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Giorno: 23 Febbraio 2014

Svelati i nomi del fantino e dello staffiere di San Giovanni

da: ufficio stampa Ente Palio città di Ferrara

Si comincia a respirare aria di Palio: a poco più di 100 giorni dalla corse del 1 giugno in piazza Ariostea anche la Contrada di Borgo san Giovanni ha svelato le sue prime due carte. Nel corso della “cena dei 100 giorni” il presidente della Contrada della Lince Bendata, Gian Paolo Chiodi, ha presentato il nome del fantino e dello staffiere che vestiranno i colori rosso-blu e correranno per il Palio di San Maurelio e quelli di San Giorgio: si tratta di Sara Zannini, classe 1990, e Francesco Caria che per il secondo anno consecutivo scenderà nell’anello di piazza Ariostea per San Giovanni.
“Francesco è maturo, conosce benissimo gli avversari che correranno contro di lui il primo giugno, conosce le loro potenzialità ed i loro limiti, sa perfettamente a cosa va in contro. – ha spiegato Chiodi – Da oggi entriamo nel periodo più intenso che porta al Palio e già la prossima sarà cruciale per quanto riguarda la situazione cavalli: dal 9 marzo avranno inizio le corse in Toscana e noi seguiremo con attenzione quanto accade.”

Nessun nome ancora è stato fatto però per i candidati e le candidate alle corse dei putti e delle putte. “Per adesso è prematuro dare queste indicazioni, ci piace pensare però che per l’edizione 2014 puntiamo a fare tris – ha dichiarato Marcello Bonati, lanciando il guanto della sfida alle otto contrade avversarie. Se l’impresa riuscisse, sarebbe la quarta tripla che Borgo San Giovanni porta a casa: è già successo nel 1987, nel 1990 e nel 1992, quando la Contrada della Lince Bendata vinse i drappi per le gare delle putte, dei putti e delle asine.

La Porta degli Angeli e le mura di Ferrara: una quotidianità straordinaria e trascurata

da: Arch’è – Associazione Culturale Nereo Alfieri

“Le mura di Ferrara appartengono al centro storico della città, anzi, entro un certo limite, sono il centro della città medesima. Esse non stanno più, come all’epoca di quando ero io ragazzo, quando andare sulle mura rappresentava una specie di avventura, all’estrema periferia dell’abitato. Oggi le cose stanno diversamente, le mura fanno parte del centro storico di una città immensa che, in qualche modo arriva ormai fino al mare”. Con queste parole Giorgio Bassani aveva fatto propria l’intuizione dell’amico Bruno Zevi: le mura di Ferrara sono parte integrante di quel centro storico che delimitano.
Non so quanto noi ferraresi ci rendiamo veramente conto dell’unicità del nostro cenrto storico con i nove chilometri della cerchia muraria che lo proteggono, siamo talmente abituati a viverlo nella quotidianità che per accorgercene avremmo bisogno di allontanarci per qualche tempo, o guardarlo attraverso gli occhi di chi lo vede per la prima volta o ritorna dopo una lunga assenza. Capita che alla Porta degli Angeli sostino, complice la chiusura al lunedì dei musei civici e statali, visitatori mandati dall’ufficio turistico, da qualche albergatore o ristoratore; alcuni a piedi, percorrono il bassaniano corso Ercole I d’Este “diritto come una spada dal Castello alle Mura degli Angeli”, entrano nella Porta, percorrono il ponte fino al rivellino e salgono sulla torre. Se non piove alcuni vogliono sapere cosa visitare sulle mura e allora è d’obbligo segnare su una pianta di Ferrara il percorso per andare al cimitero ebraico, avvertirli che non si entra dal grande portone con la stella di David, sempre chiuso, ma bisogna suonare al campanello della vicina casetta del custode; altri arrivano in bicicletta e chiedono notizie delle mura.
Ed è ora che ci rendiamo conto che lungo il circuito delle mura manca qualche cosa a cui eravamo abituati. Dove sono finiti i tanti pannelli, chiari ed esaustivi, che erano collocati lungo l’intero circuito delle mura e del sottomura di Ferrara? Col tempo sono diventati illeggibili, parecchi sono stati divelti e di alcuni rimangono gli scheletri lasciati ai margini dei sentieri e delle piste ciclabili. Erano un anticipo del Parco Archeologico e del Museo diffuso delle mura di Ferrara, progettato negli anni ’90 e mai realizzato, un progetto che coinvolgeva anche la Porta degli Angeli da poco restaurata. E allora viene da pensare che anche nella nostra bella Ferrara, quello che è prioritario è solo il “qui ed ora” e non il mantenimento di quello che in passato si è fatto di buono e che non paga a livello d’immagine. Ma forse mi sbaglio.
Continua fino al 30 aprile, quando scade la convenzione con la Circoscrizione1- Comune di Ferrara, l’iniziativa “PortAperta tutti i lunedì” a cura di Arch’è Associazione Culturale Nereo Alfieri, per visita gratuita al monumento storico. Sono a disposizione schede illustrative della Porta e del circuito delle mura. Orario:10.30/12,30 e 14.30/ 16.30.

