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Giorno: 19 Ottobre 2014

IL PUNTO
La concretezza dei sogni

E’ finita come era ampiamente prevedibile. Con la cacciata del sindaco Marco Fabbri dal Movimento 5 stelle e una conseguente spaccatura verticale, che fotografa il gruppo pentastellato di Comacchio schierato compatto con il suo primo cittadino, mentre i ferraresi appoggiati dal nazionale ne stigmatizzano il comportamento. Ma se torniamo sulla vicenda della Provincia di Ferrara già altre volte trattata non è per entrare nel merito o per nostra fissazione sul tema. Il punto è che questa vicenda è specchio paradigmatico di un’arte di governo che mette a repentaglio la corretta dialettica politica, la quale non può prescindere da un confronto aperto fra tesi contrapposte. Rappresenta quindi un rischio reale che va denunciato.

Le larghe intese, addirittura extralarge nell’anomalo caso della nostra Provincia, non sono un ampliamento della democrazia, come qualcuno ci vuol far credere. Al contrario sono un suo restringimento. Governare tutti insieme significa presupporre che le cose che si possono fare siano semplicemente quelle dettate dal buon senso. Una premessa che non ammette alternative razionali. Se passa questo concetto si cancella ogni margine di dissenso e si confina il pensiero antagonista nelle praterie frequentate da sparuti epigoni di idealità radicali: illusi, sognatori, resistenti che hanno perso il contatto con la realtà dei fatti, le cui fantasie non hanno alcuna concretezza.
Il mondo, secondo gli alfieri del pragmatismo, va governato dai ragionieri, con i piedi ben piantati sulla terra e lo sguardo incollato all’orizzonte dei fogli contabili. Questo è il pericolo dal quale dobbiamo difenderci.

Il messaggio che si tenta di contrabbandare è che le decisioni assunte non siano frutto di scelte, ma si configurino semplicemente come atti che rispondono razionalmente a bisogni diffusi, soluzioni inevitabili che scaturiscono come logica conseguenze a necessità comprovate, secondo una presunta forma di automatismo della ragione a una sola via di transito.

Invece c’è sempre un’altra possibilità, un diverso orizzonte, un percorso differente. Come ci insegna il salmone.

Il pensiero alternativo, oggi più che in passato, è bollato di astrattezza e inconsistenza. Ma se a tenere in piedi il mondo contribuiscono i ragionieri, a cambiarlo, da sempre, sono i visionari. Teniamolo a mente. Con la consapevolezza che questa è epoca di tramonto, che impone grandi, radicali cambiamenti per poter essere preludio a una nuova alba.

IL TEMA
Sguardo vigile sugli inceneritori

C’è chi li vuole patrimonio nazionale (art.35 dello “Sblocca Italia”), chi strumento regionale (tra cui io e Sandro Bratti), chi non li vuole proprio. Bisogna parlarne perché non passi la linea dell’ ‘incenerimento libero. Certo la centralità del problema dei rifiuti è di vari ordini, ma il più importante e delicato è lo smaltimento finale. Per questo una forte e continua attenzione è necessaria non solo per promuovere una indispensabile coscienza civica ma anche per sostenere lo sviluppo di tecnologie appropriate e a loro volta ambientalmente compatibili. Spesso il tema degli impianti viene affrontato come grave minaccia ambientale e non come anche soluzione al problema. A mio avviso gli obiettivi che si devono perseguire nel tempo sono essenzialmente quelli di aumentare la quota destinata al riciclo, di migliorare per quanto possibile la qualità dei rifiuti domestici riducendo sensibilmente le sostanze tossico nocive, ma anche di favorire la termocombustione, destinando solo il rimanente allo stoccaggio definitivo in discarica controllata. Capisco che questa affermazione sia poco popolare. E’ però difficile pensare ad un radicale cambiamento se ancora in discarica si smaltisce oltre il 70% dei rifiuti, se permangono contrasti anche ideologici che, al momento producono principalmente effetti di ritardo e contrapposizione piuttosto che di reale trasformazione del comparto ambientale. Da molti anni ormai a livello internazionale sta crescendo la consapevolezza di dover difendere la sostenibilità ambientale e quindi energie rinnovabili (impianti solari, eolici, idroelettrici, biocombustibili).

