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Giorno: 4 Gennaio 2015

Riccardo Campa: “Storie di fine vita. Saggio sull’eutanasia”

da: ufficio stampa La Carmelina Edizioni

L’eutanasia vista nei suoi vari aspetti.

Innovazioni come la nutrizione parenterale o la respirazione artificiale rappresentano un indubbio progresso della biomedicina e offrono possibilità terapeutiche prima inimmaginabili. Tuttavia, questi presidi medici hanno anche generato “dilemmi bioetici” inediti. L’eutanasia è una pratica antica quanto l’uomo, ma le situazioni in cui oggi la questione viene sollevata non hanno precedenti. In passato, il malato che voleva farla finita poteva semplicemente rifiutarsi di assumere cibo o farmaci e la natura avrebbe fatto il proprio corso. Oggi, persone coscienti ma totalmente paralizzate, oppure prive di coscienza, sono tenute in vita dalle macchine, talvolta contro la loro volontà. In questo libro si ricostruiscono i casi più eclatanti di eutanasia o accanimento terapeutico, al fine di esplorarne i risvolti bioetici e sociologici.

*Riccardo Campa sociologo della scienza a Univ. Jagellonica (Cracovia, Polonia) e leader Transumanista (AIT, Milano)

LA NOTA
Il piccione curioso

Questa mattina mi sono svegliata, quando, piano piano, sento un piccolo brusio e intravvedo un’ombra piccola, leggera e discreta. Quatta quatta, proprio come lei, mi avvicino alle tende bianco-verdine, un profilo regale si affaccia sul mio davanzale, visto da lontano potrebbe sembrare un volatile elegante. Filtrato dal velo delle tende, incuriosisce la mia immaginazione sempre viva e fertile.

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Un piccione curiosa sul davanzale tra i tetti ferraresi

Capisco subito, chiaramente, che è un semplice e curioso piccione ferrarese, nulla di più, ma questa mattina, come spesso negli ultimi tempi, sono in vena poetica. Mi piace immaginare che sia arrivato da lontano, che in quel momento stia riposando da un lungo viaggio, guardando i tetti romantici e sereni, respirando aria fresca.
Adoro vederlo sorvolare laghi dorati, mare in burrasca, terre fertili e piccoli orti curati da instancabili pensionati, con negli occhi immagini uniche e irripetibili, quasi un Yann Arthus-Bertrand di provincia. Senza offesa per questo immenso e instancabile artista.
Mi piace pensare che sulle sue ali si sia appoggiata qualche goccia di brina pungente che, lasciata cadere per caso, ha accarezzato i capelli intrecciati di una giovane e bella ragazza innamorata.
Bello fantasticare, immaginare che quell’animale gentile abbia sfiorato, con ali docili e leggere, i pensieri e i desideri dei bambini a Natale, che abbia portato loro qualche idea per un regalo gradito agli anziani nonni o ai genitori un po’ stanchi.
Bello credere che abbia lasciato note di una musica dolce e soave su qualche tegola ancora un po’ traballante, lasciandole scivolare giù per un camino che aspetta solo la Befana, ora.
Quel piccione non immagina nemmeno lontanamente che lo sto guardando e che quei pochi minuti che resta appollaiato sulla mia finestra mi hanno fatto immaginare una sua vita tanto ricca e avventurosa. Magari è un semplice piccione ferrarese, che mai ha volato tanto lontano, magari è lì per lasciarmi una missiva. Un tempo i piccioni viaggiatori portavano lontani e romantici messaggi. Apro la finestra e, anche se piano, lui vola via spaventato e impaurito. Sul davanzale c’è un biglietto…

Autenticamente donne

“Quello di cui avremmo veramente bisogno, in realtà, è una moglie. Ma di quelle tradizionali, di una volta, mica una di quelle moderne con tutte quelle velleità e quei grilli per la testa. Mica come noi.”

