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Giorno: 12 Dicembre 2013

Pci-Ds

Oro del Pci, Bottoni precisa: “Sono rimasto nei Ds ma ho detto no alla fondazione”

di Giorgio Bottoni

Egregio direttore,
mentre riconosco la correttezza usata nei miei confronti nel chiedermi il consenso alla pubblicazione della lettera che ho inviato il 14 ottobre 2013 all’Unità e dalla stessa non pubblicata, il preambolo con il quale la mia lettera viene preceduta contiene un passaggio non proprio fedele che potrebbe portare ad una lettura non corrispondente al mio agire nei confronti del partito. Tale passaggio consiste, parlando del mio comportamento “che lo avevano indotto a lasciare i Democratici di Sinistra”. Le cose non sono andate in questo modo. Ero stato relatore, alla Direzione provinciale dei DS il 4 febbraio della proposta di costituzione della fondazione, indicandone anche la sua attuale denominazione, appunto “L’Approdo”. Se lo potessi fare ora lo integrerei con TEMPORANEO, ma quando mi resi conto che questo doveva avvenire su uno statuto standard, così voluto dal Nazionale del partito e che gli amministratori dovevano essere nominati a vita, mi rendevo conto della potenziale espropriazione delle proprietà immobiliari che dal partito andavano ad assumere una configurazione privatistica. Ho messo per iscritto a chi di competenza la mia contrarietà, ed ho chiesto ai primi del mese di aprile del 2007 a chi dare le consegne del lavoro svolto e che mi apprestavo ad interrompere, non avendone risposta, alla fine del mese ho cessato un rapporto di attività continuativa prestata per tanti anni presso la federazione provinciale. Non ho partecipato alla riunione del 4 maggio 2007 dell’organismo dirigente e di controllo, per la decisione sospesa a febbraio, per non essere coinvolto in quella scelta che proprio non condividevo e chi presiedeva tale riunione era in possesso della lettera poc’anzi citata contenente il mio disaccordo.
No, non ho lasciato i Democratici di Sinistra, ma rinunciando all’incarico di responsabile del patrimonio immobiliare, non potevo più, come avrei potuto e voluto fare, partecipare alle apposite riunioni che la federazione doveva promuovere, ne andare nelle località che me l’hanno chiesto e dire come la pensavo a proposito della scelta della fondazione. Tra questi compagni ero molto benvoluto perché per tanti anni, mi avevano trovato sempre disponibile e impegnato con serietà nella soluzioni dei tanti problemi che si prospettavano e l’ho fatto sempre in prima persona. Quando la scelta che a norma di regolamento (un regolamento che ci eravamo dati col passaggio della titolarità degli immobili alla federazione del partito. Questo richiedeva il parere espresso in forma scritta, di quella determinata organizzazione, quando la misura riguardava l’immobile di quella determinata località). Quindi, quando la decisione doveva essere presa nella organizzazione di mia appartenenza, la sezione Putinati e l’Unione Circoscrizionale di via Bologna, ho dato battaglia. Non sto a descrivere le numerose riunioni che si sono rese necessarie. Incontri coi vertici in federazione. Per ragioni di brevità non sto a descriverli, ma conservo una copiosa documentazione. Puntavo alla prescrizione dei termini che il partito fondatore dettava alla fondazione. Una sorta di “patto parasociale” che le articolazioni territoriali parietarie sostanziali degli immobili e la federazione che ne deteneva la formale proprietà prescrivevano nell’atto costitutivo che peraltro, lo si è saputo dopo, era già stato compiuto. Stavamo discutendo ad agosto e settembre e dagli atti notarili la fondazione risultata già istituita a luglio. Né è sortito, come conclusione,una lettera del segretario della federazione abbastanza blanda.
