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Giorno: 25 Novembre 2014

Le iniziative della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne

da: ufficio stampa Comune di Comacchio

Dopo l’incontro dal titolo “Un abbraccio che può soffocare”, svoltosi questa mattina nell’aula magna dell’Istituto di Istruzione secondaria “Remo Brindisi” del Lido degli Estensi, le iniziative promosse dalla Commissione per le Pari Opportunità del Comune di Comacchio, per celebrare la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, sono proseguite con il tradizionale allestimento di scarpe rosse in Piazza Folegatti e con la performance serale in Sala Consiglio, alla quale hanno partecipato anche il Sindaco Marco Fabbri e l’Assessore alle Pari Opportunità Alice Carli. Dopo l’introduzione di Bianca Mezzogori (UDI – Spazio Donna), durante la quale è emersa con forza l’importanza dell’educazione di genere, oggetto del recente seminario di studio nazionale, è intervenuta l’Assessore Alice Carli, la quale ha messo in luce il proficuo lavoro svolto ad un anno dalla approvazione della convenzione “Femminicidio No More!”. “Le iniziative di oggi – ha sottolineato l’Assessore Carli – ci indicano che quella intrapresa è la strada giusta sulla quale proseguire, per fare prevenzione, per promuovere una cultura improntata al rispetto, contrastando stereotipi che si ritrovano sempre nella violenza commessa contro le donne. Abbiamo dato il via al progetto della Community Lab dando voce alle donne che parlano di donne – ha aggiunto l’Assessore -, che quest’anno si trasformerà in un teatro comunitario.” Tanti sono i progetti in cantiere per la Commissione Pari Opportunità, in piena sinergia con le associazioni femminili del territorio (UDI-Spazio Donna e CIF), coordinate dalla funzionaria Patrizia Buzzi, ma anche con le scuole. Non a caso l’incontro organizzato questa mattina con le studentesse e gli studenti dell’Istituto di istruzione secondaria “Remo Brindisi” del Lido degli Estensi puntava al coinvolgimento del mondo della scuola, perchè “la prevenzione parte dall’educazione e ci riguarda tutti da vicino – ha concluso l’Assessore Carli.” Il Sindaco Marco Fabbri ricordando il percorso partito proprio un anno fa dall’aula consigliare con la sottoscrizione della convenzione “Femminicidio No More!”, ha voluto in primo luogo ringraziare le donne delle associazioni femminili, le cooperative sociali Work & Services, il Centro Donne Giustizia di Ferrara e l’Istituto “Remo Brindisi” per la collaborazione. Il Primo Cittadino ha poi focalizzato l’attenzione su una similitudine, equiparando al “Fumo passivo” il fenomeno della violenza contro le donne e della tragica escalation di episodi di violenza fisica e psicologica che tragicamente rimbalzano sulla cronaca. “La violenza non è solo in casa o al lavoro – ha aggiunto il Sindaco -, ma purtroppo la ritroviamo anche sui social network, usati spesso in maniera anomala. E’ fondamentale contrastare luoghi comuni e stereotipi proposti dalla società, secondo i quali determinate attività, ad esempio, vengono attribuite esclusivamente alle donne. La vera rivoluzione culturale parte dall’educazione e da momenti di riflessione come questo, per evitare di trasmettere alle nuove generazioni linguaggi, comportamenti e stereotipi inadeguati.” Prima della performance dedicata a storie vere di donne che vivono quotidianamente la fatica di dividersi tra cure domestiche e lavoro, il Sindaco ha ribadito che “è la scuola su cui bisogna lavorare, perchè è il nostro partner importante per delineare quella svolta culturale che ci vede tutti protagonisti, istituzioni, scuole, associazioni e cittadini.”

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“Fondi europei. Come li investiamo”: convegno in Castello Estense venerdì 28 novembre

da: ufficio stampa Provincia di Ferrara

“Fondi europei. Come li investiamo” è il titolo di un convegno in agenda venerdì 28 novembre alle 14,30 nella sala Imbarcadero 2 in Castello Estense.

L’incontro organizzato dalla Provincia sarà aperto dal presidente Tiziano Tagliani, cui farà seguito l’intervento della direttrice delle Attività produttive, commercio e turismo della Regione Emilia-Romagna, Morena Diazzi, dal titolo: “I risultati e le opportunità della programmazione del Fondo europeo di sviluppo regionale”.
Le iscrizioni all’indirizzo: rita.tilomelli@provincia.fe.it .

All’Apollo si distribuisce un…Elisir d’Amore!

da: ufficio stampa Apollo Cinepark

Nell’ambito di “Apollo Arte e Cultura”, domani MERCLOEDI’ 26 NOVEMBRE h. 20.15 – il cinema Apollo propone in diretta dal Royal Opera House di Londra “ELISIR D’amore” Di Gaetano Donizetti, con la regia di Laurent Pelly.
L’acclamata produzione di Laurent Pelly dell’opera di Donizetti trasmette tenerezza e il tempore del sole del sud e brilla nel divertente allestimento, che ricrea una perfetta miscela di sentimento e leggerezza. Il direttore d’orchestra italiano ed ex giovane artista della Jette Parker, Daniele Rustioni, dirige un cast stellare. La soprano Lucy Crowe canta nel ruolo della protagonista Adina, la donna più sofisticata del villaggio, amata platonicamente dal timido e bel Nemorino di Vittorio Grigolo. Nemorino ha però un temibile rivale, il Sergente Belcore di Levente Molnár, fino a quando la pozione magica vendutagli dal Dottor Dulcamara del grandissimo Bryn Terfel non gli dona una potente dose di coraggio, con risultati comici e toccanti.

Interpreti
Adina : Lucy Crowe
Nemorino : Vittorio Grigolo
Dulcamara : Bryn Terfel
Belcore : Levente Molnár
Giannetta : Kiandra Howarth
Coro : Royal Opera Chorus

Scenografie: Chantal Thomas
Costumi : Laurent Pelly
Assistente Costumi : Donate Marchand
Luci : Joël Adam

DISTRIBUZIONE QMI

Giovedì 27 novembre chiusura delle scuole al Lido Estensi per lavori Enel

da: ufficio stampa Comune di Comacchio

A seguito della comunicazione inoltrata stamani da Enel s.p.a., per lavori programmati in Via Tasso al Lido degli Estensi in data 27/11/2014, il Sindaco Marco Fabbri con propria ordinanza ha disposto la sospensione delle attività didattiche nella scuola primaria, nella scuola d’Infanzia Statale “Giglio Zarattini e nell’Istituto di Istruzione Secondaria “Remo Brindisi” per la suddetta giornata. Si precisa che il provvedimento di chiusura delle scuole è circoscritto alle suddette citate del Lido degli Estensi e che gli alunni frequentanti le stesse potranno riprendere regolarmente le attività dal giorno successivo, ossia da venerdì 28 novembre 2014.

