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Giorno: 5 Ottobre 2014

Siria, segnale interrotto

“Vorremmo che le nostre parole non finissero qui. Chiedo a tutti voi che siete qui e che avete partecipato al Festival di Internazionale di spronare i vostri governi per fare in modo che la guerra finisca al più presto”.

E’ con questo accorato appello della giornalista siriana Maisa Saleh, che si è concluso uno degli ultimi incontri dell’edizione 2014 del festival, intitolato “Siria. Segnale interrotto. E’ il paese più pericoloso del mondo per i giornalisti e la guerra continua a porte chiuse”. La sala del Cinema Apollo era gremita e trepidante, “Non sempre – sottolinea il moderatore dell’incontro Lorenzo Trombetta – un evento legato alla guerra in Siria riceve in Italia una tale attenzione. Sul palco, insieme a lui, corrispondente per il Medio Oriente e responsabile del sito SiriaLibano, le tre ospiti, giovani donne siriane impegnate nel colmare il vuoto mediatico che si è venuto a verificare da quando il governo di Assad ha cominciato ad arrestare, perseguitare e costringere all’esilio i giornalisti, professionisti o meno, che cercavano di raccontare al mondo gli orrori della guerra.

Maisa Saleh, Yara Bader e Eva Ziedan sono esuli, come molti altri giornalisti e attivisti siriani, svolgono il proprio lavoro dai Paesi da cui hanno ottenuto l’asilo politico, ma entrano ed escono dalla Siria periodicamente. Sul palco prendono e si cedono la parola a vicenda, in un animato e vivace dialogo, in cui viene presto coinvolto anche il pubblico, e che verte sulla questione di come il giornalismo racconta la guerra in Siria, chi la racconta, quale l’immagine che ne emerge all’estero… e non solo.

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Yara Bader

Yara Bader, giornalista, direttrice generale del Syrian center for media and freedom of expression e vincitrice del premio giornalistico Ilaria Alpi 2012 (nel 2012 è stata arrestata in Siria dall’Air force intelligence e successivamente processata dalla corte militare a Damasco), racconta che il suo Centro mediatico è stato chiuso varie volte, anche prima del 2011. “Di fronte ad una situazione così complessa” spiega “è molto complicato seguire lo sviluppo degli eventi. Da quando il regime ha cominciato a minacciare di morte gli attivisti e i giornalisti che cercavano di raccontare la rivoluzione, molti cittadini hanno cominciato a documentare ciò che stava succedendo. Sono stati definiti in vari modi: attivisti giornalisti, persone mediatiche, giornalisti combattenti (ma noi del Centro media rifiutiamo questa versione), di fatto erano persone che volevano mostrare la verità, che lottavano per la libertà d’informazione e per la difesa dei diritti umani.”
Per quanto riguarda l’immagine della Siria all’estero, Trombetta ci conferma che i giornali italiani non offrono molto contesto, si limitano alla notizia del giornalista straniero sgozzato dall’Isis e poco altro. Se anche un italiano legge un paio di quotidiani al giorno, non si avvicinerà minimamente alla verità. C’è un grande iato tra la complessità della situazione siriana e l’immagine stereotipata che se ne ha all’estero e che, grosso modo, si può sintetizzare con l’infelice titolo di Domenico Quirico, “Il Paese del male”. La maggioranza degli stranieri vede la Siria così.

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Maisa Saleh

Maisa Saleh, che ha appena ricevuto il premio giornalistico Anna Politkovskaja 2014 [vedi], aggiunge: “Noi, che siamo state costrette a lasciare il nostro Paese e che viviamo all’estero, abbiamo potuto riscontrare che la percezione di cosa sta accadendo in Siria cambia da Paese a Paese, in Italia si ha un quadro, in Francia un altro, negli Usa un altro ancora. E comunque è ancora poco. Bisogna fare uno sforzo per raccontare le storie.” E Yara aggiunge: “Molti aspetti della crisi sono stati ignorati volutamente, e questo è peggio del silenzio. Nel 2013, molto prima che i media ne parlassero, erano stati rapiti già diversi attivisti dalle squadre dell’Isis. Ma solo quando è stato rapito e sgozzato il giornalista americano, allora tutti si sono svegliati. Perché?”. “Perché sembra che esistano vittime di serie A e di serie B”, interviene Eva Ziedan, che per SiriaLibano segue gli attivisti che vogliono far conoscere le loro micro-realtà e coloro che vogliono diventare giornalisti.

