Skip to main content

Giorno: 5 Aprile 2014

Anselmi sul turismo culturale: “Ferrara deve crescere, l’obiettivo è fare sistema”

da: ufficio stampa Comitato per Vittorio Anselmi, candidato Sindaco di Ferrara

Secondo i dati recentemente diffusi dal Ministero dei Beni Culturali, relativamente alle presenze registrate presso musei, monumenti e aree archeologiche nazionali, Ferrara è presente nella top ten dell’Emilia Romagna solamente con l’Abbazia e il Museo di Pomposa che si piazza al terzo posto, sia come numero di visitatori che come incassi annuali.
Vittorio Anselmi, candidato sindaco del centrodestra, interviene su questi dati.
“Quelli evidenziati dal Ministero non sono numeri confortati per Ferrara, considerato il l’altissimo valore storico, artistico e naturalistico del suo territorio che vanta un centro storico rinascimentale e il Delta del Po certificati come gioielli dall’Unesco. Ravenna, per esempio, conta ben 4 siti tra i più visitati, la provincia di Parma 3. Più in generale l’Emilia Romagna è ancora indietro in questo settore, pensiamo che la nostra regione incassa complessivamente 1 milione 397mila euro, praticamente niente in confronto con i quasi 55 milioni del Lazio, i 29 milioni della Campania e i 24 della Toscana.
Tenuto anche conto del futuro ruolo dei sindaci dopo il taglio delle province – sottolinea Anselmi -, occorre studiare delle strategie per ottenere un peso turistico maggiore per questi luoghi e soprattutto conferire a Ferrara una sua specifica identità culturale che ora manca, come confermano questi dati. In che modo? Investendo nella promozione, in Italia e all’estero, acquisendo in Regione un ruolo maggiormente preponderante come città a vocazione artistica, e soprattutto iniziando a far sistema, per fare in modo che i turisti che transitano nelle zone limitrofe e in Riviera, siano invogliati a spostarsi di qualche chilometro per visitare una città d’arte come la nostra. Il Museo Archeologico di Ferrara, tanto per fare un esempio, è uno dei primi in Italia per quanto riguarda l’arte etrusca, eppure non figura nemmeno tra le eccellenze regionali in termini di presenze. Occorre inoltre ipotizzare una nuova vita per il Castello Estense che, per la sua straordinaria bellezza, non può continuare a vivere come sede amministrativa. Dopo il nostro annuncio nel corso della mia presentazione, ho letto di altre liste interessate a valorizzare maggiormente questo simbolo della città: mi ha fatto piacere perché credo che ciò rappresenti un desiderio diffuso in città e su cui non vogliamo il copyright. Avanzo quindi una proposta: chi è realmente interessato alla riqualificazione artistica e culturale del Castello sottoscriva un impegno preciso già da ora, in campagna elettorale – ha specificato il candidato sindaco -, perché sia poi attuata da chi dovrà governare la città nei prossimi 5 anni”.

Backup di una piazza: workshop video ad Area Giovani

da: Listonemag.it, responsabile comunicazione progetto Backup di una piazza

Martedì 8 aprile inizia il laboratorio di videomaking per raccontare le storie del Listone

Un workshop di videomaking per realizzare filmati dedicati alle persone che frequentano piazza Trento e Trieste. L’associazione Listone – nell’ambito del progetto Backup di una piazza, vincitore del bando regionale “Giovani per il territorio” – invita i ragazzi ferraresi interessati alla produzione audiovisiva a mettersi alla prova in un interessante e originale percorso tra tecnica e narrazione.