Le dichiarazioni degli ex M5S di Comacchio dopo le elezioni regionali

da: Robert Bellotti, gruppo ex M5S di Comacchio

Ce ne siamo stati pubblicamente in silenzio per tutta la campagna elettorale, da parte del nostro gruppo non è partita neppure una critica per i candidati ferraresi alla carica di consigliere regionale. Dopo essere stati scaricati da tutti i gruppi della provincia, ad eccezione del gruppo di Copparo, e dallo stesso fantomatico staff, che applica le regole “alla bisogna”, non abbiamo detto nulla sul disastro preannunciato che stava incombendo sul M5S. I motivi che ci hanno spinti a non rivelare pubblicamente le critiche che invece, in privato, con i candidati e i vari gruppi avevamo evidenziato senza fare sconti? Essenzialmente due: il primo per non avere sulla coscienza la delusione di persone che realmente credono nella bontà del progetto M5S e il secondo, più egoistico, per non dare la possibilità a certi altri, senza scrupoli, di sentenziare che il gruppo di Comacchio era una delle cause principali della sconfitta.
Nonostante il nostro silenzio, leggiamo oggi che Cantale, colui che ha fatto della fuga da qualsiasi confronto e della coltivazione di amicizie influenti un modus operandi vincente, almeno fino alla selezione dei candidati, ha dichiarato alla stampa che l’evidente sconfitta del M5S in provincia di Ferrara è dovuta a situazioni locali come quella di Comacchio. Lui, che ha dichiarato in assemblea di non sapere nulla del territorio ferrarese, dice che un gruppo che ha scelto i propri cittadini al posto degli ordini di partito ha danneggiato il MoVimento di cittadini, solo teoricamente, per eccellenza?!
Non ci stiamo, e non ci stiamo a sentire Ferraresi dire solo ora che chi lavora per il territorio non deve essere allontanato. Lui che prima della nostra espulsione, senza ombra di votazione degli iscritti al blog di Beppe Grillo, è riuscito solo a venire a Comacchio a portarci gli ordini del fantomatico Staff, ordini senza discussione. Ma si sa, il popolo Comacchiese è, per così dire, allergico agli ordini, e noi ne facciamo parte soprattutto quando gli ordini vanno contro le persone che ci hanno dato la loro fiducia. Ha ragione il “nuovo” Vittorio Ferraresi quando afferma: “abbiamo le ore contate” prima dello schianto fatale.

L’OPINIONE
Il Pd, Renzi e la vittoria sulle macerie

I voti al Pd in Emilia Romagna sei mesi fa alle elezioni europee erano 1.200.000, oggi sono diventati 500.000. E rispetto alle regionali del 2010 ne mancano 300.000. Poi c’è il dato choc dell’astensione. Anche gli altri partiti e forze varie, tranne la Lega, sono andati male. Perché mi soffermo sul Pd? Perché sono rimasto impressionato dalle dichiarazioni di Renzi. “Abbiamo vinto”. “Non siamo mai stati così forti.” “Il dato dell’astensione è secondario.” Si rende conto di ciò che sta dicendo? Sta parlando non di una regione qualunque, ma del luogo simbolo della forza della sinistra e della partecipazione civica. Del resto, che conoscenza può avere della storia e della realtà dell’Emilia Romagna un segretario che conclude la campagna elettorale a Bologna vantandosi di aver strappato il maggior applauso attaccando il sindacato? Costringendo il candidato Bonaccini a dire il giorno dopo che in questa regione i rapporti con il movimento sindacale sono buoni. Non a caso chi è stato eletto nelle file del Pd è giustamente preoccupato per questo disastroso risultato elettorale, a cominciare dal suo neo-Presidente. Ad essere onesti intellettualmente, quella del Pd è una vittoria sulle macerie della propria forza, della rappresentanza e dell’autorevolezza della Regione come Istituzione. Insomma è tutto da ricostruire. Francamente, non mi ha mai impressionato il mito costruito da mass media, sponsor e tifosi vari attorno alle capacità comunicative del giovanotto di Rignano sull’Arno. Comunque ero disposto a fare qualche concessione al riguardo. Ultimamente, però, ne ha ‘bucate’ diverse. Inoltre, per uno che ha l’ambizione di durare vent’anni, è preoccupante la ripetizione monotona e noiosa degli stessi lazzi, offese e fervorini sul ‘fare’ e sul futuro radioso e felice che starebbe preparando… a nostra insaputa. Caro Matteo, forse sarebbe l’ora che tu ‘cambiassi-verso’ se vuoi durare un po’ più di Monti e Letta.

Fiorenzo Baratelli, è direttore dell’Istituto Gramsci di Ferrara

Il DNA di Poltrona Frau protagonista di una Mostra al Dipartimento di Architettura di Unife

da: ufficio Comunicazione ed Eventi Unife

Ultimo appuntamento con le icone della cultura internazionale contemporanea del design

E’ giunta al terzo e ultimo appuntamento la collaborazione tra il Laboratorio di ricerca Material Design del Dipartimento di Architettura dell’Università di Ferrara e il gruppo dei famosi brand Cappellini, Cassina e Poltrona Frau che, insieme, hanno dato vita al Mese del design negli spazi espositivi e convegnistici del cinquecentesco Palazzo Tassoni Estense di via Ghiara 36, che ha ospitato mostre, istallazioni, conferenze, tavole rotonde dedicate al design contemporaneo.

Giovedì 27 novembre alle ore 16 nel Salone d’Onore del Palazzo, in occasione dell’inaugurazione della mostra “Icone Poltrona Frau. DNA, scenografia di Noé Duchaufour-Lawrance”, visitabile fino a sabato 29 novembre dalle ore 9 alle ore 19, l’Architetto Marco Romanelli, curatore della pubblicazione “Icone Poltrona Frau”, terrà una conferenza in cui esplorerà il ruolo dei prodotti icona negli spazi abitativi contemporanei.

L’allestimento espositivo sarà incentrato sulla pelle, materiale di elezione della marca, e sul concetto di prodotto-icona. Cinque le poltrone selezionate ed esposte in mostra – Chester, 1919, Vanity Fair, Lyra, Sanluca – tutte segni distintivi dell’abitare moderno e contemporaneo, simboli di un secolo di storia, di costume, di design.

Noè Duchaufour-Lawrance srotola in maniera fisica e palpabile, attraverso una scenografia spaziale fluida e flessuosa, un cordone cilindrico di ottanta metri di lunghezza rivestito di pelle arancione, a partire dalla lettera P di Poltrona Frau, e, simmetricamente, anche iniziale della parola Pelle. Metafora della passione, della maestria tecnica e della libertà creativa che nutrono l’identità delle collezioni di Poltrona Frau, questo sottile, ma coloricamente incisivo, segno materico si eleva e libra nell’aria, avvolge se stesso nello spazio, abbracciando, di volta in volta, le poltrone per terminare nella Vanity Fair, icona per antonomasia della marca. Il cordone collega così, simbolicamente, artefatti famosi del brand, tappe significative di una storia produttiva lunga un secolo. Una tradizione artigianale, di eccellenza, quella di Poltrona Frau, connessa sempre a magisteri interpretativo-esecutivi innovativi e sorprendenti nella lavorazione della pelle.

“Questo marchio – afferma Noè Duchaufour-Lawrance – è materico, vivo, tanto per l’uso di pelle come per l’importanza che attribuisce al dialogo e al progetto. Questo dialogo da’ vita a oggetti che si succedono nel corso della storia. È un dialogo legato agli artigiani che continuano a replicare i gesti che appartengono ad altri tempi, e ai designer, architetti, ricercatori che continuamente portano il marchio a sublimarsi e superarsi. Questo è il legame identitario che traspare tra questi progetti e che ho voluto far valere e sottolineare alla vista e al tatto.”

“Questa scenografia – conclude Duchaufour-Lawrance – deve essere vissuta come un’esperienza fisica, materica, a fior di pelle, che ci invita a sentire gli oggetti attraverso il tatto. Una mossa chiara di Poltrona Frau, che ha ben compreso da 102 anni che l’arredamento è un’estensione del nostro corpo.”

