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Giorno: 2 Dicembre 2013

laboratorio-cinese

Lo “scandalo” dopo la tragedia: solite domande, solita retorica

Puntuale, dopo la tragedia, viene a galla lo scandalo! A Prato, dietro ai morti, si scopre un distretto intero (una grande area pubblica della città di lavoro e vita sociale…) cresciuta all’insegna dell’illegalità e dello schiavismo. E puntuali si ripropongono le ‘domande-accuse’: dov’erano in questi anni lo Stato di Diritto, la Regione Toscana, il Comune, la politica, la sinistra, il Pd, i sindacati, l’informazione? Diceva il filosofo Ludwig Wittgenstein: “Ecco la roccia contro cui si piega la vanga!” La roccia è questa realtà di fatti durissimi; la vanga sono le ‘chiacchiere’ di una politica retorica, demagogica, parolaia, inconcludente, impotente. Al toscano Renzi e agli altri candidati delle primarie va chiesto: cosa fareste per bonificare questa piaga immonda dello schiavismo del lavoro e dell’illegalità?

Simone Merli

Merli apre alla città: “Nelle liste del Pd vorrei anche gli indipendenti”

“Considerate le drammatiche difficoltà del momento che riguardano chiunque, con gente che perde il lavoro e altra che fatica a trovarlo, problemi per le famiglie da tutti i punti di vista, tagli ai Comuni, mi sembra che la giunta stia facendo bene la sua parte”. Così Simone Merli, segretario cittadino del Pd, respinge le critiche di chi imputa all’Amministrazione comunale un basso profilo. “L’accusa, per tradurla nel gergo calcistico, è che manca lo spunto del numero 10? Beh io dico che oggi il numero 10 è quello che risolve i problemi e credo che Tagliani e la giunta siano riusciti a risolverne buona parte. Per completare l’opera servono altri cinque anni di lavoro, durante i quali magari mettere assieme anche qualche idea che possa essere di slancio. Però questa è una responsabilità che deve essere della città nel suo insieme a cominciare dall’Università”.
C’è un dialogo aperto?
“Pensiamo al teatro Verdi o al progetto Grisù: con il coinvolgimento di professionisti ed esperti sono state fatte cose significative. Però il rapporto deve intensificarsi, divenire prassi. Tutto coloro che vogliono bene a questa città ci mettano competenza e passione, non lascino la giunta da sola ma si rimbocchino le maniche, dicano quello che pensano e diano una mano”.
Quali i fiori all’occhiello di questo primo mandato?
“Essere riusciti a mantenere un livello culturale elevato in queste condizioni è stato importante: significa credere a un investimento che ha dato ricchezza e prestigio alla città. La seconda cosa è la riduzione del debito, troppo spesso considerato un tecnicismo. Invece è la condizione per fare nuove operazione e non lasciare a chi verrà dopo di noi altre passivi da dover sanare. Inoltre si è riusciti a mantenere la capacità di intervento nei servizi sociali, nella scuola e nel comparto dei lavori pubblici”.
Qualche esempio?
“Internazionale, i già citati teatro Verdi e Grisù. Per quanto riguarda servizi sociali e scuola e più difficile indicare cose concrete, perché a qualificarli è il silenzioso ma prezioso lavorio quotidiano degli operatori e delle strutture. Nella scuola però c’è stata finalmente l’apertura del nuovo asilo di via del Salice…”
E cosa invece si attendeva e non è stato fatto?
“Probabilmente ci dovremo impegnare di più per rendere questa città maggiormente attrattiva dal punto di vista imprenditoriale, per creare nuovi posti di lavoro. Avevamo approvato una delibera che introduceva una riduzione dell’Imu per le nuove imprese e per quelle che avessero rilevato aziende fallite, ma il governo Monti ce l’ha bocciata considerando l’intervento al di fuori delle nostre competenze legislative”.
Colgo un pieno allineamento sull’azione della Giunta. Nessuna riserva, nessun distinguo?
“Capisco che può sembrare un atteggiamento tattico o diplomatico, ma la verità è che le decisioni sono precedute da un approfondito confronto, quindi se ci sono elementi controversi vengono affrontati e risolti prima. Non è che un partito debba per forza pubblicamente dissentire per marcare la propria presenza”.
E alla critica del professor Venturi che sostanzialmente imputa alla Giunta di non dispiegare una vera politica della cultura e la sferza a pensare in grande cosa risponde?