Il tema ruota attorno ad alcuni aspetti fondamentali: cambiamento climatico, ambiente e salute, natura e biodiversità, gestione delle risorse naturali e dunque uso sostenibile dei rifiuti. Per questo dobbiamo parlarne di più. Per prevenire e gestire situazioni di conflitto occorre infatti adottare nuovi percorsi e approcci decisionali, improntati all’informazione e al dialogo con i diversi interessi e punti di vista che le comunità locali e i soggetti interessati esprimono, avvalendosi di tecniche per la costruzione di decisioni condivise e consensuali.

La termovalorizzazione in Europa è operativa con circa 300 impianti, di cui buona parte in Svizzera, Danimarca e Francia; in Italia oggi solo l’ 8% è dedicato all’incenerimento.
In sostanza, è del tutto assente su scala nazionale un modello di gestione rifiuti basato sul “sistema di gestione integrata”. Tale modello pone al centro il concetto del recupero e della valorizzazione conseguente delle frazioni merceologiche presenti negli Rsu sia sotto forma di materia che di energia, relegando il ricorso alla discarica solo per quei rifiuti che residuano dal trattamento e che non sono suscettibili di ulteriori valorizzazioni. Va quindi aperta una fase nuova nell’affrontare i problemi. Il dibattito, peraltro accentratosi sui rifiuti di origine urbana, si è concretizzato inizialmente nella contrapposizione tra fautori e avversari della combustione, cui è seguita quella tra sostenitori della linea “tal quale” e sostenitori della linea che privilegia invece la produzione di combustibili derivati, identificabili con la “frazione secca” ed il Cdr precedentemente menzionati.
Tutto bene dunque? Assolutamente no. Bisogna parlarne di più.
Occorrerà evitare di imporre o privilegiare schemi rigidi di gestione o particolari soluzioni tecnologiche, lasciando che sia il mercato, all’interno di un contesto caratterizzato da vincoli più flessibili ma continuamente monitorati, ad adattarsi alle esigenze mutevoli della domanda ed alla volatilità dei prezzi di materie prime ed energia. La strada maestra è l’individuazione di impianti di termoutilizzazione con recupero di energia, a servizio di significativi bacini di produzione, inseriti organicamente in un sistema di gestione dove si realizzino le raccolte differenziate e le discariche diventino così elemento residuale. Il nostro ritardo, che causa problemi non solo al territorio, ma allo stesso sistema produttivo, va superato innovando non solo le procedure e le tecnologie, ma anche sperimentando un approccio basato sulla pianificazione territoriale, su un ruolo forte della programmazione, su una corretta informazione dei cittadini ed un loro crescente coinvolgimento, su una forte politica di alleanza imprenditoriale pubblica e privata, oltre ad un importante fase di esecuzione e affidabilità della gestione.
Non dimentichiamoci allora degli inceneritori, anzi teniamone alta l’attenzione.
La corretta comunicazione pubblica ambientale diventa in proposito un principio fondamentale.

La nascita di molti comitati di cittadini e di rifiuto della tecnologia rende necessaria una profonda riflessione, a partire dalla consapevolezza delle opposizioni e delle loro motivazioni.
Movimenti ambientalisti, comitati volontari e cittadini impegnati esprimono crescenti perplessità, osservazioni di merito e criticità espresse che non si devono né sottovalutare né tantomeno contrastare; tra queste ecco alcune problematiche poste:

