Skip to main content

Giorno: 16 Febbraio 2014

matrioška-una-nessuna-centomila

Matrioska: una, nessuna e centomila

Da MOSCA – Quando si parla di Russia e di suoi souvenir, una delle prime cose che ci viene in mente è la Matrioška. A ogni amico che mi venga a trovare suggerisco di comprarne qualcuna, ma scegliendole attentamente e con cura, per evitare che finiscano in un solaio o in un cassetto sperduto della casa. Molti di noi ricorderanno quando, da bambini, vedevamo bamboline allineate sui comò delle nonne o delle anziane zie, vestite e impolverate nell’angolino un po’ kitsch. Queste bamboline, vestite diversamente a seconda del paese di origine, souvenir dei viaggi di nipoti e figlie, erano quasi sempre immancabilmente affiancate da altre figurine colorate allineate in rigoroso ordine decrescente, le Matrioške. Lucide, colorate, sorridenti, panciute, dal visetto simpatico e rubicondo.
Quante volte le abbiamo aperte, facendo leggermente scricchiolare il legno, sotto l’occhio attento della nonna che temeva di veder perso l’elemento più piccolo, mentre ruotavamo il busto alla scoperta del contenuto. Eravamo curiosi e aprivamo quel cerchio magico di figure alla ricerca di una sorpresa che c’era sempre. Un po’ delusi, arrivavamo alla fine mentre avremmo voluto che quella ricerca e continua scoperta non finissero mai, o almeno non così presto. Perché i pezzi erano dieci. Solo da grandi avremmo saputo che il numero di bambole inserite l’una nell’altra può variare da 3 a 60, e che il pezzo più grande si chiama “madre” mentre il più piccolo “seme”.
A questo punto, credo sia immediatamente chiaro il significato di questo oggetto tradizionale russo: simbolo di fertilità femminile, famiglia, generosità della terra, la Matrioška (matrëška è il diminutivo – vezzeggiativo di matrëna, diffuso nome proprio russo derivante dal latino mater, madre) è anche un modo per dominare lo spazio, perché contraddice il fatto che uno stesso luogo non possa essere occupato da più di un oggetto, e rimanda alla molteplicità dell’io.
La prima Matrioška, russa è apparsa alla fine del XIX secolo, nel podere Abramtsevo, lungo la strada che porta al monastero di san Sergio di Radoneza, in riva al fiume Vor’, a circa 60 km a nord-est di Mosca. Ci sono due versioni sulla sua origine. Una sostiene che sia nata nell’isola giapponese di Houshu, come giocattolo speciale fatto di molte parti interposte, e che sia stata portata in Russia dalla moglie di un famoso collezionista d’arte, Savva I. Mamontov (1841- 1918). L’altra ritiene, invece, che fu un monaco russo a portare per primo in Giappone l’idea di fare una bambola fuori dal comune. Ma gli artigiani russi le amarono fin da subito e iniziarono a crearle.
Fu l’artista Sergej Maljutin (1859-1937) a disegnare, per la prima volta, una bambola che raffigurava una contadinella dalla faccia rotonda e dagli occhi luminosi, con sarafan e grembiule bianco e i capelli lisci pettinati con cura e nascosti in gran parte sotto un fazzoletto a fiori dai colori vivaci. Aveva in mano un gallo nero. Da allora le decorazioni sono diventate numerosissime: fiori, animali, chiese, icone, fiabe popolari, argomenti legati alla famiglia, capi religiosi e politici.
Il vero segreto di questo oggetto sta nel legno, in genere si preferisce il tiglio per la sua tenerezza. Abbattuto l’albero, se ne toglie la corteccia lasciandone una minima parte per evitare spaccature durante l’essicazione. I tronchi sono lasciati ad asciugare per anni, facendovi liberamente circolare l’aria per evitare muffe. Gli esperti poi sanno capire il momento adatto per realizzare la bambola più piccola della serie, fino alla successiva che dovrà contenerla. Ogni bambola finita viene coperta con colla amidacea e levigata perché possa essere colorata con vernici, fino ad arrivare alle meravigliose creature che si vedono nei negozi più belli di souvenir. Il pezzo più grande può arrivare fino all’altezza dello stesso artigiano.
Dovete sceglierle con cura, perché sono tutte diverse e le fattezze più o meno delicate. Una bella matrioška di dieci pezzi ben dipinti, può costare anche parecchio, ma la sorpresa nel vederle allineate nel vostro elegante e luminoso salone sarà grande, credetemi.
Troverete la famiglia con le bamboline sale e pepe (per far risaltare l’ospitalità delle famiglie russe), il gruppo di quelle che consumano il rito del tè (se una famiglia invita qualcuno per il tè significa che vuole stringere rapporti d’amicizia più stretti con l’ospite), e quelle delle fiabe popolari(dalla gallina dalle uova d’oro a Cheburashka, personaggio di antiche leggende russe, con gli amici Gena il coccodrillo e Starukha Chapoklavak). Vi sono poi le bambole legate alle festività, alle icone e alla città, con lamine d’oro, a tempera e vernice d’argento.
Recentemente è comparsa anche la Matrioška gay con Elton John, Stephen Fry, George Michael e altri, inviata, lo scorso Natale, al Cremlino e all’ambasciata russa di Londra, dall’agenzia creativa Mother, nell’ambito della campagna “To Russia with love”, promossa dalla ONG per i diritti umani Kaleidoscope Trust in risposta alla recente legge russa contro la “propaganda omosessuale”.
Nel 2009, la moda ha portato alla ribalta questa figurina, nelle versioni di Vogue, nelle trousse di Pupa, nel profumo di Kenzo, nelle borse e gli accessori di Chanel. Muji ne ha fatto una versione nera lavagna perché grandi e piccini vi possano disegnare sopra.
Ma se volete riflettere, leggete il libro di Cristina Comencini Matrioska, dove Antonia, scultrice mutevole, invecchiata e appesantita, si abbandona alle righe di una giovane scrittrice impegnata a scrivere la sua biografia. In questo percorso, si apre e si riempie gradualmente un file, chiamato appunto Matrioška, perché Antonia assomiglia ad una bambola russa dai pomelli rossi che ne contiene altre sempre più piccole. In essa vi sono storie, mille ricordi, relazioni.
Se, invece, volete anche sorridere e intenerirvi, vedetevi l’omonimo cortometraggio animato dell’olandese-canadese Jacobus Willem (Co) Hoedeman, del 1970. Quattro minuti, disponibili in rete, di bamboline che danzano, si aprono, si chiudono e richiudono, si piegano e ripiegano, al ritmo di una piacevole musica russa, con la piccolina che rimane sempre un po’ indietro, come il brutto anatroccolo. Salvo che essa sarà sempre al centro e tutti la aiuteranno a restarvi.

