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Giorno: 14 Dicembre 2014

Risposte al test di cultura cinematografica n. 5

RISPOSTE AL TEST DI CULTURA CINEMATOGRAFICA

1) “Viale del tramonto”

2) “Shlinder’s List”

3)  “The Dreamers”

4) “A Beautiful Mind”

5) “La stanza del figlio”

6) “In & Out”

7) “Arancia meccanica”

8) “Nell’anno del Signore”

9) “Pensavo fosse amore invece era un calesse”

10) “Toro scatenato”

Sant’Agostino: scatta l’operazione “Indovina i numeri di Babbo Natale!”

da: Associazione Oratorio Ghisilieri – Chiesa Vecchia di San Carlo

Dopo il successo della prima edizione, torna anche quest’anno, dal 15 al 20 dicembre, il circuito- gioco “Indovina i numeri di Babbo Natale”, evento natalizio a cui hanno aderito oltre 40 attività commerciali delle tre frazioni del Comune di Sant’Agostino.
L’iniziativa è organizzata e promossa dall’Associazione Oratorio Ghisilieri – Chiesa Vecchia di San Carlo, con il patrocinio del Comune di Sant’Agostino e della Proloco locale.
“Il meccanismo del gioco è semplice – spiega Giacomo Agarossi, presidente dell’Associazione Oratorio Ghisilieri Chiesa Vecchia – adatto a tutte le età, gratuito, aperto a chiunque entra nei negozi che aderiscono: si tratta di indovinare il peso o il numero dei pezzi del contenitore trasparente esposto per l’occasione sul bancone del negozio. In palio per il vincitore o chi si avvicinerà di più al numero corretto, un premio messo a disposizione dal commerciante stesso. Un gioco antico, ma sempre divertente, all’insegna della cordialità, dello spirito natalizio, del piacere di uno scambio di auguri. E un modo anche per valorizzare e ricordare la presenza e qualità delle locali attività commerciali sul nostro territorio, la cui presenza è fondamentale per la vita stessa dei nostri centri urbani, soprattutto ora, dopo il sisma”.
Come l’anno scorso, attraverso questo gioco viene anche proposta, quale evento correlato alla quarta edizione dell’ “Invasione dei Babbi Natale 2014” – evento gioco in calendario per la mattina del 24 dicembre a San Carlo – , una sorta di piccola caccia al tesoro riservata a tutti gli alunni delle scuole secondarie del Comune. Chi di loro infatti consegnerà la mattina della vigilia in Piazza Pola a San Carlo la tabella (scaricabile dal sito www.prolocosant’agostino.it) con almeno 15 timbri degli esercizi aderenti al gioco, concorrerà all’estrazione di superpremi.
Sul sito della Proloco Sant’Agostino (www.prolocosantagostino.it) tutti i particolari dell’evento e l’elenco completo di tutti gli esercizi che aderiscono al gioco. Dall’Associazione Oratorio Ghisilieri e tutto lo staff organizzativo dell’Invasione dei Babbi Natale 2014, un grande ringraziamento a tutti i commercianti che hanno accettato di aderire con generosità a questa iniziativa, il cui successo non sarebbe tale senza il loro prezioso contributo.

“Carp Show & Specialist” e “Artificiali – lures expo” chiudono in crescita, con oltre diecimila visitatori