  • L’unica via razionale, per la soluzione del problema rifiuti deve passare attraverso una rapida riprogettazione dei cicli produttivi , politica del riciclaggio, riutilizzo spinto.
  • La presenza di un inceneritore disincentiva la raccolta differenziata.
  • La termovalorizzazione è il più costoso sistema per lo smaltimento dei rifiuti
  • La scarsa credibilità che i nuovi impianti emettano inquinanti in “quantità trascurabile”
  • I termovalorizzatori non portano alcun beneficio alle popolazioni
  • Nessun inceneritore può garantire efficienza continuativa,
  • La scelta dell’incenerimento trasferisce le responsabilità ambientali e gestionali alle popolazioni che vivono attorno agli impianti stessi.
  • L’inceneritore non tiene conto dei bilanci energetici basati sull’analisi dell’intero ciclo vitale dei prodotti.
  • La vendita di elettricità sarebbe dovuta andare alle fonti di energia rinnovabile (solare, eolico, biomasse)
  • I limiti sulle emissioni di diossine non sono sinonimo di sicurezza, ma solo di minor rischio sanitario;
  • I termovalorizzatori, funzionano da ”disperditori” di inquinanti, sostanze che spesso ritroviamo a parecchia distanza .
  • Un impianto di incenerimento emette giornalmente alcuni milioni di metri cubi di fumi, alcune decine di chilogrammi di polveri fini e almeno un chilo di metalli pesanti.
  • Contamina pesantemente le catene alimentari con effetti sugli apparati endocrini dell’uomo e degli animali.
  • Molti dei composti chimici emessi durante le fasi di combustione dei rifiuti devono ancora essere identificate.
  • Mancano laboratori in grado di determinare le concentrazioni di pericolosi inquinanti come i PCBs
  • Molti dei composti chimici che si formano per combustione incompleta (organoalogeni) sono altamente tossici, teratogeni, mutageni e cancerogeni.
  • I gas di combustione che si formano contengono sostanze chimiche molto pericolose quali i furani (Pcdfs) e le diossine (Pcdds),
  • Non esistono sistemi di misurazione completa e continua degli inquinanti;
  • Circa il 30% del peso iniziale del rifiuto si ritrova alla fine del ciclo di combustione sotto forma di ceneri altamente contaminate.

Lo scopo di questo articolo non è certo di affrontare nel merito questi temi, ma di indicare l’importanza delle motivazioni e delle corrispondenti controdeduzioni finalizzate alla corretta trasparenza del confronto ispirata da valori di sostenibilità ambientale e rispetto delle opposizioni. A ognuno di questi punti servono risposte chiare e oneste.
Si cita solo a riferimento come in specifico a Ferrara sia stata costituita una specifica struttura (Rab) avente questo scopo e come a livello regionale siano operative strutture di controllo che periodicamente danno indicazioni sui monitoraggi e sui controlli effettuati.

Arzèstula, un viaggio a nord-est tra le macerie dei ricordi

Da Parasacco a Medelana, 16 novembre (prima parte), by Wu Ming 1

Un sogno persistente. Non ho ancora finito la tesi, continuo a raccogliere testimonianze tra anziani parroci e basapilet, beghine di campagna vestite di nero. Strade secondarie mi portano a stradelli ghiaiati e da lì su vialetti sterrati collegati a casolari, sempre col mio registratore. Torno a Ferrara con lo zaino pieno di storie sconnesse, di quando il messale era ancora in latino, il prete ti dava le spalle e il calice di sangue pro vobis et pro multis effundētur, a rimettere i peccati. Ho venticinque anni e devo sbrigarmi, “stringere”, la sessione è dietro l’angolo e il relatore è impaziente, vuoi deciderti o no, hai intervistato cento persone, te la sarai fatta un’idea. Hai letto il libro di Revelli, hai letto il libro di Portelli, hai letto il libro di Bermani e pure quello di Montaldi, che ne pensi del ricordo come fonte storiografica? Hai tracciato lo schema X? Hai fatto i debiti confronti? Un sogno ricorrente. Ogni volta tocco il fondo di una conca di nebbie, intrepida come la prima storica sulla Terra, colei che narra la madre di tutte le storie, e scopro che prima di me è passata un’altra tizia, l’intervistanda è svuotata, ha parlato per ore e non ne vuole più sapere: “Potevate anche mettervi d’accordo, ragazola, se venivate insieme queste cose le dicevo una volta sola… Raccontavo di quando son stata a S. Pietro, del Papa che è
venuto a Consandolo… Ades a son stufa, a voi andar a let.”
Metterci d’accordo. Pare facile, ma io non so chi sia, questa che mi precede. Lo scopro (scoprirò) soltanto in un altro sogno, ma sono episodi a tenuta stagna, ciò che imparo in un sogno non scorre in quello seguente.
Del resto, i sogni non sono il mondo. Nessun papa è mai stato a Consandolo.
Lo devo scoprire ogni volta, che a precedermi è la Scrittrice.