La soluzione non fu per niente soddisfacente e mi ha portato per non rovinarmi ulteriormente la salute ad evitare di partecipare alla parte che ha sottratto tutte le disponibilità finanziarie delle organizzazioni territoriali, versate al tesoriere della federazione, perché col cambio dei denominazione, vuoi cessate e se mantenete qualcosa diventa sottrazione. Una operazione del genere non l’avrei fatta neanche sotto tortura. Era tanto sbagliato andare a pretendere da organizzazioni statutariamente autonome che avevano già versato i loro contributi, dato alla federazione la quota fissata negli obbiettivi annuali, il frutto del loro lavoro, delle loro iniziative, dei risparmi realizzati con tanto attaccamento e passione. Altra cosa sarebbe sta presentarsi con umiltà e dichiarare uno stato di necessità e cercare motivato aiuto, per non lasciare in sospeso delle pendenze. Misi in una lettera tutta la mia contrarietà, portata alla segretaria provinciale del PD, da poco nominata, dopo avergli consigliato in una affollata assemblea di fermare quella sciagurata operazione. Per la gestione del fondo ho saputo che è stato costituito un comitato di tesoreria, uno strumento previsto dallo statuto e che prima non si era mai voluto. Quindi, in buona sostanza, costituivamo una nuova forza politica, il partito democratico, in questo riponevamo le tutte le nostre speranze. ma Il nuovo ha dovuto nascere dal niente e doveva per mettersi all’opera, indebitarsi col vecchio. Chi aveva versato tutte le sue disponibilità, da ora in poi per promuovere qualsiasi iniziativa che comportasse una spesa doveva richiedere un prestito al vecchio. Diveniva un incredibile e inaudito potenziale condizionamento.
Nelle organizzazioni della provincia di Ferrara la discussione deve essere stata abbastanza intensa e tuttavia si è svolta nella riservatezza. L’unica notizia che ho trovato sulla stampa locale l’ho letta sul Resto del Carlino- Ferrara, nella pagina di cronaca Argenta Porto Maggiore il 7 dicembre 2007, in poche righe dal titolo, ANITA “Patrimonio ex DS passa di mano”. Il testo integrale: “Passa di mano il patrimonio degli ex Democratici di sinistra relativo al parco delle feste 7 Aprile di Anita. Infatti, terreno, immobili ed attrezzature sono confluiti nella Fondazione che fa capo al nuovo Partito Democratico. Una soluzione questa, già adottata da altre realtà e conseguente ai nuovi assetti politici. Ad Anita, il trasferimento è avvenuto al termine di una accesa assemblea cittadina, che ha avuto non pochi strascichi polemici.” Qualora fosse stato proprio così ma, o ha capito male il giornalista o l’illustrazione non è stata per niente veritiera.
La sto facendo troppo lunga e quindi concludo con una precisa esortazione: una sorta di testamento: gli immobili che ora sono confluiti nella fondazione denominata “L’approdo” per ragioni di buona politica, moralità, coerenza con gli impegni assunti devono restare nella piena e totale disponibilità delle organizzazioni territoriali del Partito Democratico, e per essere ancora più preciso, di Anita, Porto Maggiore, S.M. Codifiume, Poggiorenatico, Bondeno, Via Bologna, Via Ortigara, Quacchio, ecc. fino a completare l’elenco. Buon lavoro.