da: ufficio stampa Ferrara Fiere Congressi

“Siamo davvero contenti. Per scaramanzia, in conferenza stampa avevo parlato di settemila presenze attese, ma il nostro obiettivo reale era più ambizioso e lo abbiamo pienamente centrato”.
Nicola Zanardi, Consigliere Delegato di Ferrara Fiere Congressi, si riferisce agli oltre diecimila ingressi registrati alla quarta edizione del “Carp Show & Specialist” e di “Artificiali – lures expo”, i due eventi sulla pesca specialistica che si sono appena conclusi al Quartiere fieristico di Ferrara e che hanno fatto segnare un “più” rispetto al bilancio della passata edizione.
“Siamo stati tra i primi in Italia a credere e investire in questo settore di nicchia – prosegue Zanardi –, che si nutre di passione autentica, di sensibilità ambientale, di curiosità per gli aspetti legati all’innovazione, e la nostra intuizione è stata premiata. Chiudiamo così l’anno fieristico con grande soddisfazione, grazie a una manifestazione in costante crescita, sia sul piano degli espositori che dell’affluenza di pubblico. E diamo appuntamento – rilancia Zanardi – ai bambini e alle loro famiglie per “Winter Wonderland – Natale in Giostra”, per festeggiare insieme Natale e l’anno nuovo”.
Tra occasioni per lo shopping, prodotti in anteprima ed esclusive nazionali, con aziende italiane e straniere altamente qualificate, marchi leader e negozi specializzati, incontri e dimostrazioni dei massimi esperti, video e relazioni tecniche, Carp Show e Artificiali si sono confermati le due manifestazioni del settore più ricche di contenuti. Non solo per l’attesissimo e assai partecipato incontro sul futuro della pesca in Emilia-Romagna, ma anche grazie alle nuove aree riservate agli artigiani costruttori di esche artificiali, agli sviluppi hi-tech – rappresentati innanzitutto dai droni – e ai tatuaggi di carpe koi, uno dei soggetti tradizionali giapponesi più gettonati.

Martedì 16 dicembre la prima serata della rassegna “Autori a Corte”, speciale Natale

da: Autori a Corte

Prende il via martedì 16 dicembre 2014 alle ore 20,00 presso la Sala Estense di Ferrara AUTORI A CORTE 2014 speciale Natale rassegna letteraria che gode del Patrocinio del Comune di Ferrara ed in parternship con IPSARR Ferrara.
Dopo la fortunata edizione estiva presso il Giardino delle Duchesse che ha visto un afflusso di quasi 800 persone per 4 serate complessive il gruppo editoriale Este Edition-Edizioni La Carmelina, nelle persone di Vincenzo Iannuzzo e Federico Felloni che hanno creato la manifestazione ripropone la rassegna, immutata nel suo format fatto di presentazioni letterarie abbinate a degustazioni di ditte locali anche all’interno della Sala Estense.
Come detto format immutato ed allargato grazie anche all’appoggio di e alle sponsorizzazioni di Banca Mediolanum ed Estense.com, con due presentazioni a partire dalle ore 20,00 che vedono un inizio di serata scoppiettante con una doppia presentazione con il Patrocinio dell’Istituto di Storia Contemporanea dei volumi La generazione imperfetta di Giancarlo Dall’Olio e Il dito di Dio di Franco Mari entrambi stampati per i tipi di Este Edition.
I due libri, che saranno presentati da Anna Quarzi responsabile dell’Istituto di Storia Contemporanea, vedono una tematica uguale pur nella loro assoluta diversità: cioè le due maggiori dittature che hanno caratterizzato il secolo breve. Le due opere sono novità assolute presentate in anteprima per questa occasione.
La serata proseguirà con Lascia stare i santi (Einaudi Edizioni), opera ultima di Guido Barbujani che ha già raccolto premi e critiche lusinghiere; a parlarne con l’autore sarà Sergio Gnudi, anch’esso scrittore e direttore della rassegna letteraria Parole d’autore.
Entrambe le presentazioni saranno precedute da degustazioni gratuite, come l’ingresso alla serata, delle ditte Panificio Dellepiane, Azienda Vinicola Zanatta, Caffetteria 2000.
L’edizione natalizie prevede anche un prologo alle ore 18,00 dedicato ai bambini e denominato Merenda con l’autore, in questo caso sarà protagonista il volume Fiabe colorate di Miriana (Caracò Editore) di Miriana Trevisan, il libro introdotto da Ruggero Veronese verrà rappresentato da due giovani attrici per un pomeriggio dedicato ai più piccoli a cui oltre ad una degustazione ad hoc saranno offerti degli omaggi offerti dalla Cartoleria Paper moon.
Ricordiamo che l’ingresso è libero e che la durata di ogni presentazione è di circa 40 minuti.

