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Giorno: 17 Dicembre 2013

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La realtà e il suo doppio nel nuovo romanzo di Gian Pietro Testa

“Quando non ci sono più la fantasia, l’immaginazione, l’utopia a guidare e a cercare di modificare il nostro cammino”, ha scritto il direttore su queste pagine qualche giorno fa, la conoscenza si sfarina, la curiosità si fa muta e, credo, si comincia un po’ a morire. Alla presentazione del romanzo Il rocchetto di Ruhmkorff di Gian Pietro Testa alla libreria Ibs, è avvenuto il contrario: ogni libro di Testa è, per la città, un guizzo dell’intelletto, il risveglio dei dormienti e una grande occasione per mettere insieme memoria e interrogazione.
L’autore, intervistato da Fabrizio Fiocchi, ha presentato la sua opera che non può essere riassunta in una trama qualunque, perché più che azione ci sono pensiero, immaginazione, fantasia a guidare i protagonisti. I personaggi principali sono tre, una donna e due uomini, in qualche modo intrecciati, ma potrebbero essere sei, nove, dodici. Chi non ha un suo doppio? Un altro ruolo che ogni tanto recita, una coscienza che interviene, un prima e un dopo, un sé manifesto e uno nascosto, un pensiero che consola e uno che spariglia? Michelangelo, che si rifugia nella pittura, quindi in un’altra dimensione, per esprimersi a pieno, ha poche altre compagnie se non Michelangelo due, ‘il suo fedele fantasma’, il suo doppio per nulla simile (altrimenti sarebbe inutile), ma saggio, sarcastico, caustico e lucidissimo.
Amico di Michelangelo è Giuseppe Garibaldi autonominato Fraschenor il muto, un uomo che ha scelto di non palrare più, o meglio, di interloquire solo a certe condizioni: con Dio, che tanto non risponde, con Idalgo Pistolini, manichino simbolo dell’uomo politico ‘buono per tutte le stagioni’ a cui rivolgere le contumelie peggiori e con Michelangelo, ma solo via e-mail. Il vantaggio del silenzio? “non si possono dire bugie” pensava Fraschenor.
Anche Fraschenor ha bisogno di rifugiarsi altrove, un luogo fisico che è anche una stanza della mente: la tundra, cioè il suo giardino, in cui immagina di essere in esilio volontario dando le dimissioni da italiano. Da qui scrive lettere a Michelangelo, suo unico contatto con il mondo.
E poi c’è Wanda, alla ricerca di un cambiamento, di un ruolo diverso, di una consolazione, di risposte dopo tante domande, soprattutto a se stessa. Wanda, a differenza di Michelangelo e Frachenor, è giovane, agisce e lavora. Non un lavoro qualsiasi, ma una specie di espiazione, una via per uscire dall’indifferenza in cui era caduta dopo un grande dolore che tutti gli altri, per primi i genitori, avevano trattato con pesantissima indifferenza.
Wanda viene assunta in una residenza per anziani, accudisce gli ospiti amandoli, cerca di alleviare le sofferenze altrui e anche un po’ la propria donandosi.
Una domenica mattina di giugno, la ragazza decide di andare al mare, così anche Michelangelo che intende dipingere in riva al mare, ha già abbozzato un quadro: l’ultima cena sull’ultima spiaggia. Quest’opera esiste davvero, perché Testa non entra nel romanzo soltanto attraverso i personaggi per esprimere una critica sociale e politica sempre molto esplicita, entra anche ‘iconicamente’ attraverso il quadro, mostrato durante la presentazione e di cui lui stesso è autore. Non solo, chi scrive entra nel romanzo rivolgendosi direttamente al lettore e facendosi personaggio a sua volta, testimone della vita di Fraschenor, suo interlocutore.
Tutto è doppio, anche il finale dove la morte sballotta la vita fra le acque del mare fino ad avere la meglio. E invece no, una svolta beffarda ribalta tutto, discolpa chi appariva colpevole di fronte alla legge e l’autore dichiara in prima persona la soluzione letteraria che, tuttavia, definitiva non è.

