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Ma la Sinistra non dovrebbe fare gli interessi dei più deboli, o sbaglio? La Sinistra non dovrebbe diffondere i diritti a tutti quanti, o sbaglio? La Sinistra non dovrebbe limitare i privilegi ai potenti, o sbaglio?
Adesso meglio smetterla con queste domande, sennò qualcuno di Sinistra potrebbe tacciarmi di populismo!
Così mi guardo attorno in cerca della Sinistra, ma vedo strane facce…
Vedo figli di imprenditori e membri di Consigli d’Amministrazione di note banche; faccendieri politici che hanno collezionato quasi tutte le tessere di partito; poi, i nostri cari intellettuali di Sinistra, da sempre intellettualmente lontani anni luce dalle necessità reali della gente. E tutti a riempirsi la bocca con la consueta frase di presentazione che anticipa le varie argomentazioni rigorosamente in politichese: “Noi gente di Sinistra…”
Ecco, il linguaggio è il vero segreto di questa Sinistra!
Certo, dall’avvento della Seconda Repubblica in poi, il linguaggio si è evoluto. La comunicazione politica è diventata via via più comprensibile al volgo…
Ma attenzione gente, trattasi solo di consolidata strategia di marketing, di fascinazione pre-elettorale: il politichese resta sempre politichese!
Dopo le elezioni, statene certi, tale linguaggio torna ad essere assolutamente incomprensibile ai più. Abbastanza astruso, se non astratto del tutto.
Del resto, fin dalle origini il linguaggio politico non nasce forse ad uso e consumo esclusivo degli addetti ai lavori? Si tratta di un linguaggio non soltanto tecnico, esso va ben oltre l’intento elitario dei dotti, cioè quello di elevarsi a un grado superiore per affermare il proprio status. Il politichese è criptico, la sua funzione primaria è quella di non farsi comprendere, ovvero di non dir nulla o di dire tutto e il contrario di tutto. La caratteristica peculiare di tale linguaggio è la sistematica costruzione di dichiarazioni e affermazioni capaci di resistere alle confutazioni più inattaccabili. Per fare ciò il politichese si serve di un efficace sistema di fumose argomentazioni costruite apposta per confondere non tanto l’avversario di turno, anch’egli avvezzo a tale metodo, ma l’ascoltatore esterno (il pubblico), in questo modo l’attenzione viene veicolata nella direzione voluta. In sintesi si tratta più di metodologia dialettica che di sostanza di contenuti. Ovviamente la cosa viene rimpallata a turno tra gli interlocutori politici, col risultato di mandare inevitabilmente in confusione la platea di chi ascolta.
La regola aurea è quella di provocare nell’animo dell’ascoltatore un profondo senso di sudditanza intellettuale, una sorta di distanza culturale capace di generare soggezione, ammirazione e, perché no, un inespresso senso di colpa e inadeguatezza. Della serie: “Io sono troppo ignorante per capirci qualcosa, ma per fortuna che ci sono loro. Loro sì che capiscono di che si tratta.”
Poi ci sono gli intellettuali, quelli veri e presunti tali, quelli che per definizione non possono stare che a Sinistra. La cosiddetta intellighenzia, coloro cioè in possesso degli strumenti critici volti a una più corretta lettura, a una più profonda comprensione della realtà, per poterne trarre poi le giuste conclusioni. Con tali premesse, le soluzioni pensate e proposte da costoro, anche se palesemente irrealizzabili, assumono quasi il valore di verità dogmatiche.
E il dramma di questa Sinistra autoreferenziale (in verità il vero dramma è tutto degli altri, ovvero di coloro che questa Sinistra ha tradito) è proprio questo: è talmente convinta di essere storicamente e intellettualmente nel giusto, che qualunque suo pensiero ha ormai assunto il valore di un dogma. Sono lontani i tempi in cui si dibatteva costantemente sulla bontà e la giustezza di certe idee, in cui la critica e il confronto interno elevavano la Sinistra ad un livello morale superiore alla Destra. Da quanto tempo, infatti, la Sinistra (figlia e figliastra di quei dibattiti) non si mette più in discussione? Forse che sia per tale ragione che può permettersi di smentire continuamente se stessa? Forse che sia stato il cambio di interlocutori a trasformarne gli ideali? L’ostinazione a definirsi Sinistra può bastare come salvacondotto nel sorprendente tragitto verso il più sfacciato neoliberismo che sta demolendo ogni residuo retaggio di portavoce storica dei diritti dei lavoratori?
In altre parole, questa Sinistra può ancora considerarsi tale?
La risposta è assolutamente e malinconicamente scontata: no!
