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Giorno: 15 Dicembre 2014

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LA RIFLESSIONE
Ultimi bagliori del Duca Rosso

A giudicare dal pubblico, il ritorno sulla scena ferrarese di Roberto Soffritti è questione che interessa solo i reduci della politica. Alla sala dell’Arengo, che nei giorni scorsi ha ospitato un suo confronto con la stampa in stile “tribuna politica” (organizzato dal Think tank “Pluralismo e dissenso” e moderato da Mario Zamorani), c’erano molti capelli bianchi e pochi o nessun under 50. Il chiaro segnale che l’epopea del Duca Rosso è davvero conclusa in tutti i sensi, non appassiona i giovani ma desta giusto curiosità fra chi ha vissuto quegli anni da protagonista: in platea, infatti, la prevalenza era di ex amministratori e “addetti ai lavori”…

Le luci fioche della sala e il tono da confessionale dell’oratore hanno contribuito a rendere un po’ surreale il clima l’incontro, animato dalle domande di Stefano Lolli (Resto del Carlino), Stefano Scansani (la Nuova Ferrara), Stefano Ravaioli (Telestense), Marco Zavagli (Estense.com) e, per Ferraraitalia, dall’estensore di questa nota. Anche i riflessi sui giornali, che abbiamo atteso per valutare l’accoglienza in città, sono stati misurati e non hanno finora sollecitato alcun commento da parte dei lettori.

Eppure, nel bene e nel male, Soffritti a Ferrara ha segnato un’epoca. I suoi sedici anni da sindaco, interpretati da primattore quale egli era, in tempi caratterizzati da frenesia e rapidità, equivalgono quasi a un regno. Di alcune attuali derive politiche è stato per molti versi uno spregiudicato anticipatore: delle larghe intese, per esempio, che gli oppositori di allora (a rischio di querela) definivano “consociativismo”; ma anche di una “politica del fare” che dribbla la questione morale e si misura solo con i vincoli di legge: un approccio in base al quale le cose sono “lecite o vietate”, mentre “l’inopportuno” – nel Soffritti-pensiero – risulta una categoria con cui si baloccano le inconcludenti anime belle. “Quando c’è qualcosa che non va, si muove la magistratura: il resto sono chiacchiere”, ha affermato tranchant.

Con un artifizio retorico, un’apparente deminutio auctoris impiegata per strappare il consenso, l’ex sindaco considera plausibile (per inesausta volontà di fare) d’aver commesso anche “diecimila errori”, ma a nessuno dà un nome. Mentre con sdegno respinge puntualmente tutte le principali accuse che da anni gravano sul suo capo: la scelta di Cona come ubicazione del nuovo ospedale (“di fatto dettata dalla Regione”); la controversa gestione della vicenda relativa al Palazzo degli Specchi (“frutto di intrecci romani”); le salde relazioni con la Coop Costruttori di Giovanni Donigaglia.
Al riguardo evoca spesso, ma non nomina mai, i suoi strenui oppositori interni di allora, che rispondono principalmente ai nomi di Fiorenzo Baratelli e Paolo Mandini. Nomi che sulle sue labbra non affiorano, se non implicitamente nelle smorfie di fastidio che si tracciano quando tratta quei temi e spiega che tutto è frutto di “malintesi, cose che non si sanno o si finge di ignorare, montate ad arte da chi non capiva o non voleva capire”.
“Io non sono stato il sindaco più bravo di questa città – replica a chi glielo chiede – ma quello che ha fatto più cose”, il che però nella sua testa è una tautologia, alla luce della quale inciampa la falsa modestia.

Rivendica persino, con discreta faccia tosta, le ragioni della sua conversione da moderato del Pci (“mi dicevano che ero un socialdemocratico”) ad alfiere del Pdci, in veste di tesoriere nazionale e deputato: una scelta compiuta non perché repentinamente fulminato dal verbo marxista-leninista sulla via di Roma, ma a causa del fatto (ammette quasi con candore) che tutti gli incarichi politici prefigurati dopo il ’99 sfumavano inevitabilmente (“benché per me si fossero spesi Montanari per la Regione e addirittura Veltroni per le Europee”), complice la malevolenza dei soliti noti che gli strionfavano contro. Così, nel 2006, alle profferte “dell’amico Diliberto”, non ha potuto resistere, non per conversione ideologica ma per evidente brama dello scranno di Montecitorio, una ghiotta opportunità per proseguire la sua pragmatica parabola. E a chi gli chiede conto di quella giravolta verso la sinistra radicale ricorda come “allora appoggiavamo Prodi, dando quindi un sostegno fondamentale al governo del Paese”. Mentre oggi che il piccolo PdCi è fuori dall’orbita governativa e da ogni cabina di regia, il saggio Soffritti è alla ricerca di un nuovo approdo, che non sarà “con quelli dell’Altra Emilia Romagna”.

Guardando indietro il Duca Rosso rivendica con orgoglio la sua innaturale alleanza con la Dc di Nino Cristofori (braccio destro di Giulio ‘Belzebù’ Andreotti), in un certo senso prodromo delle larghe intese attuali. “Accordi indispensabili in una città di agrari – sostiene, riferendosi al suo antico patto – per ottenere il consenso vasto e diffuso necessario per fare ciò che serviva a Ferrara”.
Insomma, il ‘fare per il fare’, senza badare troppo al ‘come’. D’altronde è proprio quello che da anni ci “insegnano” tutti coloro (da Berlusconi a Renzi) che avendo responsabilità di governo spiegano che non si può andare troppo per il sottile, che le cose “vanno fatte e basta”.

Così è per Soffritti e per tanti altri che sono stati o sono al vertice delle istituzioni e dei partiti. Tanti governanti di piccole e grandi città, di Regioni bianche o rosse, di governi nazionali. Loro “fanno” per cambiare il Paese. Invece resta tutto uguale, le stesse inerzie, la stessa mentalità, gli stessi scandali. E non a dispetto dei loro sforzi, ma a causa dei loro metodi: perché proprio l’esasperata “politica del fare” è terreno di pastura per quelli che, non a caso, si chiamano affaristi o faccendieri, abili a infiltrasi nei suoi anfratti e a corromperne la natura. Sono loro, ancora loro, i tragici protagonisti delle cronache politiche e di quelle giudiziarie di Nostra Italia del Miracolo anno domini 2014.