Lella Costa sta dalla parte delle donne perché ci sta in mezzo a quell’universo che, dal di dentro, è ancora più variopinto di quanto appaia da fuori. Che poi, da fuori, a guardarlo ci stanno gli uomini, o almeno alcuni.
Tra i tanti, ci sono anche gli uomini della violenza, della forza volgare contro cui l’attrice si è impegnata in molti modi, andando nelle scuole e partecipando alla tournée “Ferite a morte” con Serena Dandini. Le donne sono spesso accompagnate da una sensazione di non poter essere veramente al sicuro, facili bersagli di violenza anche solo verbale, quella di quando passi per strada e qualcuno ti approccia, ti rovescia addosso quelle schifezze che gli passano per la testa. Tu non l’hai provocato, non l’hai nemmeno guardato, ma quelle parole ti toccano lo stesso, anche se non te le meriti e non le volevi, ma passavi di lì.
“Che bello essere noi” racconta l’anima e l’animo delle donne, concentrate, tridimensionali e molto banalmente ridotte a quote rosa, una questione di percentuale, di posti a sedere. Ma le donne ci rinunciano anche ai posti di potere, alla politica attiva perché hanno altre priorità, “a noi non interessa la concezione maschile del potere, e dunque della politica. Non ci somiglia”. Le donne preferiscono sorellanza e mutuo soccorso, il bello dell’essere noi è questo, riconoscersi tra poche parole e confidenza, è continuare a scegliersi oppure prendere altre strade.
E poi c’è la questione del punto di vista, dello sguardo. Il mito di Orfeo ed Euridice, a cui Lella Costa ricorre, ne è un esempio: dopo tutta la fatica fatta, dopo averla recuperata dal mondo dei morti, dopo essere quasi arrivato, Orfeo si volta a guardarla e la perde per sempre. Le interpretazioni e i tentativi di risposta a questo gesto di Orfeo (non ce la faceva a resistere? voleva una rassicurazione che fosse proprio lei? che non fosse cambiata? gli erano venuti dubbi?) sono stati tanti. Ma di uomini come Orfeo, dice Lella Costa, il mondo è pieno. Sono quelli che nel momento in cui davvero ti guardano, nel momento in cui realizzano, ti abbandonano. Quando vedono veramente te e non il tuo simulacro, l’idea, anzi l’idealizzazione che si erano fatti, scappano. E allora “che benedetti siano gli uomini che ci guardano”, ma non distrattamente, così se capita, ma quelli ci colgono nei nostri dettagli, negli elementi meno evidenti e perciò singolari che ciascuna ha, “quelli che sanno diventare tornasole, reagente chimico, lente che ingrandisce. Che come Alice non temono gli specchi ma li attraversano. Che siano per sempre benedetti gli uomini che ci amano guardandoci”.
E la fiducia in se stesse e nel loro sguardo le donne ce l’hanno? Forse troppo, per tradizione, dipendenti dallo sguardo altrui, specie maschile, forse spesso in cerca di approvazione, di amore e in ansia, forse, dice Lella Costa, divise tra Ade e Orfeo, si sono perse Euridice. Per fortuna c’è sempre “quell’alfabeto comune” di scelte e pensieri che ci fa ri-conoscere quanto sia bello essere noi.

“Che bello essere noi”, Lella Costa, Piemme, 2014

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IL RICORDO
Sergio Endrigo: poeti, cantanti & friends

Nella sua carriera Sergio Endrigo ha collaborato con poeti, artisti e colleghi importanti, realizzando progetti indimenticabili. Si è trattato di un percorso di ‘crescita’, che vogliamo in piccola parte raccontare.

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Sergio Endrigo

Nel 2002, il Club Tenco produsse l’album-omaggio “Canzoni per te. Dedicato a Sergio Endrigo”, che raccoglieva canzoni interpretate, tra gli altri, da Bruno Lauzi, Marisa Sannia, Arsen Dedić, Gino Paoli (lui e Dedić hanno pubblicato album live in Croazia), Roberto Vecchioni, Nada ed Enzo Jannacci. In quell’occasione il paroliere Sergio Bardotti eseguì il brano “La casa”, inserito come bonus track nella ristampa in cd dello storico disco del 1969 “La vita, amico, è l’arte dell’incontro”, una straordinaria opera su disco, firmata Rca italiana, che vedeva insieme Sergio Endrigo, Vinicius de Moraes, Giuseppe Ungaretti, Toquinho, Sergio Bardotti, con gli arrangiamenti di Luis Enriquez Bacalov.

