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di Eleonora Rossi

Lo scrittore Dario De Serri qualche anno fa si è trasferito in Germania: lì è nato il suo primo libro, “Come le nuvole sopra Berlino” .

copertina2014
A Berlino, “dove i sogni sono ricordi e i ricordi ritornano sempre sogni”.
Berlino, città letteraria, cinematografica, onirica: luogo sospeso tra realtà e immaginario.
Crocevia culturale, fonte d’ispirazione, ma anche capitale che cambia continuamente volto, come i suoi abitanti.
A Berlino c’è anche un po’ di Ferrara: Dario De Serri, operatore culturale e scrittore, da diversi anni vive là, in quella che considera la sua “seconda patria”.
Dario ha insegnato lingua italiana in alcuni istituti, ha collaborato come “kultural manager” per la galleria d’arte “Kunstleben Berlin” (www.deserri.net).
E la metropoli degli angeli è entrata perfino nel suo libro, “Come le nuvole sopra Berlino” (PuntoACapo, 2014).

Quando hai deciso di trasferirti a Berlino?
Ho iniziato a pensare di andare all’estero per un periodo nel 2007. All’epoca lavoravo da esterno al Museo Civico di Comacchio, dopo diversi anni in urbanistica a Ferrara. Sapevo di non avere alcuna speranza di entrare tramite concorso, né a Comacchio, né a Ferrara. Sono pochi anni in realtà, ed è incredibile, ma la mia era ancora l’Italia del precariato e dei Co.co.co, non quella della disoccupazione. Avevo alcuni amici tedeschi che mi consigliarono la loro capitale.

Che cosa ti ha spinto a fare questa scelta?
Io sono partito con l’idea di fare solo qualche anno all’estero in realtà, per imparare una nuova lingua. Magari fare un’esperienza in un museo di livello internazionale. Berlino e il mondo in cui viviamo oggi hanno fatto il resto. Non è più tempo di grandi movimenti. Le seggiole non sono sufficienti per tutti. Se ci si siede, è meglio restare seduti.
E comunque, se davvero l’Europa ritornasse quella delle nazioni, non è difficile che si debba ripensare di tornare ognuno a casa propria. Anche se per me, come per tanti, l’Europa è casa.

Che cosa hai trovato?
Berlino ti fa pensare di poter davvero essere te stesso senza mediazione e senza commedia. Non è completamente vero, naturalmente. Ma almeno ci prova e funziona. Non credo resterà una città di sognatori per molto. In otto anni è cambiata tantissimo. La Germania si sta radicalizzando almeno quanto il resto del mondo. I grandi investitori vogliono il lusso, e poco si può fare per fermarli.

Che cosa invece non ha corrisposto alle tue aspettative?
Sapevo essere un luogo difficile. Come tutti i luoghi creativi. Si è in continuo contatto con artisti, scrittori e idee. Tutti vi vogliono vivere, ma è la città con il tasso di disoccupazione più alto in Germania. Chi viene a cercare lavoro qui, è un pazzo. Io sono venuto per occuparmi di cultura. Altra pazzia, ma per motivi diversi. Se si sogna, questo è il posto. E si rischia. Se si cerca lavoro e famiglia decisamente no. Meglio Amburgo, Monaco, Stoccarda o Brema, i costi sono più alti, ma anche gli stipendi. Chi ha qualche ambizione artistica o lavora nella cultura, accetta di fare attività, che permettano di vivere e dedicarsi al contempo alla propria passione.

Quando hai incominciato a dedicarti alla scrittura?
Tardi. Lo sport, in particolare la pallavolo, sono stati la mia vita fino a trent’anni. Adesso a Ferrara si è tutto ridimensionato, ma io mi sono divertito da pazzi, proprio perché negli anni in cui ho giocato la 4Torri ha portato spettacolo e campionissimi. Poi si è lentamente chiuso un cerchio. Scrivo da sempre, ma pensando di farne la mia vita dal 2002.
Quando ho conosciuto Gianna Vancini e Roberto Pazzi.

Ti ha incoraggiato qualcuno o hai trovato una tua motivazione personale?
Nel 2002 mi sono sfidanzato, lo sport ha smesso di essere il centro del mio mondo e ho smesso di fumare. Non avevo più niente da fare…

Sei corrispondente di due riviste culturali di Roma e Parigi, “Tafter Journal” e “Cafebabel”. Di che cosa ti occupi precisamente?
Scrivo articoli di cultura. Non pubblico regolarmente. Ma mi permettono di avere gli accrediti e di entrare ovunque mi interessi a Berlino. Lo facevo anche a Ferrara. Io preferisco scrivere di letteratura. Ma ho scritto articoli di arte, teatro, politica, storia. Se qualcosa mi interessa, ne scrivo.

Nel 2011 hai vinto il prestigioso premio Laurentum di poesia nella categoria “Italiani nel mondo”. Che cosa hai provato?
Emozione. Non me lo aspettavo. Pensavo di non andare nemmeno, poi mi hanno invitato e a Roma non si può dire di no. Presentava Michele Mirabella, a cui bisogna riconoscere anche il fascino dello scrittore. È stato bello sentire le proprie parole interpretate da attori.