Silvana Onofri, Presidente di Arch’è Associazione Culturale Nereo Alfieri

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Giuseppe Vancini, Segretario Generale di Confartigianato, si esprime sul Governo e sulle amministrative

da: Giuseppe Vancini, Segretario Generale Confartigianato

Il programma del nuovo Governo è estremamente ambizioso. Come Confartigianato, a meno di una settimana dalla mobilitazione che lo scorso 18 febbraio ci ha visto a Roma, con Rete Imprese Italia, con 500 imprenditori ferraresi per chiedere definitiva attenzione al nostro mondo, non possiamo che augurarci che almeno buona parte degli obiettivi venga raggiunta e che vengano immediatamente raccolte le istanze che abbiamo portato alla capitale. Ci aspettiamo che vengano affrontati i nodi cruciali delle riforme del Paese, da quella costituzionale al lavoro al fisco – con un ritorno di possibilità di accesso al credito per dare liquidità alle imprese, soprattutto le piccole e medie che diversamente muoiono – passando per la pubblica amministrazione e la semplificazione, perché non possiamo più permetterci ritardi. Vogliamo avere fiducia, consapevoli che un atteggiamento distruttivo e disfattista sarebbe dannoso per tutti. Questo non significa che non abbiamo forti perplessità. La prima, un ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, che ancora una volta proviene dal mondo dell’Università. Abituato a svolgere ruoli certamente importanti e prestigiosi a livello internazionale, in cui però si tratta soprattutto di massimi sistemi, senza entrare nei particolari, indispensabili invece nella farraginosa macchina statale. Ancora, abbiamo ministri giovanissimi, di cui non sono in discussione le capacità e le competenze, semmai l’esperienza istituzionale. Il dubbio, legittimo, è che dovranno fare troppo affidamento sui tecnici dei dicasteri, gli stessi che difendono l’apparato burocratico ingessato. Come Confartigianato, rimaniamo in attesa, che non è l’attesa dello sbaglio, ma l’attesa delle soluzioni. Oggi le prese di posizioni ideologiche vanno gettate. Il tempo delle critiche e degli ostacoli è finito. Il Paese e il territorio sono piegati. Per questo confidiamo nel fatto che questo nuovo Governo, una volta ottenuta la fiducia delle Camere, possa fare in poco tempo quel che altri hanno fallito e che il termine responsabilità, da tutti invocato, venga riempito del suo significato più vero. In questo contesto, nell’imminenza delle amministrative ferraresi, come Confartigianato ribadiamo la nostra disponibilità a costruire tutti assieme una proposta di rilancio a misura di territorio, senza che questa, come avveniva in passato, ci venga somministrata dall’alto, senza confronti, al termine della campagna elettorale. Perché il ruolo degli imprenditori è fondamentale. Dalla loro presenza e sopravvivenza e, ci auguriamo presto, nuova crescita, dipende la qualità della vita di molte famiglie. Anche sul nostro territorio, se vogliamo davvero fare ripartire l’economia, servono metodi nuovi e velocità.

Giuseppe Vancini, Segretario Generale Confartigianato

Il Rione di San Benedetto presenta i suoi campioni per il Palio 2014

da: ufficio stampa Ente Palio città di Ferrara

Il Rione di San Benedetto, con in prima fila il Presidente Lorenzo Linoso, ha presentato i suoi campioni per le gare del Palio di Ferrara 2014, che si correranno in Piazza Ariostea il 1 giugno prossimo.
Sfideranno gli avversari con la casacca bianco-azzurra Dario Berveglieri (1998)– per la gara dei putti – ed Eleonora Malossi (2000) – per quella delle putte, entrambi atleti dell’Atletica Estense ed entrambi già veterani del Rione.
Sul somaro correrà ancora per la Contrada “del Diamante” Laura Zanghirati – con un nuovo asino – e per il Palio di San Giorgio è stato ingaggiato Jonathan Bartoletti, detto “Scompiglio”.
Nato a Pistoia nel 1981 ha corso 10 volte a Siena, vantando il primato (condiviso con soli nove fantini nell’ultimo secolo) di averlo vinto all’esordio in Piazza del Campo nel 2007, nel 2012 ha bissato il successo su Lo Specialista.