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Con Luigi Tenco

Molti degli artisti che incisero le canzoni di Endrigo nel 2002, parteciparono poi al progetto Ciao Poeta, uno spettacolo in omaggio di Endrigo (scomparso nel 2005), tenutosi l’11 gennaio 2006 all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Sergio Bardotti fu il direttore artistico della manifestazione, con la collaborazione di Claudia Endrigo (la figlia), per la regia di Emanuele Scaringi.
Arsen Dedić e Sergio Endrigo erano amici e si sono esibiti insieme nelle numerose manifestazioni musicali, che si tenevano in Jugoslavia sin dai primi anni sessanta. Nel 1990, grazie ad Arsen, Endrigo ritornò per la prima volta nella natia Pola, tenendo due concerti, al Teatro popolare istriano e all’Acy marina.
“1947” è il brano che il cantautore istriano ha dedicato a Pola, una canzone contro la guerra, anche se non se ne fa esplicito riferimento. Si tratta di un brano struggente, dove tra nostalgia e rimpianto Endrigo parla dell’esodo dalla città istriana, compiuto insieme alla sua famiglia: “Da quella volta non l’ho rivista più, cosa sarà della mia città, ho visto il mondo e mi domando se, sarei lo stesso se fossi ancora la… come vorrei essere un albero che sa, dove nasce e dove morirà”.

Endrigo ha inciso due brani in lingua croata: “Kud Plove Ovaj Brod” (Dove va la nave) di Esad Arnautalic e Luca Juras (presentata al Festival di Spalato del 1970) e “Više Te Volim” (Ti amo di più), dello stesso musicista istriano e del croato Zdenko Runjic, noto per avere scritto la canzone “Skalinada”, portato al successo da Oliver Dragojević.
Negli ultimi anni, in suo ricordo, numerosi artisti croati hanno eseguito “Kud Plovi Ovaj” dal vivo, tra questi Rade Šerbedžija e Kemal Monteno, oltre allo stesso Arsen Dedić. Monteno e Šerbedžija, sono artisti molto seguiti in Croazia e nelle altre repubbliche della ex-Jugoslavia. Rade Šerbedžija è noto anche per l’importante carriera di attore in film quali Prima della pioggia – Leone d’Oro alla Mostra di Venezia 1994, Il Santo, Batman Begins e Henry Potter e i doni della morte 1.

“Si comincia a cantare” è il titolo dell’album postumo di Sergio Endrigo, pubblicato nel 2010 da onSale music, che contiene ventiquattro tracce registrate nel 1959 e firmate da famosi autori (Migliacci, Bindi, Calabrese e Modugno). In alcuni brani Endrigo appare con i suoi pseudonimi: Sergio Doria, Notarnicola e Riccardo Rauchi e il suo complesso.
Nel 2012, con l’aiuto dell’Unione italiana, del municipio di Pola e della Regione istriana è stato realizzato un cd tributo intitolato “1947 Hommage a Sergio Endrigo”, che contiene una trentina di brani scelti con cura tra i più conosciuti, eleganti e riflessivi, interpretati da artisti polesi.

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Pola, monumento dedicato a Sergio Endrigo

Il 30 maggio 2013, in occasione dell’anniversario dell’80° anno dalla nascita di Endrigo (15 giugno 1933), Radio Capodistria ha trasmesso il concerto registrato al Teatro di Capodistria in occasione del Forum Tomizza, dedicato alla sua musica.
Il 26 luglio 2013 il Folk Festival, che si svolge a Spilimbergo in provincia di Pordenone, ha dedicato una serata a Sergio Endrigo, invitando Simone Cristicchi con la Mitteleuropa Orchestra del Friuli Venezia Giulia diretta dal M° Valter Sivilotti. L’evento è stato trasmesso su Raiuno il 15 agosto ed è tuttora visibile, in versione integrale, su Youtube.
La città di Pola ha dedicato a Endrigo una splendida scultura ispirata alla famosa canzone “L’Arca di Noè”. L’opera, dell’artista Ciro Maddaluno, è stata realizzata dallo scultore Eros Cakic, con il contributo degli architetti Davor Matticchio e Zvonimir Vojnič.