Guarda il video dell’incontro [vedi]

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LA RIFLESSIONE
I ‘Nidi’ e i servizi per l’infanzia a Ferrara: una storia di lotte ed emancipazione nel cuore pulsante della città

di Loredana Bondi

Oggi appaiono come qualcosa di scontato, ma i Nidi per l’infanzia sono stati il frutto di dure battaglie. E’ stata Ansalda Siroli a ricordare le grandi lotte delle donne che anticiparono, fin dagli anni ’60 – con un referendum e con manifestazioni di piazza – l’approvazione della legge italiana sull’istituzione dei Nidi (la 1044/71) e l’abolizione degli Istituti di rieducazione e assistenza per l’infanzia Onmi (istituiti nel periodo fascista). Il valore educativo del Nido che non serviva solo alla donna che lavorava, ma ad un cambiamento culturale e organizzativo della società, per un’idea diversa della donna, del bambino e in particolare della responsabilità che la società si doveva assumere: insomma un cambiamento di rotta nella lettura dei ruoli sociali e di come tradurre i diritti in azioni concrete.

L’occasione per parlarne è stata la presentazione del volume “Sui nostri passi –Tracce di storia dei servizi educativi nei comuni capoluogo dell’Emilia Romagna”, a cura di Lorenzo Campioni (presidente del Gruppo nazionale infanzia ) e Franca Marchesi (pedagogista). Per Ferrara ho tracciato la storia dei servizi educativi per l’infanzia dal dopoguerra ad oggi; una storia che s’intreccia con la storia della città. L’incontro è stato organizzato nei giorni scorsi dall’Istituzione Servizi educativi, scolastici e per le famiglie del Comune di Ferrara.

Nel cammino di questa ricerca storica, sia pure relativamente vicina a noi (dal dopoguerra ad oggi), ho consultato documenti di ogni tipo e ho avuto l’onore di avere testimonianze dirette da chi questa storia l’ha vissuta e l’ha voluta interpretare. Si è trattato di un lavoro interessante che ripercorre motivazioni, scelte culturali e politiche che hanno consentito il profilarsi di una vera identità dei servizi rivolti all’infanzia e non solo. Come non ricordare l’opera di Maria Luisa Passerini, prima direttrice delle scuole d’infanzia e, negli anni ’70, anche dei Nidi, della quale abbiamo testimonianza , grazie ad una sua raccolta di scritti, pubblicata recentemente dall’Udi e dal Comune di Ferrara. Così come non si possono dimenticare, in ambito pedagogico, le tante educatrici e coordinatrici che, con grande professionalità, hanno saputo offrire servizi di qualità, puntando al coinvolgimento delle famiglie e del territorio, come esercizio continuo di democrazia: lavoro prezioso per la crescita culturale della comunità.

Alla presentazione del libro, non potevano mancare i “testimoni “ del tempo: appunto Ansalda Siroli dell’Udi, Radames Costa ex sindaco della città di Ferrara dagli anni ’70 agli anni ’80 e Daniele Lugli , già assessore alla Pubblica istruzione negli stessi anni.
Devo dire che nonostante l’incontro seminariale si sia protratto per diverse ore, le testimonianze sono state appassionanti e talora commoventi. Insomma questa nostra “storia” vissuta direttamente, ha suscitato ricordi, pensieri, emozioni.

E con tono decisamente coinvolgente, carico di quella “passione vera e credibile” di chi porta il peso di tante lotte a livello politico, Radames Costa ha voluto dare alla “sua storia” una lettura aperta dell’impegno che lo vedeva come primo cittadino, in un tempo reso difficile dal clima sociale duro e aspro degli attentati terroristici e dello scontro sociale tra “vecchia guardia” e nuovo modello di società. La spinta propulsiva per il vero avvio di un modello di servizi educativi per la prima infanzia gestito dal Comune, trovò numerosi ostacoli a livello locale: economici, ma non solo. La “diversa visione” dei ruoli della famiglia e della donna all’interno del contesto sociale, attraversa anche i partiti e da non sottovalutare è la posizione critica delle strutture ecclesiastiche che vedevano nell’avanzare di queste scelte e di questi cambiamenti, pericoli per la propria dottrina. Costa guidò la città in un momento davvero tragico, segnato a livello nazionale dalla strage di Milano (1969) e l’attentato alla stazione di Bologna (1980) e il coraggio di fare scelte difficili sul piano sociale era costoso da tutti i punti di vista. Per la sua amministrazione le scelte furono davvero straordinarie.
Daniele Lugli, già assessore alla Pubblica istruzione (ed ex Garante per l’infanzia della nostra Regione), proprio in quegli anni era, di fatto, il pieno sostenitore dell’avvio dei Nidi e di un sistema di servizi 0-6 anni che si qualifica come momento nuovo del bambino-società. Nel suo discorso al Consiglio comunale del 28 marzo 1972 appare chiaro che la proposta di abolire l’Onmi e creare strutture educative per la prima infanzia in cui le caratteristiche stesse dei processi educativi richiamano e impegnano una gestione ti tipo sociale. Questo elemento va oltre ciò che è indicato dalla stessa legge: la gestione sociale, viene collegata ai contenuti stessi delle attività del Nido, dandogli una caratterizzazione che supera decisamente l’impronta custodiale. In questo percorso fu certamente sostenuto dalla Giunta e dal Sindaco. Importante il grosso lavoro di studio e ricerca che Lugli ricorda di aver effettuato con la locale Facoltà di Magistero, collaborando con figure di grande rilevanza pedagogica come Egle Becchi, sul valore profondo della formazione continua degli insegnanti.