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REPORTAGE
Mob Peppers da vedere.
Jazz club

Serata groovy con una musica in grado di creare una potente empatia con il pubblico quella di domenica scorsa al Jazz club Ferrara con i Mob Peppers. Al Torrione di San Giovanni il quartetto si è esibito con Pee Wee Ellis, leggendario sassofonista della band di James Brown. All’insegna di soul e funk il gruppo formato da Daniele Santimone alla chitarra, Luigi Sidero alle tastiere, Giorgio Santisi al basso elettrico e Christian Capiozzo alla batteria.

Un concerto bello anche da vedere con le immagini rigorosamente in bianco e nero di STEFANO PAVANI.

[clic su una foto per ingrandirla e vedere tutta la galleria]

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Pee Wee Ellis coi Mob Peppers (foto di Stefano Pavani)
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Pee Wee Ellis coi Mob Peppers (foto di Stefano Pavani)
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Mob Peppers al Jazz club Ferrara (foto di Stefano Pavani)
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Mob Peppers: Luigi Sidero alle tastiere (foto di Stefano Pavani)
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Mob Peppers: Luigi Sidero alle tastiere (foto di Stefano Pavani)
Mob Peppers: Christian Capiozzo alla batteria (foto di Stefano Pavani)
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Mob Peppers: Daniele Santimone alla chitarra (foto di Stefano Pavani)
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Mob Peppers al Jazz club Ferrara (foto di Stefano Pavani)
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Mob Peppers al Jazz club Ferrara (foto di Stefano Pavani)
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Mob Peppers al Jazz club Ferrara (foto di Stefano Pavani)
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Mob Peppers al Jazz club Ferrara (foto di Stefano Pavani)
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Mob Peppers al Jazz club Ferrara (foto di Stefano Pavani)

Bellezza dell’amore imperfetto

Filèmone ha il compito di restituirle il “senso del meraviglioso”. Gioconda lo ha perso da quando Leonardo e il loro matrimonio non ci sono più e, le sembra, non esista nient’altro attorno. Filèmone è un angelo che parla d’amore, prima di tutto l’amore che Gioconda non sa nutrire verso se stessa, quell’amore fatto di cura ed entusiasmo puro perchè non vive di riconoscimento nell’altro. Una cura radicale nel senso che va alla radice di ciò che può farci stare bene, magari anche un po’ paura, ma poi qualcosa cambierà.
Gioconda ha la testa intasata di domande, ha bisogno di definirsi, ricrearsi nuovi contorni, troppo vuoto senza Leonardo. Filèmone non è lì a compiangerla, bensì a metterla di fronte al suo narcisimo, tipico di chi crede di essere assoluto nella sofferenza, alla sua autocommiserazione, così comoda per delegare colpe e responsabilità.
Gioconda ha il dono, o la maledizione, di ‘sentire’ molto, forse troppo, intuire negli altri proprio quello che con arte gli altri vogliono silenziare. Sentire troppo la fa smarrire, ma è anche il suo ponte proteso verso il dolore e l’amore che stanno fuori, nel mondo. Filèmone la avverte, Gioconda può scegliere se tenere accesa o spenta questa “antenna”, se chiudersi o aprirsi alla sofferenza come alla gioia, una scelta. Anche l’amore è una scelta, ci vuole coraggio a lasciarlo entrare con tutti i rischi che si porta dietro. Ma Filèmone, che nel suo nome ha l’etimologia dell’amare e nella mitologia greca è amore che sceglie di fondersi per sempre, vuole aiutare Gioconda a non confondere l’emozione, intensa quanto veloce, col sentimento che durata non ha perchè la valica.
Perchè il matrimonio con Leonardo è entrato in crisi? Gioconda comincia a capirlo, inizia a vedere che lei e Leonardo avevano smesso di prendersi cura di quella cosa che si costruisce insieme e non ha l’autosufficienza di una cosa finta perchè è una cosa viva che si spegne se i due non la vivono, se smettono di mancarsi, se non capiscono che dare tutto non serve, l’equilibrio (difficilissimo) sta in altro.
Gioconda deve ancora imparare a bastarsi, a farsi compagnia superando quel disperato bisogno di riempirsi di altro con gli altri. Filèmone le consiglia di provare a vivere dentro ascoltandosi, a ricaricarsi di se stessa, a smettere di volere comunicare per esistere. Gioconda intrapende un viaggio, fisico e dell’anima, un’avventura che la porterà lontano e molto vicina a sè, fino ad aderirvi.
Solo allora Gioconda potrà riconsiderare l’amore senza la presunzione di perfezione e infallibilità, senza il bisogno di continue conferme, ma con la cura e la passione che non rinuncia a cercare l’altro.