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Il Sindaco Tagliani sulla limitazione degli accessi in centro storico

da: ufficio Portavoce del Sindaco di Ferrara

Il sindaco Tagliani durante la seduta di Giunta di oggi ha sottolineato la necessità di limitare fortemente gli accessi all’area monumentale del Centro storico:

“Occorre un giro di vite: Piazza Castello e Savonarola sono invase da auto; Corso Martiri della Libertà é un parcheggio quotidiano; in Piazza Municipale i pali di accesso sono sistematicamente divelti dagli allestitori che ignorano le prescrizioni di tutela del cotto sul quale, impunemente, appoggiano tubi e blocchi di cemento.
Come amministrazione procederemo con maggiori controlli ma chiediamo a tutti più senso civico e rispetto per gli spazi comuni ”

Comacchio: in arrivo dal MiBACT 75mila euro per il sito archeologico di Santa Maria in Padovetere

da: ufficio stampa SBArcheo Emilia-Romagna

Il soprintendente Minoja conferma il finanziamento: “Nuovi investimenti, sinergia, coinvolgimento dei cittadini e attenzione al territorio”

“Per il sito archeologico di Santa Maria in Padovetere molto è stato fatto ma molto resta da fare. Ciò sarà possibile grazie al nuovo importante finanziamento di 75mila euro appena stanziato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. Questa somma, che si affianca alle risorse già erogate dal Comune di Comacchio, permetterà l’approfondimento dell’indagine avviata circa due mesi fa, gli interventi di restauro su molti dei reperti rinvenuti e le analisi su campioni di terreno e sui legni delle imbarcazioni. Consentirà soprattutto di tenere aperto un cantiere che può diventare un laboratorio di archeologia e un punto di riferimento per studiosi italiani e stranieri.“
Nel confermare il finanziamento del MiBACT dopo la visita al sito del ministro Dario Franceschini, il soprintendente per i beni archeologici dell’Emilia-Romagna Marco Minoja fa il punto sulle recenti scoperte a Comacchio e sul futuro dell’area di Santa Maria in Padovetere.
Questi ritrovamenti si inseriscono in un ampio progetto messo a punto da Soprintendenza e Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna per valorizzare il patrimonio storico-archeologico del territorio di Comacchio.
Gli scavi procedono di pari passo con un’intensa attività di ricognizione di superficie, con lo studio di documenti d’archivio, l’acquisizione di foto satellitari e l’applicazione di tecnologie sempre più avanzate in grado di fornire elementi utili a pianificare gli interventi.
Ciò ha portato anche alla redazione di una nuova Carta della Potenzialità archeologica dell’area di Comacchio, un importante strumento per la pianificazione del territorio.
Stanno terminando i lavori necessari all’apertura regolare al pubblico dell’area archeologica di Santa Maria in Padovetere, realizzati grazie a una convenzione tra Soprintendenza, Direzione regionale, Comune ed Ente Delta del Po che ha permesso di intercettare fondi erogati all’interno del Programma di Sviluppo Rurale per la Regione Emilia Romagna 2007-2013. Proseguono i lavori per l’apertura del nuovo museo storico-archeologico, che troverà collocazione nell’ex Ospedale degli Infermi a Comacchio, destinato a diventare luogo di sintesi dei valori della comunità locale, momento di aggregazione sociale e ulteriore risorsa per l’economia del territorio.
I nuovi rinvenimenti sono di grande interesse: l’individuazione di un antico ramo del fiume Po, la rara scoperta di un’imbarcazione tardoantica realizzata con assi di legno cucite, il rinvenimento di una piroga scavata in un tronco di quercia e il recupero di sepolture del VI sec. d.C. che si aggiungono alle centinaia già scavate nell’area sono tutti frammenti della storia di chi vive in questo comprensorio.
Ecco perché si è scelto di aprire al pubblico il cantiere di Santa Maria in Padovetere, consentendone la fruizione ai cittadini e soprattutto alle scuole.
“Quella che stiamo realizzando a Comacchio -conclude Minoja- è una proficua sinergia tra Enti pubblici e di ricerca. A fianco dei professionisti operano sullo scavo di Santa Maria in Padovetere studenti delle Università di Ferrara, Bologna, Venezia e Milano che possono così integrare gli studi teorici con l’esperienza pratica, preparandosi all’inserimento nel mondo del lavoro. Abbiamo anche coinvolto numerosi specialisti, dai paleopatologi e antropologi che studiano i resti umani recuperati nelle sepolture, agli archeobotanici, archeozoologi, esperti di mineralogia e archeometria, agli architetti e disegnatori che effettuano i rilievi e la documentazione grafica. La rara scoperta delle imbarcazioni ha reso necessaria anche la presenza di studiosi di archeologia navale, coordinati da Carlo Beltrame e Elisa Costa dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.
Un valore aggiunto in termini di disponibilità ed entusiasmo è dato dalla partecipazione di volontari, da quelli del Gruppo Archeologico Ferrarese ai tanti abitanti del territorio”

Il direttore generale Anbi Gargano: “Non si può continuare a lucrare sullo scempio del territorio”

da: ufficio stampa A.N.B.I.

Con una semplice cerimonia, Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni (A.N.B.I.) ed Unione Regionale Bonifiche Toscana (U.R.B.A.T.) hanno premiato, a Firenze, l’Amministrazione Comunale di Calenzano, risultata la più efficiente in Italia nell’utilizzo dei fondi destinati alla salvaguardia idrogeologica; il riconoscimento consiste simbolicamente in un modellino di escavatore.
“Il nostro piccolo gesto – commenta Massimo Gargano, Direttore Generale dell’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni – non solo vuole sottolineare come la convergente volontà di Comune e Consorzio di bonifica Medio Valdarno abbia preservato la comunità da qualsiasi conseguenza del recente maltempo, ma è un’implicita risposta a chi, approfittando di un momento di evidente criticità nell’equilibrio ambientale del Paese, lancia subdolamente neologismi come “decostruire” nelle zone a rischio per ricostruire altrove. Ciò evidentemente significherebbe cementificare ulteriore suolo, aumentando il rischio idrogeologico. Pur salvaguardando il diritto ad una casa, ciò che è o era abusivo, e che mette continuamente a rischio la vita dei cittadini, le attività economiche, l’occupazione, perché costruito in zona non conforme, va abbattuto; l’Italia non ha certo bisogno di ulteriore cemento. La strada da percorrere, invece, è quella indicata dalla Regione Lombardia con l’innovativa legge contro il consumo del suolo e non certo, invece, nel tentativo di reintrodurre la possibilità per i Comuni di utilizzare gli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente; ben sapendo in quale stato versano i bilanci degli enti locali – conclude Gargano – significa fornire un giustificatissimo alibi alla cultura che vuol continuare ad urbanizzare il territorio, spesso in maniera sconsiderata come dimostrato dallo stato, in cui oggi versa.”