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Eva Ziedan

Finché si è parlato di oscuramento dell’informazione, di menzogne mediatiche e del silenzio dei media internazionali, erano tutti d’accordo, ospiti, conduttore e pubblico. L’atmosfera è diventata un po’ più tesa quando dal pubblico sono stati fatti alcuni interventi, per capire meglio il ruolo dell’Isis e quali le prospettive per la Siria. Un ragazzo ha chiesto se la tesi delle “Quattro Sirie” [vedi] fosse plausibile, e Trombetta ha risposto in modo piuttosto forte, spiegando che sì, “attualmente quello che era lo Stato siriano prima del 2011 non esiste più. Ad oggi ci sono quattro stati che detengono il potere in Siria: il regime di Assad, i jihadisti dello Stato islamico, le opposizioni armate e le milizie curde.” In un intervento si riprendeva la proposta che Giulia Zoli fa nell’ultimo numero di Internazionale n. 1071 (ripresa dall’agenzia stampa France Press), ossia di evitare tra giornalisti di usare il termine Stato islamico, trattandosi di un gruppo terroristico. “Non sono d’accordo – ha risposto Trombetta – lo Stato islamico è uno Stato che ha un territorio, una capitale, sta erogando servizi, sta difendendo la sua popolazione e quindi, che ci piaccia o no, occorre riconoscerlo come tale. Chiamatelo come volete, Isis all’inglese, Dāʿish in arabo, ma Stato è.”

Le tre giornaliste confermano loro malgrado: dal punto di vista del potere, purtroppo è così. E a malincuore convengono sul fatto che la divisione della Siria può essere una possibilità, forse l’unica che possa porre fine a questa guerra, alla più grande catastrofe umanitaria della storia contemporanea, paragonabile solo alla Seconda guerra mondiale.
Ci tengono però a chiarire che la maggior parte degli jihadisti dello Stato islamico sono stranieri, provengono dall’Iraq e da tutte le parti del mondo (1800 dalla sola Danimarca). E che se il numero di jihadisti sta crescendo anche nel popolo siriano, è per una questione di sopravvivenza: l’Isis ha preso il controllo delle banche ed è quindi in grado di pagare gli stipendi ogni mese; se si piega alle loro regole, la gente può vivere ‘tranquillamente’ nelle loro città.

Chiude con 71mila presenze l’ottava edizione di Internazionale a Ferrara

Si è conclusa oggi con 71.000 presenze l’ottava edizione di Internazionale a Ferrara il festival di giornalismo organizzato da Internazionale e dal Comune di Ferrara.
Continua il trend positivo del festival con un aumento di pubblico del 12% rispetto all’anno passato. Internazionale a Ferrara si conferma una manifestazione in crescita, con un pubblico giovane. Il festival ancora una volta ha trasformato Ferrara nella redazione più grande del mondo.

Tre giorni di dibattiti, eventi e proiezioni con 230 ospiti di 45 testate giornalistichee provenienti da 30 paesi che hanno dato vita a un calendario di oltre 100 incontriper 250 ore di programmazione. Anche quest’anno la città si è messa al servizio del festival con 22 location, 18 ristoranti, 57 responsabili di spazio, 66 studenti delle scuole superiori che hanno collaborato con impegno alla riuscita della manifestazione, 12 responsabili dell’organizzazione, 8 volontari del servizio civile.

Un venerdì da record con quasi 4.000 persone in piazza Municipale per l’intervista pubblica dei corrispondenti stranieri a Matteo Renzi. A Ferrara quest’anno Ed Catmull, presidente di Pixar Animation e Disney Animation, che dopo l’incontro si è trattenuto quasi un’ora per firmare le copie del suo nuovo libro Verso la creatività e oltre (Sperling & Kupfer). Informazione ancora una volta protagonista con i direttori dei grandi giornali, Gerard Baker del Wall Street Journal, Martin Barondel Washington Post, Edwy Plenel di Mediapart, Nicolas Barré di Les Echos. Poi le migrazioni e il cambiamento nella concezione dei confini e delle mobilità del XXI secolo. Dall’Iraq alla Libia tra terrorismo, scontri settari e Stati a rischio verso la ridefinizione del Medio Oriente. L’America Latina e l’orientamento della nuova sinistra. E poi cultura, cibo, workshop e laboratori creativi per bambini. Un’anteprima del festival il 2 ottobre con i film d’autore della nuova rassegna Mondocinema. E poi l’appuntamento con i documentari di Mondovisioni e gli audiodocumentari diMondoascolti. Tornano a Ferrara due amici del festival, David Randall e John Berger. Presentato anche il nuovo sito web di Internazionale che sarà online fra pochi giorni.

Internazionale a Ferrara è promosso da Internazionale, Comune di Ferrara, Provincia di Ferrara, Università di Ferrara, Regione Emilia-Romagna, emiliaromagna terra con l’anima, Ferrara terra e acqua, Città Teatro, Comune di Cento, Arci Ferrara e Associazione IF.

