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Nel giorno dell’atteso concerto Trans-Jectoires Improbables che si terrà questa sera al Teatro De Micheli di Copparo, vi proponiamo la video intervista a Sara Ardizzoni, in arte Dagger Moth, l’unico componente femminile del trio che oggi salirà sul palco.
Abbiamo scelto Sara per tanti motivi. Innanzitutto perché è brava.
Poi perché è un peccato che i ferraresi si accorgano sempre dopo gli altri dei talenti che hanno in casa.
Inoltre perché Giorgio Canali (ex chitarrista dei Cccp/Csi/Pgr e oggi Rossofuoco) e Alfonso Santimone (pianista di fama internazionale), gli altri due musicisti che si esibiranno, non hanno bisogno di presentazione.
E ancora perché senza il disco di Sara al quale entrambi hanno collaborato e che ha ispirato il direttore artistico dell’evento, Davide Pedriali, forse questa serata non ci sarebbe mai stata.
Infine perché l’8 marzo è la festa della donna, e per questa volta gli uomini si devono fare da parte.

TRANS-JECTOIRES IMPROBABLES
Le traiettorie si possono percorrere anche in senso contrario, il tempo mai.
Giorgio CANALI Alfonso SANTIMONE e Dagger MOTH LIVE IN CONCERTO
Data unica: sabato 8 Marzo 2014 ore 21 TEATRO COMUNALE DE MICHELI – COPPARO
Ingresso offerta libera

Sara-Ardizzoni
Sara Ardizzoni (foto di Davide Pedriali)

L’intervista a Sara Ardizzoni è durata di più dei dieci minuti di filmato che vi abbiamo proposto. Qui potete leggere tutto quello che non c’è nel video.

“Mio padre mi ha sempre chiesto di suonare. Quando lui ha smesso di chiedermelo, ho deciso che era il momento di iniziare.

Fin da piccola ho ascoltato tanto blues, tanto jazz, tanto rock, poi da adolescente ho conosciuto il punk, hard core, grunge, dark e quant’altro. Da qualche anno a questa parte è molto più semplice, ma all’epoca, vent’anni fa circa bisognava essere curiosi, andarsi a cercare le cose, leggere, documentarsi. Quindi fino all’adolescenza come ascolatrice sono stata piuttosto onnivora, però ho sempre avuto una predilezione per i chitarristi ed i brani strumentali.

Non mi ha mai interessato fare cover, ho fin da subito composto cose mie.
La mia prima formazione sono stati i Pilar Ternera.
Poi ci sono state le Sorelle Kraus, gruppo punk rock femminile.
Infine i Pazi Mina, con i quali ho anche inciso un album.

Da quando ho avviato il progetto solita Dagger Moth ho suonato un po’ in giro per tutta l’Italia. Dalla Puglia al Friuli, al Piemonte, passando per Roma e varcando i confini per andare in Croazia.

Quando ho passato i primi provini dei brani a degli amici perché li ascoltassero, sembrava che il comune denominatore fosse l’atmosfera notturna un po’ scura ed ho cercato di immaginare un nome che avesse a che fare con questo mood. Così mi sono venute in mente le falene e guardando i vari esemplari, ne ho trovata una che sia chiama appunto Dagger Moth dove moth significa prorpio falena, quindi qualcosa di esile e delicato e dagger significa pugnale, perché sulle ali ci sono dei disegni che lo ricordano, e mi piaceva questo accostamento, così ho scelto il nome.