Il workshop, gratuito e aperto a tutti, si svolgerà dall’8 al 22 aprile in collaborazione con il centro Area Giovani di Ferrara. È finalizzato alla realizzazione di tre filmati che descrivano la piazza cittadina, più specificatamente: alle persone che in piazza passeggiano, si ritrovano, chiacchierano, lavorano. Musicisti, spazzini, studenti, umarell, l’ispirazione può nascere dagli spunti più originali ed eclettici, il tutto per rappresentare un percorso narrativo della piazza e dei suoi frequentatori. Il workshop si articolerà in tre incontri che si svolgeranno presso il centro Area Giovani, in via Labriola 11, il martedì pomeriggio dalle 18.30 alle 20.30. Gli incontri sono volti alla definizione, in modo partecipato, delle storie che si trasformeranno in filmati, in seguito si procederà alle riprese e al montaggio.

I lavori saranno coordinati dai videomaker della redazione di Listone Mag: Elena Mattioli e Flavio Perazzini, impegnati nel collettivo artistico Lele Marcojanni, e Andrea Bighi, autore del suggestivo timelapse “Teatro Verdi”realizzato lo scorso ottobre in occasione della riapertura temporanea del Teatro Verdi di Ferrara.

I filmati realizzati saranno pubblicati online sul sito di Listone Mag (www.listonemag.it) e inseriti all’interno della speciale sezione dedicata al progetto Backup di una piazza (www.listonemag.it/backup) dove presto saranno pubblicati i materiali raccolti e realizzati: immagini e filmati storici relativi alla piazza, interviste, fotografie e video realizzati dalla redazione per documentare in presa diretta la vita dei ferraresi che ogni giorno vivono la piazza.

Per informazioni sul workshop è possibile rivolgersi agli operatori del centro Area Giovani, telefonando al numero 0532 900380, oppure scrivendo all’indirizzo areagiovani@edu.comune.fe.it.

Listone Mag
Listonemag.it è un magazine online che ha come protagonista Ferrara e il suo mondo fatto di persone, iniziative e progetti. Nato nell’aprile 2013, è un contenitore di storie: esempi di cose belle che nascono e si evolvono, che succedono nel territorio e che è bello diffondere e raccontare perché si sappia in giro che sono successe o che stanno per succedere. È anche un’agenda aggiornata con tutto quello che c’è da fare in città, giorno per giorno: una guida semplice da consultare in ogni momento. Include: foto originali, opinioni, racconti, interviste, impressioni, dietro le quinte. Non include: foto di repertorio, politica e cronaca nera, comunicati preconfezionati, redazionali.

Il destino nel nome di una Rosa

C’è chi dice che nel nome delle persone si nasconda il loro destino, per Marie-Joseph-Rose Tascher de la Pagerie, nata a Trois-Ilets in Martinica nel 1763, si può dire che in parte si sia realizzato. Rose era una creola, nata da ricchi latifondisti francesi nelle colonie caraibiche. La sensualità dei luoghi deve aver lasciato un’impronta in questa donna che, già da ragazzina, veniva descritta come dotata di un fascino e di una capacità di sedurre, ben superiori alla sua bellezza. Rose lasciò la Martinica come giovane sposa di un aristocratico ufficiale scelto dai genitori, ma non fu un matrimonio felice, nonostante la nascita di due figli, i due si separarono. Travolti dalla Rivoluzione, l’ufficiale finì ghigliottinato e Rose in carcere per mesi. Dopo essere stata scagionata e liberata, riuscì a recuperare parte delle ricchezze del marito e un posto in società. Il suo fascino non passò inosservato, di lei si innamorò un giovanissimo generale, che dopo una lunga corte, ottenne la sua mano. Il nuovo marito decise di cambiarle il nome in Josephine, troppi amanti l’avevano chiamata Rose. Nonostante l’amore per la moglie, il giovane dovette seguire il suo di destino che lo portò a combattere lontano da Parigi.