Il Festival è reso possibile dalla collaborazione di Medici senza frontiere e della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, grazie a Unipol Gruppo, Fondazione Unipolis, Unipol Sai Assicurazioni, Assicoop, Vodafone Italia, con il sostegno di Costruiamo insieme il futuro, Alce Nero, Camera di commercio di Ferrara, Pera dell’Emilia-Romagna igp, Banca Etica, Poste Assicura. Sammontana, Mobyt e Acer Ferrara. Si ringrazia Radio3, Askanews, Rai Cultura, Euronews, Euranet, VoxEurop e Radio Città del Capo per la media partnership.

La piacevole domenica dei ferraresi tra corso Porta Reno e piazza Castello

da: ufficio stampa Cna Ferrara

Molto interesse per il mercato dell’artigianato artistico di Cna, Recycle & Co. In piazza della Repubblica i sapori artigianali ferraresi

Le famiglie a spasso per il centro di Ferrara hanno avuto molte opportunità di trascorrere una domenica piacevole e interessante, tra gli incontri di Internazionale e le bancarelle che, da Corso Porta Reno a piazza Castello e piazza della Repubblica, hanno animato il cuore della città.
“Recycle & Co”, ad esempio, prima edizione della Mostra mercato artigianale promossa da Cna, ha costituito una vera e propria vetrina rappresentativa della creatività dell’artigianato artistico italiano, legata al riutilizzo di materiali e prodotti di scarto, e dei talenti capaci di per dare vita a nuovi oggetti in grado di esprimere bellezza, fantasia e utilità. L’esposizione, cui hanno preso parte 34 imprese, ha messo in evidenza come il lavoro artigianale sia in grado di recuperare, reinventare e trasformare prodotti destinati alla distruzione, facendoli rivivere in piccole opere d’arte uniche e in oggetti utili.
Tra le creazioni in esposizione: posacenere ricavati da lattine di birra, collane formate da tasti di vecchi pianoforti, portariviste e astucci da bottiglie di plastica, comodini costruiti con cassette da frutta, borse e portamonete creati con contenitori per il latte, casette per uccellini ospitate in vecchi scarponi in cuoio, orologi realizzati con pezzi di vecchie biciclette, e molto altro ancora. Diverse le specializzazioni rappresentate, dalla lavorazione di vetro, ceramica e metalli alla pittura su tessuti, dalla lavorazione della carta riciclata alla pelletteria, dalla creazione di oggetti in legno all’abbigliamento.
“Sapori artigiani” altra importante manifestazione, sempre promossa da Cna, in collaborazione con La Strada dei Vini e dei Sapori, Ais Emilia Romagna e Apci – Associazione professionale cuochi italiani, ha proposto invece assaggi delle eccellenze alimentari ed enogastronomiche del territorio, molto apprezzate dai visitatori e passanti, che le hanno gustate, in molti, seduti comodamente sulle panchine ombreggiate della centralissima piazzetta.

Le vetrine del centro si sono trasformate in galleria d’arte ‘en plein air”

da: organizzatori

Sindaco e assessore al turismo al lavoro nello stand della Sagra dell’anguilla

Anche il sindaco di Comacchio, Marco Fabbri – insieme all’assessore al turismo Sergio Provasi – oggi a pranzo hanno prestato servizio insieme agli oltre sessanta volontari impegnati allo stand gastronomico di Argine Fattibello della Sagra dell’Anguilla. Intanto, fra le numerosissime iniziative che stanno richiamando nella ‘piccola Venezia delle valli’ migliaia di visitatori, particolarmente apprezzate le opere partecipanti all’ estemporanea di pittura esposte realizzate da Innokentiy Fateev; Sabrina Tenan; Mariagrazia Lazzaroni; Silvio Bombarda; Rina Casari; Nicol Ranci; Fiorella Ferioli; Serena Macaluso; Mariangela Gandolfi; Roberta Marconi; Massimo Zonari; Marcello Zanin; Silvio Casalini; Claudio Arborini; Antonella Michelini; Maurizia Fordiani; Lorenzo Ruini; Rosarita Mazzoli; Daniele Gagliardi; Marco Spaggiari; Lia Droghetti; Lorenza Ferrari; Tiberio Savonuzzi; Luca Zarattini; Mohamed Rohuani; Monica Mazzetto; Gianni Pedrazzi; Enrico Menegatti; Leila Bergamini; Max Oddone e Sara Benatti e che rimarranno esposte fino a domenica 12 ottobre nelle vetrine di: L’Erede Abbigliamento, Crescere con Stile, Un Fiore per Giò, Il Cesto della Salute, Massimo Barbiere, Bar Piccolo Caffè e Oreficeria Bigoni Pietro di via Zappata; B-2 abbigliamento, Profumeria Cestari, Ferramenta Piccoli, Supermercato Despar, Farmacia Cavalieri d’Oro e Bar 2000 di piazza Folegatti; Foto Ottica Erre-Due, Pelletteria Barbuiani, Il Dado Abbigliamento, Foto Ottica Rescazzi, Pasticceria Ideal e Les Cadeaux di via Ugo Bassi; Antica Trattoria La Barcaccia e Cinti & Parmiani telefonia di via XX settembre; Panificio Pugliese di via dei Fiocinini; Locanda La Comacina e Bar Ideal di via Fogli e Gari Shop Abbigliamento, di Galleria Fogli.

