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Giorno: 10 Dicembre 2013

Pci-Ds

Panebianco sul Corriere della Sera cita “l’oro del Pci”

La questione, sollevata ieri da ferraraitalia, relativa al patrimonio ex Pci conservato da una rete di fondazioni private non ha solamente un significativo risvolto etico ma risulta nodale in questa fase della vita politica del nostro Paese. A segnalarne il rilievo è, nel suo editoriale di oggi sul Corriere della Sera, il noto politologo Angelo Panebianco, che scrive: “Sarà interessante soprattutto vedere come Renzi affronterà una questione per lui cruciale, quella dell’ ‘oro del Pci’ (il patrimonio immobiliare del vecchio partito). L’Italia è un curioso Paese nel quale può accadere che i beni di chi è stato dichiarato ufficialmente defunto non passino agli eredi, come ci si aspetterebbe, ma vengano invece messi ‘al sicuro’ in qualche Fondazione, in attesa di non si sa che cosa. Renzi ha due ottime ragioni per affrontare la questione. Se non ne viene a capo non potrà sconfiggere definitivamente il vecchio partito di apparato. E non potrà tenere fede all’impegno di abolizione (vera) del finanziamento pubblico ai partiti. Si ritroverebbe al verde o quasi. Le donazioni che affluirebbero dai suoi sostenitori probabilmente non gli basterebbero. E con pochi soldi è difficile fare politica”.

Su questo tema ferraraitalia intende sviluppare la propria riflessione e sollecita a intervenire, per arricchire il confronto, anche quanti abbiano argomentazioni da addurre o vogliano esporre il proprio punto di vista.
Al riguardo Gaetano Marani, autore del volume autobiografico “I miei 60 anni nel Pci”, prima tesoriere poi contabile del partito, da noi interpellato ricorda che “nel 2007 ero già fuori, ma pensavo che sarebbe stato opportuno fondere nel nuovo partito tutto quanto: debiti, crediti e patrimonio di Ds e Margherita. Invece si è deciso di congelare il patrimonio in attesa di vedere se l’unione funzionava. Questo è accaduto anche a causa di un atteggiamento ondivago dei dirigenti dei Ds, sempre incerti sulle decisioni da prendere”. E oggi come la vede quest’uomo che ha goduto nell’organizzazione e fra i militanti di incondizionata stima per le sue qualità morali? “Sono ancora della stessa opinione. La fase transitoria non si può trascinare all’infinito, altrimenti resta sempre un equivoco irrisolto. Se i due partiti si sono saldamente fusi tutto va ricondotto a unità e la restituzione del patrimonio è indispensabile per il suo consolidamento”.

2 – CONTINUA

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Renzi, il pericolo del revanscismo generazionale

di Giuseppe Fornaro

La scuola Mediaset ha lasciato il segno sulla comunicazione del neo segretario del Pd. A Renzi, infatti, va riconosciuta una grande capacità di comunicazione, un’attenzione a toccare le corde sensibili dell’uditorio, a porsi come il capitano di una squadra. “Sono orgoglioso di voi” ripetuto varie volte.
Devo confessare, però, che sentir parlare Renzi è stato un choc. Un discorso duro, dove non solo viene riaffermato il principio più volte ribadito della rottamazione, ma è stato lo sdoganamento, in più passaggi nei trentatre minuti di intervento, della contrapposizione generazionale, un principio pericoloso per la tenuta sociale. Anziani contro giovani, coloro che avrebbero fallito (a detta del neo segretario) contro coloro che hanno tutto da costruire e che finora sono stati esclusi dalla gestione del potere.
Di una verità oggettiva (l’esclusione dei giovani dal potere decisionale) Renzi ne fa un assioma per rivendicare l’indispensabilità di un ricambio generazionale. “Tocca a noi guidare la macchina. Tocca a noi che eravamo alle medie quando cadeva il muro di Berlino. Tocca noi che abbiamo scelto di iscriverci a giurisprudenza quando saltavano in aria Falcone e Borsellino. Tocca a noi che siamo cresciuti cittadini globali orfani della politica” (e cita i crimini di guerra del Ruanda e della ex Jugoslavia come simbolo dell’impotenza della politica). “Siamo cresciuti in un mondo orfano di politica”. Ora arriva Renzi e improvvisamente la politica, per una sorta di palingenesi, dovrebbe rinnovarsi attraverso il rinnovamento anagrafico.
E ancora, un altro passaggio ancora più duro per le implicazioni culturali oltre che politiche. “Noi stiamo cambiano i giocatori, non stiamo andando dall’altra parte del campo. Stiamo cambiando giocatori che hanno dato il meglio di se stessi, ma adesso hanno bisogno della sostituzione. Credo sia arrivato un momento in cui non possa bastare più continuare a sentirsi raccontare quanto è stata bella la loro storia, è arrivato il momento di scrivere la nostra storia e non solo sentirsi raccontare quanto è stata bella la storia degli altri”. Come se quella storia narrata non fosse anche la storia dell’emancipazione di intere generazioni dalla sottomissione, la fame, la negazione dei diritti, ma fossero una favola dal “lieto” fine. E qui potrebbe aprirsi un varco ai tanti relativismi storici di cui negli ultimi due-tre decenni se ne sono visti di tutti i colori. Dove vuole arrivare Renzi?

Ma c’è un passaggio che mi ha fatto saltare sulla sedia (oltre a quello, che non merita commento, sul sindacato la cui tessera sarebbe un viatico per la carriera, sic!) quando ha detto: “Talvolta abbiamo detto che era giusto privatizzare e abbiamo svenduto, non solo per colpa della sinistra, ma anche nostra”. Renzi, “nostra” di chi? Tu non ti senti parte della sinistra? O per te, in te, parlava qualcun altro?