Massimo Gramellini, Chiara Gamberale, Avrò cura di te, Longanesi 2014

Volevo essere un libro

“La vraie vie, la vie enfin découverte et éclaircie, la seule vie par conséquent pleinement vécue, c’est la littérature” (Marcel Proust)
“La vera vita. La vita, quindi, scoperta e chiarita, e per conseguenza la sola vita pienamente vissuta, è la letteratura” (mia traduzione)

L’altra sera dopo lo splendido inizio della quarta serie di Downton Abbey (di cui è inutile ricordare che sono un appassionato seguace), riprendo in mano uno dei libri più amati, “Una storia di amore e di tenebra” di Amos Oz. Un passaggio mi produce un brivido nel cuore e nella mente:

“Solo di libri, da noi c’era abbondanza, da una parete all’altra, in corridoio, e in cucina e in ingresso e sui davanzali delle finestre e dappertutto. Migliaia di volumi, in ogni angolo della casa. C’era come la sensazione che mentre gli uomini vanno e vengono, nascono e muoiono, invece i libri godono di eternità. Quand’ero piccolo da grande volevo diventare un libro” (p.31).
Oz è del 1939. Io son più vecchio di un anno. Oz ricorda (ha cinque o sei anni) gli avvenimenti tra il 1944 e il 45 a Gerusalemme.
Anch’io ricordo.

E quello più vivido risale a ciò che accadde dopo il grande bombardamento di Ferrara che ridusse il nonno sul lastrico e il trasferimento nel 1945 in una casa del centro storico infinitamente meno agiata di quella in cui son nato, divisa in due dalla scala che serviva i tre piani. Essendo il più piccolo dormivo nella grande camera dei nonni e non avevo uno spazio mio. Ma il corridoio che portava alle camere, buio e senza finestre, era letteralmente invaso dai libri. Appoggiati sul pavimento, trasbordanti da assi infisse sulle pareti, dilaganti in ogni dove. fino sulla porta del bagno, libri, di ogni dimensione, forma, colore. Da una lussuosa edizione de “I promessi sposi” con le illustrazioni di Gonin a cui mancava il primo capitolo diligentemente ricopiato a penna da qualche ignoto lettore, alle opere complete della Carolina Invernizio, a Salvator Gotta, a tutto De Amicis. E via elencando. Ma chi leggeva in casa? Non certo la mamma costretta al lavoro d’impiegata dopo la giovinezza agiata, non il nonno che s’industriava a far la spesa sul Listone sempre più tardi quando le bancarelle stavano per chiudere e i prezzi di frutta e verdura scendevano, ma la nonna. Implacabile nella lettura dopo che prese il lutto nel 1924 quando per motivi politici perdette un giovane figlio. Da allora la sua vera missione fu leggere. I nonni non so nemmeno se avessero fatto le elementari. Certo è che nel periodo di splendore allevarono i loro figli nel segno della cultura. E le femmine divennero maestre e laureate, fuorché la mamma che lasciò l’ultimo anno delle superiori per sposarsi. Tutte suonavano uno strumento.