La puntualizzazione di Valore e Rispetto in seguito alle dichiarazioni di Fabrizio Toselli sulla chiusura della discarica di Molino Boschetti

da: Stefania Agarossi, Gruppo consiliare Valore e Rispetto. Comune di Sant’Agostino (Fe)

“Tanto di cappello al Sindaco Toselli per come sta portando avanti il progetto di chiusura e bonifica dei 10 ettari di proprietà del Comune di Cento della discarica di Molino Boschetti. Ma quello che ci preoccupa e interessa, e di cui il sindaco continua a non parlare, è ciò che accadrà sugli altri 10 ettari della discarica di Molino Boschetti, di proprietà di CMV, ma sempre di competenza territoriale del nostro Comune. Dove si vuole realizzare l’impianto di ricircolo del percolato, e dove CMV intende proporre la realizzazione di un altro impianto per la lavorazione di rifiuti organici da raccolta differenziata per la produzione di biogas, a un chilometro scarso da un polo scolastico. Ed è proprio su questi progetti che per trasparenza e coerenza si richiede un pronunciamento politico e deliberativo chiaro da parte del Comune di Sant’Agostino. Lì si gioca la partita del futuro del nostro territorio. E su questo Valore e Rispetto aspetta una risposta, con altrettanti fatti.”

Stefania Agarossi
Olindo Sandri
Gruppo Consiliare Valore e Rispetto, Comune di Sant’Agostino (Fe).

SGUARDO INTERNAZIONALE
Barbarie, speranza e ottimismo secondo John Berger

“Noi e “loro” come matrice del male. E la speranza come categoria distinta dall’ottimismo. L’incontro fra John Berger e Teju Cole è stata una miniera di stimoli, suggeriti con toni talvolta lirici, e pur non privi di ironia, da due scrittori che godono meritatamente di fama mondiale. L’impulso è venuto da Maria Nadotti, che ha con eleganza condotto il confronto. Riportiamo solo qualche pennellata come invito alla riflessione.
Molto si è ragionato attorno al linguaggio e all’identità. Ma poi da suggestioni più astratte e concettuali si è passati a misurarsi con i fatti della quotidianità e anche con i suoi orrori. “Quando osserviamo abominevoli crudeltà e le molte differenti forme in cui esse si manifestano – ha notato in proposito Berger -, ci domandiamo come esseri umani riescano a commettere tali atrocità. Io credo che la barbarie inizi quando creiamo la categoria che marca la differenza fra un ‘noi’ e un ‘loro’. E’ proprio questa definizione, quest’etichetta che ci consente e ci autorizza a trattare “loro” – gli altri – come feccia, perché sono meno umani di ‘noi’ e quindi indegni di rispetto”.
Il finale ha incluso il tema della speranza “che non va confusa con l’ottimismo. Speranza – ha sostenuto Berger – è la la fiamma di una candela, si vede meglio nell’oscurità. Ci sostiene nei momenti bui, nella difficoltà. La sua forza non deriva dalla spinta interiore dell’ottimismo, ma dalla memoria delle sofferenze passate e di come le abbiamo superata, dal ricordo dei martiri, di ciò che gli uomini sono riusciti a fare e a conquistare nella lotta, attraverso il loro impegno e il loro sacrificio. La speranza si lega dunque al senso di ‘complicità con gli altri’, esseri viventi, nascituri o morti che siano. L’uguaglianza, in termini di ideale presenza, è ciò che tiene viva la speranza”. E tutti in piedi ad applaudire.

SGUARDO INTERNAZIONALE
I due volti della Turchia: l’autoritarismo di Erdogan e l’attivismo dei movimenti sociali

Nell’introdurre l’incontro “Erdoğan piglia tutto. Democrazia, minoranze, Europa. Tutte le sfide del presidente”, Marco Ansaldo, inviato speciale di Repubblica per il Medio Oriente, traccia un breve e chiaro profilo della Turchia odierna: “E’ un Paese che negli ultimi anni si è avvicinato all’Europa, ma che sta prendendo derive sempre più autoritarie. Nei fatti degli ultimi giorni gli occhi del mondo sono puntati sulla Turchia perché rappresenta un caso: la testa di ponte che può fermare l’Isis.”