Che dire? E’ stata una “storia straordinaria” fatta da visioni valoriali alte, di passione civica di lotte per il riscatto delle classi popolari, per la difesa della maternità e la conciliazione fra impegni di cura e di lavoro, di assunzione di grandi e non facili responsabilità, pur di realizzare servizi per la prima infanzia e difenderli dagli attacchi che nei decenni si sono susseguiti in forme diverse.
Il perché di questa storia? Perché la crisi attuale di valori di diritti negati in tutti i campi della vita personale e sociale possa stimolarci a ripensare ai presupposti culturali ed istituzionali delle politiche sociali ed educative, ma soprattutto perché occorre una nuova legge sui servizi 0-6 anni che è tuttora in discussione al Senato: il ddl 1260.
Come Gruppo nazionale nidi e infanzia stiamo raccogliendo a livello nazionale le firme per il sostegno di questa nuova legge da tutti i cittadini per rendere ancora una volta, dopo più di 40 anni, credibile il diritto i tutti i bambini ad avere accesso ai servizi educativi fin dai primi anni di vita.

Incontro in Rettorato sulla cooperazione

da: ufficio Comunicazione ed Eventi Unife

Martedi’ 16 dicembre alle ore 16.30, presso il Rettorato, via Ariosto 35, si terrà un incontro sul progetto regionale sahrawi. Nel corso dell’iniziativa si farà il punto sulla verifica del progetto finanziato dalla Regione per la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e i Paesi in via di transizione, la solidarietà internazionale e la promozione di una cultura di pace”, a conclusione del periodo di formazione qui a Ferrara del dott. Abdi Bellau Mohamed Lamin, responsabile del laboratorio farmaci Mohamed Embarek Falkalla nei campi dei rifugiati, una perla di efficienza nel vuoto in cui la condizione di rifugiati ha fatto precipitare, da quasi quarant’anni, la popolazione sahrawi.

Sarà anche l’occasione per fare il punto delle prospettive future del nuovo progetto finanziato con bando del 2014 tra cui la possibilità di stringere un accordo quadro tra Università di Ferrara e Università di Tifariti (Algeria), l’elaborazione di un percorso formativo universitario superiore per i sahrawi che miri al recupero della loro medicina tradizionale e alla valutazione di una possibile commercializzazione di prodotti salutistici prodotti localmente

All’incontro parteciperanno :
– il Prorettore dell’Università di Ferrara, Francesco Bernardi; Lara Sitti, Dirigente del Comune di Ferrara in rappresentanza dell’assessorato alla Cooperazione Internazionale, Maria Chiara Borsalino del Comune di Albinea (RE), capofila del Progetto, coordinatrice del progetto; Cinzia Terzi; i dottori Abdi Bellau Mohamed Lamin e Mohamed Salem Moulay, profughi sahrawi responsabili del laboratorio di formulazione farmaci nei campi rifugiati in Algeria, il Direttore del Centro di Cooperazione allo Sviluppo Internazionale dell’Università di Ferrara, Alessandro Medici e
Alessandra Guerrini, membro del Consiglio Direttivo del Centro di Cooperazione allo Sviluppo Internazionale dell’Università, partner dal 2011 del progetto.

I rischi e le opportunità del web 3.0, a Unife il seminario di Rudy Bandiera

da: ufficio Comunicazione ed Eventi Unife

Proseguono i Seminari nell’ambito del corso di Marketing di Unife, organizzati da Fulvio Fortezza, ricercatore del Dipartimento di Economia e management.

Il prossimo appuntamento si terrà giovedì 18 dicembre, dalle ore 9 alle ore 12, in Aula A8 del Polo Didattico degli Adelardi (via degli Adelardi, 33), con ospite Rudy Bandiera, uno dei più noti e influenti personaggi del nuovo web, che interverrà su “I rischi e le opportunità del Web 3.0”.

Specifica Fortezza: “ Il Seminario sarà un’occasione per conoscere e approfondire vari temi di frontiera della disciplina del marketing, particolarmente innovativi e ancora in evoluzione, quali il personal branding, la trasformazione delle logiche di comunicazione e relazione fra imprese e mercati, i concetti di narrazione digitale e quelli di networking, sui cui è particolarmente forte l’attenzione di studiosi e marketer d’azienda”.

Così si anticipa Bandiera: “Ferrarese da sempre, sono giornalista, blogger e consulente in ambito web, con una particolare attenzione verso il mondo dei social media e del marketing non convenzionale. Racconto storie in digitale, ciò che oggi va tanto di moda definire storytelling, su ogni cosa che abbia un valore da raccontare. Docente di Online Marketing presso master universitari e aziende, sono anche il socio fondatore di NetPropaganda s.r.l., agenzia che si occupa di accompagnare aziende e privati a creare la propria identità nel mondo digitale e a fare business, ovviamente.”

I Seminari del Corso di Marketing sono aperti alla comunità accademica e alla città.

Confermare la partecipazione all’indirizzo: fulvio.fortezza@unife.it.

Per approfondimenti : http://www.rudybandiera.com/info

Per informazioni: Maria Grazia Campantico cmpmgr@unife.it, cell. 3351409739

Sant’Agostino: Sicurezza, Valore e Rispetto chiede il Consiglio Comunale aperto alle domande dei cittadini.

da: Stefania Agarossi, Gruppo consiliare Valore e Rispetto. Comune di Sant’Agostino (Fe)

“Durante la scorsa seduta del 10 dicembre, il sindaco Fabrizio Toselli ha annunciato che nel prossimo Consiglio Comunale del 23 dicembre inserirà come argomento all’ordine del giorno anche il tema della sicurezza territoriale e degli ambiti urbani, dei furti e della microcriminalità. Di ciò ringraziamo, poiché è tema che colpisce e interessa tutti e che già diverse volte è stato sollevato e sollecitato anche dall’Opposizione”.
“Proprio per questo motivo – spiegano Stefania Agarossi e Olindo Sandri – abbiamo ritenuto giusto e corretto inoltrare ufficialmente al Sindaco la richiesta che tale argomento sia trattato nel prossimo Consiglio Comunale in modalità “adunanza aperta”, che permette anche ai presenti di parlare e intervenire. In questa maniera il sindaco potrà rispondere direttamente alle domande dei cittadini, compresi quelli che cercano risposte sia dalla Maggioranza sia dall’Opposizione”.