Fu così che Rose-Josephine decise di acquistare una proprietà di campagna in cui realizzare una sua idea: creare un giardino straordinario, la più grande collezione di rose dei suoi tempi. Altre dame francesi avevano la sua stessa passione, ma solo lei era la moglie di Napoleone Bonaparte e questo le aprì le porte di altre collezioni e di orti botanici, ma soprattutto le permise di mandare, al seguito dell’esercito del consorte, botanici e orticoltori, travestiti da soldati, in grado di scoprire e conservare le rose sparse per l’Europa e il Medio Oriente, e trapiantarle nel suo giardino alla Malmaison. Uno di questi era proprio il curatore del giardino di Josephine, un “certo” Etienne Soulange-Bodin che diventò, in tempi di pace, uno dei botanici più famosi di Francia, fondatore della prima Società di orticoltura francese e creatore della incantevole Magnolia soulangeana.

Nonostante il loro potesse sembrare un matrimonio pieno di licenze, Napoleone amò profondamente Josephine, e amò la Malmaison che fu una vera casa per il suo animo inquieto, quindi non ebbe difficoltà ad assecondare la moglie e il suo desiderio di collezionare il fiore che più rispecchiava la sua femminilità. Un giardino di rose è un sogno, una malattia, un impegno che ti ruba undici mesi all’anno per un mese di meraviglia assoluta. Amiamo le rose da sempre, la rosa è la rosa, l’unico fiore che viene chiamato con lo stesso nome ovunque, una pianta a cui chiediamo l’impossibile: la rifiorenza, il profumo, la bellezza. Cose che siamo riusciti ad ottenere dal fiore, ma non dalla pianta, che una volta sfiorita ritorna ad essere quello che è, un anonimo cespuglione pieno di spine. Josephine ne era consapevole, come era consapevole della fragilità di un giardino legato al suo creatore, per questo affidò a un virtuoso dell’illustrazione botanica, il belga Pierre-Joseph Redouté, il compito di fermare sulla carta la bellezza dei fiori delle sue rose. La collezione di Marie-Rose-Josephine Beauharnais Bonaparte non esiste più, in Francia altre collezioni, come il roseto de l’Haÿ [vedi], fanno rivivere oggi la sua magnificenza, ma il potere della bellezza delle immagini disegnate da Redouté, riprodotte ancora oggi su cartoline e calendari, ci permette di avere un’idea del sogno di Josephine e dell’importanza, storica e scientifica della Malmaison, nella diffusione della rosa come la vera regina dei giardini.

[immagine in evidenza tratta da: George Cruikshank, Napoleon, When First Consul & Madam Josephine (His First Wife) in the garden at Malmaison, 1824. Rosenbach Museum & Library. 1954.1880.1673]

‘Less is more’ laboratori partecipati per la ricostruzione post-sisma a Sant’Agostino

da: ufficio stampa Comune di Sant’Agostino

Sabato 5 e 12 aprile 2014 due laboratori di progettazione partecipata

Da gennaio 2014 il Comune di Sant’Agostino è impegnato nel percorso partecipato cofinanziato dalla Regione Emilia-Romagna ‘LESS IS MORE – Ripensare il vuoto per trovare un centro’ per elaborare insieme alla comunità una strategia per rivitalizzare il centro a partire dal vuoto generato dagli eventi sismici del
maggio 2012. La prossima tappa del percorso vedrà i partecipanti impegnati a sviluppare i temi che – una volta approvati dall’amministrazione comunale – costituiranno i contenuti del bando di progettazione per l’effettiva ricostruzione del centro:

SABATO 5 APRILE e SABATO 12 APRILE 2014
dalle ore 9.00 alle ore 14.30

LABORATORI DI PROGETTAZIONE PARTECIPATA:
Lavoriamo Sul Futuro… per trasformare il vuoto creato dalla demolizione del Municipio nel centro non solo di Sant’Agostino, ma anche di Dosso e San Carlo

Sala Bonzagni – Biblioteca di Sant’Agostino (FE) Via Statale 191

I laboratori prenderanno le mosse dai “reperti” raccolti e realizzati dalle classi medie I°A e III°D dell’Istituto Comprensivo Dante Alighieri in occasione della camminata di quartiere (8 marzo) e dalle 15 idee guida emerse dall’OST (Open Space Technology) del 22 marzo, successivamente declinate dai partecipanti attorno

• l’aspetto degli spazi (Verde e copertura)

• le funzioni d’uso degli spazi (Funzioni e identità)

• il rapporto con le frazioni (Viabilità, connessioni e mobilità dolce per vivere il territorio).