Il “premio Irina”, un’occasione per far conoscere talentuosi compositori

da: Elena Muzzani

Spettabile redazione,
desideravo informarvi dell’iniziativa tenutesi il 14 di febbraio presso il Ridotto del teatro comunale di Ferrara, in occasione della consegna del premio “amici di Irina”, sezione di composizione del 2013.
Un premio sotto forma di borsa di studio dedicato e finanziato dalla famiglia di Irina, musicista prematuramente scomparsa, con il patrocinio dell’ANT, che tutti gli anni vede partecipare l’eccellenza del conservatorio di Ferrara.
Si sono tenute diverse edizioni, come ricordava Filippo Scabbia, dedicata a strumentisti under e over 18 anni, ma quest’anno si è tenuta la sezione dedicata alla composizione.
Classe che molto difficilmente trova spazio nelle sede ufficiali e non, per esibirsi e sperimentare nuovi temi e tecniche, preferendo offrire il poco spazio a esibizioni, pur ad altissimo valore in qualità di pianisti o strumentisti, che anche se non ancora del tutto affermati sono bravissimi, ma che presentono programmi coltissimi ma sicuramente classici non intendendo per classici il genere musicale ma diremmo opere collaudate.
Al contrario venerdì pomeriggio con l’aiuto dei ragazzi della classe di canto e quella di musica applicata alle immagini, all’interno di questa cornice speciale, si è un compiuto un piccolo miracolo: scoprire che all’interno della nostra splendida Ferrara ci siano giovani, alcuni molto giovani e altri un po’ meno che dedicano tempo e passione alla musica, attraverso lo studio e la sperimentazione, e che, possano con l’opportunità di esibirsi, ricevere un riscontro effettivo dal pubblico sia composto sia intenditori sia di semplici appassionati e curiosi, consentire loro di verificare e di sprigionare la vera e sana adrenalina.
Il premio lo ha vinto un ragazzo Matteo Forlani studente sia di piano (V anno), sia di composizione, musicista da sempre, che oltre ai suoi pezzi ha suonato brani di altri giovani studenti compositori, suoi compagni di corso e allievi del Maestro Mariani.
Come si intuisce non è tanto la vincita della somma di denaro che ha lusingato a partecipare a questo concorso, ma la possibilità di dare visibilità alle composizioni e di condividere un mondo con altri.
Questi giovani artisti, poi con un po’ di “fortuna” potrebbero contribuire a costruire la colonna sonora della nostra quotidianità.
Ringrazio dell’attenzione
Elena Muzzani