Stefania Agarossi
Olindo Sandri
Gruppo Consiliare Valore e Rispetto

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L’INCHIESTA
In carcere. Lavori utili
per dare un senso alla detenzione e un risarcimento alla collettività

Scade a giugno 2015 la proroga per la nuova verifica sulle carceri. Entro quel termine lo Stato italiano dovrà adottare le soluzioni necessarie a ridurre il sovraffollamento. Risale ormai a due anni fa (8 gennaio 2013), la sentenza di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, per i trattamenti inumani verificatesi negli istituti penitenziari del nostro Paese (violazione dell’art. 3 della Cedu, Convenzione europea dei diritti dell’uomo). Ma il sovraffollamento non è l’unico problema delle nostre carceri. La situazione è drammatica anche perché è esiguo il numero delle persone che hanno l’opportunità di lavorare, sia all’interno del carcere per lavori di manutenzione o in officine e laboratori specializzati, sia per lavori socialmente utili come spalare il fango dopo le alluvioni, coprire le scritte che deturpano i muri dei centri storici o ripulire strade e parchi. I detenuti che hanno la possibilità di lavorare piuttosto che non fare assolutamente niente per giorni, mesi, anni, in Italia sono pochissimi, l’abbiamo sentito a Report nella puntata trasmessa il 30 novembre scorso [vedi] e i dati ufficiali* confermano il quadro.

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Desi Bruno

Dell’importanza del diritto al lavoro per le persone detenute, abbiamo parlato con l’avvocato Desi Bruno, Garante delle persone private della libertà personale per la Regione Emilia-Romagna, organismo di vigilanza e monitoraggio presente ormai da vari anni in via sperimentale a livello comunale, provinciale e regionale e, dal febbraio 2014, operativo anche a livello nazionale.

Avvocato, oltre alla sua principale attività di vigilanza e monitoraggio, lei da anni si sta spendendo nel territorio su vari fronti, per diffondere e promuovere una nuova cultura della pena che fatica ad affermarsi, nonostante sia già tutto predisposto e livello di ordinamento legislativo.

Sì, gli strumenti legislativi ci sono, c’è un raccordo e una collaborazione fattiva con gli altri Garanti territoriali presenti in regione, in particolare con quelli dei comuni di Piacenza, Parma e Ferrara (nella nostra città il garante è Marcello Marighelli, ndr). Quello che manca è la conoscenza degli strumenti e la volontà di attivarli, e per questo è necessaria un’opera di diffusione e comunicazione capillare a livello territoriale, perché come spesso succede in questo Paese gli strumenti ci sono ma non vengono compiutamente utilizzati. Spesso gli enti locali o le stesse direzioni delle carceri non sfruttano le possibilità e le potenzialità create dalle leggi, tutti si lamentano ma permane un forte immobilismo.
E’ importante ricordare che i detenuti sono privati della libertà personale, ma non degli altri diritti, in primo luogo del diritto al lavoro che è il fulcro del trattamento penitenziario e che deve essere retribuito. Il nostro è un ordinamento avanzato e non prevede il lavoro obbligatorio; il detenuto deve poter lavorare, per contribuire a mantenere la famiglia, per le piccole necessità e per mettere da parte qualcosa per quando uscirà dal carcere. Poi va benissimo anche il discorso del volontariato e dei lavori socialmente utili, una cosa non esclude l’altra, ma il lavoro retribuito è un diritto imprescindibile e l’istituzione penitenziaria avrebbe l’obbligo per legge di garantirlo.

Con Ferrara si è instaurato un certo legame e l’avvocato Bruno ha partecipato a diverse iniziative, tra cui la rassegna “Libri galeotti”, curata da Andrea Pugiotto, ordinario di Diritto costituzionale dell’Università di Ferrara, e recentemente la due giorni di confronto sul tema dei “Diritti alla Terra. Coltiviamo nuovi modelli d’azione” organizzato da Alce Nero e Amnesty International, che si è svolto alla Wunderkammer di via Darsena, durante l’ultima edizione del festival di Internazionale [vedi].

Come si inseriva il suo intervento nel contesto dell’incontro sui “Diritti alla terra” alla Wunderkammer?
Da vari anni collaboro con Lucio Cavazzoni di Alce Nero per creare opportunità di lavoro per i detenuti legate al settore alimentare. Con lui abbiamo cercato di avviare alcuni progetti all’interno del carcere di Bologna, allora ero ancora Garante per il Comune di Bologna, come la creazione di laboratori di panificazione nel reparto femminile, di serre e orti, un allevamento di api.

Perché è così importante il tema dell’alimentazione e della terra per l’occupazione e la riabilitazione dei detenuti?
La coltivazione della terra per le persone detenute è un fatto cruciale che tocca vari aspetti: i detenuti che lavorano e coltivano prodotti freschi trovano soddisfazione e realizzazione durante la pena, imparano un mestiere che potrà essere utile una volta usciti dal carcere e, aspetto non meno importante, possono stare nel verde, nella natura, toccare e respirare qualcosa che non sia cemento. Le carceri italiane sono luoghi molti alienanti perché costruite quasi tutte negli anni ’70, con colate di cemento e con criteri di massima sicurezza, per via del terrorismo. Ecco quindi da dove nasce il recente tentativo di recuperare degli spazi verdi per la coltivazione o anche solo per l’incontro con le famiglie.

Le esperienze di orti e serre realizzate in regione e in Italia in generale hanno dato esito positivo? E quanto sono diffuse?
Le esperienze di coltivazione della terra sono state tutte molto positive, ma sono ancora molto poche. In regione ci sono realtà poco competitive ma che funzionano perfettamente: nel carcere di Modena si produce un ottimo miele, a Reggio Emilia e a Bologna ci sono le serre e gli orti, a Ferrara la coltivazione di verdure per la grande distribuzione, progetto molto interessante che vede la collaborazione della Coop e dell’associazione Viale K.