Mi son svegliata all’improvviso, con tanto freddo intorno.
Ingrottita.
Ingrottita? “Ingrottirsi”. Questo verbo in italiano non esiste. Ingrutiras, rattrappirsi, accartocciata nel sacco a pelo per via del gelo. Minima detonazione, parola che torna dall’infanzia, sciabordìo nella testa. La lingua della madre risospinta fino a me.
Eccomi qui, dopo tanti anni, sui mont ad Parasac.
I monti di Parasacco in realtà non esistono. Nessuna altura, a Parasacco. Nessuna altura tutt’intorno. Anche prima della Crisi la Bassa era bassissima, scodella di bruma e terra grigia. I “monti” di Parasacco son due piccoli dossi, dune coperte d’erbacce, in quello che era un cortile privato. Solo una vecchia battuta, un cliché d’antecrisi.
“Dove sei stato in vacanza?”, chiede Tizio.
Sui mont ad Parasac!”, – risponde Caio, cioè da nessuna parte.
Sarcasmo da contadini.
Parasacco era un villaggio di poche case, sull’ansa di una strada che s’infrattava verso sud dalla Rossonia, poco prima del bivio per Medelana. La Rossonia continuava a correre fino all’Abbazia di Pomposa. Il viandante, invece, scendeva nel comune di Ostellato, ammirando capezzagne di tristezza.
Medelana, paesello già spettrale alla fine del secolo scorso, ora poco più di una bava grigioverde all’orizzonte. Quand’ero ragazza, andar a Madlana significava andare a vedere i porno. A Medelana c’era un cinema, i miei compagni di scuola ci andavano già da minorenni. Pellegrinaggi mesti in comitiva, immagini ferme proiettate in sequenza su un lenzuolo, per dare un’illusione di movimento: cazzo dentro, cazzo fuori, cazzo
dentro, cazzo fuori, schizzo, si ricomincia. Poi il cinema chiuse.
Ogni tanto lo riaprivano per una tombolata, sempre più di rado, infine si spense.
Poco distante, l’ex-fabbrica di “stampi da caccia”. Anatre di plastica. Il muro maestro è crollato, la pioggia ha sciolto gli scatoloni e i palmipedi sono fuggiti. Anatre di plastica nel canale
San Nicolò, anatre nel Po di Volano. Ai miei tempi era più basso e stretto. Dopo la Crisi si è alzato, certamente più di un metro, e si è allargato. Adesso è un Signor Fiume.
Eccola, invencible armada di anatre in viaggio verso il mare.
Quelle che non s’impiglieranno nei canneti, chissà dove finiranno. Forse arriveranno, tra cent’anni, fino alla Grande Macchia, vortice di immondizia che galleggia nel Pacifico e prima o poi raccoglie ogni pezzo di plastica finito in acqua. La immagino sotto il sole, la Macchia: una distesa quieta, aromatica.
Baciata dal sole. Fotodegradantesi.
Anatre, eccomi qui. La voglia di tornare è cresciuta veloce com al canarin d’Alvo.
Pensa che mi torna in mente. Una storia di prima che nascessi, qualcuno aveva venduto a un certo Alvo un anatroccolo, spacciandolo per canarino. Alvo lo mise in gabbietta e quello crebbe, crebbe, crebbe finché… dall’aneddoto nacque il modo di dire. At cresi com al canarin d’Alvo si diceva ai nipotini da una visita all’altra, si diceva agli undicenni durante l’estate. Ma sto divagando, mi chiedevo…
Mi son svegliata all’improvviso, con tanto freddo intorno. Un lucore pallido abbraccia il mondo, foschia si alza da acquitrini e grandi stagni che un tempo erano campi, foschia come quand’ero ragazza. A nord-est si allunga una striscia frastagliata. La superstrada per Porto Garibaldi. Quel che ne resta.
Cerco la casa della mia infanzia.

