliti spesso dal dubbio.
Il pellegrinaggio come metafora della vita? Forse, il raggiungimento…
Ma come altri, compresi i miei tre meravigliosi compagni di viaggio, nella sfilacciata processione verso la tomba di Santiago ho avuto il tempo necessario per confrontarmi con i miei pensieri e questo, al momento, mi è sufficiente.

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Marco Bonora

Nato sul confine fra le province di Bologna e Ferrara, dove ancora vive e risiede . Si occupa di marketing e di progettazione nel settore Architettura per una industria vetraria, lavora in una multinazionale euroamericana. E’ laureato in Tecnologie dei beni culturali e in Scienze e tecnologie della comunicazione presso l`Università di Ferrara. Scrive articoli su riviste del settore e ha pubblicato due volumi tematici sul vetro contemporaneo innovativo e sul vetro artistico delle vetrate istoriate del `900 presenti nelle chiese del nostro territorio. Grande passione da sempre per i viaggi a corto e lungo raggio e il mare.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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