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A Ferrara è in pericolo il sistema industriale

La Camera di Commercio ha pubblicato nei giorni scorsi la quarta rilevazione congiunturale di quest’anno sull’andamento dell’economia provinciale, riferita al terzo trimestre 2013.
Non ci sono novità clamorose rispetto alla rilevazione precedente, effettuata a settembre, eppure forse vale la pena di tornarci su, perché alcuni dati meriterebbero a mio avviso un’attenzione – e una discussione – che finora non hanno avuto.
Si stima nel 2013 a Ferrara una caduta del valore aggiunto prodotto pari a – 1,5%, perfettamente in linea con la stima relativa all’economia nazionale, ma peggiore di quella regionale (-1,1%).
Ciò in cui però Ferrara si distingue di più è il dato relativo al valore aggiunto prodotto dall’industria, per il quale si stima un calo quest’anno del 4,2%, contro il 2,6% nazionale e il 2,2% regionale.
Questo significa che, in un quadro di difficoltà generale, il nostro sistema industriale sta soffrendo molto più della media.
Si potrebbe pensare che questo dipenda soprattutto dalla piccola dimensione delle imprese presenti sul nostro territorio, dove è quasi totalmente assente l’impresa industriale di medie grandezza, ma a ben vedere questo è vero solo in parte.
C’è un altro dato, infatti, per il quale Ferrara si distingue dalle medie regionali e nazionali, in maniera ancora più clamorosa: è quello che riguarda l’andamento delle esportazioni. Un calo del valore delle esportazioni del 7,5% nei primi nove mesi stride molto infatti con una media regionale in crescita del 2%, mentre quella nazionale è di poco sotto lo zero (-0,3%).
Se poi andiamo a vedere quali sono i settori maggiormente in difficoltà, ci accorgiamo che si tratta di quelli sui quali è concentrata la grande industria ferrarese: meccanica, automotive e chimica.
Insomma, quello che emerge è che la distruzione delle risorse industriali sta procedendo in provincia di Ferrara con un’accelerazione ben maggiore di quella osservata nel resto del Paese e anche in territori limitrofi e riguarda tutto l’apparato industriale, non solo quello tradizionalmente più fragile per dimensioni e per posizionamento di mercato.
Cercare di mettere in campo qualche contromisura dovrebbe diventare una priorità assoluta, attorno alla quale concentrare l’impegno di tutte le forze sociali e istituzionali, prima che sia troppo tardi.
Ma per il momento sembra non esserci neppure un’adeguata consapevolezza del problema.
A meno che non si pensi, irresponsabilmente, che Ferrara possa fare a meno di un sistema industriale.

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Noi che…

Un video in rete, racconta la storia dei mitici anni sessanta. Il video, condito con un’accattivante colonna sonora, ricorda gli oggetti, i temi, i luoghi e i comportamenti che hanno caratterizzato una generazione. Il filo conduttore “noi che” precede una lunga serie di frasi che caratterizzano gusti, giochi, modi di vivere, sogni, ingenue esplorazioni di un mondo nuovo, fatto di joux box, di mangianastri, di beni alimentari industriali. E’ prima di tutto l’emergere di nuovi beni di consumo a segnare la percezione di un’era di libertà e di benessere e di un mondo nuovo. “Noi che i pattini avevano 4 ruote e si allungavano quando il piede cresceva. Noi che il Ciao si accendeva pedalando. Noi che sentivamo i 45 giri nel mangiadischi. Noi che le cassette se le mangiava il mangianastri, e ci toccava riavvolgere il nastro con la bic. Noi che c’era la Polaroid. Noi che si andava in cabina a telefonare”. Giochi semplici: “Noi che giocavamo a nomi, cose, animali, città e la città con la D era sempre Domodossola. Noi che ci mancavano sempre quattro figurine per finire l’album Panini. Noi che suonavamo ai campanelli e poi scappavamo”. Nuovi segni di benessere che oggi suscitano tenerezza: “Noi che ci sbucciavamo il ginocchio, ci mettevamo il mercurio cromo. Noi che la Barbie aveva le gambe rigide. Noi che quando a scuola c’era l’ora di ginnastica partivamo da casa in tuta. Noi che l’unica merendina era il Buondì Motta e mangiavamo solo i chicchi di zucchero sopra la glassa”.