“Per noi della Contrada di San Benedetto – ha detto Linoso – il Palio è quello che si corre in piazza Ariostea e noi, come sempre, ce la metteremo tutta per uscire vincitori dall’anello. Per questo stiamo seguendo tre cavalli in particolare: abbiamo intenzione di presentare due prime scelte quest’anno, puntiamo sempre in alto.”
Un pensiero è ovviamente andato ai fatti dello scorsa maggio, quando San Benedetto vide “soffiarsi” sotto il naso il Palio delle corse dei cavalli da Borgo San Giacomo, in una vittoria contestata assegnata solo dopo la visione dei filmati di Telestense. “L’anno scorso siamo rimasti con l’amaro in bocca e speriamo che vengano prese decisioni importanti per la prossima edizione. – ha spiegato Linoso – Credo che sia la nostra gente che la gente di San Giacomo si sia comportata in maniera esemplare in una situazione di stallo come quella che si era creata all’arrivo dei cavalli, ma sarebbe necessario che il traguardo venisse segnato in maniera netta, in modo da non generare confusione e dubbi.”

Sentiti ringraziamenti sono andati a quanti danno il loro tempo e la loro passione nella Contrada e – in particolare – al Presidente di Circoscrizione Stefano Calò che, come i suoi predecessori, è stato sempre presente a fianco del Rione bianco-azzurro. “Questo messaggio resterà fra noi, probabilmente, non arriverà al Quirinale – ha spiegato il Presidente della Contrada – ma le circoscrizioni in questi anni hanno fatto tanto per le contrade e noi sappiamo di aver dato tanto al territorio. E’ quasi un controsenso che debbano scomparire a breve, sono un punto di riferimento importante per i cittadini.”

Ultimo spunto la necessità di restituire a tutte le manifestazioni legate al Palio di Ferrara la centralità che meritano. “E’ riduttivo che le gare delle bandiere e i giuramenti, tanto per elencarne un paio, debbano andare a traino del Palio di piazza Ariostea: forse è necessario un cambio di rotta, una distribuzione diversa delle iniziative nel tempo per poterle valorizzare al meglio.”

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C’è uno sbirro in città: con Lorenzo Mazzoni Ferrara diventa noir

Indagine dopo indagine, la storia dello sbirro Pietro Malatesta non si ferma e il prossimo libro di Lorenzo Mazzoni sarà al Salone del Libro di Torino a maggio. Come nella migliore tradizione di noir e polizieschi, la serialità del personaggio e l’ambientazione metropolitana formeranno l’ossatura anche del Malatesta in uscita in primavera. Si tratta, questa volta, del sequestro di una personalità politica a cui Malatesta dovrà dedicarsi. Un altro caso, il quarto, per il poliziotto “anarchico” creato dallo scrittore ferrarese che è anche reporter, collaboratore de “Il fatto quotidiano” e vincitore del premio “Liberi di scrivere Award” con Apologia di uomini inutili.
In linea con la struttura dei romanzi noir, nelle storie di Mazzoni, le indagini e i crimini sono l’elemento più evidente della narrazione, ma non l’unico. Sottotraccia un universo di valori e approfondimenti che riguardano l’uomo oltre il personaggio.

Mazzoni, che uomo è Malatesta e in quale Ferrara vive?
“Il genere poliziesco dà la possibilità di andare oltre l’indagine, di parlare e far parlare. Ferrara ha tutti i presupposti per essere una delle città più belle del mondo, se non fosse per una certa mediocrità, per un certo modo modesto di condurre le scelte che si riflettono sulla vita pubblica. Pensiamo all’ospedale di Cona, al caso Aldrovandi, alle scelte urbanistiche del Darsena city, ai cinema del centro storico. Mi piacerebbe che i lettori di Malatesta capissero che ci sono anche belle persone, c’è un’umanità della strada, che è quella dove bazzica Malatesta, un uomo delle istituzioni, ma sui generis, perché le istituzioni, lui, le combatte da dentro. Malatesta è un ex teppista, uno che ha fatto vita di strada e gira in bicicletta per la città”.