Giorni fa, entrata a Ferrara, ho trovato l’anastatica di un vecchio dizionario. Pagine gialle e deformi, macchie di muffa. Il Vocabolario Ferrarese-Italiano di Luigi Ferri, 1889. L’ho letto lungo il pellegrinaggio, voce per voce, pagina dopo pagina, accampata sotto antichi cavalcavia, seduta sul rotolo del sacco a pelo, gambe dolenti dopo migliaia di passi nel fango.
Che tetra sfilata di parole estinte! Frasi idiomatiche che usavano le nonne, perse molto prima della Crisi.

Argur
Zarabigul
Arzèstula

…ramarro, formicaleone, cinciallegra…

Sciorzz
Baciosa
Capnegar

…lucciola, chiurlo, capinera…

Ricordi vaghi, sussulti, vibrare incerto di neuroni.
Alievar.
Lepre.

Già quand’ero piccola, nei campi dietro casa non c’erano più lepri. Sterminate, tutte. Ne vidi una soltanto a nove anni, già putrefatta, forse l’ultima del suo mondo. Sterminio: prima degli enti mancarono le parole. E adesso che gli “enti” tornano, e chiurli ne sento spesso e le sere d’estate è pieno di lucciole, le parole sciorzz e baciosa son più morte che mai.
La controbonifica è in corso, lenta, contrastata ma inesorabile.
L’oriente della vecchia provincia è sotto il livello del mare, scende anche di quattro metri e l’acqua s’impunta, vuole tornare nei luoghi da cui fu espulsa. La Commissione mantiene il minimo di controllo, ma alcune idrovore non funzionano più e interi comuni hanno capitolato. Chissà che ne è stato delle Magoghe. Era il luogo abitato più basso d’Italia.
Davamo per scontato il territorio intorno a noi. Pochi si fermavano a pensare che, ogni profano giorno, qualcuno doveva controllare e pompare via l’acqua, perché le nostre case non fossero allagate. Levo una preghiera per quei lavoratori del Consorzio. Li ringrazio per quello che hanno fatto, e ringrazio chi di loro è rimasto a vigilare. Li ringrazio per questo lavoro di Sisifo, mantenere emerse porzioni di una terra che, presto o tardi, capitolerà di fronte al mare. Le acque salate già si innalzano, la costa annega lenta. Almeno così raccontano i viaggiatori, così racconta il radioamatore di Porto Tolle.
Penso a te, guardiano della bonifica. Non so chi ti stia dando un salario, né come né quanto. Non so cosa pensi di salvare, non so cosa vuoi che non si perda, non so cosa sogni mentre sogno, ma so che qualcosa stai salvando, e sono tua alleata, tua sorella. Io come te, tu come me, cerchiamo nel passato un avvenire.
Oggi, ad ogni modo, le acque nei canali sono ferme. Da una settimana il cielo ci risparmia, incombe triste ma non lacrima.

Della casa della mia infanzia resta poco, spaccata com’è da rampicanti, piegata verso nord dal pino crollatole addosso. Ed è così piccola… Quand’ero cirula, mi circondava come una reggia.
D’inverno ci teneva caldi, fuori la neve copriva la terra e sotto il manto, come tuberi, restavano i ricordi dei giochi al sole.
Aprile passava tra gli scrosci, la pioggia ci sorprendeva e riparavamo sotto i portici dei fienili, molti già abbandonati.
L’estate arrivava all’improvviso, senza dir ne asino ne porco. Ci mettevamo al sole, bevevamo limonate, facevamo filo, chiacchiere che non erano nulla, eppure erano noi.
Ora la casa è tanto piccola, o forse io sono più alta. Ho almeno una spanna di fango sotto gli scarponi.
Gli dèi sono stati buoni con papà e mamma. Se ne sono andati prima di vedere la Crisi, né oggi vedono questo.
Il sole è già basso. Non voglio entrare. Sento di non essere forte abbastanza.
Da una breccia nei muri consumati scivola fuori una cosa pelosa. E’ un ratto. No, un furetto. Un furetto, si allontana senza guardarmi, si infila tra gli arbusti. E’ di certo un discendente di bestiole da compagnia inselvatichite, che i padroni non fecero in tempo a sterilizzare.
La Crisi arrivò prima del veterinario.