Abbiamo seguito la puntata di Report di domenica 30 novembre in cui emerge il drammatico quadro delle carceri italiane: sovraffollamento, rarissimi i casi di opportunità lavorative per i detenuti (fuori e dentro il carcere), a fronte di altissime spese di mantenimento da parte dello Stato, si parla di 4.000 euro al mese a persona. Perché è così difficile far lavorare i detenuti?
Sì, la puntata di Report è stata molto eloquente, anche se un po’ parziale perché è mancata la presentazione delle diverse esperienze che funzionano e che potrebbero servire da modello. Effettivamente il lavoro manca, e questo è un dato inconfutabile. Ed è vero che i detenuti vorrebbero lavorare perché l’inattività distrugge il corpo e la mente.
Occorre però distinguere tra lavoro retribuito e lavori di pubblica utilità. I lavori di pubblica utilità sono stati inseriti nel nostro ordinamento già da tempo, e consentono agli enti locali di poter utilizzare i detenuti per fare una serie di lavori. Nella nostra regione ci sono già state diverse esperienze positive: a seguito del terremoto del 2012, una decina di detenuti del carcere di Bologna e Modena sono usciti per svolgere attività di volontariato; a Bologna altrettanti detenuti sono stati formati per la pulitura dei muri dai graffiti del centro storico; nel ravennate già da tempo si occupano della pulizia delle spiagge e dei fiumi. Quindi diciamo che, laddove c’è una maggiore sensibilità, le iniziative vengono assunte e sono esperienze estremamente positive perché aiutano la collettività, hanno una funzione riparatoria e fanno risparmiare le amministrazioni che, soprattutto negli ultimi anni, non hanno più risorse da investire per questo tipo di attività. Vanno di conseguenza incentivate.

Quindi il problema si riscontra soprattutto per il lavoro retribuito, è così?
Sì, per il lavoro retribuito il discorso si fa più complicato: ci sono regole e controlli molto stringenti e occorre garantire un certo livello di produttività all’impresa che decide di investire all’interno degli istituti penitenziari. Alle imprese che assumono detenuti o ex detenuti vengono riconosciuti sgravi fiscali (legge “Smuraglia”) al fine di incentivare appunto l’assunzione. Quanto al lavoro interno all’amministrazione penitenziaria invece, vorrei però sfatare la questione del “non ci sono risorse”, perché le carceri spendono moltissimo appaltando lavori di manutenzione del carcere a ditte esterne, mentre potrebbero assumere gli stessi detenuti risparmiando. Come spesso accade non è un problema di soldi ma di mentalità. La stessa cosa potrebbe essere fatta dalle amministrazioni, favorendo l’assunzione di un certo numero di detenuti nelle cooperative di tipo B che si occupano della manutenzione del verde pubblico o dei lavori stradali. A Rimini, per esempio, c’è un’esperienza molto interessante ed esportabile in qualsiasi altra città: si tratta dell’Associazione Papillon che si occupa di impiegare nella coltivazione degli orti comunali i detenuti in misura alternativa.

Bene, passiamo al lato pratico e diamo indicazioni concrete: se un Comune senza più risorse avesse bisogno di fare la pulizia degli argini o la manutenzione delle aeree verdi, e volesse utilizzare dei detenuti, come dovrebbe fare?
L’ente pubblico deve fare richiesta alla direzione del carcere dichiarando uno specifico fabbisogno. Per ottenere il permesso di utilizzare un certo numero di detenuti, l’ente deve stipulare una convenzione con la direzione del carcere coinvolgendo la magistratura di sorveglianza. Quest’ultima fa una selezione delle persone idonee, ce ne sono molte, e la cosa è fatta. E’ fattibile e utile. Si tratta solo di agire, altrimenti siamo sempre punto e a capo. Tra l’altro l’Anci ha da poco firmato un protocollo d’intesa [vedi] con il dipartimento per l’amministrazione penitenziaria per promuovere l’attività lavorativa in favore della popolazione detenuta, in collaborazione con strutture pubbliche e private, al fine di dare concreta attuazione all’articolo 27 della Costituzione recuperando all’attività sociale il detenuto, evitando che possa delinquere ancora e riducendo i rischi di recidiva. Addirittura, in questo protocollo si parla anche di istituire vere e proprie agenzie che segnalino l’ammanco di personale per lavori socialmente utili che non vuole fare nessuno, in modo da incanalare l’utilizzo di detenuti per situazioni di reale bisogno.

E per quanto riguarda il lavoro retribuito, come fare per incentivarne e promuoverne l’utilizzo?
Le direzioni degli istituti penitenziari dovrebbero poter utilizzare le risorse di cui dispongono in modo diverso e con autonomia gestionale, considerando il lavoro dei detenuti come una risorsa, almeno per la manutenzione ordinaria e i lavori di pulizia che spesso non vengono svolti come si dovrebbe per mancanza di personale. Le amministrazioni penitenziarie dovrebbero anche poter utilizzare le competenze specifiche di certi detenuti: ci sono tecnici elettricisti, imbianchini, idraulici che potrebbero venire molto utili per la manutenzione dell’edificio. Per andare incontro alle difficili condizioni economiche in cui versano gli istituti, si potrebbero rivedere i compensi e le tariffe sindacali per il lavoro dei detenuti, e anche trattenere una parte dello stipendio come risarcimento delle spese sostenute per il singolo detenuto o come risarcimento alle vittime. Ma per fare questo è necessario che i fondi destinati al lavoro per i detenuti non subiscano continue e preoccupanti riduzioni, che vanificano ogni migliore intenzione.
Poi occorre anche saper interagire con il privato, con le aziende che potrebbero utilizzare il lavoro dei detenuti.

Qualche esempio positivo, nell’ambito della nostra regione, di aziende che acquistano i manufatti prodotti dai detenuti?
Da segnalare i casi di eccellenza del carcere di Bologna: da qualche anno nel carcere della Dozza è attiva a pieno regime un’officina meccanica, fortemente voluta da un cartello di imprese che operano nel territorio (Ima-Marchesini e Gd), che sta dando lavoro a 10 detenuti, assunti con regolare contratto da dipendenti; sempre alla Dozza, c’è poi l’esperienza di 4 donne che lavorano nella sartoria della sezione femminile, dove realizzano borse e capi bellissimi che commercializzano in varie situazioni pubbliche, ultimamente si è raggiunto anche il canale Ikea.

(*) a fronte di 58.092 detenuti presenti negli istituti italiani, sono 11.735 lavoranti alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria e 2.364 non dipendenti ovverossia lavoratori in proprio o alle dipendenze di imprese o cooperative. Alla stessa data, nella Regione Emilia Romagna, a fronte di 3127 presenze complessive nelle carceri, risultavano 833 i detenuti lavoranti, di cui 627 alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria (Fonte Dap, dati aggiornati al 30 giugno 2014).