La sua opera è stata definita un “noir solare”, perché?
“Mi piace lavorare sul grottesco e sulle contraddizioni. Malatesta è ironico e simpatico, la sua famiglia non è convenzionale, vive con la madre, una ex moglie e il suo boy, un figlio… insomma, una composizione un po’ atipica che fa sorridere”.

Malatesta e l’amore?
“Nel terzo libro si parla d’amore, per il resto Malatesta è un solitario, un uomo abbastanza frantumato”.

Nei suoi romanzi, Ferrara non è solo l’ambientazione, ma è anche una lingua, un modo di pensare, una cultura ben precisa.
“I miei libri sono farciti di ferraresità, c’è la multietnicità di via Oroboni, c’è una connotazione precisa delle strade e dei quartieri, c’è, inoltre, il dramma del terremoto che è diventato un libro della serie. E poi il dialetto, la Spal e la memoria di Federico Aldrovandi da cui tutto è partito”.

Continuerà Malatesta?
“Eccome. Dopo il prossimo lavoro con cui sarò al Salone del Libro di Torino, vorrei raccontare la Spal, farle un tributo attraverso Malatesta e la sua vicenda”.

Dopo aver raggiunto con le prime tre indagini i quindicimila lettori, Malatesta. Indagini di uno sbirro anarchico – Termodistruzione di un koala, edizioni Koi Press 2013, è l’ultimo romanzo di Lorenzo Mazzoni, illustrazioni di Andrea Amaducci.

Sipario sulle Olimpiadi invernali: atleti in mostra

Sipario sulle Olimpiadi Invernali, atleti in mostra

Da MOSCA – Oggi si chiude il sipario sui giochi Olimpici invernali di Sochi 2014 e con essi la Mostra “La Russia alle Olimpiadi” del Moscow Multimedia Art Museum (MAMM) allestita, per l’occasione, dal 6 al 23 febbraio. Termina anche il nostro Focus Russia, il che non significa che non scriveremo più di questo Paese pieno di curiosità, bellezze, sfide e contraddizioni, ma che, semplicemente, non lo faremo con una frequenza giornaliera, come avvenuto in occasione di Sochi. Com’è giusto che sia.

Dicevamo, si chiude oggi, a Mosca, la mostra dedicata alla storia della partecipazione russa alle Olimpiadi, al MAMM, uno dei musei più chic della città, diretto dalla regista e critica d’arte Ol’ga L’vovna Sviblova, dal 2010 alla testa di questo modernissimo museo multimediale (ex Casa della fotografia, fondata da lei stessa nel 1996) e, nel 2011, definita dalla rivista ArtChronika come una delle tre persone più influenti dell’arte russa. Nelle sale del primo piano del Museo, al numero 16 dell’elegante via Ostozhenka, possiamo ammirare una serie di scatti ironici e divertenti, ma anche tormentati e sofferti. Come quelli di Anato’ly Gara’nin, impegnato a fermare il lancio del giavellotto di Alexandra Ciu’dina, o del sorriso di Misha, la mascotte delle Olimpiadi di Mosca 1980, di cui abbiamo parlato nel primo articolo del Focus. In un’intervista rilasciata all’inaugurazione della stessa Mostra, la Sviblova, ha spiegato che “dalla metà anni ’30, quando subentrano il realismo socialista e le sue regole ferree, lo sport diventa un territorio di libertà, dove l’uomo con il suo corpo può raggiungere quello che, in genere, sembra impossibile. Era terribilmente interessante mostrare quello che i nostri fotografi hanno saputo fare. A cominciare da Lev Borodulyn che, subito dopo la guerra, prende il testimone da Rodchenko in questa staffetta del liberty e che, ancora ai tempi dell’Urss, in un Paese chiuso, vince tutti i premi internazionali, possibili e impossibili”.