Il pessimismo della sinistra
Ma ci sono i bambini…

Quel giorno Ferrara era avvolta da un clima mite e piacevole di fine ottobre. La gente era ancora seduta fuori dai bar della città e faceva quello che è solita fare nelle tarde ore del mattino. Beveva un aperitivo, una coca-cola, un espresso. Anche un mio caro amico ferrarese era seduto in un bar, all’ombra dell’imponente Castello e protetto dalla statua del Savonarola. Gli occhiali oscurati dal sole e la barba grigia ed elegante gli conferivano un fascino senza tempo. Mi invitò a sedere e bere qualcosa con lui. Per decenni aveva lavorato in un liceo, inizialmente nella sua città d’origine Piacenza, poi a Bologna e infine a Ferrara. È un grande esperto di storia italiana e per questo ogni conversazione con lui si rivela sempre molto istruttiva. Si destreggia nella lingua italiana con invidiabile ironia e un’immensa ricchezza lessicale. Grazie alla sua esperienza decennale di lettore della stampa italiana e conoscitore di numerose biografie di protagonisti della politica attuale, sa usare perfettamente il linguaggio delle allusioni e delle bizzarre teorie del complotto per spiegare a uno straniero tutti i segreti della politica italiana, davanti e dietro le quinte. Per essere più precisi, dovrei meglio parlare al passato. Dalla sua ironia, una volta così colorita, è scomparsa oggi ogni traccia di amenità e fantasia. Guarda al mondo attorno a sé solo con pessimismo e quando parla della “Sinistra” lo fa solo con parole furibonde e piene di sarcasmo. Di Renzi non vorrebbe nemmeno parlare; al solo pensiero gli viene la nausea. Secondo lui non è altro che un giovane fiorentino fascista da salotto e discepolo modello di Berlusconi. Per consacrarsi al potere ha tradito tutti gli ideali e i valori della Sinistra, continua con un tono molto amareggiato. Cosa potevo replicare a questo così disilluso profluvio di parole sulla rovina in corso? Il mondo di Matteo Renzi e dei suoi seguaci non è mai stato il mio. La sgarbatezza, l’arroganza e la sfacciataggine con le quali mandano alla rottamazione la generazione precedente alla loro, della quale faccio parte anch’io, sono difficili da tollerare. Il “sogno ingenuo di un mondo del lavoro di soli vincenti, tutto energia, ottimismo e sorrisi, una specie di Truman Show che tiene fuori dalla porta, e lontano dalle telecamere, la durezza del conflitto e l’umiliazione di tante vite a perdere” (Michele Serra ) è per me un vero e proprio incubo. Dopo la ‘lectio magistralis’ di sinistra del mio amico ferrarese, seduto al tavolo di un bar ai piedi del Castello, riesco tuttavia a comprendere ancora meglio perché questa tradizionale Sinistra italiana arranca e brontola in un angolo morto della storia, come dice una tipica espressione bavarese. Durante questi incontri con i ‘compagni di strada’ della Sinistra, sempre più frequenti negli ultimi anni e segnati da note di sarcasmo e scoraggiamento, penso sempre a una conversazione tra Vittorio Foa e la sua amica Natalia Ginzburg (“È difficile parlare di sé”, Einaudi, 1999). Nel maggio 1990, per quattro domeniche consecutive, Natalia Ginzburg partecipò a un ciclo a lei dedicato della trasmissione radiofonica ‘Antologia’ in onda su Radio Tre. Uno dei partecipanti alla trasmissione era Vittorio Foa, suo caro amico dagli anni delle lotte antifasciste. Alla fine della trasmissione fra di loro si è sviluppata una breve, amichevole ma anche emblematica divergenza di opinioni sul futuro a venire. Marino Sinibaldi, il conduttore della trasmissione di allora, bene sintetizza il giudizio di Foa su di lei: “Probabilmente Vittorio Foa pensa ci sia in lei un pregiudizio, come dire, nel guardare il mondo, ci sia uno schermo di pessimismo e di tristezza. Di questo credo la accusi, affettuosamente e amichevolmente, immagino.” Poi la Ginzburg: “Sì, sì, sì… Può darsi che io abbia del nero, della malinconia… Però il mondo non è allegro, il mondo in cui viviamo non è allegro.”
“No, neanche per idea,” risponde Foa “ma Natalia, i bambini nascono. I bambini nascono”. La laconica risposta dell’eterno ottimista Vittorio Foa non mi incita ad applaudire Renzi e il suo “Truman Show”. Ma neanche una Sinistra politica che, come il mio amico, intelligente ma così pessimista, si rinchiude nelle segrete del Castello di Ferrara, riesce a dare speranza ai bambini di oggi. Se gli intellettuali un tempo membri fedeli della ‘Comunità della Sinistra’ non fanno altro che, in tempi di crisi economica e repentini cambiamenti a livello globale come quelli odierni, parlare del tradimento dei loro “sogni di sinistra” (ma ci ricordiamo quali erano questi sogni?), allora i bambini di oggi presto si scorderanno persino della loro esistenza.

Traduzione a cura di Paola Baglione

LE INTERVISTE
Come si convive con qualche chilo di troppo

Camminiamo per strada e scrutiamo la gente, lo facciamo tutti, lo facciamo spesso. Vediamo una donna vestita bene e ci chiediamo dove abbia comprato quelle splendide scarpe; incrociamo un padre che sgrida il proprio figlio e ci domandiamo cos’abbia combinato per averlo fatto arrabbiare così tanto; ci taglia la strada una ragazza grassa, magari con una ciambella zuccherata in mano, e subito pensiamo “quella dovrebbe mangiare di meno!”. Ma chi siamo noi per giudicare ciò che non conosciamo? Magari sta mangiando quella ciambella perché ha avuto una pessima giornata e trova nel cibo una valvola di sfogo; magari invece è l’unico vizio che si concede una volta ogni tanto; oppure se ne frega di quello che pensa la gente perché lei ama il suo corpo così com’è.

Ho cercato di conoscere un po’ meglio queste persone che io preferisco definire “con qualche chilo di troppo”, intervistandole, cercando di entrare nelle loro menti e immedesimandomi nelle loro situazioni. Ho ricevuto diverse risposte che non mi aspettavo, in particolar modo da quelle persone che credevo di conoscere bene, ma che in realtà indossano spesso una maschera per non far capire al mondo come si sentono effettivamente. Alcuni candidati mi hanno risposto in maniera sintetica, non so se per scarso interesse o perché parlare di tale argomento crea loro fastidio o imbarazzo. Altri, invece, si sono letteralmente aperti. Una ragazza in particolare, Carolina, a fine intervista mi ha confidato: “Per la prima volta ho potuto dire tutto quello che penso e che ho dentro. Tante volte quando i miei amici mi prendono in giro, pur sapendo che lo fanno in maniera scherzosa, vorrei dir loro tutto quello che ho detto qui”. Questa ragazza, che per giunta è anche una cara amica, è una delle persone che più mi hanno sorpreso. Quando le ho detto che non pensavo si sentisse così riguardo a se stessa, perché io la considero estremamente solare, allegra e serena, mi ha risposto: “Grazie al mio carattere riesco a camuffare bene i miei sentimenti, in realtà sono una persona molto insicura, proprio a causa del mio corpo”.

Prima di soffermarmi sull’aspetto psicologico però ho posto domande generali sullo stile di vita che conducono. La maggior parte dei candidati mi ha detto che consuma mediamente i tre pasti principali e qualche spuntino a metà mattina/pomeriggio. Inoltre è emerso che quasi nessuno è solito mangiare nei fast-food; al contrario, tutti mi hanno detto di consumare frutta e verdura in ampie quantità. La seguente è la risposta che è andata per la maggiore: “Ho una dieta equilibrata, ma ogni tanto mi concedo qualche sgarro”.
Ho successivamente chiesto loro quanto tempo dedicano allo sport e quante ore invece passano seduti e davanti ad uno schermo. Giulia mi ha detto: “Purtroppo, trascorrendo otto ore al giorno a lezione, non ho molto tempo da dedicare all’attività fisica, quindi cerco di camminare il più possibile. Non passo troppo tempo davanti al pc, ma potrei effettivamente passarne di meno”. Ilaria ha condiviso e aggiunto: “Molte ore le dedico allo studio e non pratico nessuno sport; mi limito ad andare a correre o a camminare piuttosto che spostarmi con i mezzi pubblici”. Francesco invece fa baseball qualche volta a settimana, ma anche lui sottolinea che: “Tra lavoro e studio passo tantissime ore seduto e molto spesso davanti ad un computer”. Gli altri candidati non hanno risposto molto diversamente, tranne qualche rarissima eccezione“. Ho quindi potuto dedurre che una delle principali cause dell’aumento di peso è la sedentarietà, la scarsa attività fisica condotta dal campione intervistato.

Sono poi passata al secondo fattore responsabile dell’obesità, la familiarità. A questa domanda la maggior parte dei candidati mi ha risposto che nella loro famiglia nessuno è obeso, ma in sovrappeso sì. “Tendiamo tutti ad allargarci molto facilmente e velocemente se non ci regoliamo”, ha affermato Carolina. Le risposte a questa domanda hanno in realtà toccato entrambi gli estremi: chi mi ha detto di non aver nessun membro della famiglia in sovrappeso e chi invece ha affermato che “tutti nella mia famiglia hanno problemi di peso” (Stefano).