Pci-Ds

L’oro del Pci, Torri: “Rendere conto pubblicamente? Mai pensato, ma si può fare”

Nel nostro viaggio sulle tracce del tesoro del Pci (e dei suoi eredi: Pds-Ds) c’è stato un piccolo colpo di scena. Dal confronto con Secondo Cusinatti, presidente della fondazione L’Approdo che gestisce il patrimonio immobiliare, era emerso come il denaro contante fosse stato in massima parte conferito al Pd. Altre fonti hanno però provveduto a farci sapere che le cose stanno diversamente e che la cassa è tuttora gestita da un organismo che fa capo all’ultimo amministratore dei Ds, Attilio Torri, sulle cui tracce ci siamo immediatamente lanciati.
L’incontro di questa mattina è stata preceduto da un vivace colloquio telefonico nel quale Torri ha cercato in ogni modo di chiamarsi fuori. Prima affermando di “non c’entrare più nulla”, poi di “non essere interessato a parlare” menando vanto di non avere mai rilasciato interviste nei 16 anni in cui è stato sindaco di Lagosanto, e infine capitolando di fronte alla nostra insistenza, “visto che non riesco a scrollarmela di dosso”.

Perché la liquidità non è stata conferita alla fondazione?
“I Ds in quanto azienda avevano dipendenti e debiti da gestire. Per la fondazione sarebbe stato complicato”
E’ stato fatto così ovunque?
“Secondo me sì”
Ma non vi siete consultati a livello nazionale?
“Sì, ma solo per la gestione del patrimonio immobiliare”
A quanto ammontava la somma avuta in consegna nel 2007?
“Non ne ho la più pallida idea”
Strano, lei amministra un fondo da sei anni e non ha idea di quale sia l’importo?
“Non so, non ricordo. Mah, oggi saranno 200/250mila euro. Ma nel 2007 erano di più”
Quanti di più e come avete speso quelli che mancano?
“Abbiamo pagato i debiti”
E quindi quanti ne avevate in cassa? Almeno a spanne lo saprà?
“Non si arrivava al milione, diciamo 6/700mila”
Dove sono depositati e quali sono gli impieghi?
“Sono in un conto della filiale Unipol Banca di via Bologna, una piccola parte in liquidità il resto in titoli”
E una volta saldati tutti i debiti cosa farete del residuo?
“Non ne ho la più pallida idea”
Ma non considera doveroso rendere pubblico ciò che fate?
“Se i Ds avessero finanziamenti pubblici sarebbe un conto. Ma così…”
A me per la verità risulta che sino al 2011 i contributi pubblici siano stati percepiti…
“A Ferrara non sono mai arrivati”
A parte questo, sono comunque soldi derivanti da sottoscrizioni, lavoro volontario, non denari vostri…
“Se un iscritto vuol saperlo può domandarcelo, basta che mi telefoni e glielo dico”
Ma voi non avvertite il dovere di rendere conto?
“Non ci è mai venuto in mente”
Quindi per lei non sussiste un problema di trasparenza? Potreste cominciare a pubblicare quantomeno i bilanci annuali…
“Non l’abbiamo mai fatto, ma in effetti si potrebbe benissimo anche fare. Io sono disponibile. E’ una cosa che potrei anche proporre al Consiglio di tesoreria”
A proposito, quante persone la compongono?
“Quattordici, tutta la provincia è rappresentata. Fra gli altri ci sono Franca Vandelli di Bosco Mesola, Giovanni Nardini di Bondeno, Rodolfo Spanazza, Alberto Bovinelli e Maurizio Benvenuti di Ferrara… Ci riuniamo almeno una volta l’anno per il bilancio e poi quando c’è un problema da affrontare. Il compito è quello di sistemare crediti e debiti e liquidare il partito che ancora giuridicamente esiste anche se non svolge più attività politica”
Siete pagati per questo?
“Nessuno di noi percepisce un soldo, né gettoni né rimborsi. Né il presidente, né i consiglieri, né la segretaria di amministrazione che ci dà una mano a titolo volontario”
Lei è stato il primo presidente della fondazione L’Approdo, poi si è dimesso. Perché?
“Io ero presidente e tesorieri insieme. Una volta costituita la fondazione ho esaurito il mio compito”
Era previsto quindi?
“No, ma è andata così”
Con Cusinatti che è subentrato nel ruolo vi sentite regolarmente?
“Ci sentiamo quando c’è bisogno”
L’ultima volta quando è stato?
“Quando i Ds hanno deciso di liberare la sede di viale Krasnodar perché c’è stata la necessità di trasferire al centro feste di Vigarano l’archivio dei Ds che appartiene alla tesoreria. I documenti saranno visionati e selezionati da Anna Quarzi dell’Istituto di storia contemporanea al quale a suo tempo già abbiamo donato l’archivio del Pci. Ho imballato io il materiale e il trasloco l’ho fatto con la mia macchina ottenendo eccezionalmente un rimborso di 20 centesimi a chilometro, inferiore alla tariffa Aci”
Avete dato soldi alla fondazione?
“Solo all’inizio, circa 50mila euro per le minute spese necessarie alla manutenzione del patrimonio immobiliare che è in loro possesso”
E al Pd?
“Sì, ma non ricordo quanto”
Più o meno di quanto è andato alla fondazione?
“Saranno stati 70/80 mila euro”
E’ stato giusto nel 2007 impedire che liquidità e patrimonio passassero al Pd?
“Non ne ho idea”
Ma come? Lei era un dirigente del partito!
“E’ stato deciso a livello nazionale…”
E quindi va bene così. Ma ora, ciò che resterà una volta liquidati i Ds, a suo parere, è più sensato che vada alla fondazione o al Pd?
“Per adesso giuridicamente ci sono ancora i Ds”
Ma per quanto? C’è una data per la liquidazione?
“No, ne abbiamo discusso in tesoreria ma non abbiamo deciso. Ci occupiamo ormai solo delle passività e i debiti li abbiamo onorati tutti, ma a quanto mi hanno spiegato c’è il rischio di rivalse da parte dell’Inps entro un termine di circa dieci anni dalla data ci cessata attività”
Quindi c’è la possibilità che questa situazione si trascini per altri quattro anni?
“Sì, è possibile”