I partecipanti saranno supportati nei due giorni da alcuni esperti di urbanistica e architettura dello studio

di progettazione Diverserighe di Bologna e una rappresentante della Direzione Regionale per i Beni

Culturali e Paesaggistici dell’Emilia Romagna – MiBACT.

Ogni laboratorio è aperto a 25 partecipanti e le iscrizioni sono aperte a tutti i cittadini: per e-mail a lessismore.santagostino@gmail.com o per telefono al n. 340 6483093.

Per informazioni: U.R.P. COMUNE Sant’Agostino 0532 844411 – www.comune.santagostino.fe.it

Il progetto Less is More è cofinanziato dalla Regione Emilia-Romagna, con il patrocinio di FORMEZ PA

Media Partner: www.ferraraitalia.it

Ripensare i bisogni, premiando i valori forti e la creatività

La nozione di bisogno sta al centro dell’interesse dei servizi, delle imprese e della Pubblica amministrazione; non a caso hanno indagato questo tema cruciale la filosofia, la scienza politica, l’economia, la sociologia, la psicologia, il management e il marketing. La nozione di bisogno dipende quindi fortemente dalla prospettiva maturata in un determinato campo disciplinare e dal punto di vista dell’osservatore: essa appare in un modo ad un’azienda desiderosa di vendere un prodotto, in un altro al professionista impegnato in un servizio sociale o sanitario, in un altro ancora alla Ong in cerca di fondi per affrontare un problema di povertà in un paese in via di sviluppo, in modo ancora differente al politico in cerca di consenso.

Non a caso dunque la letteratura pullula di definizioni e classificazioni più o meno plausibili (bisogni primari e secondari; bisogni impliciti, espliciti e latenti; bisogni reali e bisogni indotti, solo per citare le più ricorrenti) e di approcci e modelli anche piuttosto diversificati oscillanti tra un estremo di massima oggettività (è possibile definire e misurare bisogni essenziali) ad un altro di massima soggettività (i bisogni sono pure preferenze).

piramide-maslow
Piramide di Maslow

Malgrado questa grande complessità, è tuttavia vero che alcune teorie sono piuttosto note anche tra il grande pubblico: tra di esse particolarmente noto è il celebre modello della piramide a 5 livelli di Abraham Maslow pubblicato per la prima volta nel lontano 1954. Il fondatore della psicologia umanistica riteneva che bisogni e motivazioni avessero lo stesso significato, e che si potessero strutturare in una gerarchia dove il passaggio da un livello all’altro avviene solo dopo che sono stati soddisfatti i bisogni di “grado inferiore”. Secondo questa ipotesi, ampiamente volgarizzata, la non soddisfazione dei bisogni fondamentali conduce alla non soddisfazione di quelli superiori in modo tale che, a titolo di esempio, la soddisfazione dei bisogni di appartenenza implica forzatamente che siano stati già soddisfatti prima i bisogni fisiologici e poi quelli di sicurezza.Se intorno alla struttura della tassonomia dei bisogni esiste tutto sommato un ragionevole consenso, la critica più serrata al modello di Maslow riguarda proprio la postulata consequenzialità delle fasi; una critica che appare sensata appena si considerino culture differenti da quella dominante all’epoca. A parere dei critici, infatti, questa sequenzialità gerarchica è specchio della cultura americana degli anni cinquanta del secolo scorso, all’interno della quale è nata: essa è in buona sostanza allineata con l’idea di capitalismo propria del periodo che risulta strettamente intrecciata con la nozione di consumismo, inteso come unica strategia per risolvere ogni bisogno delle persone. Anche una persona straordinaria come Maslow non riuscì dunque a liberarsi dalla cultura allora dominante e, non a caso, sembra che prima di morire (nel 1970) egli stesso avesse manifestato la necessità di capovolgerla completamente in ottemperanza al nuovo spirito dei tempi.Cosa succede dunque se facciamo nostro questo auspicio e ribaltiamo la logica sequenziale di questa piramide? Cosa succede se – un po’ provocatoriamente – si ipotizza che il fondamento di ogni bisogno umano, il punto di partenza, risieda innanzitutto nella costante ricerca di senso e di significato da parte del soggetto? Se si tratta di un’ipotesi credibile, quali conseguenze comporta per il modo in cui vengono individuati ed affrontati i bisogni, in particolare nel mondo dei servizi?