Ho infine chiesto loro quale pensano sia la causa responsabile del loro peso in eccesso e mi hanno dato le risposte più disparate. Giulia ha detto “credo che il mio sovrappeso sia dovuto a un misto di golosità e di pigrizia: golosità perchè mi piace mangiare e pigrizia perchè quando inizio le diete poi tendo a non essere molto costante nel seguirle”. Anche Maria Elena ha attribuito al suo sovrappeso le stesse motivazioni. Altri sono stati molto sinceri e schietti nel dire “amo mangiare”. Sia Stefano che Riccardo amettono di continuare ad ingerire cibo anche quando sono già sazi o quando non hanno appetito perché “resistere alle tentazioni è davvero molto difficile” e “se entro in cucina e trovo qualcosa che mi piace, la mangio e basta”.
Tutti gli individui intervistati hanno provato a seguire delle diete, chi andando dagli specialisti, chi affidandosi alle diete proposte sulle riviste e in rete. “Non mi interessava il tipo di dieta, bastava dimagrire in un modo o nell’altro”, afferma Ilaria drasticamente. Per alcuni di loro queste hanno avuto successo, altre sono state abbandonate perché non efficaci o per la scarsa costanza dell’individuo stesso. Una risposta mi ha particolarmente colpito: “Ho provato a seguire moltissime diete, sia casalinghe che proposte da dietologi. L’ultimo nutrizionista però mi ha dato una dieta che era più un ciclostile, non era fatta su misura per me, infatti non dimagrivo molto, ma lui invece che cambiarmela continuava a fare insinuazioni, accusandomi di mangiare di nascosto e facendomi passare uno dei periodi più brutti della mia vita. Ero molto stressata psicologicamente per questo e, arrivata al limite, non sono più andata alle visite perché, prima di andare a farmi controllare da lui, mi costringevo a giorni di digiuno. Per colpa sua ho perso un po‘ la fiducia nei medici ed è per questo che ho iniziato a seguire diete da sola. Per un periodo ho fatto la Dukan (una dieta totalmente proteica molto restrittiva) che mi ha fatto perdere 7 chili subito; successivamente però ho passato mesi di stallo, non perdevo più niente e appena ho ricominciato ad introdurre alimenti “normali” ho subito ripreso tutti i chili che avevo perso”.

Dopo questa risposta ho deciso di approfondire l’aspetto psicologico di questa problematica che oggi in Italia colpisce sempre più giovani. Ho notato che, in linea di massima, possiamo distinguere tre categorie di persone in sovrappeso:

Le prime hanno un rapporto conflittuale con il proprio corpo, ne è un esempio Carolina: “Non mi piaccio per niente, ogni volta che mi guardo allo specchio non trovo una cosa di me che mi piaccia e questo mi condiziona costantemente. Mi domando spesso cosa la gente pensi di me. Cammino per strada e mi sento a disagio, entro in un negozio e mi sento bruttissima perché nessun vestito mi sta bene. Sono inoltre sempre prevenuta con i ragazzi perché parto dal presupposto che “sono grassa, quindi non potrò mai piacergli”. In sostanza, do la colpa al mio fisico per tutto e mi sento sempre a disagio in ogni occasione”.

Le seconde hanno invece imparato a convivere con il proprio corpo, seppure mantenendo con esso un rapporto altalenante. “Spesso non mi piaccio, ma cerco sempre di sdrammatizzare”, afferma Lorena. “Con il mio corpo ho un rapporto più o meno pacifico, almeno fino a quando non devo mettere un vestito. Lì litighiamo, ma poi facciamo pace”, ci racconta Giulia.

La terza categoria racchiude quelle persone che si apprezzano per quello che sono. Ciro dice apertamente “amo il mio corpo e non mi sono mai sentito a disagio con gli altri”. Anche Claudia afferma “sto molto bene con me stessa perché con il tempo ho imparato ad apprezzarmi e ad amarmi per quella che sono”. Elena spiega: “la consapevolezza è arrivata con il tempo; alla fine ti rendi conto che il tuo peso non ti identifica, non ti definisce di più di quanto lo facciano un colore di capelli o un vestito. Perché io non sono sovrappeso, ho del peso in più, e capire questa differenza è fondamentale”.

Un percorso ad ostacoli, che non tutti sono in grado di portare a termine. Arrivare a questa consapevolessa non è mai facile per nessuno, tutti noi abbiamo qualcosa del nostro corpo che cambieremmo, ma riuscire ad accettarsi richiede fatica e coraggio, e provo solo tanta stima per chi cammina a testa alta, sicuro di sé.

LA TESTIMONIANZA/2
Non voglio essere violento come mio padre

di Elena Buccoliero

LA TESTIMONIANZA DI ANDREA – SECONDA PARTE

SEGUE – Io figlio, io padre
Secondo me mio padre si è trovato tra capo e collo dei figli senza pensare bene cosa volesse dire. Per come l’ho conosciuto e per come ha trattato noi, non aveva in testa un progetto di famiglia. Aveva forse un progetto di coppia, all’inizio, nella sua ottica. Veniva da una famiglia a dir poco disastrosa, perciò… io posso, non giustificare ma capire. La cosa che non gli perdonerò mai è il fatto che non si è mai messo in discussione.
T’imbarbaglia. Se si convince di una cosa devi pensarla come lui per forza, se no te lo dimostra e se non ci riesce volano i bicchieri, i piatti. Ha un livello di perversione che rasenta la schizofrenia. È anche una persona in gamba e io sono convinto che ci seppellirà tutti, ma secondo me è proprio malato: un aspetto della malattia mentale molto difficile da scoprire specie per un bimbo, anzi per quattro bimbi, che ci sono nati, perché quello che fa tuo padre quando sei piccolo è quello che si fa, quello che va fatto. Non hai la capacità di dire: “non va bene”. Sono cresciuto in un ambiente che, per molto tempo non sapevo che cosa volevo e chi ero.
La mia paura è proprio quella di diventare… non dico come lui, perché qualche passo l’ho fatto, ma a livello viscerale so di essere molto lontano da tutto quello che leggo su Azione nonviolenta. Non mi piace la violenza, okay, ma mi scopro atteggiamenti verbali, con i miei figli e a volte con mia moglie, per cui capisco che ho un bel po’ di strada da fare.
In casa, a volte, do delle risposte violente, cioè non basate sul rispetto e ancora meno sull’ascolto, che a me è mancato tantissimo e che sto cercando di sviluppare il più possibile, però è faticoso. Ha a che fare con la tua pancia, la tua stanchezza, il fatto che devi rielaborare sul momento quello che sta succedendo perché i bimbi sono istintivi, devi essere pronto a capire la situazione.
Sono riuscito fino ad ora a non picchiarli mai e incrocio le dita di riuscirci sempre perché so cosa vogliono dire le botte di un padre, sono la cosa peggiore. Meglio forse la carica della polizia durante una manifestazione, meglio i lacrimogeni o il carcere. Le botte di un padre ti fanno male due volte, per il dolore fisico e perché quella sberla è dettata dall’ira. Almeno, nel mio caso non era la punizione che tanti genitori ritengono valida per educare i figli quando sbagliano. Era uno scoppio d’ira perché “hai osato contraddirmi, hai osato fare il furbo con me”. E la cosa più stronza è che quella cosa lì ti si mette nella pancia e non va mai via, è una collera inconsapevole. Nutri un senso di vendetta, nel tempo, che ti viene fuori quando hai dei figli. Prima puoi avere atteggiamenti scostanti, a volte arroganti, ma i figli sono lo specchio migliore: li guardi e sei davanti a te stesso.
Quello che mi fa paura, e vado da una psicologa per questo, è che non voglio ripetere gli errori di mio padre. Non voglio neanche mettermi la carta igienica in bocca piuttosto che urlare o picchiare, vorrei arrivare a dominare la rabbia. Non so se ci riuscirò ma so che un ceffone adesso vuol dire un disastro per i prossimi trent’anni, per i bimbi e per me, perché quello che fai ti torna indietro. Con mio padre ho trovato la strategia: ho chiuso del tutto, soprattutto per preservarmi.
Mi chiama al lavoro – non si è mai preoccupato di sapere che lavoro faccio e che orari ho, posso dirti che il capo per niente ti fa un cazziatone – quel giorno mi cerca sul cellulare sette volte ma in quel momento non posso parlare. Un’altra persona, se vede che non rispondi la prima volta aspetta che tu la richiami ma lui no, lui non accetta il rifiuto. Alla settima volta lascia un messaggio in segreteria e io chissà perché vado in bagno ad ascoltarlo.
Al di là delle parole, che non ricordo ma sono sempre le stesse, se avevo una pistola mi sparavo. Questa è l’unica cosa che sono riuscito a pensare per un quarto d’ora: la faccio finita. Quando sono tornato in me, nel me che conosco meglio, mi sono detto: “ma quanto potere ha ancora questo figlio di puttana su di me!?”. Perché vedi non ho pensato: gli sparo. Ho pensato: mi sparo. Da quel giorno non rispondo più, se lascia un messaggio in segreteria lo cancello senza ascoltarlo. O quasi. L’altro giorno ho fatto lo sbaglio di sentire le prime parole: “Bravo, sei proprio bravo… Tuo padre è anziano, non ti vergogni, non mi rispondi neanche…”.
Ho poca speranza che lui cambi, ma ammesso che succeda non penso che la sofferenza che ho dentro se ne possa andare. Lui è un vecchio, fisicamente non fa più paura anche se è ancora forte, però un messaggio in segreteria mi mette in queste condizioni.