Durante questo breve viaggio nei “mari di poesia di Endrigo”, abbiamo incontrato artisti, poeti, luoghi e suoni che la memoria aveva per un po’ dimenticato. Chiudiamo con due bellissime frasi, la prima tratta da “Canzone per te”, che nel 1968 vinse il Festival di Sanremo: “… la solitudine che tu mi hai regalato, io la coltivo come un fiore”. Il secondo testo è tratto da “Poema degli occhi”, con le parole di Vinicius de Moraes: “… amore mio che occhi i tuoi, quanto mistero negli occhi tuoi, quanti velieri e quante navi, quanti naufragi, negli occhi tuoi…”.

Folk Festival Spilimbergo, Concerto integrale di Simone Cristicchi [ascolta]

Si ringrazia Claudia Endrigo per il supporto dato per la realizzazione dell’articolo.

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Critica al capitalismo americano, Arthur Miller: ‘Non ci si può separare da certe azioni’

STANDING OVATION: I PIU’ ACCLAMATI SPETTACOLI TEATRALI DEL XXI SECOLO
“Erano tutti figli miei” di Arthur Miller, regia di Cesare Lievi, Teatro Comunale di Ferrara, dall’8 al 12 gennaio 2003

La stagione teatrale 2002/03 del Comunale tocca forse il suo apice, almeno per quanto attiene la prosa vera e propria, con un dramma “giovanile” del grande Arthur Miller: “Erano tutti miei figli” (1947), anteriore addirittura a “Morte di un commesso viaggiatore” (1949) e a “Uno sguardo dal ponte” (1955). Arthur Miller è autore di opere drammaturgiche animate da una viva coscienza etica e da finalità polemiche nei confronti della società americana, dei suoi falsi miti e delle sue tare ereditarie. Fra i suoi lavori si ricordino, fra i tanti, anche “Il crogiuolo” (1953, ridotto alcuni anni fa per il cinema da Nicholas Hytner), “Gli spostati” (1961), “Dopo la caduta” (1964).
“Erano tutti miei figli” racconta una storia di ordinaria corruzione: nell’ambito di un nucleo familiare si scopre, dopo diversi anni, che il padre si era arricchito vendendo ricambi d’aereo difettosi all’aviazione americana. Ma ben più profondo è il tema della incomunicabilità e dello scontro fra due generazioni. Lo stesso Miller ebbe a commentare al riguardo: «La fortezza cui “Erano tutti miei figli” cinge d’assedio è quella della mancanza di rapporto. È l’asserzione non tanto d’una morale in termini di bene e di male, ma di un mondo morale che è tale perché gli uomini non possono separarsi da certe loro azioni». Ambientato nel secondo dopoguerra, “Erano tutti miei figli” è un atto d’accusa nei confronti del capitalismo americano, della sua ipocrita e già corrotta utopia dell’“american dream” ma incarna pure, non va dimenticato, la sincera e patriottica ansia di redenzione di un popolo.
Come una tempesta. Preceduta da una calma innaturale e vagamente annunciata, in un inquietante sereno, da lontani bagliori e soffocati brusii, che prima addensa poche nubi ancora chiare e poi sconvolge l’atmosfera ovattata con qualche fulmine e raffiche di vento, quindi si scatena terribile e devastante tanto da non saper più dove ripararsi, da non poter fare altro che rassegnarsi alla furia degli elementi; il testo di Miller è di una potenza tale da far vibrare per l’emozione, laddove in una sorta di catarsi novecentesca la sofferenza dei personaggi e la volontaria espiazione del protagonista universalizzano e rendono atemporale. Infatti, questo capolavoro giovanile di Arthur Miller contiene già ‘in nuce’ i temi etici che il drammaturgo svilupperà in seguito: il diffuso lassismo, il demone del profitto, le tensioni familiari, la ribellione all’“american way of life”. L’allestimento vede protagonisti due ‘mostri sacri’ come Umberto Orsini e Giulia Lazzarini. La regia è di Cesare Lievi, la traduzione di Masolino D’Amico.