“Al mio amico Gianni Venturi dico che è legittima la sua opinione e fa bene a venire allo scoperto per stimolare il confronto, utile a capire se si può fare di più e meglio. Vorremmo riuscire a mettere attorno a un tavolo coloro che hanno idee e proposte da discutere. Con Ferrara 2020 come partito lo stiamo già facendo da un anno e mezzo, ragionando ogni settimana attorno ai vari ambiti della vita cittadina anche con i non iscritti per trovare idee e soluzioni”.
In primavera si vota. Scontata la rielezione di Tagliani?
“Ho imparato che in politica non c’è nulla di scontato. Alla fine della conta se avremo un voto più degli altri avremo vinto! Guai alle sottovalutazioni. Oltretutto il clima sociale è pesante. Però conosciamo a fondo la città e abbiamo le capacità per affrontare i suoi problemi e rispondere alle sue esigenze”.
L’impressione è che l’opposizione, abbastanza lacerata, vi stia dando una mano…
Vero, ma sono anche convinto che l’opposizione fatichi a non condividere l’azione che viene svolta…”.
Siete troppo bravi?
“Diciamo che le cose che si fanno sono sensate e persone responsabili non possono non tenerne conto”.
In tema di alleanze, rispetto a Sel si coglie un atteggiamento ambivalente.
“Con Sel il dialogo è positivo e lo immaginiamo come nostro alleato nel governo della città perché interpreta in modo moderno il proprio patrimonio ideale. Nelle altre espressioni della sinistra vedo un mondo politico superato, c’è rispetto ma non sussistono i presupposti per lavorare insieme”.
La squadra di giunta va bene così o deve essere corretta?
“Ci penserà il sindaco. I partiti è giusto che facciano le loro valutazioni ma la scelta finale spetta a lui. Tagliani ha la capacità di leggere e interpretare quali sono i bisogni: di conseguenza deciderà se serve il contributo di nuove figure o se qualcuno andrà avvicendato”.
A proposito del sindaco, vi ha infastidito quella sua esternazione dei mesi scorsi quando dichiarò che i candidati si sarebbero presentati con la sua maglia? O era concordata?
“La lista del sindaco non ci sarà. Comunque no, l’uscita non era concordata, ma neppure ci ha infastidito. Anzi, io stesso avevo detto qualcosa di analogo in quel periodo. Noi immaginiamo una coalizione fatta da Pd e Sel con l’apporto di espressioni di un mondo civico fatto da saperi, professioni, nuove competenze. Chi ha voglia di mettersi a disposizione della giunta e della città deve trovare spazio. Lo stesso penso per il Pd, dobbiamo dare spazio, anche in lista, agli indipendenti, sto già incontrando figure rappresentative alle quali chiedo la disponibilità di lavorare insieme senza dover aderire organicamente”.
Allargando lo sguardo al quadro nazionale in vista dell’elezione del vostro nuovo segretario, a lei non si può dire d’essere saltato sul carro del (presunto) vincitore, ci si era accomodato già al principio della corsa.
Spalanca le braccia. “Vero, però penso che al di là di qualche opportunismo tanti si siano ricreduti sinceramente su Renzi e credo che lo stesso Renzi in quest’ultimo anno sia cresciuto e maturato politicamente. Personalmente gli avevo suggerito di fare attenzione alle ambiguità dell’idea di rottamazione e al rischio che assumesse un connotato solamente anagrafico. Bisogna guardare ciò che la gente ha fatto, non l’età. Ci sono persone che hanno dato a questo Paese e a questo partito la vita senza chiedere nulla, senza mai avere un incarico. Per fare un esempio di casa nostra, crediamo che di uomini come Giancarlo Ziotti e Luciano Bratti non ci sia più bisogno? Io dico che meritano ogni giorno il nostro grazie”.
Infine un giudizio sul governo Letta. Si sente rappresentato?
“All’epoca dell’insediamento accolsi l’idea delle larghe intese, ma limitata a due obiettivi: interventi decisi immediata per contrastare l’emergenza economica e una nuova legge elettorale per tornare a votare in condizioni diverse. Non sono state fatti né gli uni né l’altra e non credo verranno fatti. E’ un governo nel quale non mi riconosco. Non ho costruito il Pd per arrivare alle larghe intese. Il nuovo centrodestra mi pare prigioniero di vecchie logiche e vecchie sudditanze, d’altronde vent’anni con Berlusconi non te li scrolli di dosso dalla sera alla mattina. Fra loro e noi c’è una differenza fondamentale. Loro hanno un padrone, noi no. E non è poco”.