percorsi-ricerca-costruzione-senso
Percorsi di ricerca e costruzione di senso

I percorsi di ricerca e costruzione di senso possono prendere le più disparate direzioni, differire anche profondamente da cultura a cultura, evolvere e modificarsi nel tempo; essi non escludono la via della rinuncia (apollinea) né quella dell’eccesso (dionisiaca). Sono sicuramente esposti al rischio dell’errore proprio di ogni processo di apprendimento ed anche a quello più drammatico del fallimento. Pongono tuttavia l’individualità e la soggettività della persona, la sua creatività e resilienza al centro del processo, mettendone in risalto l’irrinunciabile responsabilità. Ribaltare la logica sequenziale della piramide costringe a ripensare all’infinita pluralità di soluzioni tra le quali non sembra possibile scegliere a priori quella del consumo come unica via; costringe soprattutto a concentrare l’attenzione su quei meccanismi che distruggono capacità, riducono la dimensione complessa della libertà a quella complicata di scelta tra beni (prodotti e servizi). Il ribaltamento della gerarchia consente di apprezzare maggiormente l’importanza degli infiniti processi in grado di generare e rigenerare senso, restituisce un significato intelligibile ai possibili percorsi di vita alternativi rispetto a quello fondato sul mero consumo, conferisce più valore a quelle culture che ancora resistono all’omologazione.
In quest’ottica appaiono più comprensibili anche le scelte di tutte quelle persone che hanno deciso di seguire la via della rinuncia, che hanno inventato e praticano forme alternative di vita comunitaria, che hanno abbracciato con entusiasmo le più svariate forme religiose ricercando costantemente l’incontro con qualcosa che potrebbe essere definito come altamente significativo. In fondo lo mostrano esemplarmente le storie di mistici e santi di ogni epoca, i miti fondativi della nostra e di altre culture, le storie di antiche civiltà e, spesso, le biografie dei grandi leader.

Accettare questa ipotesi non implica necessariamente spostare l’attenzione verso l’idea che i bisogni siano preferenze, ricadendo in buona sostanza nel quadro culturale del consumismo forzoso o del disimpegno rispetto a standard essenziali per una vita dignitosa. Consente piuttosto di valorizzare la diversità, di riconoscere la dimensione creativa aperta all’esplorazione del possibile, di aprire all’innovazione sociale che porta alla costruzione di pratiche di vita originali, anche attraverso pratiche che non necessariamente passano attraverso la finanza e i mercati. In questi percorsi un ruolo essenziale viene giocato dai valori e dalle virtù personali, due elementi essenziali che, se da un lato sono essenziali per evitare lo scivolamento verso un’idea di libertà intesa meramente come scelta di prodotti e servizi, dall’altro sono diventati parte della strategia di quel marketing 3.0 che proprio sull’attenzione all’anima del cliente e ai valori umani fonda il proprio approccio finalizzato ovviamente ad incrementare i profitti delle imprese.

Se si ammette questo ripensamento nel modo di concepire i bisogni, quali potrebbero essere le conseguenze per il sistema dei servizi e per tutti coloro che se ne occupano professionalmente e, soprattutto, quali potrebbero essere le possibili strategie da adottare per contribuire a creare una società più aperta, giusta ed inclusiva, partendo dal giusto riconoscimento della dimensione del bisogno?