Ci salutiamo dandoci un nuovo appuntamento, con l’impegno di Torri di produrre bilanci e documenti contabili.

5 – CONTINUA

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Emergenza rifiuti, riprogrammare il ciclo integrato

Il settore dei rifiuti cresce costantemente di importanza, di dimensione e di complessità, ma rimane ancora molto lontano da una soluzione di sistema, continuando a vivere su emergenze e contrasti. La criticità è ormai cronica in molti territori si sta allargando anziché trovare soluzioni condivise. E se ripensassimo le regole del sistema integrato dei rifiuti?
Analizzando il ciclo integrato dei rifiuti si rileva infatti come, a seconda del ruolo e della dimensione del gestore ne discendono comportamenti aziendali e strategie imprenditoriali che in alcuni casi distorcano il valore dei principi di base del sistema. Il punto di fondo è far coincidere o meglio convivere differenti strategie di riferimento che da una parte permettano la migliore ricerca di qualità e di sostenibilità a difesa dei cittadini e dall’altro che sia comunque avviato un concreto processo di industrializzazione e di modernizzazione del settore. Si tratta di soluzioni divergenti ma si può (anzi si deve) trovare un corretto sistema di regolazione che sappia valorizzare entrambe le posizioni. A questo proposito si propone una analisi disgiunta del sistema che potrebbe avere utili ritorni sia in termini di efficacia gestionale sia di regolazione e dunque di risposta più efficiente di sistema. Attuare una riforma dei servizi di interesse pubblico-economico significa soprattutto porsi come obiettivo il miglioramento della qualità ambientale per l’utente, la generazione delle risorse per lo sviluppo dei servizi, il contenimento dei prezzi, la tutela dell’ambiente, l’introduzione di meccanismi di qualità nei servizi, la sicurezza e la sopportabilità per il cittadino. Proviamo allora a vedere se sia possibile individuare delle aree separate di riferimento in cui poter meglio definire le priorità e le responsabilità di una politica economica ambientale.
In una prima analisi pare possibile separare il ciclo integrato in tre grandi macroaree:
– il comparto dell’igiene urbana e dunque della pulizia del suolo, ovvero i servizi di pulizia del suolo e la manutenzione del verde pubblico, insomma la gestione del territorio pubblico che tanto qualifica i centri urbani e la qualità della vita dei cittadini
– l’importante comparto dei servizi di gestione e di raccolta dei rifiuti (anche allargando il concetto ai non assimilati ed alcuni speciali) con il grande obbiettivo delle raccolte differenziate ed in particolare dell’incremento del riciclo ad obiettivi significativi
– il delicato settore degli smaltimenti e dei trattamenti e dunque la gestione degli impianti, la crescita delle tecnologie e l’attenzione all’inquinamento del suolo e dell’aria.
E’ evidente come queste tre aree siano tra loro fortemente integrate e complementari, ma nello stesso tempo emergono specificità e peculiarità che potrebbero trovare maggiori fattori di sviluppo se non si ritrovassero spesso ad “ostacolarsi” tra loro. Senza dunque mettere in discussione l’importanza del ciclo integrato, si invita solo a fare anche valutazioni sull’opportunità di prevedere alcune regolazioni separate basate sulle priorità economiche, ambientali e di gestione del settore. La dimensione modesta degli ambiti provinciali e la presenza diffusa di piccoli e medi impianti (ampliati gradualmente) potrebbe poi essere sostituita da una programmazione strategica di sistema in cui impianti maggiori, a tecnologia evoluta, spesso più economici ed anche più affidabili, oltrecchè meno inquinanti, possano rispondere alle esigenze di un territorio più ampio. In Emilia Romagna ci si sta provando, ma con che tempi? E altrove?