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Il narratore-pizzaiolo finalista al Premio Strega: “Racconto la vita di paese”

Jeans, felpa con cappuccio, un piercing al sopracciglio sinistro e se gli chiedeste qual è il suo vero mestiere risponderebbe senza pensarci un attimo: “Il pizzaiolo”. E’ lo scrittore Cristiano Cavina, made in Casola Valsenio, classe 1974, incontrato alla presentazione del suo ultimo lavoro: Inutile Tentare Imprigionare Sogni (acronimo di I.T.I.S), uscito recentemente per Marcos Y Marcos. “Non mi piace dire d’essere uno scrittore, un po’ m’imbarazza. In paese sono semplicemente Cristiano, il pizzaiolo” – racconta con assoluta limpidezza e senz’ombra di falsa modestia Cavina, sette libri nel proprio carnet, finalista Premio Strega 2009 con I frutti dimenticati, Premio Castiglioncello e città di Vigevano 2007, e Premi Tondelli e Fenice Europa 2006. Si definisce un narratore, piuttosto: “Le mie storie sono legate al racconto orale: quanto ero bambino i miei nonni litigavano in continuazione ed erano i fatti del passato ad essere rivangati; lo stesso vale per i racconti epici che potevo ascoltare al bar di paese, tra una partita a carte e l’altra. Quelle per me sono Le storie. Per questo mi sento un narratore: metto la mia vita a disposizione dei miei libri”.

Cresciuto insieme alla madre e ai nonni in una colorita vita di paese, Cristiano Cavina proprio non amava andare a scuola ed è di questa spinosa vicenda che racconta nel suo Inutile Tentare Imprigionare Sogni, affidando al giovane Baldo Creonti, il protagonista, una sentitissima verità: “Per certe cose bisogna nascerci. Io non c’ero nato”. Ironico e profondo al tempo stesso, il libro consente al lettore di fare un salto tra i banchi di scuola, quelli dell’I.T.I.S Alberghetti di Imola, e di calarsi nei panni (e nei piccoli e grandi drammi) di un sedicenne che quella scuola proprio non la voleva frequentare. La figura centrale di una madre premurosa ed attenta, i fedeli ritratti dei compagni di scuola, di un primo non corrisposto amore e le caricature di bidelli e professori, a rendere queste pagine tenere e credibili. “Ho sempre saputo che un giorno avrei raccontato di quegli anni e del mio rapporto con la scuola. Volevo celebrare quel periodo della mia vita, dire ai miei ex compagni quanto è stato bello viverlo con loro” – aggiunge spontaneamente Cristiano Cavina. Una spontaneità che mette anche quando racconta dei curiosi episodi in cui, ad esempio, a causa dei suoi jeans e di una storica felpa dei Pearl Jam, una Serena Dandini impegnata ad intervistare i dieci finalisti del Premio Strega 2009 lo scambia per un fonico audio; o della reazione che professori e presidi hanno quando lo scrittore fa visita agli studenti nelle scuole: “Non è il genere di intellettuale che ci aspettavamo” – il commento che arriva puntualmente. E proprio perché impastato della stessa semplicità, è impossibile per il lettore non immaginare in Baldo Creonti, aspirante genio del crimine specializzato in Piani B, un alter ego di Cristiano Cavina che conclude confessando: “I fuori tema e i piani B mi hanno salvato la vita. Uscendo dal seminato, con i miei 9 in italiano fatti di temi creativamente reinterpretati, ho scoperto che da grande volevo scrivere”.

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