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L’incontro alla Sala Estense, gli ospiti

Ansaldo è tornato qualche giorno fa dalla Turchia, e dice di aver trovato un Paese molto diviso, “con dinamiche che portano ad un’accelerazione delle istanze islamiche; un’opposizione frammentata e divisa, che non riesce ad esprimere un’alternativa politica, ossia un leader politico da opporre a Erdogan. Per quanto riguarda la lotta all’Isis, il governo sembra avere un atteggiamento ambivalente: dopo il viaggio negli Usa della settimana scorsa, Erdogan sembrava deciso a partecipare alla lotta contro l’Isis: due giorni fa il parlamento di Ankara aveva ha approvato la missione militare per fermare l’avanzata degli jaidisti dell’Isis a Kobané (città al confine con la Turchia), ma in pratica non ha fatto nulla, Kobané è stata presa, con il conseguente esodo di circa 160.000 civili curdi oltre il confine, ma Ankara ha rifiutato di assistere i miliziani dello Ypg (Unità di difesa del popolo curdo), in quanto imparentato con il Pkk, considerato gruppo terroristico.”
Questo il quadro, che spiega bene la scelta del titolo dell’incontro “Erdogan pigliatutto”: è un leader indiscusso che ha il 50% dei voti, guida il Paese da dodici anni con un governo monocolore autoritario, ma aspira ad entrare nell’Unione europea; dice di voler collaborare con la Comunità internazionale per fermare Assad, ma da tre anni permette l’ingresso dei miliziani armati che dalla Turchia si inseriscono in Siria.

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Pinar Selek

Ansaldo comincia l’intervista da Pinar Selek, non solo perché è donna ma anche perché è delle ultime ore una notizia che la riguarda direttamente, l’unica buona notizia dalla Turchia da diverso tempo: il tribunale penale di Istanbul ha ordinato il ritiro della richiesta del carcere a vita nei confronti della sociologa e attivista turca rifugiata in Francia (e non il ritiro del mandato d’arresto, come si legge erroneamente sui giornali italiani). Pinar Selek, è perseguitata da 16 anni dalla giustizia turca, che l’accusa di aver partecipato a un attentato nel 1998, accusa che l’interessata smentisce categoricamente.

A Pinar Ansaldo chiede “Che fine ha fatto il movimento spontaneo di Gezy Park del 2013, voce del dissenso contro il regime, represso con la violenza e con un bilancio di otto morti?”. Pinar si dice subito ottimista, e colpisce per l’incredibile energia e passione, sembra stia parlando in una piazza davanti a centinaia di manifestanti: “I movimenti non si sono spenti. Nonostante il contesto repressivo influenzi moltissimo le attività, i movimenti di contestazione si muovono in un meccanismo dinamico. In realtà, questa deriva autoritaria a noi non ha fatto molto effetto, siamo abituati a questo tipo di regime. Il fatto che Erdogan abbia oscurato l’informazione e tolto YouTube non ci stupisce e non ci spaventa, troveremo altre strade. Dovete immaginare la Turchia immersa in un contesto di Paesi, come l’Iraq e la Siria, che vivono da decenni nella repressione e nel terrore. Come movimenti sociali abbiamo sempre dovuto adattarci, fin dagli anni ’80. E anche oggi, gli spazi militanti che ci stiamo ritagliando stanno operando degli adattamenti tattici. Proprio “grazie” alla repressione di Gezy Park, si sono costruite nuove alleanze, come con le minoranze curde e armene, con le femministe, ecc. e stiamo costruendo delle reti di militanti, anche a livello internazionale. Dai movimenti non bisogna aspettarsi che portino tutto e subito, sono meccanismi più incontrollati rispetto a quelli della politica dei partiti, ma io credo possano portare a risultati importanti nei prossimi anni.