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Quel 12 dicembre… Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi

“Ore 16.37. Un boato enorme seguito da una altissima fiammata sconvolge la sede centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana 4, in pieno centro di Milano: i vetri dell’edificio, squassato dall’esplosione, vanno in frantumi, decine di clienti vengono buttati all’aria come fuscelli, i corpi dilaniati; altre decine di impiegati vengono scaraventate a terra, pur protette dal grande bancone dietro il quale lavorano. In un attimo è il finimondo, il panico… Ma fin dal primo momento una cosa è certa: è un massacro. Il bilancio verrà dopo, spaventoso: tredici morti (saliranno a sedici), novantun feriti. Sul primo momento nessuno capisce che cosa sia avvenuto, qualcuno dice che sono saltate le caldaie giù in cantina, ma le caldaie sono intatte, continuano a funzionare regolarmente. La certezza viene poco dopo: l’esplosione è stata provocata da una bomba ad altissimo potenziale. Non si tratta di un tragico destino, ma di una fredda, determinata, folle azione. Un’infame provocazione”.
Rileggo queste righe, da me scritte tre ore dopo la strage, sull’enciclopedia del “XX Secolo” della Mondadori, che, per rappresentare l’evento, riprese l’incipit del mio articolo in prima pagina del “Giorno”, il cui titolo a otto colonne, era “Infame provocazione“. Non era la prima provocazione: l’attacco al paese che voleva una sana e moderna democrazia antifascista, era stato preceduto dalla strage di Portella delle Ginestre, dalle condanne agli scioperanti degli anni dal ’50 al ’54, dagli eccidi di Reggio Emilia – cinque morti, 1960 – dove la polizia, appostata sui tetti delle case, sparò a mitraglia sui dimostranti in corteo, dai vari tentativi di colpi di stato, nel ’60, appunto, con il governo democristiano di Tambroni allargato ai fascisti, e nel ’64 con il golpe quasi riuscito del servizio segreto Sifar: la stagione del terrore durava dall’immediato dopo-guerra. E il terrorismo continuò a mietere vittime: da piazza Fontana (1969) al Natale del 1984, i morti assassinati dai neofascisti, con la vigile complicità dei servizi segreti al soldo delle forze reazionarie governative, furono 149 e i feriti 688. Quale il fine di tanto sangue di poveri cittadini incolpevoli? Certamente abbassare la forza della protesta popolare e indebolire la presa di coscienza dei giovani, assicurando al potere, costituito e no, la licenza di lavorare per interessi non sempre leciti e, comunque, incomprensibili per il cittadino lavoratore. Banche, grandi finanziarie, multinazionali, politiche vessatorie attraverso una tassazione che non colpisce gli evasori: il nodo, ancora oggi, è sempre quello, la politica di destra e il neocapitalismo ne hanno tratto vantaggio e tuttora affliggono professionisti, commercianti, artigiani, operai, cioè il popolo attivo che ha mantenuto i privilegiati italiani, figli indegni della democrazia. Se qualcuno, quando parla di terrorismo, confonde la matrice addossando ai “rossi” il peso di tutte le responsabilità, quel qualcuno è non soltanto male informato, ma in malafede. Oggi paghiamo le spese di una situazione creatasi anche attraverso un attacco massiccio propagandistico del danaro, creando una generalizzata disinformazione e aiutando un paradossale ritorno a una disarmante povertà culturale, oltre sei milioni sono gli analfabeti, siamo un paese sottosviluppato. Questi ultimi vent’anni berlusconiani hanno raccolto il testimone da quel progetto golpistico che ha insanguinato le nostre strade. E il prossimo futuro rimane pieno di inquietanti interrogativi