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L’Isis è una tentazione del tutto simile a quella sposata dai regimi totalitari consumati in Europa nel secolo scorso. Il desiderio di impadronirsi di una nazione dietro l’altra, di accrescere il proprio potere con un dominio intransigente e assassino, è il comune denominatore di nazismo, stalinismo e oggi del califfato. In pochi mesi di vita il disegno espansionistico dell’autoproclamato Stato Islamico appare chiaro. La campagna mediatica del terrore esercitata in rete, coglie il nostro Paese impreparato, ma soprattutto privo di memoria, come ha sostenuto l’esperto di storia militare Andrea Rossi, nel ricordare che l’Italia, ma non solo, conosce i prezzi pagati al terrorismo in tempi neppure troppo lontani. Si evince la necessità di uscire dalla paralisi emotiva e di soffocare la paura ispirandosi alle lezioni della storia. Quanto sta accadendo in Europa e nel nostro Paese, ha spiegato lo storico nel corso dell’incontro “IsIslam?” organizzato da Ferraraitalia e ospitato dalla biblioteca Ariostea, si ripercuote in primo luogo sulle comunità islamiche e i giovani musulmani nati in occidente. Il susseguirsi di attentati e lutti li costringe tra due fuochi: chi respinge in toto il disegno di Isis patisce la diffidenza e in molti casi la discriminazione delle nostre società, chi invece si lascia travolgere dal richiamo di un Islam oscurantista, abbraccia il fascino della distruzione senza neppure rendersi conto di quanto poco la religione incida sulla Jihad. Acculturati di una cultura fragile o isolati nelle periferie più degradate, i foreign fighters, si innamorano della guerra e sono ispirati dal desiderio di azzerare la storia per farla ripartire a proprio favore. E’ questa la miscela esplosiva che alimenta l’Is, l’organizzazione terrorista a cui aderisce un esercito di 5-7 mila (stima per difetto) combattenti volontari provenienti da almeno 51 differenti Paesi, inclusi quelli europei che hanno abboccato alla propaganda. I foreign fighters hanno abbracciato la guerra santa che è, secondo Rossi, soprattutto un conflitto fratricida, un regolamento di conti tra musulmani prima ancora di essere una guerra agli infedeli d’occidente.

L’attentato alle due torri di New York dell’11 settembre 2001 aveva consegnato al mondo l’immagine di un terrorismo rozzo. Bin Laden ripreso con il kalashnikov appoggiato su una roccia all’ingresso di una caverna, non aveva né l’ appeal né la credibilità di Is, in grado di utilizzare la rete come un efficace strumento di propaganda per reclutare gli estremisti. Eppure ha cambiato il mondo. Hassan Samid, presidente dell’Associazione giovani musulmani di Ferrara e Zineb Naini, giornalista di Mier Magazine e specializzanda in politiche antiterroristiche, hanno ricordato i momenti complessi vissuti dopo l’11 settembre. A quell’epoca le comunità islamiche, ha raccontato Samid, si trovarono in grande difficoltà, a cominciare da quella linguistica, molti non padroneggiavano la lingua, ma il tempo e gli eventi hanno mutato le cose. Oggi si cerca il dialogo. Si spiega che l’Islam non è Isis, che il Corano non significa violenza né sangue, tutto dipende dall’interpretazione che se ne dà: il sacro testo parla del popolo dell’Islam come del popolo “di mezzo”, favorevole all’equilibrio e contro ogni tipo di discriminazione.

La versione che rimbalza dai tweet è come noto ben altra cosa, da condannare certo, ma da analizzare con lenti diverse da quelle usate dalla nostra informazione, che secondo Zineb Naini appare piuttosto provinciale e sommaria nei titoli quanto nei contenuti. L’industria dell’informazione italiana sembra aver smarrito il senso della storia e la capacità di approfondire l’attualità muovendosi tra un’epoca e l’altra. Per comprendere la portata del fenomeno è sufficiente occhieggiare la stampa estera, inclusa quella araba che non manca di ironizzare sui proclami dell’organizzazione terroristica nata da una costola di Al Qaeda. Il califfo Al Baghdadi, a differenza di Bin Laden, nel momento della costituzione dello Stato Islamico ha assunto un ruolo politico che il leader di Al Qaeda non ha mai avuto; ha invitato i fratelli musulmani a ribellarsi ai governi delle differenti nazioni per annetterle al califfato, un progetto prematuro per l’organizzazione di Bin Laden, abituata a muoversi secondo i canoni classici del terrorismo, cellule clandestine, addestrate e pronte a colpire. Il califfo invece dispone di un esercito vero e proprio e di uno stato in progress.

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Monica Forti


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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