Non riesco a dormire, leggo. E’ quasi l’alba, ma leggo. La luce del falò fa tremare le lettere.

A bissabuo
Snestar
Barbagul

…a zig-zag, di traverso, bargigli…

Pinguel
Budloz
Rugnir

…palato, cordone ombelicale, nitrire…

Vedere le macerie di una lingua strizza il cuore. Ogni parola che si estingue è una casa che cede, si piega e si infossa, affonda nella sabbia.
Queste erano parole abitate, esseri umani le riempivano di vita e di storie.
Vedere le macerie può farti immaginare com’era la casa.
Immaginare i passi, i bimbi che correvano, le voci che passavano di stanza in stanza… Ma non puoi abitare le macerie come si abita una casa. Le macerie non torneranno casa. La casa non esiste più.
Alzo gli occhi dal libro e a lungo cerco le Pleiadi, ma non le trovo.
E’ il mio ultimo giorno qui. Domani tornerò a sud-ovest.

Racconto apparso nell’antologia “Anteprima nazionale. Nove visioni del nostro futuro invisibile.” A cura di Giorgio Vasta, Minimum Fax, Roma 2009.
© 2009 by Wu Ming 1, [vedi]
Foto Andreas Trepte

 

Le mie lacrime per Leopardi

A volte credo che la difesa delle proprie convinzioni passi anche attraverso un sano e corretto rifiuto di discussione che non sia veramente motivata. Tutto nasce dall’avere visto “Il giovane favoloso” e di esserne rimasto così turbato (sì lo confesso anche con le lacrime invano ricacciate indietro) proprio perché avevo la certezza di trovarmi di fronte a un capolavoro dovuto alla regia di Martone e alla bravura di uno dei più grandi attori dei nostri tempi, Elio Germano. E quando sento certi colleghi “esperti” catalogare il film come puerile e didattico mi salta la mosca al naso. Si spieghino gli illustrissimi accademici e non e mi diano le ragioni “vere” di questo atteggiamento sussurrato con la boccuccia a “cul de poule”. Loro sono abituati al Leopardi e alla sua protesta civile secondo le indicazioni del mio maestro Binni e di Cesare Luporini? Va bene. Ma che dire come qui, nel film, l’infelicità e il dolore mettano in causa attraverso il dubbio la protesta del nostro stato e alla fine trovano una spiegazione attraverso la “social catena” umana della “Ginestra” che nel dolore trova e dà senso al vivere?
Altro che il “romantico” Leopardi a cui ci avevano abituato. Si romantico perché titanico: come Chopin ridotto fino alla mia generazione a musicista da signorine.
Ha ragione la mia amica Anna Dolfi autore di tre splendidi saggi su Leopardi ad avermi rimproverato la mia indifferenza verso quel poeta in tanti anni di commercio intellettuale. Ma non è mai troppo tardi. Anch’io alla mia venerabile età sono arrivato attraverso un film a capire le ragioni leopardiane. E per questo che difendo questo valore ritrovato nel momento che solo l’eticità di quella posizione è “rimedio unico ai mali” che in questo nostro deluso e deludente presente ci renderebbe degni di chiamarci popolo o meglio nazione. E i giovani lo sanno. Mi dicono che a Firenze la proiezione per le scuole superiori sia stata seguita in religioso silenzio e che Martone fino alle una di notte ha dovuto rispondere alle domande dei ragazzi.
Alla buonora! E perciò non mi vergogno d’aver pianto e di difendere questo film che è o sarà amato dalla meglio gioventù…