La verità nuda e cruda è che, grazie alle nuove “armi di distrazione di massa” di cui dispone l’attuale politica, i front-men di partito, quelli con la faccia di bronzo e la parlantina sciolta, di fronte a stampa e televisioni (spesso compiacenti) possono dire tutto quello che vogliono per essere poi smentiti dai fatti, alla breve come alla lunga distanza. L’indignazione popolare dura giusto il tempo di una partita di calcio o dell’ennesima bufala in rete, oppure del prossimo attentato terroristico. In qualche modo, queste implacabili armi corrono puntualmente in aiuto dell’armata Brancaleone di Montecitorio, più intenta a dispensare i suoi servigi alla corte di Bruxelles che a mantenere le promesse date agli elettori (gli eterni sedotti e abbandonati, puntualmente trattati come tanti Fantozzi da ubriacare e sfruttare). E i Fantozzi e i Filini intanto comunicano tra loro, s’incazzano, imprecano, minacciano, si distraggono, si confortano a vicenda, paghi e orgogliosi dei loro sfoghi a distanza.
Ma la tragedia più tragica di tutte è che, alla fine, Sinistra e Destra tendono ad annullarsi a vicenda. A dissolversi in un’unica nebbia in cui la gente non sa più dove andare. E quando non si sa dove andare o si sta fermi o spesso si prende la direzione sbagliata, quella più facile… Ma in tempi in cui si cammina sul bordo del baratro, procedere alla cieca può essere fatale.
E allora che fanno i nostri esperti di comunicazione politica? Si servono della più efficace tra le armi di distrazione: la paura!
L’allarmismo, il terrorismo, il complottismo, il catastrofismo, il mondialismo e il neoliberismo sono i moderni “ismi” che muovono il pensiero collettivo e che hanno sostituito quelli vecchi, dal patriottismo ottocentesco all’ideologismo novecentesco e i suoi derivati. Se una volta la paura veniva contrastata dalla speranza, oggi viene rafforzata da disillusione e rassegnazione. In Occidente, oggi più che mai, controllare il pensiero della collettività equivale a immobilizzarlo, instillando in esso il baco del terrore di perdere ciò che si possiede. La regola è semplice: ti immobilizzo nell’incertezza per privarti della tua capacità di reazione.
È un gioco rischioso.
La Destra infiamma gli animi, stuzzica il malcontento più che strisciante, nell’intento di risvegliare una volontà popolare per lo più paralizzata, per farla strumento necessario alla riconquista di un consenso compromesso dalle brutture del proprio passato.
La Sinistra, invece, persegue il suo progetto “globalizzante”, lo fa scegliendosi i suoi nuovi partners, divisi tra i signori della nuova economia sovranazionale e il melting pot della prossima manovalanza a costo ridotto, ignorando le “richieste dal basso” per cui era nata.
Il pragmatismo è l’unico carattere originario che la Sinistra ha saputo mantenere intatto fino ai giorni nostri, questa volta però si tratta di applicarlo alla quadratura del cerchio che ruota attorno a dinamiche economico-finanziarie completamente avulse dai bisogni primari della gente. Ed è proprio a causa di ciò che questa sedicente Sinistra ha scelto e sceglie di ignorare bellamente il grido d’aiuto dei suoi vecchi innamorati, tuttora increduli di essere rimasti ormai soltanto degli orfani.
Alla fine, per strada, la sensazione è di abbandono. La classe politica di questa Sinistra, troppo intenta a ragionare sui massimi sistemi, ha perso sempre più contatto con la gente. Da D’Alema e Bertinotti in poi, la Sinistra non si è più confrontata in modo serio e partecipato con la sua base elettorale al fine di comprenderne i reali bisogni in continuo mutamento, ha preferito invece dibattere su schieramenti, alleanze e ghirigori dialettici, nonché autoincensarsi nei salotti e negli studi televisivi. In più, da quando è diventata espressione del potere, ha scoperto le regole del marketing, preferendole ai suoi vecchi precetti ispirati alla lotta di classe e alla difesa dei diritti dei lavoratori, per nulla attrattivi in verità.
Ora più che mai, questa rampante classe politica di Sinistra si erge a giudice, sentenziando con superbia e accusando, dai propri, confortevoli lofts “radical e cultural chic”, concorrenti e avversari di demagogia e populismo, dimenticando che anche la Sinistra originariamente nacque come espressione populista, e che accogliere e rivendicare le ragioni della gente semplice, magari non istruita, non è affatto una bestemmia, semmai un’opportunità.

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Carlo Tassi

Ferrarese classe 1964, disegna e scrive per dare un senso alla sua vita. Adora i fumetti, la musica prog e gli animali non necessariamente in quest’ordine. S’iscrive ad Architettura però non si laurea, si laurea invece in Lettere e diventa umanista suo malgrado. Non ama la politica perché detesta le bugie. Autore e vignettista freelance su Ferraraitalia, oggi collabora e si diverte come redattore nel quotidiano online Periscopio. Ha scritto il suo primo libro tardi, ma ha intenzione di scriverne altri. https://www.carlotassiautore.altervista.org/

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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