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La sconfitta di Cuperlo figlia di una politica sciagurata e subalterna

Fra i commenti sulla sconfitta di Cuperlo prevale un leit motiv: è finita la storia degli eredi del Pci. Sono d’accordo. Con una avvertenza: quando si farà questa ‘storia’, si vedrà che il post-Pci è stato diretto in un modo sciagurato… Se siamo arrivati all’esito di questi mesi (un partito che deriva da una delle più grandi forze della sinistra europea, oggi nelle mani di due leader che non c’entrano niente con quella storia: Renzi e Letta…) più che merito dei ‘vincitori’ è demerito di un’intera classe dirigente che ne ha combinate di tutti i colori. E’ stata un disastro sul piano etico, progettuale, politico… Ha selezionato un personale dirigente (nazionale e locale…) all’insegna del tatticismo deteriore, opportunismo, carrierismo. E’ stata complice nella costruzione della ‘casta’ con tutti i privilegi e benefit approvati in questi decenni insieme alla destra berlusconiana in Parlamento e nelle Regioni. E’ stata subalterna a tutto e a tutti. Non ha mai avuto uno scatto di innovazione e combattività. Alla fine è stata percepita come una zavorra inaccettabile: di qui la vittoria di Renzi come frutto di una vera e propria repulsione verso costoro…
E adesso? Adesso la prova dei fatti e degli atti politici riguarda chi ha vinto. Infine, mi auguro che finisca il tempo della battute ‘grottesche’ (ieri Renzi: “ci manca Mike Bongiorno…”); e che si presti attenzione al ‘simbolico’ (la delirante telefonata di complimenti del delinquente Berlusconi, con accompagnamento di applausi delle signore presenti: “bravooo!”).

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Il potere del libro per educare alla bellezza del corpo e dei rapporti

Ventitré racconti per spiegare a bambini e adolescenti cos’è la violenza di genere, in tutte le sue declinazioni. Per fare capire loro che bisogna evitarla non per paura di essere ‘puniti’, ma perché è sbagliata, punto e basta. Perché è innaturale, punto e basta. Perché la nostra compagna di banco e di vita va rispettata, punto e basta. Li hanno scritti 23 autrici di favole e sono raccolti nel libro Chiamarlo Amore non si può, edito per i tipi Mammeonline. E se il nome della piccola casa editrice di Foggia rimanda alla cultura digitale, va detto invece che il testo è di carta, pronto per essere sottolineato, bistrattato con le pieghe agli angoli delle pagine, consumato. Perché la vera sensibilizzazione, come spiega Donatella Caione, responsabile della casa editrice, passa per la cultura. E attecchisce tanto di più se ad assimilarla sono i ragazzini di oggi, gli adulti di domani. Capovolgendo una prassi consolidata per cui gli adulti parlano agli adulti, Caione ha deciso che no, il futuro si cambia soltanto se a fare propri nuovi modelli comportamento sono i ‘grandi’ di domani. Presentato nei giorni scorsi alla Sala Conferenze della Camera dei Deputati, del testo (i cui proventi andranno all’Aidos, Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo) si stanno occupando tutti i media nazionali. E in corso sono presentazioni nelle scuole dello Stivale perché l’argomento non va esaurito nelle settimane che precedono o seguono le iniziative relative alla Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne.
Racconti di fantasia o attinti dalla realtà?
Entrambe le cose, nel senso che ovviamente c’è la fantasia, che si snoda però su vicende forti, di stupri, di botte, di angherie psicologiche. Con un linguaggio ed esempi consoni. Si parla di storie d’amore tra adolescenti, di ‘pressioni’ fatte attraverso i social network per la rabbia causata dall’abbandono. Abbiamo tenuto in considerazione l’età e la sensibilità dei ragazzi, tenendo però in altrettanta considerazione che i nostri figli vengono bombardati ogni giorno dalla cronaca, dai programmi di cronaca nera. Non sono avulsi dalla realtà, al contrario ne conoscono le efferatezze. La narrazione mette in campo tanti fattori, tanti sentimenti, li aiuta a comprendere tanti passaggi. Ogni storia contiene un personaggio positivo, dunque uno spiraglio, una speranza da cui ricominciare.
L’obiettivo?
Le ragazzine debbono realizzare che si può dire no, i ragazzini che non possono pretendere. Bisogna educare i maschi al rispetto dell’altrui corpo, le femmine alla dignità. Bisogna uscire da un concetto di mercificazione per cui anche un prodotto per la pulizia della casa, oggi, viene pubblicizzato grazie a una ragazza seminuda. Il richiamo alla fisicità, alla sessualità, è ovunque. E’ necessario mettere uno stop.
Quindi bisogna ripartire dalla scuola?
Certo, formando anche gli insegnanti, diversamente si mettono in campo solo azioni ‘tampone’. Detto questo, vanno superati anche certi gli stereotipi che la scuola si porta dietro. Un esempio? Nelle immagini di famiglia viene rappresentata la mamma in cucina e il padre in poltrona.
In Italia si legge sempre meno. La sua è una bella sfida…
I libri sono un mezzo straordinario per parlare di ‘bene’, per affrontare argomenti delicati, hanno un grande potere. Basti pensare ai bimbi piccoli, cui la mamma legge le favole, magari sul divano, sotto una coperta. Ecco che il libro diventa l’estensione della mamma e lo si amerà per sempre.
Chiamarlo amore non si può, come va letto?
Anche soli o con i genitori vicini, affinché possano mediare, affinché alla fine i nostri figli non si sentano soli e possano fare domande.
Perché solo autrici donne?
Perché vogliamo divulgare un linguaggio di genere, per darci visibilità, perché si parla di emozioni. E perché quel che non si nomina, non esiste.

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