La supremazia del battito

Molto in fondo, oscuro e oscurato da sopvrapposizioni di anni ci sta il cuore primitivo, nucleo emotivo di tutto. A teorizzarlo è Craig Nolan, antropologo e accademico.
Mara Abbiati, sua moglie, scultrice di gatti nel tufo, quel cuore primitivo lo sente sotto la pelle che batte sempre più forte. Il cuore erutta e fa rumore (dum dum dum), si impone su ogni convenzione, buon senso, opportunità e logica. Basta sollecitarlo e parte. Proprio come aveva scritto suo marito Craig, attento studioso di uomini e civiltà lontane.
Ci prova Maria a fare resistenza a Ivo, così diverso e distante da lei, ci prova a seppellire il cuore primitivo che sente lì pronto ad attivarsi, è tutto un battere, un dominio di sensazioni e istinto. È un’attrattiva irrazionale quella che Mara sente, i gesti sono la logica conseguenza di un non senso che prevale.
Ma sono poi così diversi lei e Ivo? Quando si trovano vicinissimi, quando si sentono l’uno nell’altra, sembrano coincidere più che divergere. Mai si sarebbe avvicinata a uno come Ivo, eppure. Perchè questo fa il cuore primitivo: spacca. Così come si spacca il blocco di tufo che Mara sta scolpendo quando Ivo le è accanto, troppa forza, troppa brutalità nelle sue braccia forti di donna artista che non riesce a domarsi. È violenta, senza misura, piena di rabbia e tutto va in frantumi. Crac.
“Cuore primitivo” è un romanzo di suoni, rimbombi e sottofondi. De Carlo è abilissimo nel far sentire ciò che sta succedendo attorno a Craig, Mara e Ivo, ma soprattutto dentro di loro. Fa rumore il sangue bollente che scorre, il cuore che accelera, gli impulsi che attraversano i corpi.
Che fare dopo quello che è successo? Qualcosa si è spaccato. O aperto. Dipende da dove lo si guarda. Mara non può ignorare il blocco di marmo che è andata a prendere insieme a Ivo, sì proprio il marmo che lei aveva sempre rifiutato, è la sua nuova materia, una nuova scultura l’attende da quel blocco informe, qualcos’altro deve nascere dalle sue mani. Un’altra opera d’arte vuole liberararsi da quella pietra.
Ivo non capisce perchè una donna come Mara lo possa attrarre e gli faccia venire certi pensieri, non gli appartiene quell’approccio con le donne, lui è sempre stato diverso. È Mara che è diversa dalle altre, è concreta, materica. Sente che sta per precipitare in un senso di vuoto se lei se ne va. Stesso vuoto dentro di lei, quanto tempo potrebbe metterci a superarlo? Ma ha senso sforzarsi di capire l’incontrollabile?
Craig nota e sa, sa che quell’atteggiamento di Mara è chiaro indice di frattura, sa che c’entra la legge del cuore primitivo di fronte al quale l’equilibrio di coppia, già molto messo alla prova, non può reggere.
Supremazia del battito fuori controllo, dum dum dum.

Andrea De Carlo, Cuore primitivo, Bompiani 2014

IMMAGINARIO
Buon compleanno, Dario.
La foto di oggi…

Oggi è il compleanno di Dario Franceschini. Uomo politico, avvocato e scrittore, da febbraio è Ministro dei beni, attività culturali e turismo nel governo Renzi. E’ nato a Ferrara il 19 ottobre 1958. E a Ferrara muove i primi passi di impegno politico, ancora ragazzo, all’interno del liceo scientifico Roiti. Qui, a metà degli anni ’70, fonda l’Associazione studentesca democratica di ispirazione cattolica e centrista. Negli ultimi anni, alla passione politica affianca quella letteraria e firma tre romanzi, editi da Bompiani.

OGGI – IMMAGINARIO PERSONE

Dario-Franceschini-ministro-ferrara
Dario Franceschini in un’immagine recente dopo la nomina a ministro del governo Renzi

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

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