Ecco qualche possibile suggerimento:

• investire sulla costruzione di identità eticamente orientate, forti, creative e flessibili, superando l’enfasi quasi esclusiva che è stata posta negli ultimi anni nel creare consumatori piuttosto che cittadini responsabili;
• sul piano personale ed etico, recuperare il valore delle virtù;
• cercare, attivare e valorizzare le potenzialità inespresse di coloro che si trovano nello stato di bisogno, evitando per quanto possibile la logica dell’assistenzialismo attraverso la somministrazione di beni e servizi che non siano assolutamente indispensabili;
• costruire ambienti di vita a misura di fragilità umana, ampliando gli spazi di esercizio di libertà delle persone e aprendo all’esplorazione di soluzioni innovative basate sulla creatività;
• favorire la costruzione di piattaforme tecnologiche abilitanti che consentano la creazione di capacità personali e sociali, anziché distruggere competenze e creare dipendenza rispetto all’uso indiscriminato di beni materiali e servizi;
• sul piano dell’organizzazione e del funzionamento dei servizi, aprire alla collaborazione e alla partecipazione esterna responsabile, scoprendo e valorizzando risorse che consentano di aumentare l’efficienza pur mantenendo un forte orientamento valoriale.
Soprattutto diventa essenziale ripensare a quel modello culturale che spinge incessantemente ad intervenire sui sintomi trascurando il funzionamento del sistema complessivo, invertendo quel circuito perverso e profondamente radicato che, come spiegava Gregory Bateson,“spinge a curare i sintomi per rendere il mondo sano e salvo per la sua patologia”.

Si può fare, passaparola!

Uomini e animali, politica e società… ossia le baruffe italiane

A Firenze si propone quanto segue: “Libero ingresso dei cani in uffici, negozi e spazi aperti al pubblico, con multe a chi espone cartelli con il divieto di accesso loro dedicato, lotta all’accattonaggio con animali e al traffico illegale di cuccioli (con obblighi di tracciabilità degli esemplari a carico di chi li vende), e regole a tutela dei cavalli dei fiaccherai.” Sono alcuni dei provvedimenti che approderanno ben presto al Consiglio comunale fiorentino. Ciò mitiga (ma di poco) il rapporto conflittuale con la mia ‘odiosamata’ Firenze in cui ancora mi sento cittadino. Qui da noi, a Ferrara, si sa, ci sono regole molto strette e a volte insopportabili che limitano l’accesso dei pelosi in luoghi molto frequentati: grandi magazzini et similia. Si va così dal divieto d’accesso a tutti i negozi dell’area Il Castello all’accoglienza calorosa con annessa bacinella d’acqua de Il Brico o del Mercatone Uno. Frattanto disposizioni incongrue rendono ancor più difficile la convivenza tra umani e pelosi. Citare l’esempio di Cane e padrone di Thomas Mann o di tutta la grande letteratura sui rapporti tra le due specie è vano. Di fronte allo sgambettio dei runners sulle mura nulla tiene. Ho saputo poi di una disposizione addirittura folle: sarebbero proibiti i guinzagli a filo superiori ai 2 metri perché sarebbero d’intralcio! Si sa “Ferara” ama poco gli animali ma è altrettanto vero che questa disposizione è accentuata dalla incoscienza e cattiva educazione dei proprietari di cani che NON vogliono raccogliere le deiezioni e rendono davvero le nostre strade un m…aio. Da qui ad attaccare cartelli d’insulti dei “lindi” abitanti il passo è breve. Una specie di grillismo delle due parti in lotta. Certo, se nell’area da me frequentata (ho rinunciato alle mura per questioni di probabili litigi a ogni passo) che è la zona medievale della città si cercasse di mettere qualche bidoncino in più per la raccolta (già lo sento l’urlo inferocito: “non ci sono soldi!!!”) non sarebbe male. Quello che trovo davvero curioso è come il rapporto tra cani e altri animali di compagnia – ossia gli umani – rispecchi fedelmente le lotte politiche in corso. Tuttavia qualche buona intenzione c’è e rende felici e contenti gli abitanti della zona.