In questa situazione anch’io volevo “diventare un libro” e, nonostante un vago tentativo di disciplinare le letture, mi lasciarono stare. Tra i sei e gli otto anni lessi indiscriminatamente, spesso cullandomi al flusso della riga o del capitolo, per puro capriccio visivo. Poi aprirono la libreria delle Paoline in via Cairoli presso il Seminario vecchio. La mamma poteva pagare a rate così arrivarono i meravigliosi volumi che mi confermarono ancor più nel voler essere un libro. Primo fra tutti “Il principe felice” di Oscar Wilde, poi “Incompreso” e tanti altri. Avevano una copertina cartonata verde pallido e un disegno a volte in rilievo nel mezzo. Io ci volevo saltare dentro a quel disegno e nella notte provavo incubi a pensare alla povera statua del principe o all’angoscia del bimbo incompreso e mi piaceva tanto calarmi nei panni di Fauntleroy de “Il piccolo Lord”. Le enciclopedie non mi piacevano perché riducevano a elenco la mia convinzione di voler diventare un libro.

Il sabato lo trascorrevo dai nonni adottivi al piano superiore della mia casa natale. Qui stava anche la Carla, una bellissima ragazza, che nella sua stanza aveva un cassetto pieno di volumi straordinari: la “Vita di Maria Antonietta” di Stefan Zweig (come mi sentivo un nobile pronto a essere sacrificato sulla ghigliottina!) e il bellissimo e crudelissimo “Fouché”. Le mie idee o quelle che respiravo in casa erano conservatrici: uno zio militare futura medaglia d’oro che ogni sabato convocava i nipoti: mio fratello adorante per la vita militare e il riluttante Gianni a pranzo per imparare a maneggiare posate, posture, cibo. Mi sentivo salito ai piani superiori di Downton Abbey. Sui dodici anni provavo disprezzo per gli sport e l’attività fisica. A Roma per l’anno Santo ho visto il Papa sulla sedia gestatoria e tra il caldo, l’emozione e la visione letteraria letteralmente svenni nell’immensità di San Pietro gremita. Ancor più di prima decisi di diventare un libro. Poi i “romanzoni” prestati da una parente: “Via col vento” – naturalmente stavo dalla parte dei sudisti- nonostante avessi versato lacrime a non finire leggendo “La capanna dello zio Tom”. Insomma non ciò che dicevano i libri ma ciò che il libro è.

Bisognerà aspettare l’incontro con il Maestro, Claudio Varese, a quattordici anni affinché imparassi a distinguere cosa “dicono” i libri differenziandoli da cosa sono.
E con i russi cominciò la dismissione di voler essere un libro: non volevo essere Raskolnikov o il principe Myskin. Volevo essere chi l’aveva scritto.
E non riuscendoci ho optato per il mestiere di critico.
Non si sa mai!

