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È importante conoscere le linee guida dell’Unesco per la Rete Mondiale delle Learning Cities, le città che apprendono. Conoscerle per misurare la nostra distanza da una rinnovata visione dell’apprendimento e, in particolare, dall’avere realizzato l’istruzione permanente per tutti.
Forse nel nostro Paese nutriamo la presunzione di aver compiuto grandi passi avanti in materia di istruzione, è un’illusione che si può continuare a coltivare solo rimanendo ancorati a categorie già inadeguate nel secolo scorso e che oggi in tante parti del mondo si stanno rivedendo.
Basta scorrere le sei caratteristiche che per l’Unesco deve avere una learning city per comprendere dove è necessario impegnarsi per fare di una città, una città che apprende:

1. Promuovere l’apprendimento inclusivo, da quello di base agli studi universitari;
2. Rivitalizzare l’apprendimento nelle famiglie e nella comunità;
3. Facilitare l’apprendimento continuo e nei luoghi di lavoro;
4. Estendere l’uso delle moderne tecnologie per l’apprendimento;
5. Migliorare la qualità e l’eccellenza dell’apprendimento;
6. Coltivare la cultura dell’apprendimento per tutta la vita.

Nel nostro paese continua a prevalere una concezione dell’istruzione scolastico-centrica, quando tutto il sistema formativo avrebbe la necessità di essere rivisto nell’ottica dell’istruzione permanente. L’idea dominante di un’istruzione prevalentemente scolastica fa sì che essa sia segmentata per età, a discapito di un’idea del diritto all’istruzione che abbraccia l’intero arco della vita delle persone.
Da questo punto di vista la riforma del titolo V della Costituzione è rimasta un’opera incompiuta. È sufficiente riprendere l’articolo 117 per cui lo Stato ha legislazione esclusiva solo per le norme generali dell’istruzione, mentre esiste un vasto campo di materie, tra cui l’istruzione permanente, di legislazione concorrente fra Stato e Regioni che necessiterebbe d’essere governato. Chi si occupa dell’istruzione permanente? Non intesa come istruzione degli adulti, ma come istruzione per l’intero arco della vita, dalla pre-scuola all’università e oltre?
È evidente che gli strumenti normativi, prevalentemente concepiti negli anni Settanta del secolo scorso, oggi sono del tutto inadeguati e che il sistema formativo nel suo complesso necessita di una nuova stagione legislativa, non nell’ottica della sola riforma della scuola e dell’università, ma di un ripensamento radicale dell’istruzione per tutti e a ogni età.
Quando neppure sappiamo il futuro che vogliamo, tutto diventa più difficile. Eppure, in materia di istruzione i documenti non mancano, sono quelli a cui fa riferimento l’Unesco, le Dichiarazioni di Città del Messico e di Pechino, l’Agenda per lo sviluppo dopo il 2015, ma nel nostro paese non girano, non se ne parla, bisogna tradurli dal sito dell’Unesco della rete mondiale delle learning cities.
L’apprendimento permanente per tutti è il futuro della nostra società, sia per il potenziamento e la crescita individuale delle persone, che per la coesione sociale, lo sviluppo economico e la crescita culturale. Ma non sembra essere nell’agenda del governo, come non è nell’agenda della maggior parte delle nostra città, non si vede l’impegno politico, né la mobilitazione delle risorse, né il coinvolgimento di tutti i soggetti e attori interessati.

Learning city

Quarantadue sono gli indicatori individuati dall’Unesco per verificare se una città è impegnata a sviluppare una politica per convertirsi in una learning city, una città che apprende. Sono indicatori che valgono per le città, come per il paese e le regioni. Sono indicatori impegnativi per il governo della città, perché si prevedono per ognuno gli strumenti per una valutazione costante e sistematica e le modalità di misurazione. Il problema delle nostre città, nonostante si facciano promotrici di molteplici iniziative, che siano città d’arte e di cultura, è che nessuna di loro dichiara la volontà politica di essere una città che apprende, una learning city. Perché è più facile fare spettacolo, portare turismo con gli eventi e le mostre, che mettere in campo giorno dopo giorno una non facile politica dalla parte dei cittadini, della loro crescita nel sapere, per uno sviluppo sostenibile e per una consapevole e responsabile partecipazione di tutti.
È giunto il momento di pretendere dalle Amministrazioni delle nostre città che aderiscano alla Rete mondiale dell’Unesco delle Città che Apprendono, delle Learning Cities, mettendo in capo alla loro agenda politica gli impegni che questo comporta.

Indicatori Unesco per le learning cities

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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