Per saperne di più:

Relazione annuale 210- Garante delle persone private della libertà personale della Regione Emilia-Romagna [vedi]

Garante dei Diritti delle Persone Private della Libertà Personale della Regione Emilia-Romagna
BRUNO Desi
Ufficio: Viale Aldo Moro, 50
40127 BOLOGNA
Telefono : 051 5275999
Fax: 051 5275461
e-mail: garantedetenuti@regione.emilia-romagna.it
sito [vedi]

Garante dei Diritti delle Persone Private della Libertà Personale del Comune di Ferrara
MARIGHELLI Marcello
Ufficio: Via Fausto Beretta, 19
44121 Ferrara
Telefono e fax: 0532 419709
email: garantedetenuti@comune.fe.it

“Un cappello di nuvole e foglie”, decimo ed ultimo appuntamento della rassegna “La Società a Teatro – edizione 2014”

da: ufficio stampa Agire Sociale CSV Ferrara

Mercoledì 17 dicembre alle 21.00 in Sala Estense a Ferrara debutta questo delicato spettacolo tratto dall’omonima raccolta di poesie di Sabrina Franceschelli, una donna che nella scrittura ha trovato un modo per esprimere il proprio disagio e la vastità del proprio mondo interiore.
Con l’aiuto e il supporto del Distretto di Igiene Mentale dei Comuni di Budrio-Molinella e dell’Associazione Bellavista, Sabrina ha selezionato i suoi numerosi scritti realizzando un libro che è il suo ponte per andare verso l’altro, per raccontare di sé. Questo spettacolo teatrale vuole essere un ulteriore passo in questo cammino di Sabrina.
Insieme alla regista Alessia Passarelli, l’autrice delle poesie ha arricchito le sue parole della sua presenza.
Alla costruzione dello spettacolo si è poi unita Annamaria Pullara, utente dei Servizi Sociali del Comune di Ferrara, che nella pratica teatrale ha a sua volta trovato un mezzo ed un aiuto per superare i propri blocchi emotivi ed esprimere se stessa.
Grazie al sostegno dell’associazione culturale “la Resistenza” di Ferrara che ha messo a disposizione del progetto un proprio spazio prove, le due donne si sono incontrate. Dai ricordi di Sabrina sono nati i suoni e le immagini che compongono le scene, dalle emozioni e dalle suggestioni di Annamaria le azioni ed i gesti che danno vita alle parole.
In un mondo sospeso tra nuvole e foglie facce della stessa anima intrecciano, come una danza, un dialogo fatto di sogni, paure, ribellioni, speranze.
Questo è il lavoro che chiude, con un arrivederci, l’edizione 2014 de La Società a Teatro. Uno spazio progettuale dove l’incontro fra arte e sociale trova cittadinanza.[ingresso € 5; per info: segreteria@csvferrara.it – 0532-205688).

Conferito un Attestato al Comando Polizia Municipale per la candidatura del progetto “Un Mare di Legalità”

da: ufficio stampa Comune di Comacchio

Un prestigioso riconoscimento è stato conferito nei giorni scorsi al Comando di Polizia Municipale, per l’attività svolta nell’ambito del progetto “Un mare di legalità”, coordinato dalla Prefettura di Ferrara. Il Comandante di P.M. Paolo Claps si è infatti recato a Chiuduno, in provincia di Bergamo per ritirare la targa conferita al Corpo di Polizia Locale, predisposta dal comitato scientifico della rivista “La Voce dei Vigili Urbani.” La cerimonia di consegna della targa, unitamente all’ “Attestato di Professionalità per l’attività svolta al servizio della cittadinanza”, è avvenuta durante il Congresso Nazionale della Polizia Locale “Urban Police”, svoltosi nel citato Comune lombardo. Il riconoscimento, frutto della candidatura dell’iniziativa “Un Mare di Legalità”, proposta dal Sindaco Marco Fabbri, premia la professionalità del Corpo e l’impegno sinergico con tutti i soggetti istituzionali e con le associazioni di volontariato coinvolti nei servizi di prevenzione e di repressione dell’abusivismo commerciale. Il Sindaco Marco Fabbri, rallegrandosi con il Comandante Paolo Claps per il riconoscimento, ringrazia tutti i componenti del Comando di Polizia Municipale, incoraggiandoli a proseguire nella direzione intrapresa, perchè mai come quest’anno, nonostante la ristrettezza di risorse umane ed economiche, si sono raggiunti risultati tanto incisivi per contrastare il fenomeno dell’abusivismo commerciale.

“Il deserto dei Tartari” di Dino Buzzati al quarto tè letterario in biblioteca

da: ufficio stampa Comune di Comacchio

Il quarto tè letterario nella biblioteca comunale “L.A. Muratori” domani pomeriggio sarà dedicato a “Il deserto dei Tartari”, romanzo che ha procurato popolarità e successo a Dino Buzzati. Una storia, quella raccontata da Buzzati, sospesa tra speranza e disincanto, con le spietate regole della guerra sullo sfondo, capace di mettere a duro confronto spirito di eroismo e ricerca della verità. Ad accogliere il pubblico ci sarà, come di consueto, Elisabeth Sodi, la quale servirà il tè, offerto dal Bar “Calaluna” del Lido degli Estensi con i biscotti fatti in casa, avvalendosi delle tazze con impresso il nuovo brand “Comacchio- Trepponti, un mondo di emozioni”. La rassegna culturale, organizzata dallo scrittore e giornalista Luciano Boccaccini e dal libraio Leonardo Romani, responsabile della libreria “Le querce” del Lido degli Estensi sta riscuotendo successo e consensi crescenti, anche grazie all’avvio del gruppo di lettura, che si riunisce a martedì alterni, sempre in biblioteca. I lettori si danno appuntamento anche sul blog http://lettureincomune.blogspot.it/. La scorsa settimana per temporanea indisponibilità dello scrittore e giornalista Paolo Pizzato, che domani tornerà a collegarsi via Skype da Milano, ha vestito i panni del consigliere letterario l’archeologo Mario Cesarano, responsabile dello scavo nel sito archeologico di Santa Maria in Padovetere. L’appuntamento con il tè letterario in biblioteca torna dunque domani, martedì 16 dicembre, sempre alle ore 17, ad ingresso gratuito.