VOLEVA ESSERE L’ARTEFICE DEL MONDO
Qualcosa di sano da qualche parte c’era. Forse nell’alchimia tra noi fratelli. La maggiore ha subito più di tutti: ingiurie, violenze psicologiche. Quando si laureò, a gran fatica studiando e lavorando, e con un buon punteggio, all’inizio viveva in una casa senza finestre perché era l’unico affitto che riusciva a permettersi quando è scappata di casa. Nonostante tutto ce l’ha fatta e noi fratelli le abbiamo preparato una festicciola di nascosto, dato che mio padre aveva ostacolato i suoi studi in tutti i modi. Non penso per gelosia. Semplicemente non tollerava che qualcosa succedesse intorno a sé fuori dal suo controllo.
Un giorno – ero alle medie, avevo 12-13 anni – dimenticai di dirgli che andavo con la scuola a fare una visita guidata in una zona che lui conosce benissimo. Quando tornai e glielo dissi furono botte, ma botte, tanto che mia a madre lo pregò di smettere. Non ha mai tollerato che qualcosa esistesse senza che lui ne fosse l’artefice.
Per tanto tempo non sono riuscito a spiegarmi l’origine di tutta questa cattiveria. La cosa che mi ha ferito di più è stata la perversione che gli psicologi chiamano malattia. È veramente perversa la sua tortura psicologica, gode a sottometterti.

Anche tu ti arrabbi quando non sei l’artefice del mondo?
No. Mia figlia ha una grande capacità di provocare. Sai l’atteggiamento tipico dell’adolescente? Quando ti svegli alle sei e venti ogni mattina, corri tutto il giorno come un cretino e vedi che alle undici e mezzo di sera non sono ancora a letto, t’incazzi. Quando chiami la più grande a tavola per cinquanta volte e c’è la pasta che a lei piace, e alla fine si siede e dice “che schifo” e non la mangia, t’incazzi. Però il modo in cui mi arrabbio ha la matrice di quello che ho vissuto. Lancio gli oggetti con la stessa rabbia di mio padre.
Lui arrivava, magari dovevi riferirgli una telefonata e te lo ricordavi un’ora dopo. Tirava il bicchiere dove capitava e se ti scansavi in tempo bene, sennò fa lo stesso. Poi continuava: c’erano altri sette bicchieri in tavola. Questa è l’ira che non mi riconosco.
La psicologa mi spiega che io non sono mio padre. Per fortuna o sfortuna ho mio padre dentro, per cui sono anche mio padre ma non soltanto questo e, comunque, devo stare attento. Per adesso cerco di arginare l’ira per non fare danni. Vedo però che l’atteggiamento dei miei figli almeno apparentemente non è di paura anche quando ho un attacco di collera, io invece avevo proprio il terrore.
Era una battaglia continua. Abitavamo in una villetta con due porte, sul davanti e sul dietro. Quella sul retro portava in garage ed era chiusa dall’interno con un catenaccio. Mio padre arrivava, suonava il campanello sul davanti, e noi dovevamo aprire dietro per farlo entrare con la macchina. Dopo un po’ non suonava più il campanello, dava un colpo di clacson e dovevi scappare dietro ad aprire nel tempo che lui arrivava. Dopo ancora non c’era nessun clacson, lui passava, noi dovevamo riconoscere il motore della sua auto e aprire. Se non trovava aperto erano botte. Ci eravamo organizzati che, quando lo sentivamo, noi ragazzi uscivamo dal davanti e andavamo al campetto, così potevamo dire che non eravamo in casa. Così, tutti i giorni a combatterci.
Magari un figlio sta guardando la tv e non si accorge del motore…
Già, ma i bimbi sono al servizio dei genitori. E devono obbedire in qualsiasi circostanza. Lui sapeva che lo sentivamo arrivare, noi sapevamo che lui lo sapeva: quando ti dico che era perverso.

LA PSCICOTERAPIA, LA MEDITAZIONE, IL DESIDERIO DI CAPIRE
Dopo sette anni di analisi ho avuto due figli. Prima facevo le condoglianze a chi era incinta.

Avevi paura di avere bambini?
Non paura, cinismo. Come ti permetti di mettere al mondo un figlio con tutta la sofferenza che c’è al mondo? Era un periodo in cui leggevo Huxley, Blake e cose del genere… E comunque un figlio assolutamente no, troppe tribolazioni ho visto nella mia famiglia. Mia moglie era convinta di volere dei bambini, poi mi sono convinto anch’io e sono ben contento di averli fatti ma c’è stato un lavoro analitico, dietro, anche tosto.
All’inizio della terapia mi ero appena laureato e facevo fatica coi soldi, volevo dimezzare le sedute ma la psicologa mi disse: è troppo poco. Così ho raddoppiato, sono andato in analisi due volte alla settimana e poi tutte le domeniche a camminare, ore e ore sui colli a buttare fuori la rabbia. Se ci ripenso non so come ho fatto, ci vuole una notevole energia emotiva per andare in analisi specie se stai molto male.
Tante volte sono uscito di lì pensando: passo dritto al rosso. Sceglievo il crocevia più pericoloso… All’ultimo frenavo e dicevo: ne parlo con la psicologa la prossima volta. Non so davvero cosa mi ha trattenuto. Una piccolissima parte di me ha tenuto a freno questa tendenza di dargliela su. Toccare la propria merda è faticoso anche perché non puoi dare la colpa a nessuno, capisci che è la tua.
Secondo il buddismo io ho scelto di nascere in questa famiglia. Ho sempre detto che quel giorno dovevo essere ubriaco. Non ho capito, non so, perché sono nato in una famiglia così perversa e violenta.

Sei buddista?
Non so nemmeno che cosa voglia dire. I cristiani li riconosci perché vanno in chiesa, i musulmani in moschea. E i buddisti?
Sono appartenuto per un po’ di anni ad una organizzazione che si considera buddista ma che non ritengo tale, però un po’ ho approfondito, questo sì. Ho conseguito una pratica buddista. Comunque in tante culture e filosofie c’è questa convinzione, che tu sei nato per uno scopo, e lo ritengo abbastanza vero.
Ma non riuscirò mai a sedermi a un tavolino, come con te, con mio padre, a dirgli quello che penso.

Che cosa vorresti dirgli?
Anche solo ricordargli dei momenti. Belli… Belli per lui. Non per mia madre che doveva preparare tutto. In qualunque gita lui pretendeva di mangiare le tagliatelle al ragù tenute in caldo da mia madre.