Che cosa rappresenta per te la scrittura?
È sempre stata un passatempo, che io stesso non sapevo perché esistesse. Da ragazzino leggevo poco, ero uno sportivo e non vedevo niente altro. Divoravo fumetti e qualche buon libro. Melville, Dumas, Ende. Però scrivevo, orribilmente. All’università, a Bologna, ho studiato la storia e l’archeologia, lì tutto il mio mondo è cambiato.
Ora è il mio modo di comprendere la vita, ciò che accade. Non scrivo per il presente. Per lo più scrivo per chi mi leggerà tra 200 anni. Convinto che qualcuno lo farà.

Parliamo del tuo libro, “Come le nuvole sopra Berlino”. È un progetto che ti ha impegnato molto e si tratta di un libro particolare, innovativo. Puoi descrivercelo? Qual è la sua peculiarità?
Io l’ho chiamato “romanzo poetico”. Una studiosa dell’Università di Mannheim, la Prof. Steffi Neu, lo ha definito un “prosimetro moderno”. Per qualche motivo c’è grande resistenza, specie in Italia, a pensare libri in prosa e in versi. E se capisco i motivi dell’editoria, anche se non li approvo, non capisco invece gli scrittori. A me riesce di scrivere in entrambi i modi. Non vedo perché dovrei pormi il problema o dei limiti. Roberto Pazzi pensa ad esempio che siano mondi distanti e che quindi la lettura sia diversa, di conseguenza anche il lettore. Io la penso diversamente. La peculiarità di “Come le nuvole sopra Berlino” è che in un libro ne convivano tre: un romanzo epistolare, un romanzo di formazione e una raccolta di poesie. In realtà il “libro” non è nessuno di essi: è una novella con una parte di testo in versi. Il lettore in fondo non vuole che una storia che lo interessi e lo induca a riflettere, a immaginare.

Chi sono i protagonisti?
I protagonisti sono quattro amici, due coppie, che passano insieme una notte speciale, sfrenata ed erotica, in un loft berlinese. Albertine racconta ed è il cuore della narrazione, ma la vita cambierà profondamente per tutti e quattro. È il 21 di marzo, il compleanno dell’amica Serena. La loro amicizia ha un conflitto irrisolto, che i due compagni Fridolin della prima, ma soprattutto Plato, partner della seconda, aiuteranno a risolvere. La notte inizia quando Plato invita Albertine a leggere i passi di un libretto con la copertina rossa…

I personaggi ti assomigliano?
È il racconto ad assomigliarmi, non i personaggi. Di autobiografico non c’è quasi nulla, quasi.

Quanto tempo hai impiegato a scriverlo?
Molti anni. Alcuni versi sono di gioventù. Oltretutto vivo per scrivere, ma di scrittura non vivo. Se vi dedicassi tutto il tempo avrei impiegato un tempo più breve. Sono stati anni duri.
Andare all’estero non è mai scelta facile e ho dovuto lavorare molto e imparare una lingua ostica come il tedesco. La prosa tuttavia è nata tutta tra il 2008 e il 2012. Trovare un editore serio, che scommettesse sul libro è poi stato difficile, vista l’“originalità”. Ho rifiutato e ricevuto rifiuti. Poi Mauro Ferrari di PuntoACapo ci ha creduto.

Ora stai scrivendo qualcosa di nuovo?
Scrivo sempre. Ho due raccolte di poesia particolari da terminare. Per la prima volta ho deciso di scrivere a tema in poesia. Di religione e di mitologia. Sono ancora indietro, ma ho già un buon numero di testi per una raccolta di racconti erotici, brevissimi. E molti capitoli di un nuovo romanzo…

Anche se sei un po’ distante, mantieni costantemente il contatto con la tua città, a partire da famiglia e amici. Ma fai il possibile per partecipare anche alla vita culturale, alle attività delle associazioni Gruppo Scrittori Ferraresi e Gruppo del Tasso, collabori con MLB Gallery.
Che cosa rappresenta per te Ferrara?

Non potrei mai lasciare Ferrara. Non credo sia facile per nessun ferrarese allontanarsene.
La città è un incantesimo. Chi ci è nato lo sa.
Chi non ci è nato può leggere Bassani. E capisce.

Torneresti a vivere a Ferrara?
Al momento non saprei dirlo. Intanto perché a Ferrara sono spessissimo. Berlino mi ha accolto qualche anno fa ed ancora ho tante cose da fare lì. Per non dire che sono tornato a studiare e mi sto qualificando per diventare redattore.

Hai un progetto o un sogno nel cassetto?
Non mi interessano né i soldi, né la bella vita o le belle macchine. Desidero lavorare facendo qualcosa che mi piaccia davvero e in cui stia il cuore. Il resto è solo corollario.
So che continuerò a scrivere, non solo in italiano.
Servono ponti e mediatori, che ci aiutino a eliminare i muri, che qualcuno pare voler ricostruire.
È urgentissimo.

(Foto di Mimoza Veliu)

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Redazione di Periscopio

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