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Video on demand e proiettore, il cinema in casa

“Le persone credono solo a quello che gli racconti” (Steven Spielberg, “Catch me if you can”)

L’idea medesima di sala cinematografica sta rapidamente evolvendosi. Forse colpa delle nuove tecnologie, come l’utilizzo invadente dallo smartphone, per cui per molti andare al cinema corrisponde a chiudersi in una sala dove non “c’è campo”; oppure del luogo comune per cui si va al cinema quando non si ha niente da fare (il De Andrè di “buttarsi in un cinema con una pietra al collo” da “Verranno a chiederti del nostro amore”, da riascoltare…); o della dilagante pirateria, prontissima a proporre film in streaming sul web.
E ora si propone in modo sempre più aggressivo il Vod ossia Video on demand. Anche in Italia oramai le nostre distribuzioni, considerato l’ingorgo dei titoli in uscita, anche con dieci/dodici debutti nella stessa giornata, cominciano a utilizzare questo strumento. Pratica già molto diffusa negli Usa, dove i film a budget medio-basso trovano spesso nell’on demand uno sbocco di mercato che non troverebbero nel normale circuito delle sale.
E così una stanza di casa, attrezzata con un videoproiettore, oramai con costi molto contenuti, diviene una sala cinematografica, sottraendo al cinefilo l’onere dell’uscire di casa, parcheggiare, fare file etc.
Il difficile momento economico e sociale, il diffuso pessimismo, la difficoltà di individuare i titoli giusti in un mercato troppo ricco di titoli, con programmazioni oramai anche di una settimana, il timore di sbagliare nella scelta, i costi non proprio bassi di quello che per decenni era un rito, il film per la famiglia, portano ad un uso sempre maggiore di alternative alla classica sala.
Con buona pace nostra che, cresciuti nelle salette di periferia, continuiamo a pensare che la sala sia il luogo dove vedere cinema, condividere emozioni, discutere, insomma essere pubblico attivo e partecipe (evitando magari il morettiano dibattito con la casalinga di Treviso o con il pastore lucano).
Certamente è sempre più necessaria una promozione della cultura cinematografica, ad esempio nelle scuole, come da un precedente articolo uscito su questa rubrica [vedi], anche tenendo presente che, inevitabilmente, è sempre più accentuata la divaricazione tra il cinema che possiamo definire di “intrattenimento”, con i suoi effetti speciali e computer grafica, e il cinema inteso come prodotto culturale.
E comunque il vero cinema non morirà, ma continuerà attraverso imprevedibili e certamente affascinanti mutazioni a raccontarci le sue storie. E noi saremo lì, seduti nella sala buia…

TEST DI CULTURA CINEMATOGRAFICA
Stavolta il gioco è indovinare il titolo del film da una frase, con qualche piccolo aiuto…
Per le risposte clicca qui

1) “Io sono ancora grande, è il cinema che è diventato piccolo.” (film emblematico della diva decaduta)

2) “Chi salva una vita salva il mondo intero.” (su un eroe sepolto nel cimitero dei Giusti, il cui nome è scritto sulle scale mobili…)

3) “Prima di cambiare il mondo, devi capire che ne fai parte anche tu: non puoi restare ai margini e guardare dentro.” (film con una corsa a perdifiato dentro il Louvre, che cita Godard)

4) “E’ soltanto nelle misteriose equazioni dell’amore che si può trovare un’equazione logica.” (film sulla vita di un matematico e premio Nobel)

5) “Mi piacerebbe conoscere quello che ha inventato il Tavor: lui sì che fa stare bene la gente, lui sì.”( film italiano vincitore della Palma d’oro)
Risposta – La stanza del figlio

6) “Non ballare, un uomo non balla. Pensa a Schwarzenegger: cammina a stento” (uno dei primi outing gay del cinema con Kevin Kline)

7) “Non posso avere la nausea quando ascolto Ludovico Von… vi prego… Lasciate stare Beethoven, lui non ha fatto niente, ha scritto solo Musica!” (questo è facile…)

8) “Nun è che ce sei stata a letto…? No!!!…l’avemo fatto pe tera” (duetto Manfredi-Vitti nella Roma papalina)

9) “Io, guarda, non è che son contrario al matrimonio, che non son venuto… Solo, non lo so… Io credo che, in particolare, un uomo e una donna siano le persone meno adatte a sposarsi tra di loro. Troppo diversi, capisci?” (riflessioni sull’amore di un comico napoletano, scomparso troppo giovane)

10) “Qualsiasi donna, al momento giusto, al posto giusto, con le circostanze giuste, farebbe qualunque cosa.” (amara riflessione di un pugile italoamericano)

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CALENDARIO DELL’AVVENTO
I figli di Babbo Natale

“In magazzino, il bene – materiale e spirituale – passava per le mani di Marcovaldo in quanto merce da caricare e scaricare. E non solo caricando e scaricando egli prendeva parte alla festa generale, ma anche pensando che in fondo a quel labirinto di centinaia di migliaia di pacchi lo attendeva un pacco solo suo, preparatogli dall’Ufficio Relazioni Umane; e ancor di più facendo il conto di quanto gli spettava a fine mese tra «tredicesima mensilità» e «ore straordinarie». Con quei soldi, avrebbe potuto correre anche lui per i negozi, a comprare comprare comprare per regalare regalare regalare, come imponevano i più sinceri sentimenti suoi e gli interessi generali dell’industria e del commercio.”