Il movimento olimpico in Russia si è sviluppato e consolidato a partire dal XX secolo. Nonostante gli sforzi di appassionati come il Generale Alexei Dmitrievich Butovsky (amico personale del barone de Coubertin e primo membro russo del Comitato Olimpico Internazionale – CIO) o il Conte Georgy Ivanovic Ribopier, che gli successe al CIO, la partecipazione iniziale ai Giochi Olimpici da parte dei rappresentanti russi fu principalmente a iniziativa di privati​​. La carta del Comitato Olimpico russo è stata ratificata nel 1912, grazie a sostegno e finanziamenti statali. La Russia è stata rappresentata alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912 con ben 178 atleti, all’epoca una delle squadre più grandi. Dopo il 1912 non vi fu alcuna ulteriore partecipazione, fino ai Giochi Olimpici di Helsinki del 1952, questa volta da parte di un team sovietico. In quei giorni veniva istituito il Comitato Olimpico dell’URSS riconosciuto dal CIO. L’interesse per i successivi Giochi è stato notevolmente rafforzato da quest’ affiliazione tra il Paese e il movimento olimpico. Per l’URSS, la partecipazione ai Giochi era un potente fattore politico e ideologico. I successi dello sport sovietico erano diventati parte dell’ideologia di massa, un oggetto di meritato orgoglio nazionale sullo sfondo della complessa storia del paese. Le immagini scattate da importanti fotografi sono di grande rilievo e interesse, proprio per la scala di questi eventi, capaci di rendere la storia dello sport visibile, catturando record mozzafiato, volti di campioni ed emozioni di tifosi. I volti dei vincitori delle medaglie alle Olimpiadi di Helsinki del 1952, come quelli di Yuri Tyukalov (vogatore), di Viktor Chukarin (ginnasta, vincitore di quattro medaglie d’oro) e di Maria Gorokhovskaya (ginnasta), sono diventati famosi in Russia, grazie al fotogiornalismo di Anatoly Garanin (filmati di RIA Novosti, l’agenzia d’informazione russa). Le fotografie degli inviati speciali Dmitri Kozlov, Boris Málkov, Leonid Lorensky, Yuri Somov, Dmitri Donskoi e Sergei Ilyin mostravano i momenti più suggestivi di gare in diverse discipline sportive: sci di fondo, ginnastica  scherma, biathlon, hockey su ghiaccio e pattinaggio artistico. Scatti di pattinatori e di giocatori di hockey, così come quelli delle medaglie d’oro vinte alle Olimpiadi invernali del 1956, 1964, 1968, 1972, 1976, 1984, 1988 e 1992, segnavano l’apoteosi del successo dello sport sovietico. Come nell’antica Atene, il paese doveva conoscere i nomi e i volti dei suoi eroi nazionali. Classici della fotografia sovietica, come Dmitri Baltermants, Alexander Abaza e Lev Borodulin (al quale, peraltro, il MAMM ha recentemente dedicato una retrospettiva), si distinguevano per le sottili sfumature psicologiche che riuscivano a dare ai loro ritratti di sportivi e di momenti sportivi critici. Le Olimpiadi di Mosca del 1980, se pur boicottate dagli Stati Uniti a causa dell’Afghanistan, hanno portato le prime immagini a colori.

La Mostra presenta tutto questo. Da allora atleti, immagini e riprese video si sono estremamente evolute, ma il grande orgoglio nazionale ne ha sempre fatto da sfondo imponente. A Sochi le polemiche sono state tante e, ora come allora, varie forme di boicottaggio hanno messo in discussione il vero spirito di queste celebrazioni, ossia lo sport e la sua forza, la sua capacità di coesione, la sfida ai propri limiti personali, la voglia di vincere e vincersi. Con la chiusura dei giochi di Sochi non finiranno sicuramente le polemiche, ma almeno avremo visto tanto bello sport.

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Il salotto di Ravegnani dove passava l’élite della cultura italiana

GIUSEPPE RAVEGNANI
(a 50 anni dalla morte)