Il lavoro all’album è durato sei, sette mesi.
Alla base l’idea di darsi dei limiti, perché quando ti ritrovi da solo ti si apre un mondo dove puoi fare tutto e niente soprattutto con le tecnologie che sono disponibili oggi però l’idea era quella di fare qualcosa che da sola, dal vivo, sul palco io riuscissi a gestire.
Quindi nelle prime bozze che ho registrato qui in casa, non dovevo abbondare in sovraincisioni e arrangiamenti, perché poi ti viene voglia di usare strumenti virtuali, campionare tastiere, percussioni, però poi una volta che sei dal vivo o paghi l’effetto karaoke del tipo che spingi un pulsante metti su la base e ci suoni sopra e non era quello che volevo, oppure ti tocca stravolgere e fare un live che non c’entra niente con il disco che vai a registrare.
Io ho seguito il tipo di procedimento inverso, cioè: che tipo di live voglio proporre?
In base a quello ho strutturato e arrangiato i pezzi e registrato il disco poi mi sono data dei limiti tecnologici, del tipo: di cosa ho bisogno per fare queste cose? Di un certo numero di pedali che chiaramente ho scremato dalla quantità di cose che ho accumulato in questi anni suonando.
E poi di una loop station abbastanza potente che potesse campionare live ma supportare anche campioni preregistrati piuttosto che fare mille cose in mille modalità diverse.
Chiaramente l’utilizzo di questi strumenti comporta anche mesi di studio e di prove per capire come gestirli, come funzionano, perché alla fine sono anche apparecchiature piuttosto complicate, che richiedono letture di manuali, cose non troppo divertenti che però alla fine si sono rivelate necessarie e utilissime.

Questo disco non è un concept album ma è stato ispirato da un aggregarsi in maniera disordinata di idee che avevo represso, messo in un angolo, di idee nuove anche a livello di testi, che io
scrivo in inglese.
Non c’è un filo conduttore, ma si rifanno quasi tutte al piano personale, momenti di vita vissuta ricordi, impressioni, paure, ansie legate ad ambiti affettivi piuttosto che al posto dove vivo che è Ferrara, alla fine sono sempre stata qui, pur spostandomi di frequente.
A livello strumentale ci sono cose molto varie, magari suoni che tendono più al noise quindi distorsioni, effetti, momenti più densi proprio a livello sonoro e altri suoni più puliti più fini più fragili: un insieme di lati opposti che penso tutti abbiano.

Ci sono 12 brani tutti piuttosto variegati ma spero uniti da uno stile abbastanza riconoscibile.
Si apre con un brano abbastanza lungo che alcuni hanno definito una suite perché dura sui 6, 7 minuti. Magari è un po’ inusuale di questi tempi. Ha un’intro ed un’outro strumentali piuttosto corposi e una parte centrale cantata molto più esile e poi si va avanti con un brano che magari ha delle punte anche di elettronica seppur minimale.
E poi ci sono cose molto diverse, da riferimenti a certi ascolti di blues, fino a un certo tipo di psichedelia legata, non so, ai Pink Floyd, per dire nomi molto noti.
Un altro brano è tutto strumentale, pulito, dalle atmosfere piuttosto tese e ritmate, spesso mi dicono che ricorda Robert Fripp anche se di base non è uno dei chitarristi che preferisco

L’idea adesso è di portare avanti questo progetto solitario più che solista, anche perché il disco è uscito neanche un anno fa e penso che possa crescere.
Voglio continuare a muovermi da sola, infatti spesso mi dicono: su questo brano sentirei una batteria, piuttosto che un basso, piuttosto che altri strumenti. Però questa non è una scelta che ho fatto alla cieca, era voluto e quando mi dicono che anche dal vivo riesco a sorreggermi in questa veste è una grande soddisfazione anche se è piuttosto rischioso chiaramente perché di base quando posso suono anche un’ora, un’ora e un quarto. E’ un set un po’ complicato perché in realtà avvalendomi di tutta una serie di apparecchiature che governo con i piedi, prima fra tutte la loop station, devo cantare mentre suono magari faccio cose anche un po’ intricate nel frattempo con i piedi avere l’indipendenza di gestire senza pensarci troppo tutta una serie di cose e quindi anche un gioco spesso di precisione che spero poi non vada a far pesare troppo il lato tecnico su quella che può essere la naturalezza o l’emotività dell’esibizione”.

[Vai al sito di Sara Ardizzoni]

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Stefania Andreotti

Giornalista e videomaker, laureata in Tecnologia della comunicazione multimediale ed audiovisiva. Ha collaborato con quotidiani, riviste, siti web, tv, festival e centri di formazione. Innamorata della sua terra e curiosa del mondo, ama scoprire l’universale nel locale e il locale nell’universo. E’ una grande tifosa della Spal e delle parole che esistono solo in ferrarese, come ‘usta’, la sua preferita.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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