mussolini-duce

Il duce resta cittadino onorario di Ravenna col voto del Pd

Il cavalier Benito Mussolini resta cittadino onorario della rossa Ravenna. Nei giorni scorsi la richiesta di cancellazione dell’atto è stata respinta da una commissione del Consiglio comunale. Tutti contrari ad eccezione di Sel, Movimento 5 stelle e della lista civica “Per Ravenna” il cui capogruppo, Alvaro Ancisi, aveva avanzato la proposta, chiedendo di revocare al duce e a due altri esponenti fascisti (il prefetto Eugenio De Carlo e il ministro Stefano Giuriati) il titolo di cittadini onorari, concesso loro durante il Ventennio. Contrario al provvedimento di revoca anche il Pd.

I bene informati riferiscono che la maggioranza temeva una manovra strumentale. Ancisi – vecchio democristiano anticomunista ma, a quanto pare, anche antifascista! – avrebbe in realtà agito con scopi non dichiarati, ordendo un tranello. L’ok alla ‘destituzione’ del duce si sarebbe trasformato, secondo il presunto piano, in una sorta di grimaldello: aperta la breccia la si sarebbe sfruttata per cercare di abbattere figure storiche dell’epopea comunista celebrate nella toponomastica cittadina.

Un’evenienza avversata dal governo cittadino che, per cautelarsi, ha da tempo blindando le attribuzioni con un regolamento comunale che impedisce modifiche a posteriori. Una normativa che si sarebbe dovuta cambiare anche nel caso in cui si fosse approvata la proposta relativa al duce.

Così l’istanza, per evitare ogni imbarazzo futuro, è stata bocciata dalla maggioranza che fa capo al Pd, con la discutibile giustificazione che la cancellazione della cittadinanza a Mussolini sarebbe equivalsa a una “operazione di revisionismo storico”. Insomma, una perniciosa arrampicata sugli specchi dall’effetto paradossale: stavolta per salvare il bambino (il pantheon di famiglia) si tiene anche l’acqua sporca…

luciano-curreri

Storia di nonna Dolenes e di gente per cui ‘la religione vera era la vita’

Luciano Curreri, nato a Torino nel 1966 e vissuto per molti anni nei dintorni di Ferrara, lavora all’estero, insegna lingua e letteratura italiana all’università di Liège, eppure, quando scrive di Quartiere, la parlata ferrarese sintetizza ancora un pensiero che in altro modo non potrebbe essere detto.
Quartiere non è un quartiere (Amos edizioni, 2013) è un racconto di una terra vicino a Portomaggiore e della sua gente, di una famiglia e di una donna, la nonna Dolenes, che hanno accompagnato Luciano Curreri nella sua crescita. Tutto è ricordo, ma è anche presenza di chi non c’è più, gancio con un passato che non si abbandona.

Il racconto inizia con un volo in deltaplano da cui Curreri vuole guardare il suo paesaggio, quello che da bambino vedeva attraverso una zanzariera. Dall’alto è diverso, ci vuole più coraggio, ma si abbracciano molte più cose.
Curreri, perché il volo e non un altro modo per riattraversare quelle terre?
“Avevo bisogno di riprendere il contatto con un contesto che non era più il mio, il volo è stato come delegare un alter ego che potesse distaccarsi e aiutarmi a ritrovare i luoghi dove ero stato, animati da persone che li rendevano concreti”.
I luoghi sono legati, appunto, alle persone, in particolare alla nonna Dolenes che, nel racconto, è insieme saggezza popolare, focolare, grande maestra, una donna per cui, lei scrive, la religione vera era la vita.
“Mia nonna mi ha insegnato che in ciascuna difficoltà c’è sempre un’opportunità vitale, è una visione del mondo dinamica, proiettata in avanti. Ho ricevuto questa eredità di pensiero trasmessa da una donna che non ebbe una vita facile. Per lei che aveva perso il marito da giovane e non si era mai risposata, un inciampo era cosa da nulla. Riuscì a compiere la sua missione di educazione della figlia e del nipote, io. La religione vera, per lei, era la vita e il suo lavoro era la migliore preghiera che conoscesse. Il volo che ho fatto, quindi, è stato un viaggio per rivedere il territorio dove sono cresciuto e dove non sono riuscito a riportare mia nonna per un suo ultimo viaggio nel 2004, prima che morisse”.
Il racconto è un ricordo del passato che, però, dialoga con un io del presente. In che rapporto sono?
“La memoria, purtroppo, oggi è di plastica e a breve termine. Nel racconto ho tentato di agganciarmi con la memoria a un ricordo vivo e sincero, a una parte di vita vissuta in mezzo a quelle persone. È un ricordo attivo, un omaggio a un mondo che non c’è più in alcune sue componenti, una società fatta di identità non scalfita, di rispetto, di slanci. Oggi sono cambiate tante cose, tutto è illuminato, non c’è più il buio, non c’è più il silenzio”.
Lei parla, a un certo punto, di libertà del lettore. In cosa il lettore è libero?
“Mi sono chiesto se sia meglio un lettore sedotto e affascinato o un lettore libero. Preferisco che l’approccio sia libero, chi legge deve essere libero di riconoscersi in un persorso universale, libero di ricordare a sua volta, libero di leggere Quartiere per frammenti, smontandolo come crede”.
Com’è finito quel volo?
“Mi sono un po’ sporto e sono precipitato giù… a sbiciclettare, a saltare i fossi, con la Dolenes”.