Giuseppe Ravegnani (1895-1964) si laureò in Giurisprudenza a Ferrara, dove diresse la Biblioteca Ariostea per oltre un decennio. «Da giovanissimo esordì come poeta e fu tra i protagonisti della vita letteraria italiana, – scrive Eligio Gatti nella presentazione agli Atti della giornata di studi tenutasi a Pavia il 6 dicembre 1995 – nel vivace ambiente ferrarese di Govoni e De Pisis, raccolto, tra il 1914 e il 1925, intorno alle riviste “Vere Novo” e “Poesia e arte”; e in seguito intorno alla terza pagina del “Corriere Padano” di Nello Quilici. Trasferitosi a Milano, nel secondo dopoguerra sarà per molti anni redattore letterario della rivista “Epoca” e condirettore, con Alberto Mondadori, della collana di poesia “Lo specchio”. Fu direttore del “Gazzettino” e della “Gazzetta di Venezia”, critico letterario del “Resto del Carlino”, della “Stampa”, del “Giornale d’Italia”, e collaboratore di numerose altre riviste», nonché autore di traduzioni dal catalano, dallo spagnolo e dal francese.
Fra le sue opere di poesia, prosa e saggistica, sono da ricordare: Quattro parole sole (1914), I canti del cuculo (1914), Io e il mio cuore (1916), Sinfoniale (1918), Le due strade: poesie 1918-1920 (1921), Contemporanei (1930), Annali delle edizioni ariostee (con G. Agnelli, 1933), Quaderno (1939), Uomini visti. Figure e libri del Novecento (1914-1954) (premio Viareggio, 1955).
Racconta il famoso musicista e compositore Luciano Chailly, nipote di Ravegnani, che da ragazzo vide sfilare nello studio/biblioteca di casa (in via Palestro a Ferrara) del celebre zio molti fra i più importanti scrittori del Novecento italiano: Eugenio Montale, Salvator Gotta, Corrado Govoni, Riccardo Bacchelli, Giuseppe Ungaretti, Dino Buzzati, Lanfranco Caretti e altri ancora. «Qualche anno dopo la sua morte – rammenta ancora Chailly – lo ricordai artisticamente inserendo nell’Ode a Ferrara per coro e orchestra (che fu eseguita a Santa Cecilia) alcuni suoi versi assieme a quelli dedicati a Ferrara da Carducci e da D’Annunzio. Ma il suo vero volto, specchio di dedizione e di bontà, il suo occhio azzurro pronto sempre a scrutare, ad amare e a perdonare, il suo passo dinoccolato quasi un segno di pazienza, di rassegnazione, continuarono a vivere per me, con la gelosia di una realtà sognata, nel Salone napoleonico della Pinacoteca di Brera in Milano, per l’ultima volta vicino a lui, mentre le musiche risuonavano (per concludere con i Suoi versi) “al di là d’ogni eco di memoria, sotto un arco di cielo appena nato, nelle azzurre navate della notte”».
La sola ombra nella vita integerrima di Giuseppe Ravegnani è data dalla spiacevole vicenda che lo coinvolse all’epoca dell’emanazione delle leggi razziali, quando ingiunse al giovane ebreo Giorgio Bassani di abbandonare per sempre le sale della Biblioteca Ariostea. L’episodio è riportato nel romanzo Il giardino dei Finzi-Contini.

Tratto dal libro di Riccardo Roversi, 50 Letterati Ferraresi, Este Edition, 2013

italia-oggi-ancora-un-attrazione-per-un-tedesco

L’Italia, oggi, è ancora un’attrazione per un tedesco?

Scrivere, oggi, che l’Italia è un Paese che genera attrazione in un tedesco, davvero non è facile. Nonostante tutte le turbolenze politiche ed economiche in cui si ritrova sballottata, e nonostante i rapporti piuttosto tesi, ufficiali e non, fra i due Paesi, personalmente non ho ancora perso la voglia di essere fedele ad un vecchio amore… forse amore è troppo, diciamo grande simpatia.

Mai imparar l’italiano
una lingua che suona
come se generasse
un uomo migliore.

Blu e verde acqua son le parole
e in ogni “o”
luminoso un frutto si nasconde.

Non erro
per proteggermi dalle illusioni.

Preferisco persone
che limitatamente solo comprendo.

Incomprensioni,
una più bella dell’altra
quasi fossero arie musicali.

Rainer Malkowski (1939 – 2003) – (Trad. di Laura Melara Dürbeck)

Tutte le migliori qualità che attraggono un tedesco si ritrovano in questa “poesia”: la meravigliosa e sensuale lingua italiana; il paese dei sogni, delle illusioni, dell’opera lirica. Ma, ormai da molti anni, ho anche imparato che un tedesco non capisce mai veramente tutto ed in tutti i sensi dell’Italia e degli Italiani. Ci sono sempre pregiudizi, diagnosi sbagliate, equivoci.