Tempi di nuovi spazi di libertà intravisti piuttosto che conquistati: “Noi che ci emozionavamo per un bacio su una guancia”. Tempi in cui il senso della disciplina restava più solido di quanto al tempo potesse apparire agli adulti: “Noi che se a scuola la maestra ti dava un ceffone, la mamma te ne dava due. Noi che se a scuola la maestra ti metteva una nota sul diario, a casa era il terrore. Noi che le ricerche le facevamo in biblioteca, mica su Google. Noi che si poteva star fuori in bici il pomeriggio. Noi che se andavi in strada non era così pericoloso”.

Un filo velato di nostalgia si scorge dietro ogni frase-ricordo. Questo video tratta un tema universale: il bisogno di definire chi siamo, attraverso scelte che non siano solo nostre, ma che ci accomunino ad altri come noi. L’identità passa attraverso la possibilità di riconoscersi in tratti comuni, attraverso la ricerca di elementi che segnano differenze, caratteristiche peculiari, specificità presunte o reali.
Noi siamo ciò che narriamo di noi stessi. Attraverso il racconto delle nostre esperienze, troviamo ad esse un senso. Raccontare è un aspetto fondamentale della vita umana che accomuna tutte le culture. Per mezzo di storie, fin dalla tenera età riconosciamo dei modelli di comportamento. Attraverso le storie comprendiamo il mondo in cui viviamo e possiamo mettere in comune le esperienze; con le storie riusciamo a far emergere significati che molto spesso sono immersi in un “rumore di fondo” di difficile interpretazione.
Ogni generazione ha il proprio patrimonio di storie da raccontare. Le storie emergono attraverso la memoria e il confronto tra un ipotetico “noi” e “loro”. Evitiamo di pensare, quindi, che ora tutto è perduto e che non resta che il passato. Il problema è che il presente è sempre più difficile da interpretare rispetto a ciò da cui siamo usciti e che possiamo guardare a distanza.

 

Maura Franchi, laureata in sociologia e in scienze dell’educazione, vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Storytelling e social media marketing, Marketing del prodotto tipico.
Studia i mutamenti socio-culturali connessi alla rete e ai social network, i processi della scelta e i comportamenti di consumo, con una particolare attenzione ai consumi alimentari, le forme di comunicazione del brand.

Tra le pubblicazioni recenti:
2013, “Social network: risorse per la collaborazione?”, La società degli individui, n. 45, gennaio
2012, “Le tecnologie delle relazioni: una via individuale alla socialità”, La società degli individui, n. 44, ottobre
2012, “The contents of typical food products: tradition, myth, memory. Some notes on nostalgia marketing”, in Ceccarelli G., Magagnoli S., Grandi A. (eds.), Typicality in History: Tradition, Innovation and Terroir, European Food Issues, P.I.E. Peter Lang – Bruxelles.
2011 (con Schianchi A.), Scegliere nel tempo di Facebook. Perché i social network influenzano le nostre preferenze, Carocci, Roma
2011, “Food Choice. Beyond the chemical content”, International Journal of Food Science and Nutrition, 1-12.
2009 (con Schianchi A.), Scelte economiche e neuroscienze. Razionalità, emozioni, relazioni, Carocci, Roma
2009, Il cibo flessibile. Nuovi comportamenti di consumo, Carocci, Roma.
2008, Raccontare il consumo. Strumenti per l’analisi, Franco Angeli, Milano.
2007, Il senso del consumo, Bruno Mondatori, Milano.

Contatti: maura.franchi@unipr.it