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Ahmet Insel

Ahmat Insel, economista e politologo turco, completa l’analisi di Pinar su cosa ne è rimasto del movimento di Gezy Park: “Non bisogna attendersi che dal movimento di Gezy Park nasca un partito. E’ molto difficile, anche perché il nostro è un sistema elettorale con uno sbarramento del 10%: dall’82, dopo il colpo di Stato del generale Ahmet Kenan Evren, un partito per presentarsi deve avere il 10 % dei voti, soglia altissima. Se una traccia l’ha lasciata, dal punto di vista più prettamente politico, è stata la candidatura del leader curdo Selahattin Demirtas, accreditato con il 10 per cento, candidatura che sarebbe stata impossibile fino a pochi anni fa, ma che è stata possibile grazie all’attività dei tanti movimenti sociali che l’hanno sostenuta. Oggi il sistema di governo della Turchia è un ossimoro: è sulla via della democrazia, gli ingredienti ci sono tutti, la partecipazione è molto elevata, è all’85%, le elezioni non sono truccate. Eppure vediamo che non si tratta di democrazia. In realtà è un caso tipico di autoritarismo democratico, simile all’Ungheria odierna, ad alcuni Paesi dell’America latina. Il problema è come sciogliere questo nodo con strumenti democratici. Il problema principale è che gran parte della società, la più conservatrice e arretrata, ha paura di se stessa perché la Turchia ha una storia piene di violenze, di scontri etnici e religiosi, e non c’è mai stato un lavoro di memoria che potesse sciogliere i nodi più controversi e dolorosi, come invece hanno fatto, per esempio, l’Italia e la Germania. C’è un travaglio fortissimo sull’identità turca. E lo stesso governo sta vivendo una sorta di schizofrenia rispetto alla realtà: vuole entrare nell’Ue, questo è uno dei primi punti nell’agenda politica, ma allo stesso tempo vuole mantenere la forma di governo autoritaria che ha ereditato dalla storia.”

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Cengiz Aktar

Con Cengiz Aktar, Ansaldo affronta proprio la questione dell’entrata della Turchia nell’Unione europea, dal 2005 il Paese è ufficialmente candidato ad entrare nell’Ue. “L’attualità non è incoraggiante, ma ci tengo a ricordare che Erdogan non è sempre stato così. La prima vittoria del 2002 era stata una sorpresa politica senza precedenti, perché per la prima volta si affermava un Islam politico innovativo. Il governo ha varato molte riforme in senso democratico, tanto da indurre i Paesi dell’Ue, Francia e Germania in primis, a riconoscere questa straordinaria apertura e ad invitarlo a farne parte. La presenza di Erdogan è quindi stata utile al processo europeo, e viceversa la candidatura è stata utile alla democratizzazione della Turchia: la società civile si è veramente avvantaggiata con questo slancio di modernizzazione, basti pensare all’abolizione della pena di morte, e al riconoscimento dell’eccidio degli Armeni. E Gezy Park è stata la quintessenza di questo slancio, tanto da dimostrarsi forte abbastanza per affrontare il regime quando si è rovesciato nell’autoritarismo. Indubbiamente si riscontra una grande difficoltà del sistema a democraticizzarsi, ma la società turca sta facendo molto in questo senso, figure come Pinar Selek e Ahmet Insel hanno aperto un dibattito importantissimo, grazie al quale i turchi che potranno finalmente conoscere la grande complessità della storia e del Paese in cui vivono. ”
Alla domanda del moderatore, che chiede se i turchi vogliono veramente entrare in Europa, nonostante ora non se la passi proprio bene, Aktar risponde: “I turchi sono ancora favorevoli all’entrata nell’Ue, ad un sondaggio di due settimane fa il 50% della popolazione ha votato “sì.” Ma – continua – la domanda dovrebbe essere un’altra: l’Unione europea potrebbe procedere nel suo percorso senza la Turchia e altri Paesi dei Balcani e del Mediterraneo, correndo il rischio di vedere scoppiare conflitti come, ne cito solo uno, quello tra Romania e Ungheria che stava scoppiando nel ’94? Io credo che la pace e la stabilità abbiano un prezzo, ma che sia necessario garantirle. La politica dell’ampliamento, a mio avviso, è una delle politiche di maggior successo dell’Unione europea.

SGUARDO INTERNAZIONALE
Libertà, giustizia e bene comune: il caso di Aaron Swartz

Esistono tanti modi di uccidere una persona.
La si può uccidere fisicamente. Le si possono togliere i diritti fondamentali, quelli di cui ogni essere umano dovrebbe godere da quando nasce. La si può mettere in discussione, atterrirla, isolarla, minacciarla psicologicamente. Come fa il musicista Antonio Salieri ai danni del rivale Mozart. Si può tentare di uccidere le sue idee, tentando di spacciare la sua genialità per disonestà, cercando di farlo passare davanti all’opione pubblica o, ancora peggio, davanti alla legge, per fuorilegge, per ladro, per disonesto. Come fanno gli States ai danni di Aaron Swartz.