SETTIMO GIORNO
L’infame provocazione e le leggende metropolitane

PIAZZA FONTANA – Era un pomeriggio alla milanese, quel 12 dicembre 1969, grigio, freddo, le lucine di Natale tentavano, poverine, di sbriluccicare, ma erano opache in quell’umido tra pioggerellina e nebbia. Sono scoppiate le caldaie, disse un poliziotto all’entrata della banca dell’Agricoltura in piazza Fontana, un pompiere controbattè l’affermazione apodittica: macchè, è una bomba. Entrai, ero il primo giornalista a introdurmi nel bunker del massacro, sotto il tavolone in mezzo alla sala circolare c’era il buco, il cratere dov’era scoppiata la bomba. I brandelli delle vittime penzolavano appiccicate ai muri, mai avevo visto un orrore del genere. Non ci volle molto per capire che i terroristi fascisti avevano dichiarato guerra all’Italia democratica che tentava di uscire da una società per certi versi medievale, una guerra di cui avevano discusso e che avevano preparato alcuni anni prima, coperti dalle sante autorità.
Poche ore dopo la strage, uscì, ufficiale, la prima deviazione politica, il primo atto di un conflitto ideologico, che, forse, non è ancora terminato. Fu il prefetto di Milano Mazza a gettare la grande bugia in mezzo allo sconcerto della popolazione: sono gli opposti estremismi, disse, un’invenzione che avrebbe imputridito anche le relazioni personali (persino familiari) dei cittadini.
Non mi ci volle molto per capire, tornato al giornale scrissi “Un’infame provocazione”, titolo di prima pagina che ebbe, per fortuna, grande seguito. Era tutto chiaro, ma le autorità, secondo il piano ben concertato continuarono ad affermare che era una strage anarchica e, per dimostrare che era vero, ecco l’arresto proditorio di Pietro Valpreda e subito dopo il volo di Pino Pinelli dal quarto piano della questura milanese, uffficio di Calabresi. Eravamo ancora lì in questura in quella notte tragica, Pinelli era caduto (?) senza un grido, ma il questore diceva “si è buttato gridando che era la morte dell’anarchia quando lo informammo che avevamo preso Valpreda e che aveva confessato”. Era tutta una balla, una vergognosa bugia. C’era anche Calabresi lì nell’ufficio del questore, ma non disse parola, pareva nascondersi dietro il suo maglioncino beige. Era tutta una montatura ben architettata, confezionata da tempo e non importa sapere chi erano gli esecutori, colpevole era quella parte dello Stato che non ammetteva altra società se non quella che afferiva agli interessi dei padroni e uso la parola “padroni” con cosciente consapevolezza. Era una strage di Stato. Sono passati 45 anni da quel giorno e mi domando con grande tristezza se è cambiato qualcosa nella nostra società: il potere è sempre nelle stesse mani e le centinaia di vittime delle stragi nere sono state ammazzate due volte con una insopportabile spietatezza.

IL COMUNE PAGATORE – Entro nel negozio davanti al quale un questuante se ne sta sdraiato, mano tesa al passante. Quello sì che sta bene, mi dice una signorina dietro il banco. Beh, insomma… azzardo. Come no, continua la commerciante che sa tutto: il Comune gli dà la casa, gli dà trenta euro al giorno e gli paga perfino il telefonino. Rimango allibito: scusi, chiedo, ma chi le ha raccontato questa fola metropolitana? E lei, sicura: me lo hanno detto!
Ecco come si forma l’opinione della cittadinanza: “me l’hanno detto”. L’importante è che le informazioni siano di destra, siano razziste, siano contro la povera gente, così si forma la coscienza “buona” del paese.

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CALENDARIO DELL’AVVENTO
Luci e ombre del presepe fra Cristianesimo e credenze popolari

«Tommasi’, te piace’ ‘o Presebbio?»
«Sì»
«Ma che bellu Presebbio! Quanto è bello!»
(Eduardo De Filippo, “Natale in casa Cupiello”)

“Ecco il momento di accennare ad un altro svago che è caratteristico dei napoletani, il Presepe […] Si costruisce un leggero palchetto a forma di capanna, tutto adorno di alberi e di alberelli sempre verdi; e lì ci si mette la Madonna, il Bambino Gesù e tutti i personaggi, compresi quelli che si librano in aria, sontuosamente vestiti per la festa […]. Ma ciò che conferisce a tutto lo spettacolo una nota di grazia incomparabile è lo sfondo, in cui s’incornicia il Vesuvio coi suoi dintorni.”
(Johann Wolfang Goethe, Viaggio in Italia, 1787)

