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Giorno: 7 Dicembre 2013

pecore

Perde la conoscenza chi non si pone più domande

Credo che la conoscenza sia insieme memoria e risposta alla domanda “perché”. Ritengo che la città senza conoscenza sia la città che più ancora che la mancanza di risposte sconta la mancanza di domande. La città non ha più conoscenza, gli uomini non hanno più conoscenza quando smettono di interrogarsi, di indignarsi, di sorprendersi, di meravigliarsi, di chiedersi ragione di ciò che gli scorre accanto. Quando considerano che tutto sia ovvio, inevitabile; quando non trovano più in loro la forza per rimettere in discussione l’ordine delle cose, quando subentra l’apatia, l’indifferenza, la resa alle condizioni date. Quando le vite di chi ci sta attorno e anche la nostra sembrano incanalate nell’alveo di un fiume, con un’unica direzione obbligata. Quando non ci sono più la fantasia, l’immaginazione, l’utopia a guidare e a cercare di modificare il nostro cammino. Quando smettiamo di chiederci perché: perché questo è possibile, perché quest’altro non potrebbe essere. Quando smettiamo di cercare di prefigurare un futuro non scontato, quando crediamo che le domande non abbiano più senso perché le risposte sono già tutte scritte, magari da altri. E’ proprio allora che perdiamo la conoscenza poiché rinunciamo al libero arbitrio e ci disponiamo a “viver come bruti”, rinneghiamo il sacro furore dell’intelletto che si interroga e non si rassegna, rigettiamo l’inventiva, il desiderio e l’ambizione di essere protagonisti e arbitri del nostro destino.

pensiero

L’offesa e la rivolta. La politica che giudica la cultura

Mentre le sciagurate vicende che stiamo vivendo mostrano caratteri specifici degli italiani – falso perbenismo, subornazione ai capi, machiavellismo d’accatto, profondo livore per chi considera la cultura un patrimonio della vita civile – mi domando poi come da queste caratteristiche nascano esempi fulgidi di una intelligenza delle cose e degli uomini che pongono questo popolo ai livelli più alti dello spirito umano. Trovo veramente triste considerare quanto perdano coloro che si compiacciono a insultare, disprezzare, temere, il prodotto dell’intelligenza che è appunto la cultura. E si capisce che solo in questo paese poteva nascere la mafia ovvero l’antistato. Andrea Camilleri ne lascia ora testimonianza in uno dei suoi migliori romanzi, La banda Sacco dove racconta le vicende storicamente vere di una famiglia che osò, negli anni Venti del secolo scorso, ribellarsi alla mafia che si stava consolidando e diffondendo nel mondo. Camilleri così commenta il suo lavoro nella nota finale: “Ho tentato di raccontare, attraverso questo ‘western di cose nostre’ per usare un titolo di Sciascia, come la mafia non solo ammazzi, ma laddove lo Stato è latitante, sia anche in grado di condizionare e di stravolgere irreparabilmente la vita delle persone” (pag. 181). E che la mafia tema la cultura è ormai un dato sicuro. Si veda almeno la vicenda emblematica di Saviano. Perciò tanto più rivoltante appare il dileggio a cui ogni forma di cultura viene sottoposta per fini esclusivamente di consenso politico. Un atteggiamento ora così di moda siglato dalle urla isteriche dei comici capi popolo e dai loro servi di scena che si scagliano contro i quattro senatori a vita, non solo ma dovunque la cultura li costringa a una riflessione sempre elusa o rifiutata. Solo la cultura, infatti, dimostra la povertà mentale dell’uomo medio che anche nelle terribili condizioni della crisi economica urla e chiama “vecchi rincoglioniti” i senatori a vita. Sono gli stessi che quando Crozza li condanna e li imita ridono perché non sanno cosa voglia dire ironia e disprezzo miscelati assieme. Sono gli stessi, purtroppo, che ben conoscono il peso della cultura come il premio Nobel Dario Fo che applaude alle convulsioni di Grillo e poi si adonta se lo stesso comico insulta i giornalisti a lui contrari su facebook. Sono coloro che hanno il loro orizzonte mentale talmente ristretto da vedere come i miopi di dantesca memoria solo il qui e il presente non progettando un futuro che nasca dalla riflessione di un passato. E questa situazione è astutamente cavalcata da tanta politica in un mix tremendo di larghe intese che non lasciano distinguere il buono dal malvagio, il vero dalla menzogna.
Una cara amica, Lina Bolzoni, italianista e magistra alla Scuola Normale di Pisa, ci raccontava qui a Ferrara come i libri nel lungo percorso della formazione e consapevolezza di una futura nazione fossero gli “amici” che, al di là del momento storico in cui i loro autori vissero, ci accompagnavano nelle nostre scelte e nelle nostre decisioni. Attraverso la lettura, i nostri “amici” diventano i libri e attraverso loro gli autori. Ci accompagnano nei momenti difficili, quando abbiamo bisogno di rappresentarci la realtà come verità, somma e divina prerogativa della poesia, della musica, dell’arte, della scienza tanto da indurci a sentire fisicamente vicine le ombre dei grandi. Addirittura tentiamo di dare loro un volto, un aspetto, una vita come al più grande di tutti, quell’Omero che, come indaga il suo commosso e acuto esegeta, Claudio Cazzola, forse è solo un insieme di versi, forse è la somma di tante culture e di tante espressioni poetiche. Ecco allora come appare pericolosa la violenza con cui certa politica tenta di cancellare quell’immagine e quella “corporeità” del libro divenuto amico. Ecco allora come ci appare e si rafforza quella nuova amicizia che si diffonde attraverso i media. Trasmissioni televisive che si chiamano “Amici” oppure una sigla attraverso la quale gli “amici” costruiscono un dialogo che può interrompersi dopo un minuto o restare l’espace d’un matin e che ci può portare qualcosa di nuovo o ribadire ovvietà e preconcetti. Stiamo vivendo, come si sa, questo passaggio epocale simile a quello che rivoluzionò il modo di leggere e pensare nel tempo, ad esempio nell’epoca moderna la tradizione del libro manoscritto, consegnato solo a coloro che lo potevano fruire e esserne proprietari privilegiati a cui si sostituisce quello a stampa così come ora la rivoluzione dell e-book cerca e tenta di sostituire la stampa. Ma quello che fa più male e più offende è che per ragioni bassamente politiche la cultura che produce libri, musica, architettura, scoperte scientifiche non sia trattata, come andrebbe fatto, riconoscendole gli altissimi meriti che la costituzione stabilisce ma come la infima possibilità di “mangiare a sbafo” secondo la credenza e la volgarità di quei seguaci di un pensiero tipicamente mafioso che vede nella cultura l’offesa alla politica.