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L’Italia, per il 2017, si piazza all’ottavo posto nella classifica dei maggiori esportatori di armi. A dircelo è il Rapporto 2017 del Sipri, un istituto internazionale indipendente impegnato in ricerche su conflitto, armamenti, loro controllo e disarmo.
Un’eccellenza che condivide con altri Paesi europei come nell’ordine: Francia (quarto posto), Germania (quinto), Regno Unito (sesto) e Spagna (settimo posto). Paesi con i quali si era visto attribuire nel 2012 il premio Nobel per Pace per aver “contribuito a trasformare la maggior parte dell’Europa da un continente di guerra in un continente di pace” ma, dopo aver dato un’occhiata a questo Report, sembra che contemporaneamente si sia impegnata per trasformare il resto del mondo in un campo di battaglia.
In effetti l’Europa ha ampiamente condiviso tutte le avventure americane in giro per il mondo, dall’Iraq alla Siria, dall’Afghanistan alla Libia. Gli interventi in Mali e il sostegno agli sforzi Turchi nel bombardare i curdi a cui abbiamo anche dato soldi per tenere lontano dai nostri confini i migranti. Quindi oltre che fornire il materiale necessario alla guerra ne ha anche permesso l’utilizzo e il consumo.
Al primo posto della classifica degli esportatori gli Stati Uniti, seguono Russia e Cina.

L’Italia ha esportato in armi 8 miliardi di euro nel 2015, 14,6 miliardi nel 2016 e 10 miliardi nel 2017. Un bene per la nostra bilancia commerciale e per la nostra sopravvivenza in un sistema di sviluppo basato sulla competizione. Un problema per tanti altri che delle nostre armi muoiono e soffrono e, magari, proprio da queste vengono spinti alle nostre frontiere.
Il 57% del valore delle commesse italiane del 2017 vanno in Paesi non Nato e non Ue e di queste circa il 48% in Medio Oriente e Nord Africa. C’è la Turchia e c’è l’Arabia Saudita, il Kuwait e gli Emirati Arabi che bombardano lo Yemen a cui però è vietato vendere armi. Nel 2016 si registrano ben 49 conflitti armati attivi di cui più di un terzo (38%) sono conflitti intra-statali che sono stati internazionalizzati grazie all’intervento di truppe straniere, come per esempio quelli in Medio Oriente che vedono l’oramai annoso impegno dei Paesi occidentali. La guerra in Siria ha causato lo spostamento di metà della popolazione totale – oltre 4,8 milioni di persone come rifugiati internazionali e più di 6,3 milioni come sfollati (Internally Displaced Persons, Idp) – e la morte di oltre 400.000 persone. Dati davvero impressionanti. L’importazione di armi in Medio Oriente è aumentata dell’86% tra i periodi 2007-11 e 2012-16 e a fine paragrafo troviamo scritto: “L’importazione di armi nella regione ha probabilmente contribuito all’instabilità, ai conflitti violenti e alle violazioni dei diritti umani”. Il Report dice probabilmente, noi ne siamo sicuri! Del resto se le armi si vendono, prima o poi qualcuno le usa. Nel periodo 2012-16, il 29% del volume totale delle importazioni di armi a livello globale era destinato al Medio Oriente e durante lo stesso periodo Usa e Europa occidentale continuano a essere i maggiori esportatori di armi in quell’area, quindi si conferma l’impressione di rifornirli del necessario per potergli poi fare la guerra.

La spesa militare mondiale del 2016 è stimata a 1.676 miliardi di dollari, equivalente al 2,2% del pil mondiale o a 227 dollari per persona. La spesa totale in termini reali è superiore dello 0,4% rispetto al 2015. Gli Usa sono quelli che hanno speso di più in armi, ben 611 miliardi (un terzo del pil dell’Italia) e in aumento rispetto agli anni precedenti. Le stime del National Defense Budget prevedono una crescita, seppur lieve, anche per gli anni successivi.
I cinque maggiori fornitori di sistemi d’arma nel periodo 2012-16 sono stati Usa, Russia, Cina, Francia e Germania – e rappresentano il 74% del volume totale delle esportazioni. Stati Uniti e Russia (o Urss, prima del 1992) sono i maggiori fornitori di armi dal 1950. Questi, insieme ai paesi dell’Europa occidentale, hanno storicamente dominato la classifica dei primi dieci fornitori e non si registrano segnali di cambiamento nel prossimo futuro, con l’aggiunta però della Cina come competitor negli ultimi anni.
Ai primi tre posti dei Paesi importatori di armi ci sono India, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti.

Sul fronte nucleare: all’inizio del 2017, nove stati – Usa, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Repubblica Popolare Democratica di Corea (Corea del Nord) – si trovavano in possesso di approssimativamente 14.935 armi nucleari, di cui 4.150 operative. Di queste, circa 1.800 sono tenute in stato di elevata prontezza. Usa e Russia rappresentano il 92% delle armi nucleari al mondo e, purtroppo, il Sipri rendiconta che la possibilità che le due parti riescano ad accordarsi su tagli decisivi delle proprie forze nucleari sembra sempre più remota. Evidenzia, inoltre, che vi è scarsa informazione sull’argomento per cui i dati sono approssimativi e, inoltre, che Israele mantiene la sua politica di opacità relativamente al suo arsenale nucleare, mentre la Corea del Nord non fornisce alcuna informazione.

Contemporaneamente un altro Rapporto, l’ultimo di Save the Children ‘Le tante facce dell’esclusione’, ci informa che 153 milioni di minori vivono in Paesi dilaniati da conflitti e povertà e almeno 1,2 miliardi rischia di morire prima dei cinque anni. Trai Paesi più a misura di bambino l’Italia si posiziona all’ottavo posto a pari merito con la Corea del Sud, sebbene nel nostro Paese quasi 1 milione e trecentomila bambini e ragazzi vivono in condizioni di povertà assoluta, forse troppi per gioire di questa posizione. Stati Uniti, Russia e Cina (rispettivamente al 36esimo, 37esimo e 40esimo posto), infine, si trovano dietro la maggior parte dei Paesi dell’Europa occidentale e, solo casualmente, in questo si ritrovano a essere speculari rispetto alla classifica dei Paesi maggiori esportatori di armi.

Un mondo sicuramente pericoloso il nostro, pieno di insidie e contraddizioni, dove si pretende di costruire la pace producendo armi e mantenendo in vita ordigni nucleari. Dove convivono bambini il cui problema è l’eccesso di grasso animale nella dieta e bambini che non riescono a raggiungere i cinque anni di vita. Un mondo dove si forniscono armi e mezzi di distruzione a Paesi che poi si va a combattere sventolando la bandiera della pace.

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Claudio Pisapia

Dipendente del Ministero Difesa e appassionato di macroeconomia e geopolitica, ha scritto due libri: “Pensieri Sparsi. L’economia dell’essere umano” e “L’altra faccia della moneta. Il debito che non fa paura”. Storico collaboratore del Gruppo Economia di Ferrara (www.gecofe.it) con il quale ha contribuito ad organizzare numerosi incontri con i cittadini sotto forma di conversazioni civili, spettacoli e mostre, si impegna nello studio e nella divulgazione di un’informazione libera dai vincoli del pregiudizio. Cura il blog personale www.claudiopisapia.info

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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