Dopo la prima rievocazione di Francesco a Greccio, il presepio è entrato di diritto nella tradizione natalizia popolare italiana e a Napoli è diventato una vera e propria arte, di cui si hanno tracce già dal 1340, ma che ha raggiunto il periodo di massimo splendore e sfarzo nel Settecento.
La sua forte valenza simbolica sta nel miscuglio fra la rappresentazione della spiritualità della natività ed elementi delle credenze popolari più antiche, paralleli e sottesi alla devozione cristiana.
La premessa a questo simbolismo era che nella mentalità del popolo, in maniera più o meno conscia, nel periodo del solstizio d’inverno si veniva creare una sorta di appiattimento temporale, un fermarsi del tempo presente, come se la natura trattenesse il fiato in attesa della nuova venuta della luce. Questa inquietudine nel delicato passaggio dal buio alla luce si ritrova per esempio nella struttura scenografica del presepe napoletano tradizionale, con i viottoli e le stradine che scendono fino al punto più basso, al centro della scena, dove si trova la grotta: la costruzione dall’alto al basso simboleggiava una sorta di viaggio misterico dal mondo sotterraneo alla rinascita della Luce del mondo. Richiami al mondo ultraterreno possono essere considerati anche il fiume, il laghetto o il pozzo, mentre luoghi come l’osteria o la taverna, oltre a rievocare scene di vita quotidiana, avevano la funzione di esorcizzare i rischi dei viaggi. Il castello è naturalmente un riferimento alla strage degli innocenti di Erode: non è quindi un caso che spesso venisse collocato nel punto più alto della composizione perché, come emblema della crudeltà dell’infanticidio, rappresentava il momento più buio e l’inizio del viaggio verso la redenzione cui si è accennato sopra. Figure centrali sono i Re Magi provenienti da Oriente, tradizionalmente raffigurati su un cavallo bianco, uno rossiccio o baio (crini ed estremità nere e corpo marrone) e uno nero: queste tre cavalcature rappresentavano l’iter quotidiano del sole dall’alba all’oscurità notturna. Ancora più interessante il fatto che nel loro seguito ci fosse una donna di colore portata su una lettiga: era la cosiddetta ‘Re Magia’ simboleggiante la luna. Questa figura era ancore presente nel presepe napoletano settecentesco, poi ha perso importanza fino quasi a scomparire. I personaggi popolari come il ‘verdummaro’, il vinaio, il macellaio, il fruttivendolo, il venditore di castagne, quello di formaggi, l’arrotino e il pescivendolo, rappresentavano la personificazione di un mese dell’anno e dunque anche lo scorrere del tempo. La coppia antitetica dei pastori, quello dormiente e quello ‘della meraviglia’, ci riportano invece alla devozione cristiana: il primo simboleggia il comportamento di coloro che sono rimasti indifferenti alla buona novella, mentre il secondo giunto nei pressi della mangiatoia ammira lo straordinario evento di cui è testimone. Anche i tre angeli sopra la grotta o la stalla sono simboli cristiani: uno al centro, con una veste gialla o dorata e il cartiglio “Gloria in excelsis deo”, uno a destra vestito di rosso con l’incensiere e uno a sinistra in bianco che suona la tromba, a simboleggiare rispettivamente il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

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‘Tradimenti’ e inganni, minuscolo prezioso gioiello di Harold Pinter

STANDING OVATION: I PIU’ ACCLAMATI SPETTACOLI TEATRALI DEL XXI SECOLO
“Tradimenti” di Harold Pinter, regia di Valerio Binasco, Teatro Comunale di Ferrara, 11 e 12 dicembre 2001