Impressioni molto simili a quelle cantate dallo scrittore e poeta Malkowski, erano già state espresse decenni prima da altri tre altri filosofi tedeschi, che personalmente ho stimato sempre:

“Quando un tedesco entra in Italia, fa quasi sempre un ingresso falso. Ha desideri ed immagini distorte, almeno troppo unilaterali. Così non può vedere la vita reale nel paese e capire niente, o quasi niente, del paese italiano. Il Paese sembra poroso e allo stesso tempo chiuso. Tutto sembra possibile ed impossibile […]”.

Così scriveva il filosofo tedesco Ernst Bloch in un testo del 1925. Un concetto quasi identico si trova in una frase di Walter Benjamin, altro intellettuale tedesco di quell’epoca pre-fascista: “L’Italia è il paese della porosità, dell’indolenza e della passione per l’improvvisazione.”

Alfred Sohn-Rethel, anche lui un filosofo vicino alla Scuola di Francoforte, ha scritto nel 1926 un breve saggio intitolato Das Ideal des Kaputten (L’ideale della cosa rotta) dedicato a Napoli: un napoletano “si interessa ad una cosa tecnica solo quando è rotta. Una riparazione finale per un napolitano è una cosa orrenda, impensabile […]”.

E con queste tre suggestioni, abbiamo già un bel po’ di materiale per una buona riflessione, e per poter dire se l’Italia eserciti ancora o meno una certa attrazione per uno straniero.
Un tedesco, un teutonico puro, può amare e temere al tempo stesso la cosiddetta cultura italiana per la sua porosità, la sua imprevedibilità, la sua passione per l’improvvisazione e la sua, forse involontaria, capacità di riparazione le cose rotte.

Per non generalizzare troppo, non parlo di un tedesco qualsiasi ma di me. Sono nato nel 1950, nella parte estrema del nordovest tedesco, dove la terra è pianeggiante e costellata di fattorie (o perlomeno era cosi sessant’anni fa). La mia infanzia odorava di stallatico. Al centro del nostro villaggio, c’era ancora un fabbro che ferrava i cavalli. Nei miei ricordi d’infanzia si sente un po’ il profumo del primo Novecento, ma soprattutto il fetore del nazismo finito cinque anni prima.

Tutto era molto semplice, provinciale e soprattutto molto chiuso rispetto a ciò che succedeva nel mondo. Dell’Italia si sapeva solo che la capitale era Roma e che il Papa viveva in Vaticano. Il Papa di allora, Pio XII godeva di una grande autorevolezza nel mio ambiente familiare. E questa “autorità” parlava Italiano o Latino, ma non tedesco. La regione dove ho trascorso l’infanzia era molto cattolica, quasi una Bassa Padana ai tempi di Don Camillo, ma senza Peppone. Ma, in quella parte della Germania nord – occidentale, è nato anche Rolf Dieter Brinkmann, un poeta del cosiddetto “Underground of the sixtees” che ha scritto, tra le altre cose, Rom. Blicke tradotto in Italiano Roma. Sguardi un diario – un pò surrealistico, talvolta pazzo – su un suo soggiorno a Roma, in cui sferra un acceso attacco alla cultura italiana. Il mio punto di vista sull’Italia è ben diverso, più benevolo, e questo lo devo a mia madre che ha sempre disprezzato Brinkmann e che provava un grande amore per l’Italia, per le sue virtù, la sua storia, l’arte e la cultura; è grazie a mia madre, quindi, che ho provato fin da bambino una grande attrazione per il Bel Paese… oggi un po’ meno, ma la sento ancora.

Mia madre, all’inizio degli anni ‘30, frequentò una scuola cattolica di economia domestica, assieme ad alcune sue amiche, a Vicarello, un paesino sul lago di Bracciano. Da allora, faceva spessissimo riferimento a quel periodo trascorso nello sconosciuto “Sud”. Deve essere stato un periodo felice, a vedere le foto-ricordo e a sentire i racconti di quei mesi trascorsi così lontano! Molte vicende della vita di mia madre sono state evidentemente tristi, e solo raccontando della sua breve permanenza sul lago di Bracciano, s’illuminava di gioia! Quell’esperienza, tanto lontana nel tempo, aveva costituito per lei una sorta di “speranza di felicità”. Forse quella “speranza di felicità” era più che altro un’illusione, un’attrazione costruita sulle sabbie mobili, un ingresso falso e poroso per entrare nel Paese Italia (e forse è così anche per me). Oggi lei non c’è più, ed io ho ricevuto da lei quell’eredità italiana, che non è un’eredità materiale ma mentale e preziosa.