Siamo nel 1963, ma potremmo benissimo essere nel 1983 come nel 2013. “I figli di Babbo Natale” è l’ultimo racconto contenuto nella raccolta “Marcovaldo, ovvero Le stagioni in città” di Italo Calvino. Marcovaldo, kafkiano manovale-antieroe in una ditta di fantozziana memoria (dall’onomatopeico nome “Sbav”), è l’agnello sacrificale di un sistema più grande di lui, eternamente in competizione con altri sistemi affini, con la stessa mancanza di valori e la stessa insana passione per il capitale. Alla comicità delle scene cui fa da sfondo la città, si uniscono la malinconia e lo stupore, molto poco natalizi, che crescono via via che la sua avventura cittadina e familiare si evolve.
Marcovaldo non è dentro – è semplicemente l’ultimo anello di una malsana catena che dispensa consumismo – e non è fuori – viene alla fine scelto come Babbo Natale aziendale, subendone parrucca e costume. Lui, eterno ingenuo, Candido voltairiano, è il Natale. Ma quale?
È il Natale consumistico, pieno di luci e attenzioni false, volte a creare legami esclusivamente di profitto. È il Natale alla rovescia, in cui chi ha troppo non apprezza (il bambino triste e annoiato) e chi ha molto poco (il figlio Michelino) si preoccupa di dare a chi è povero, trovando nel bambino ricco e annoiato un ideale destinatario. È anche il Natale profetico del commercio e dei rapporti umani, che esalta oggetti e modi di comportamento distruttivi – purché si venda – e che riduce ogni piccola meraviglia e orgoglio a una alzata di spalle, quasi indifferente.
E Marcovaldo per un attimo si spera unico e irripetibile, scoprendosi poi microscopico ingranaggio del magico periodo natalizio, come un chapliniano movimento alla catena di montaggio delle festività.

“Per le vie della città Marcovaldo non faceva altro che incontrare altri Babbi Natale rossi e bianchi, uguali identici a lui, che pilotavano camioncini o motofurgoncini o che aprivano le portiere dei negozi ai clienti carichi di pacchi o li aiutavano a portare le compere fino all’automobile. E tutti questi Babbi Natale avevano un’aria concentrata e indaffarata, come fossero addetti al servizio di manutenzione dell’enorme macchinario delle Feste.”

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Se tutto è narrazione

In questo tempo assistiamo ad una particolare enfasi sulla narrazione. Ogni narrazione ci trasporta verso un mondo possibile, vale a dire verso una condizione, almeno in parte diversa da quella quotidiana. Il marketing lo sa e, attraverso la dimensione narrativa, ci porta in mondi ideali, divertenti e buoni. Del resto, “quando due uova sono uguali il consumatore preferisce l’uovo con una storia” per citare il brillante motto contenuto nel libro di A. Granelli e F. Trupia, “Retorica e business. Intuire, ragionare, sedurre nell’era digitale” (Egea, 2014).
Il rapporto tra realtà, desideri e progetti è una questione sempre aperta. Ognuno di noi cerca di continuo un equilibrio tra esigenze di adattamento alla realtà e spinte al cambiamento, in sostanza pratica un proprio equilibrio tra sogno e realtà: senza stabilità e radicamento non è possibile nessuna proiezione verso il nuovo, ma senza una tensione verso un nuovo traguardo, prevale la noia.
A livello sociale il tema dei mondi possibili ha la stessa funzione: può servire a prefigurare un cambiamento o, al contrario, può spostare l’attenzione da un presente preoccupante. La rete espone di continuo la tensione tra realtà e sogno, non a caso nella fase storica in cui è più forte il richiamo alla ineluttabilità delle linee delle macro decisioni che governano il mondo appare più cogente. Si parla di vincoli di bilancio, di risorse limitate, di equilibri instabili che vanno salvaguardati. Insomma intorno a noi il richiamo all’adattamento sembra di gran lunga prevalere. Al tempo stesso, la rete ci propone l’apertura a un mondo possibile, un mondo che si compone dei materiali più vari, a cominciare da quelli del cinema, delle pubblicità, fino a quelli evocati dalle più diverse citazioni di autori più o meno celebri. Siamo portati a mettere in scena vite diverse, magari facendo alle nostre stesse vite un po’ di maquillage, mostrandone gli aspetti più gradevoli, il volto della festa, del viaggio. In rete cerchiamo una discontinuità almeno parziale con il nostro quotidiano. Più in generale, mettiamo in scena un passaggio dalla realtà all’immaginazione.
Anche nei media assistiamo alla stessa dinamica. La forma narrativa ha plasmato ogni notizia trasferendola, almeno parzialmente in un contesto narrativo con l’obiettivo di accrescere l’impatto emozionale. Se il registro è sempre quello dei sentimenti, è molto alta la probabilità che si producano credenze piuttosto che conoscenza, adesioni acritiche piuttosto che riflessione.
La nostra identità si costruisce sempre di più attraverso vite immaginate e rappresentate piuttosto che reali. Abbiamo bisogno di sogni, del resto. L’immaginazione è importante come spinta al cambiamento, ma talvolta è solo un modo per accettare una realtà verso la quale ci si sente impotenti. Forse i sogni trovano uno spazio smisurato quando la realtà consente spazi di azione limitati. Il ruolo dei sogni, delle grandi visioni ha sempre tracciato inattese linee di futuro, ma se i sogni restano inagiti, se non lasciano tracce all’alba, alimentano la frustrazione.

Maura Franchi – Laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing, Marketing del prodotto tipico. I principali temi di ricerca riguardano i mutamenti socio-culturali connessi alla rete e ai social network, le scelte e i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.
maura.franchi@gmail.com

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IMMAGINARIO
Wiki ama Ferrara.
La foto di oggi…

E’ una piccola oasi pedonale che sorprende il visitatore e lo racchiude tra cielo e terra. E che ora porta in vetta Ferrara per l’edizione italiana 2014 di “Wiki loves monuments”. La Rotonda Foschini – cortile ovale, progettato alla fine del ’700 per il transito delle carrozze per il teatro comunale – è tra i 500 monumenti finalisti dei 21mila candidati a illustrare le bellezze d’Italia su Wikipedia. Valorizza la particolarità di questo spazio lo scatto di Nicola Bisi: un grandangolo verticale che evidenzia la circolarità del pavimento e quella delle nuvole in aria. Un’isola improvvisa tra corso Martiri della Libertà e corso Giovecca.

OGGI – IMMAGINARIO RICONOSCIMENTI

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Rotonda Foschini di Ferrara su Wiki Loves Monuments fotografata da NICOLA BISI

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

[clic sulla foto per ingrandirla]