Matteo_Maria_Boiardo

Boiardo, autore dell’Orlando innamorato e formidabile traduttore dei classici latini

MATTEO MARIA BOIARDO
(a 520 anni dalla morte)

Matteo Maria Boiardo (1441-1494) nacque a Scandiano di Reggio Emilia da famiglia nobile, intraprese gli studi classici a Ferrara sotto la guida del nonno Feltrino e, pur ereditando all’età di diciannove anni il feudo avito, dimorò sempre più spesso presso la corte degli Este, per i quali svolse varie missioni diplomatiche. Amò la bellissima Antonia Caprara, a cui dedicò i tre libri degli Amores: il testo lirico unanimemente riconosciuto come il più significativo di tutto il Quattrocento. Ma si sposò con Taddea Gonzaga, alla quale si deve la pubblicazione postuma, nel 1495, della prima edizione integrale della grande opera lasciata incompiuta dal poeta: l’Orlando innamorato.
Oltre al suo celebre capolavoro e agli Amores, il Boiardo scrisse le dieci Ecloghe volgari e le dieci Pastoralia latine, il dramma Timone, i quindici Carmina de laudibus estensium, i trentun distici degli Epigrammata, le traduzioni delle Vite degli eccellenti capitani di Cornelio Nepote, della Ciropedia di Senofonte, della Istoria imperiale di Ricobaldo, dell’Asino d’oro di Apuleio e delle Storie di Erodoto, senza inoltre dimenticare le settantotto terzine dei Tarocchi e le centonovantatre Lettere, una delle quali scritta in latino.
Ma l’opera fondamentale di Matteo Maria Boiardo resta come si è detto l’Orlando innamorato, preceduta dagli Amores (o Amorum libri tres o ancora Canzoniere), una raccolta di sonetti e canzoni fortemente influenzata dallo stile del Petrarca. «Il passaggio dalla lirica petrarchistica al poema epico/cavalleresco – commenta il critico Giuseppe Anceschi – si compie in brevissimo periodo di tempo: su ciò sono concordi i maggiori studiosi di Boiardo. Se infatti si vuole conclusa la stesura degli Amores nel 1476 e già composti i primi ventinove canti del I libro dell’Innamorato a metà del 1478, bisogna dire che in assai breve volgere di tempo il poeta scandianese abbia mutato linguaggio e prospettiva del suo fare poetico».
Costruito su una trama che amalgama liberamente la materia epica del ciclo carolingio con quella amorosa/romanzesca del ciclo bretone, l’Orlando innamorato si sviluppa al di fuori di una struttura programmatica, ubbidendo invece a un costante impulso fantastico. Fa da filo conduttore la storia dell’amore di Orlando per Angelica, intorno alla quale si innestano gli altri amori, le gelosie e le lotte dei cavalieri cristiani e pagani. Il poema si interrompe con il duello fra Ranaldo e Orlando, separati da Carlo Magno che promette Angelica in sposa a quello dei due che combatterà più valorosamente nell’imminente battaglia. Da questo episodio prende le mosse l’Ariosto per la stesura del suo Orlando furioso. I centri geografici della vicenda sono solo apparentemente tali, in quanto essi rappresentano il punto di partenza e di arrivo delle due forze dinamiche: l’amore e la guerra, che disperdono i paladini e i Saraceni in giro per il mondo, in un caleidoscopico avvicendarsi di paesaggi naturali e fiabeschi.

Tratto dal libro di Riccardo Roversi, 50 Letterati Ferraresi, Este Edition, 2013

scultura-parco-universita

IMMAGINARIO
La foto
di oggi

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città e i suoi abitanti.

Scultura nel parco universitario di Ingegneria (foto Roberto Fontanelli) – clicca sull’immagine per ingrandirla

scultura-parco-universita
Scultura nel parco universitario di Ingegneria (foto Roberto Fontanelli)