Come sei riuscito a scrivergli una lettera di ringraziamento?
Non lo so. Cambia tutto quando aspetti un bimbo. Ma non rinnego quella lettera, è vero che non ci è mai mancato niente fisicamente e capisco la difficoltà di mantenere quattro figli. Non mi posso lamentare da quel punto di vista, è vero.
Le lettere ai miei le ho volute scrivere identiche: “Carissimi genitori”. Volevo sapessero che stavo scrivendo a entrambi anche se erano già separati e sono contento di averlo fatto, lo farei ancora. Se il cibo e i vestiti sono quello che ti consente di sopravvivere, tanto di cappello, grazie. È chiaro che tutto il resto è mancato.
Ci ho messo un bel po’ a rendermi conto che non ho avuto un padre. Pensavo di averne avuto uno stronzo e cattivo, in realtà no. Non è un padre quello che tradisce la moglie, la picchia…
No, non ho avuto un padre. Lui è il contrario di quello che nella mia testa è il concetto di padre e anche di marito. Si vantava di essere il pater familia, usava anche il latino, ma giustamente, era proprio il padrone. Coerente.
È ancora stronzo adesso. Non cambierà mai. Devo togliermi l’illusione di parlare con lui e concentrarmi sul parlare con la parte di mio padre che è dentro di me.

LEGGI LA PRIMA PARTE

Elena Buccoliero è Sociologa e counsellor, da molti anni collabora con Azione Nonviolenta, rivista del Movimento Nonviolento. Per il Comune di Ferrara lavora presso l’Ufficio Diritti dei Minori. È giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna e direttore della Fondazione emiliano romagnola per le vittime dei reati.

Questa testimonianza è stata pubblicata la prima volta su Azione Nonviolenta, il periodico del Movimento Nonviolento che ha dedicato un numero tematico alla violenza di genere. La ripubblichiamo qui per gentile concessione dell’autrice, in occasione della “Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”.

Per saperne di più sulla nonviolenza in Italia e nel mondo [vedi]

Altri articoli pubblicati da ferraraitalia sulla ricorrenza della “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”: alcuni dati [vedi] e la celebrazione del 22 novembre a Ferrara [vedi]

Ci vuole un fisico

Gli incontri al buio possono sempre avere degli sviluppi inaspettati, come nel caso dei due protagonisti di “Ci vuole un fisico” del regista faentino Alessandro Tamburini.
Nello stesso ristorante un ragazzo e una ragazza, dall’aspetto normale, ma entrambi convinti di essere poco avvenenti se non addirittura brutti, aspettano i rispettivi partner, che tardano ad arrivare e non rispondono alle pressanti telefonate. Dopo numerosi tentativi di contattarli, si convincono dell’inutilità dell’attesa e si consolano cenando ognuno per conto proprio.

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La locandina del film

I due si incontrano all’uscita del ristorante, dopo essersi prima scambiati qualche occhiata e avere compreso la situazione l’uno dell’altra. Lei gli propone di accompagnarlo a casa e questo è il pretesto narrativo per iniziare un viaggio nella Roma notturna, alla ricerca di qualcosa che dia loro tranquillità. Durante la corsa in scooter inizieranno a conoscersi parlando di loro e dei “perduti” partner, ma soprattutto quello che emergerà sarà il senso di insicurezza e inadeguatezza, al limite dell’ossessione, che li tormenta. Tutti questi problemi nascono da un’esagerata non accettazione del loro fisico e della voglia di trattarsi bene, soprattutto nei confronti del cibo.

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Alessandro Tamburini e Anna Ferraioli Ravel

Una frase pronunciata dalla ragazza è particolarmente efficace nel descrivere il suo modo di sentirsi: “… secondo me essere brutti è come fare una gara, metti che stai correndo una maratona, tu corri in mezzo alla gente e ogni tre chilometri arriva una mano gigante che ti riporta indietro di un chilometro… e pure se sei in vantaggio sugli altri, devi correre sempre più forte così, sempre per colpa di quella mano gigante, però pensa che soddisfazione se vinci la gara …”.

Il film si regge sulla buona interpretazione dei due attori, in particolare di Anna Ferraioli Ravel (diplomata al Centro sperimentale di cinematografia), la cui vivacità recitativa dona spessore e simpatia al personaggio della ragazza complessata.
La notte passata insieme li rende consapevoli delle loro potenzialità come esseri umani e sembra iniziare una storia d’amore. Le paranoie stanno per abbandonarli.
Alessandro Tamburini è nato a Faenza nel 1984, al suo attivo ha numerose produzioni tra cui “Il viaggio”, le cui riprese sono state effettuate in Romagna. Il regista si è diplomato al Centro sperimentale di cinematografia, dove fu ammesso grazie al medio metraggio intitolato “La trappola”, vincitore di vari concorsi nella capitale. Segnaliamo anche il documentario “Mai senza. La sessualità alla terza età”, realizzato assieme a Ciro Zecca, con Paolo Villaggio, Lino Banfi, Sandra Milo, Tinto Brass, Carlo Monni, Milly D’Abbraccio e Riccardo Schicchi.
“Ci vuole un fisico” ha vinto numerosi premi, molti dei quali assegnati alla protagonista femminile.
Alessandro Tamburini e Anna Ferraioli Ravel sono i protagonisti, con Sandra Milo, del divertente cortometraggio “L’arte del fai da te”, disponibile in rete per la visione, e attualmente hanno appena finito di girare il cortometraggio “Il cervo, l’alce, il capriolo”.

Il film è interamente visibile a questo indirizzo [vedi]

“Ci vuole un fisico”, di Alessandro Tamburini, con Alessandro Tamburini e Anna Ferraioli Ravel, cortometraggio, commedia, Italia, 2013, 15 min.

IL FATTO
Premio Sakharov al dottor Mukwege, ‘ripara’ i corpi mutilati delle donne

Il Premio Sakharov per la difesa dei diritti dell’uomo sarà conferito quest’anno al ginecologo congolese Denis Mukwege, 59 anni, che cura, nella sua clinica di Bukavu, le donne stuprate e vittime di violenze sessuali nei conflitti armati dell’est della Repubblica democratica del Congo (Rdc). A deciderlo, il 21 ottobre scorso, è stato il Parlamento europeo. Il premio (50.000 euro) sarà consegnato, con cerimonia solenne, domani a Strasburgo, dal presidente del Parlamento europeo in sessione plenaria.
Istituito nel 1988, il premio riconosce, ogni anno, l’impegno di personalità distintesi nella difesa dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Seguendo l’esempio del fisico russo Andreï Dmitrievitch Sakharov (1921-1989), i vincitori del premio, a lui intitolato, testimoniano il coraggio necessario per difendere i diritti dell’uomo e la libertà di espressione. Sakharov, preoccupato per le conseguenze del suo lavoro per l’umanità, tentò di far prendere coscienza del pericolo rappresentato dalla corsa agli armamenti nucleari e ottenne un parziale successo mediante la firma, nel 1963, del trattato contro i test nucleari. Considerato in Unione sovietica come un dissidente dalle idee sovversive, negli anni ’70 creò un comitato per la difesa dei diritti dell’uomo e delle vittime delle persecuzioni politiche. Vinse il Nobel per la pace nel 1975.

Oggi, i rappresentanti del Parlamento hanno sottolineato di voler assegnare tale riconoscimento al dottor Mukwege per il grande coraggio e determinazione con i quali si fa carico delle vittime di violenza sessuale nel suo paese. Si tratta di un segnale forte da parte delle istituzioni europee, per dire a tutte le donne vittime di violenze sessuali nei conflitti che non sono sole, che non sono abbandonate alla loro sorte e che il mondo è disponibile ad ascoltarle con grande attenzione. Il riconoscimento è importante anche per lo stesso Congo, che vive un momento difficile di “né di pace né di guerra”, con notizie quotidiane preoccupanti e allarmanti provenienti dai villaggi più remoti.
Denis, come vorremo chiamarlo, è soprannominato “l’uomo che ripara le donne”. Nella sua regione natale del Sud Kivu, all’est del paese, oltre 3.000 donne sono seguite, ogni anno, dal servizio di ginecologia da lui creato. Ha studiato in Francia, ma combatte per le donne del suo Paese, per quelle donne dai corpi mutilati dalla guerra (e non solo), il vero terribile e spietato nemico. Ogni giorno, Denis e la sua équipe brillante le accolgono, le ascoltano e le curano nell’ospedale di Panzi, a Bukavu, che dirige dal 1999. In 15 anni, oltre 45.000 donne stuprate e mutilate nella regione sono state accolte dalla sua struttura. Quest’uomo rappresenta una sorta di angelo custode. Un angelo che porta avanti, imperterrito e sicuro, una lotta contro la barbarie, ma anche contro il silenzio e la solitudine. Si è proposto il Premio Nobel per la Pace, per lui, ma sono arrivati vari riconoscimenti internazionali, per ora. Il dottor Mukwege vuole portare avanti la parola di queste donne, e per fare questo sfrutta tutte le platee possibili, tutti gli spazi offertigli per parlare dei loro drammi e denunciare ciò che lui, giustamente, qualifica come un crimine contro l’umanità. Si batte contro le atrocità di una guerra in cui lo stupro è utilizzato come un’arma da tutti gli schieramenti e il corpo della donna si è trasformato in un nuovo campo di battaglia. E allora, lunga vita al “Muganga”, come è noto Denis.