Il documentario incentrato su Swartz, la cui fama spesso precede il nome, è una raccolta di testimonianze di famiglia, amici e colleghi che ne tracciano un ritratto eccezionale, di grande forza e sensibilità, estremamente difficile da accostare ad altri personaggi. L’evoluzione di Tim Berners-Lee, il visionario che ha inventato il web. La personificazione non-violenta del Guy Fawkes mitizzato e iconografico del film “V for Vendetta”, il rivoluzionario che voleva un mondo uguale per tutti.
Uno che crede nella condivisione e nello scambio di idee. Uno che entra in un sistema informatico downloadando articoli accademici non accessibili a tutti (biblioteca del Mit) e diffondendolo, che permette di conoscere le leggi fino a quel momento scaricabili solo a pagamento (database Pacer della Corte Federale degi Stati Uniti), uno che sfida un sistema non democratico nè giusto, diventando attivista politico e voce di protesta contro il Sopa, legge-bavaglio che impone severissime pene contro i violatori di copyright, quello stesso concetto che Swartz aveva contribuito a modificare prendendo parte alla creazione, a soli quattordici anni, della licenza Creative Commons; conscio che la cultura è, o meglio dovrebbe, essere alla portata di tutti, considerandola come il primo vero divario tra chi è libero e chi non lo è.
Non escogita sistemi per arricchirsi. Nelle librerie universitarie, che lui considera vera e propria miniera d’oro, non entra per sfida o per gioco ma per liberare quel patrimonio inestimabile che solo la cultura può offrire, e creando nel 2007 Open Library, progetto di biblioteca digitale dell’Internet Archive. Creando Reddit, sito di contenuti, notizie e intrattenimento che sta sulla sottile linea tra caos e ordine, tra raggruppamento di dati e libero spazio di tutti.
Non entra nei database per rubare o craccare password con cui poi rubare milioni di dollari.
Swartz è un Robin Hood informatico, un sognatore, un utopico che cerca di fare di Internet un luogo libero, in cui circolino verità e confronto, dove tutti abbiano non solo voce, ma anche uguale grado di ascolto e di possibilità. E che resta schiacciato da una giustizia che gli propone un patteggiamento pur di dichiararsi colpevole del reto di hackeraggio pagando una multa, e che lui rifiuta fino all’ultimo.

Questa è la storia di Aaron Swartz, che si è suicidato l’11 gennaio 2013 in attesa di essere processato con tredici capi di accusa, dopo l’arresto per avere scaricato 4,8 milioni di articoli scientifici dal database accademico JSTOR. Ufficialmente, per avere violato la legge che impedisce di scaricare informazioni da un sistema protetto. Ufficiosamente, personaggio scomodo che scardina quel potere privilegio di una piccola fetta di chi può permetterselo a favore della maggioranza di persone che da qualche parte, là fuori nel web, sanno come utilizzare al meglio quelle conoscenze.
Come Jack Andraka, il sedicenne che ha messo a punto un sensore grazie al quale diagnosticare il tumore al pancreas nella sua fase iniziale. E che, come ha pubblicamente dichiarato, non sarebbe stato in grado di mettere a punto in mancanza dei giornali e documenti che Swartz ha “liberato” alla rete pubblica.

Esistono tanti modi di uccidere una persona.
Eppure, anche se Mozart muore, la sua musica continua a suonare.

Le leggi ingiuste esistono: dobbiamo essere felici di sottostare a esse, o dobbiamo ribellarci?
(Henry Thoreau)

[“Internet’s own boy: the story of Aaron Swartz” nella rassegna Mondovisioni]

SGUARDO INTERNAZIONALE
Oltre i confini, l’ascolto come strumento per accorciare le distanze

Se alzi un muro, pensa a cosa lasci fuori, diceva Italo Calvino.
Alzare muri non è mai una buona idea. Fisicamente, linguisticamente, culturalmente. Perché è la circolazione di persone e idee che permette di conoscere realmente gli altri. In antropologia, l’Altro è colui che geograficamente e culturalmente è lontano da un Noi. Ma basta ascoltare chi è fisicamente lontano da noi per poi accorgersi che la vicinanza è sorprendentemente intensa, forte ed empatica.
A Cara Italia ti scrivo c’è Gianpaolo Musumeci che racconta esperienze di viaggio, e ci sono studenti del Roiti che offrono spunti di riflessione scrivendo lettere a un ipotetico interlocutore nel mondo, in zone devastate da guerra, conflitti religiosi e politici. Storie lontane che appartengono a tutti. C’è Félicien, che scava il koltan in una miniera a cielo aperto. C’è il professore indiano che viene aggredito in metro a Roma. Ci sono le migliaia di arrivi dalla Libia, tema cui è ricorso l’anniversario della morte di 366 persone il 3 ottobre a cui venne in seguito data risposta con l’operazione Mare Nostrum, che si occupa di offrire sorveglianza e aiuto a tute le persone che arrivano in Italia via mare, e che sarà a breve sostituita da Frontex Plus. C’è l’arrivo di migranti balcanici che percorrono chilometri e chilometri a piedi. C’è la questione irrisolta del conflitto palestinese e di due popoli che non trovano pace. Non possono e non devono esserci storie, facce, sguardi dimenticati, perché dimenticare una sola persona significa voltare le spalle a tutte.