lilla
La Lilla

Nel mio quartiere, i nostri amici pelosi sono organizzatissimi e hanno creato una comunità civile ed educata. Ci sono quelli di antica (diciamo meglio, di lunga data) che sono riconosciuti come i residenti più esperti della convivenza: ci sono la mia Lilla, l’Ada, la Carlotta, la Stella che naturalmente transitano dal bar ormai conosciuto come Dog’s bar. A volte si hanno conflitti d’interesse. Ad esempio perché Thor, un boxer fantastico di un architetto della zona e la sua mamma boxer debbono stare fuori, e guardano con occhi non proprio benevoli l’ingresso trionfale della mia Lilla. Ma poi si rassegnano! Accanto, il cane del sindaco un po’ appartato perché esce a ore molto preste e subito dopo la piccolissima batuffola del prof. Morsiani. Subito dopo nel palazzo d’angolo un magnifico labrador e un border collie. Tra il Dog’s bar e la casa del sindaco, la deliziosa canina del fornaio, Emy, che viene ogni tanto in visita. Di fronte al fornaio un canone che esce poco. L’eleganza suprema è indubbiamente a furor di popolo canino e umano assegnata al barboncino bianco di nome Toy che esce sempre con le scarpe arancioni. Se ci si spinge verso Porta Romana, lì abitano gli amati cani di casa Baraldini e Ansaloni, e nella via Porta d’Amore la colonia degli shisztu imparentati tra loro: bellissimi insomma, una vera comunità. Umani, prendete esempio!

Sostiene la Lilla: “Dici, dici… e poi lasci fuori gran parte della nostra comunità pelosa! Vogliamo capire perché non hai menzionato Briciola o la Lilli che ti fa inumidire gli occhi perché è tal quale la Lilla 1 o la comunità di via Beatrice d’Este”. Lei è molto agitata perché alla fine d’aprile andrà a parlare di “segreti” ai suoi amici umani di terza e quarta elementare. Sono segreti molto importanti perché si tratta di maghi che hanno nomi misteriosi: Omero, Dante, Giotto, Michelangelo e che hanno rivelato segreti fantastici con una magia potente che si chiama arte. Non mi piace nel suo ruolo didattico (è mezza fiorentina e aspira la “c”) ma non può rinunciare a condividere con gli altri una cosa ora MOLTO in disuso che si chiama sapere. Sghignazzando m’ha detto: “Guarda la tua Accademia! Avete cercato di rinnovare i concorsi e siete miserabilmente caduti nel solito tran tran d’incompetenze e favoritismi!” Ma si sa che è la caratteristica di noi “itagliani”. Profe Lilla quanta ragione tu hai!

Eppure in questa specie d’apologo niente risulta certo. A leggere sembra ormai evidente che il piacere più ambito dagli “itagliani” sia discutere in modo rozzo e carogna. E’ tutto un urlìo, con il sopraciglio alzato alla “sopracciò”. Si aboliscono le Province? Si? No, tu no! B. va al Quirinale? Chissà che c’è di mezzo! La tremenda Gruber nel suo dialogo con Renzi in veste di venditore porta a porta (Pardon madame! Lei sempre così supremamente elegante ier sera aveva una giacchetta orrenda a fiorami!) non vuole parlare di programmi ma di cosa intende fare B. Ma non è possibile! Ancora, e poi ancora, l’ombra del ventennio sovrasta e incombe. Ma è solo colpa della politica? Io credo sia responsabilità e vezzo degli italiani, questa volta senza “gl”, ovvero di tutti.

fondi-europei

“Siamo un Paese immaturo. Puerile scaricare sull’euro la responsabilità della crisi”