Si veda anche il libro di Colette Braeckman, “Muganga. La guerra del dottor Mukwege”, Fandango, 2014, 190 p., presentato anche a Ferrara, alla scorsa edizione di Internazionale.

Uniti nel mondo per un’Istruzione di qualità

Mentre i politici nazionali formulano obiettivi ambiziosi per la scuola, gli insegnanti, ogni giorno sempre più, scoprono che le possibilità di concentrarsi sui bisogni degli alunni, sulla qualità del lavoro d’aula e sulle questioni pedagogiche fondamentali sono peggiorate.
Come non ricordare il novembre dell’Ottantanove? Venticinque anni fa. Mese e anno eccezionali. Il 16 novembre del 1989 cade il muro di Berlino, quattro giorni dopo, il 20, a New York, l’assemblea delle Nazioni unite fa propria la ‘Dichiarazione dei diritti del fanciullo’.
Il riferimento al muro di Berlino non è solo dettato da una coincidenza della storia, ma dal fatto che molti muri nei confronti dei fanciulli (si intende tutti coloro che non hanno raggiunto la maggiore età) devono ancora essere abbattuti.
I leader mondiali hanno promesso che il diritto di andare a scuola e imparare sarà realtà per tutti i bambini della Terra entro il 2015. Ma è già chiaro oggi che l’obiettivo non potrà essere centrato l’anno prossimo e forse neppure negli anni immediatamente in avvenire.
Intanto, nonostante i progressi nel corso degli ultimi 25 anni, ci sono 58 milioni di bambini che non vanno a scuola e la crisi economica, un po’ ovunque, ha finito per colpire soprattutto le scuole, gli insegnanti e la qualità della formazione.
L’istruzione di qualità per tutti, dunque, resta in cima all’agenda per un futuro sostenibile, pacifico e prospero.
Mentre i politici nazionali formulano obiettivi ambiziosi per la scuola, gli insegnanti, ogni giorno sempre più, scoprono che le possibilità di concentrarsi sui bisogni degli alunni, sulla qualità del lavoro d’aula e sulle questioni pedagogiche fondamentali sono peggiorate.
Classi numerose, personale ridotto, risorse economiche e strumentali che mancano, spazi e edilizia scolastica inadeguati, scarsa autonomia e flessibilità, un’opinione pubblica poco informata e consapevole di ciò che va accadendo nel nostro sistema scolastico nel suo insieme.
Non può certo consolarci il fatto che tutto ciò non investe soltanto il nostro paese, ma tutte le realtà nazionali dove la questione scuola in questi anni ha visto perdere di centralità a causa delle politiche di austerità.
Così ‘l’Istruzione’, piegata alla omogeneizzazione globale, dagli interessi e dai programmi proclamati dall’Ocse e dalla Banca mondiale, torna ad essere la rivendicazione internazionale di un diritto oggi fortemente minacciato, di un diritto proclamato da quella carta di venticinque anni fa, che si vorrebbe celebrare, tacendo delle tante violazioni che ancora si perpetuano nei confronti dei suoi principi.
Se ne sono resi conto tutti coloro che hanno intrapreso la campagna “Unite for quality education”.
È una campagna dell’associazione ‘Education international’, la voce di insegnanti e altri lavoratori della formazione in tutto il mondo. Conta 30 milioni di membri, rappresenta attraverso le sue 400 organizzazioni affiliate oltre 170 paesi.
Un buon segnale, perché dimostra che si può uscire dal campo circoscritto della difesa asfittica di un ruolo e di uno status, da tempo non più riconosciuti, per affermare invece il valore, la portata sociale e la forza di una professione, quella docente, insieme alla qualità della propria professionalità.
La lotta che unisce tanti insegnanti di tutto il mondo, va oltre la tutela corporativa della categoria, per abbracciare l’interesse dell’intera società civile, perché rivendica una visione ben articolata per una forte e competente professione docente, per una scuola di alta qualità continua.
In Europa e negli Stati Uniti gli insegnanti si trovano ad affrontare politiche educative che denunciano una sfiducia di fondo nei confronti della professione docente, attraverso la combinazione dei risultati di numerosi test standardizzati e di valutazioni che alla fine risultano per essere controproducenti non solo per chi insegna, ma per tutta la scuola.
In questa situazione, la risposta degli insegnanti che hanno dato vita alla campagna “Unite for quality education” è la migliore. Perché, rifiutando una chiusura corporativa, si è aperta a dimostrare all’opinione pubblica di quale professionalità siano portatori e come la qualità della scuola dipenda da politiche capaci di arricchire e valorizzare le loro competenze, con l’obiettivo di ottenere un’istruzione di qualità per tutti.
Inoltre, l’importante intuizione, che accomuna quanti sono impegnati in questa campagna, consiste nella consapevolezza che la dimensione mondiale oggi non consente di isolare i temi dell’istruzione e della docenza in una prospettiva locale, ma che è quanto mai necessaria una cooperazione che superi i confini nazionali.
Raccogliere conoscenze, condividere esperienze tra insegnanti professionalmente preparati è forse la migliore chiave per estirpare il germe che oggi minaccia nel mondo gli insegnanti e la qualità delle nostre scuole. Il ‘Global education reform movement’ è il ‘GERME’ di cui si parla, che è l’obiettivo internazionale, dell’Ocse e della World bank, di ridurre le scuole del globo e, con esse, il diritto all’istruzione, all’omologazione al ‘common core standard’, ai test nazionali e transnazionali, alla conquista delle vette delle classifiche del successo formativo, in funzione esclusiva dell’economia del rendimento del capitale umano sui mercati mondiali, alla faccia degli intenti proclamati dalla “Dichiarazione dei diritti del fanciullo”.

IMMAGINARIO
Luce nel buio.
La foto di oggi…

Una luce nel buio. Oggi illumina un po’ la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. A Ferrara sono tante le iniziative, così tante che durano un mese intero. Fra queste c’è – appunto – il “posto occupato”: una poltrona nella platea del teatro, illuminata e vuota durante ogni rappresentazione, dal 21 novembre al 21 dicembre. Sul velluto della sedia un drappo rosso e i riflettori accesi nell’oscurità. Una luce sul vuoto di un posto, che poteva essere occupato prima che mariti, ex, amanti o sconosciuti decidessero di porre fine a quell’esistenza. E’ il contributo di Fondazione Teatro comunale di Ferrara e associazione Ferrara Musica alla campagna anti-violenza.

OGGI – IMMAGINARIO RICORRENZE

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Il “posto occupato” al Teatro comunale di Ferrara (foto di STEFANO PAVANI)
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Il “posto occupato” al Teatro comunale di Ferrara (foto di STEFANO PAVANI)

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

[clic sulla foto per ingrandirla]

GERMOGLI
Mancare a un dovere.
L’aforisma di oggi…

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

Domenica è andato a votare solo il 37,7% dei cittadini emiliano-romagnoli aventi diritto.

“Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”.
(Art. 48, Costituzione della Repubblica Italiana)