Per la rassegna Mondoascolti, Nija Dalal e Nina Garthwaite, fondatrice del progetto radiofonico In the Dark che propone progetti incentrati sull’ascolto nei luoghi pubblici, e introducono due radiodocumentari. Senza parole di Katharina Smets è una delicata storia di un incontro, in un giardino di Parigi, tra due donne apparentemente diverse che cercano e trovano il modo di comunicare. Non ci sono troppe parole, ma prevalgono i pensieri, gli stati d’animo che la voce narrante, una delle due protagoniste, racconta, osserva per poi restituire all’ascoltatore. E dove ciò che colpisce realmente è la semplicità con cui si arriva al dialogo, tra una osservazione sul giardino che la donna cura, la promessa di ritornare e il dono di un annaffiatoio per curarlo. E dove in fondo non c’è bisogno di troppe parole per capirsi, ma basta la omonima canzone di Vasco Rossi Senza parole. On the Path of Promaja è una originale riflessione sulla parola promaja, che l’autrice Léa sente durante un viaggio nei Balcani e che in macedone indica una ventata forte e improvvisa che arriva nelle case e se ne va, altrettanto velocemente quanto è arrivata. Parola misteriosa e ricca e sfaccettata, perché indica anche la speranza. E che, al pari di parole splendide e misteriose quali saudade, Weltanschauung, adagio sono intraducibili, perché nate nella culla di un luogo e destinate a definire qualcosa che è costitutiva di quel luogo, ma appartengono a tutto il mondo, destinando a chiunque un prezioso scorcio di cultura.

Primo Novecento: ecco la zona industriale e una compatta
classe operaia

STORIA DELL’INDUSTRIALIZZAZIONE FERRARESE (QUINTA PARTE)

Fra il 1919 e il 1921 lo scontro di classe nelle campagne raggiunse il suo vertice, le squadre fasciste sconfissero le leghe socialiste, sicché le organizzazioni sindacali del fascismo, appoggiate dagli agrari, si imposero sui sindacati della sinistra. Il padronato agrario mise in discussione il “patto Zirardini” del 1920, che prevedeva l’obbligo da parte degli imprenditori di assumere durante l’inverno, sebbene per un tempo limitato, i lavoratori disoccupati. Durante il ventennio fascista permase nelle campagne ferraresi il problema della disoccupazione rurale, anzi la politica deflazionistica avviata nel 1927, con l’obiettivo di portare il cambio della lira italiana nei confronti della sterlina inglese alla cosiddetta “quota novanta”, si tradusse per l’economia ferrarese in una preoccupante crisi agricola e finanziaria.
“Nacque per decreto del 1936 la zona industriale di Ferrara, dove dovevano insediarsi diverse aziende trasformatrici dei prodotti agricoli ferraresi e in funzione della riorganizzazione autarchica dell’economia italiana: dalle industrie canapicole a quelle per la produzione di amido, dalle distillerie alle fabbriche di imballaggi, dalla Società Chimica Aniene alla Società Gomma Sintetica, alla Leghe Leggere, alla Cellulosa. Buona parte delle industrie insediate nella zona industriale ferrarese, creata a nord-ovest della città a congiungersi col vecchio polo industriale di Pontelagoscuro sul Po, poterono entrare in funzione solo a guerra iniziata, nel 1941-42. Nonostante gli orientamenti autarchici della produzione, la presenza della zona industriale rappresentò per Ferrara un’importante novità sul piano sociale: nasceva per la prima volta un nucleo compatto di classe operaia industriale, non legata a brevissimi cicli stagionali”*. Intanto era sorta, a partire dal 1934, una zona industriale anche a Tresigallo, quantunque interamente mirata alla sola attività di trasformazione dei tradizionali prodotti dell’agricoltura ferrarese: canapa, frutta, barbabietole, latte

* F. Cazzola, “Economia e Società” (XIX-XX secolo), in F. Bocchi (a cura di), “La Storia di Ferrara”, Poligrafici Editoriale, Bologna 1995.

IMMAGINARIO
Lavorare manca
La foto di oggi…

“Il lavoro, anche il più umile e faticoso, ma pagato, è quello che – già da ragazzi – dà fiducia in sè, senso di appartenenza sociale, dignità”. A raccontarlo ieri due ospiti ferraresi tra i 224 reporter, scrittori, giornalisti e fotografi arrivati da tutto il mondo per Internazionale a Ferrara 2014. Insieme sul tema lavoro Gaetano Sateriale (“Tutti i colori dello zucchero”) e Diego Marani (“Lavorare manca”). Perché sì, a volte stanca, ma – quando non c’è – manca.

OGGI – IMMAGINARIO EVENTI

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Libreria del festival Internazionale a Ferrara nel Chiostro di San Paolo, ingresso da piazzetta Schiatti

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici colori-zuccheroaspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

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