Impennata della stagione di prosa 2001/2002 del Teatro Comunale con “Tradimenti”, del drammaturgo inglese Harold Pinter. Maggior esponente britannico del “teatro dell’assurdo” (Beckett, il maggiore in assoluto, era irlandese di nascita e francese d’adozione), Pinter è il geniale autore di capolavori come “Il guardiano” (1961), “Il compleanno” (1958), “Il calapranzi” (1960), “Terra di nessuno” (1975). Le sue opere sono sature di inquietante simbolismo e pervase dal senso misterioso di minaccia incombente, del grottesco, dell’antipsicologismo. Pinter è anche autore di numerose sceneggiature per il cinema, fra le quali ad esempio “La donna del tenente francese” (1981).
Se nell’ambito del teatro dell’assurdo Beckett può essere considerato come il genio naturale, Ionesco come il maestro consapevole e Genet come il poeta maledetto, Pinter ne rappresenta di certo il teorico più lucido, il drammaturgo che ne ha amplificato le potenzialità connettendolo agli altri generi teatrali. E con “Tradimenti” egli riesce ad ingannare gli spettatori e i lettori (e talvolta i critici) due volte: la prima proponendo una commedia all’incontrario, capovolta, e la seconda destabilizzando la tradizionale convenzione dell’intreccio nascondendo la trama. Ma il fatto è che la trama consiste proprio in tale occultamento, altrimenti come potrebbe l’autore camuffare un discorso sulla memoria con un adulterio? Poiché “Tradimenti” (1978) racconta all’apparenza la storia di un adulterio, rappresentata a ritroso, dal suo epilogo al momento in cui è iniziata. Ma in realtà si tratta di una sorta di “dramma della memoria”, riguardo al quale ebbe a dire lo stesso autore in una rara intervista rilasciata diversi anni fa a New York: «È solo il trucco della memoria. La memoria è così. Comincia tutto dall’ultimo istante, si riavvolge all’indietro. Mettendo tutto alla rovescia, in “Tradimenti”, io ho preso la memoria alla lettera, la memoria senza la logica, che è una macchina stupida, come tutte le macchine».
È come assistere all’esposizione delle molteplici sfaccettature di un minuscolo ma prezioso gioiello, allo scaricarsi di un perfetto meccanismo a orologeria che, come appunto nel dramma-commedia di Pinter, si riavvolge dalla tensione finale allo stato di quiete iniziale. E dove il percorso si rivela sovente sarcastico e talvolta cinico, dove la “tragedia” è sempre latente, sfogandosi appena nei silenzi, nelle sfumature, negli atteggiamenti ambigui, nei dialoghi asciutti e telegrafici che nulla concedono al rischio del patetismo. La regia è di Valerio Binasco, per l’interpretazione dello stesso Binasco con Iaia Forte e Tommaso Ragno.

Foto di Gianluca Ghinolfi

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IMMAGINARIO
Lampi sublimi.
La foto di oggi…

“Lampi sublimi”: è la nuova mostra a Ferrara, in Pinacoteca. Le parole sono quelle usate da Roberto Longhi per descrivere l’esperienza che si prova davanti alle opere di Sebastiano Filippi, detto il Bastianino. I lampi sono quelli che si accendono – drammatici – sulle scene figurative oscure della controriforma. Ma i lampi evocano anche i movimenti di un pennello veloce, ispirato a Tiziano, e applicato all’umanità eroica di Michelangelo. “Sublime”, infine, sarebbe l’effetto emozionante che provoca la loro visione. Per provare a condividerla c’è questa mostra con le opere recuperate e restaurate dopo il terremoto. In corso Ercole I d’Este 21, chiuso il lunedì, fino al 15 marzo.

OGGI – IMMAGINARIO ARTE

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La locandina della mostra inaugurata il 13 dicembre 2014, fino a marzo 2015
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Particolare dell’opera del Bastianino alla Pinacoteca nazionale di Ferrara

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

[clic sulle foto per ingrandirle]

GERMOGLI
Disaccordi.
L’aforisma di oggi…

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

150px-Lembke_rNiente accordi di principio e il clima surriscaldato all’interno del Partito Democratico.

“L’accordo di principio è la più cortese forma di disaccordo”. (Robert Lembke)