Ecco, quel tipo di attrazione per l’Italia in me c’è ancora, ma ha perso non poco della sua “speranza di felicità”. Rimane certo il fascino per il patrimonio dei beni culturali sparsi per l’Italia… ma anche di quelli che si trovano in Europa, di più… nel mondo! Ciò che sottrae forza attrattiva all’Italia è il livello bassissimo della maggior parte delle trasmissioni televisive, gli eccessi del consumismo che si erge a nuova religione, ecc. Devo ammettere, però, che questi sono fenomeni che non esistono solo in Italia, ma più o meno anche negli altri paesi europei, e anche in Germania, Paese apparentemente tanto sano, pulito, ben ordinato, e privo di corruzione. Anche la Germania di oggi, ammirata (o temuta) per la sua forte economia e le stabili strutture politiche, ha le sue ombre e debolezze.

Sono entrato in Italia col “vento rosso” degli anni sessanta-settanta. Ad Hannover, dove ho studiato, durante le manifestazione politiche cantavamo canzoni antifasciste come “Oh, Bella Ciao” e “Bandiera rossa”. Abbiamo letto i primi libri di Massimo Cacciari e di Rossana Rossanda sulla lotta della classe operaia. Apprezzavo gli scritti di cattolici di sinistra come Don Mazzi a Firenze, Don Franzoni a Roma o Don Milani a Barbiana. Sandro Pertini è stato per me, idealmente, il “nonno” che avrei desiderato. Giorgio Bassani non è stato il padre preferito – per carità – ma sicuramente uno scrittore molto stimato. Il romanzo di Ferrara mi ha così profondamente colpito che, appena ne ho avuto la possibilità, ho acquistato a Ferrara un piccolo appartamento, in un palazzo dentro la mura. Adesso, è tredici anni ormai che sono molto legato a questa città estense, dove spesso ritrovo un po’ il profumo e la luce della mia infanzia. Anche noi, in Bassa Sassonia, abbiamo la nebbia autunnale. Anche da noi il paesaggio è un po’ simile a quello che si trova lungo il Po: un paesaggio basso, senza colline e tante nuvole verso l’orizzonte. Durante l’infanzia e la gioventù, anche per noi la bici era il mezzo principale per spostarsi. La chiesa si trovava al centro del paese e delle piccole città. Ma c’è di più: attraverso i miei amici ferraresi, ho scoperto anche che una cultura borghese in Germania, dopo il fascismo, è quasi del tutto sparita: liberale o di sinistra che fosse, comunque antifascista, quella ereditata nel dopoguerra è stata ben definita da Mario Pannunzio, il fondatore dell’Espresso, come “progressiva in politica, conservatrice in economia, reazionaria nel costume”. Qualcosa di profondamente diverso dal nobile spirito borghese che ha animato l’esperienza azionista italiana dalla quale, nel mio impegno civile d’oggi, ho imparato molto.

Credo profondamente che la cultura in genere, ma anche la cultura politica italiana, abbiano avuto ed abbiano ancora, una certa attrattiva per gli stranieri, nonostante i fenomeni oscuri “all’italiana” molto conosciuti in tutto il mondo. Per citare solo una delle forze più importanti, che si distinguono e che si ergono nel panorama della crisi della democrazia rappresentativa e del cosiddetto Welfare State, scelgo il volontariato italiano, politicamente forse un po’ incerto, ma con una grande volontà di fare qualcosa, sia a livello locale sia a livello mondiale; la forte presenza degli italiani nelle reti delle Ong in tutto il mondo, ne è la dimostrazione, e rappresenta un segno significativo e confortante.

Ma forse sbaglio in tutto…

Non erro
per proteggermi dalle illusioni.

Preferisco persone
che limitatamente solo comprendo.

Incomprensioni,
una più bella dell’altra
quasi fossero arie musicali.

Un ringraziamento particolare ad Antonella Romeo, la traduttrice della brano, e autrice del libro La deutsche Vita

GERMOGLI
l’aforisma
di oggi…

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…
 
“Pensa da uomo d’azione e agisci da uomo di pensiero” (Henri Louis Bergson)

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IMMAGINARIO
La foto
di oggi

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città e i suoi abitanti.

Aria di primavera (foto di Aldo Gessi) – clicca sull’immagine per ingrandirla

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Aria di primavera (foto di Aldo Gessi)