Euro si o no? Da tempo l’interrogativo tiene banco sulle pagine dei giornali e infiamma la rete, che si pretende di indiscusso dominio di Beppe Grillo. Ma non è così. Online si trova tutto e il contrario di tutto. Compresa l’essenza della nostra politica “caciarona” tendente al caos e alla schizofrenia. E’ curioso come in Italia i problemi più chiassosi, indipendentemente dal colore politico di chi li affronta, ne nascondano altri maggiormente complessi. Ne è convinto il commercialista Roberto Mazzanti coordinatore del circolo “Fermare il Declino” di Comacchio. “Quanto sta accadendo non è certo colpa dell’Euro, bensì di un Paese che in 20 anni non ha fatto una riforma e oggi si trova a dover pagare gli effetti di un ritardo politico aggravato dalla crisi economica”, spiega.
S’impone una riflessione anche periferica, lontana dalle luci della ribalta, per cercare una via d’uscita dal cul de sac nel quale l’Italia s’è cacciata aggravando lo stato di crisi in cui versa tutto l’occidente. “Non siamo certo noi ad avere le risposte in tasca, ma vogliamo dare un piccolo contributo di partecipazione alla vita politica. Abbiamo deciso di incontrarci la sera di venerdì con chi è interessato all’argomento, lo facciamo senza pregiudizi e senza la presenza di nomi altisonanti – continua – Ci troveremo al Monnalisa Restaurant del Lido degli Scacchi, dove saranno presenti i nostri coordinatori regionali Andrea Babini, Alberto Piovani e Gabriele Galli”.
Per Mazzanti rinnegare l’euro non conduce a nulla e, soprattutto, non cambierebbe le cose. Se non in peggio. “Potremmo anche uscire dall’Europa, tornare alla lira, ma con i nostri conti finiremo con il ritrovarci nelle medesime condizioni dell’Argentina dei momenti peggiori – prosegue – Sarebbe un salto nel buio, perché mai dovremmo correre un rischio così grande? Stampare la lira, magari in eccedenza non farebbe altro che aumentare l’inflazione. Torno a ripetermi, l’euro non è il problema è l’Italia che deve fare le riforme necessarie e poi, eventualmente, decidere della divisa più vantaggiosa”.
Inutile scaricare sull’Europa il declino di un Paese come il nostro, l’Italia al pari delle altre nazioni aderenti alla Ue gode di indipendenza fiscale e gestisce in proprio la spesa pubblica, il capitolo più spinoso della sua storia. La gestione è perlopiù fallimentare, è pertanto comprensibile, ma non per questo è giusto, che la politica, in tutte le sue declinazioni, cerchi di attribuire il problema e le responsabilità ad altri, all’Europa, appunto. Siamo un Paese immaturo. Un Paese con la sindrome di Peter Pan, senza memoria e con un senso analitico della vita politica impudico. “La cosa spiacevole è che le forze politiche si diano un gran da fare per cavalcare la difficoltà del momento e la rabbia della popolazione raccontando cose diverse dal vero – conclude – Si preferisce il caos alla chiarezza, la confusione alla razionalità. Basta pensare al fiscal compact, il patto di bilancio europeo, non è vero come si vuol far credere che ci costi 50 miliardi di euro l’anno. Averlo firmato nel 2012 quando al governo c’era Berlusconi, significa averne condiviso l’obiettivo: mettere cioè equilibrio tra Pil e debito. Più cresce il Pil più diminuisce l’esborso. Oggi si vuole dire il contrario, ma è propaganda”. Girala e voltala, la questione è sempre la stessa: i conti devono tornare. Anche per chi vive a palazzo.

ferrara-centro-terra

IMMAGINARIO
la foto
del giorno

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città e i suoi abitanti.

Ferrara… caput mundi! (fotoelaborazione di Aldo Gessi) – clicca sull’immagine per ingrandirla

ferrara-centro-terra
Ferrara caput mundi (foto di Aldo Gessi)