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Giorno: 6 Gennaio 2015

LA NOTA
Il biglietto misterioso

La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte con le toppe alla sottana
Viva, Viva La Befana!

Il curioso piccione ferrarese mi aveva lasciato la sorpresa. E non parlo della sorpresina cui tutti pensiamo quando vediamo un piccione, quella che dicasi portare fortuna, per intenderci. Si tratta di ben altro, cari amici. Sul mio davanzale accarezzato dalla brina c’era, infatti, un bel biglietto arrotolato. Quasi una piccola pergamena. La mia curiosità era alle stelle ma, prima di scartarlo, così come si fa con un gustoso ovetto di cioccolata del quale si vuole immaginare, indovinare e pregustare la sorpresa, volevo sognare un po’, ancora per qualche minuto. La fantasia voleva volare, libera.
Cosa ci poteva essere scritto su quel piccolo pezzo di carta? Quale messaggio poteva contenere? Parole misteriose? Parole d’amore? Una favola d’altri tempi? Un segreto mai svelato? Una storia miracolosa? Uno scoop che avrebbe cambiato la mia vita? Una confessione unica? Cosa avrei voluto veramente trovarci? Cosa mi aspettavo? Romantica come sono, avrei voluto leggerci parole d’amore, arrivate da lontano. Un compagno ingegnoso, sagace, ardito e astutamente fantasioso come il mio sarebbe capace anche di questo, facendo sorvolare il ventoso Mediterraneo a quel piccolo pennuto spaventato. I miei pensieri erano, però, ancora stanchini, erano le sette meno un quarto del mattino e il caffè ancora non mi aveva svegliato del tutto. Dovevo aprire quel biglietto, quindi, e presto, per destarmi completamente e, soprattutto, per placare quella curiosità da scimmietta che non mi faceva ragionare e fantasticare troppo (scimmia o non scimmia sfido chiunque a non sentire il bisogno di precipitarsi ad aprire un bigliettino lasciato da un piccione sulla propria finestra…).
E voila’, allora, eccomi a leggere. Incredibile. Mi scrive la Befana. “Fa freddo, cara amica, e io arrivo, come sempre, con vento di tramontana e calze rotte. Quest’anno, nella tua grande calza appesa al camino, ti porto buone notizie, nessun pezzo di carbone, non te lo meriti proprio. Semplicemente perché dici sempre quello che pensi e aiuti bambini, anziani e cani, i miei veri amici. Mi piace poi come scrivi, sempre avvolta nella fantasia e nel rosa, nel voler trovare il bello a tutti i costi, nel saper dire e credere che la bellezza salverà il mondo. Devi però stilare un tuo elenco di buoni propositi, se vuoi qualche dolcetto in più. Affare non semplice.
Porterò, tuttavia, molto carbone a questo mondo, per le sue malefatte, ci tengo a dirtelo, un carbone nero come l’inferno, ma anche simbolo dell’energia della terra. Questa terra grande meravigliosa. Sai che, in fondo, sono quasi una fata-maga generosa ma anche severa, simile a Madre Natura pronta a essere bruciata come un ramo secco per poter rinascere dalle ceneri come giovinetta Natura, per ridar luce a una luna nuova. Prima di perire, però, passo a distribuire doni e dolci a tutti, in modo da piantare i semi che nasceranno l’anno prossimo. Sono un anno vecchio, pronto a sacrificarsi per far rinascere un nuovo periodo di prosperità. Mi sacrifico ancora, mia cara amica, ora come ogni anno, come sempre, da secoli. Questa volta però ti chiedo uno sforzo particolare. Sono stanca di sacrificarmi ogni benedetto anno che passa su questa terra, senza vedere nuovi frutti, senza scorgere veri cambiamenti positivi in questo mondo difficile, senza cogliere un segno di pentimento in ogni uomo che combini seri guai, per usare un gentile eufemismo. Gli esseri pensanti mi sembrano sempre meno tali, gli animali sanno essere più umani. Dovresti solo provare ad aiutarmi a far comprendere ai tuoi simili alcuni concetti fondamentali e esortarli con questi pensierini: regalate amore e tempo, fate pupazzi di neve, leggete di più (seriamente e intensamente), raccontate favole a lieto fine, fate castelli di sabbia, andate in bicicletta, ascoltate la vostra canzone preferita tante volte, improvvisate, fate attenzione al lupo, sfidate le comete, provate sempre e ora a fare ciò che vi piace, mangiate gelati e noccioline, conoscete i vicini di casa, spegnete la luce e non fate scorrere l’acqua inutilmente, salite sul primo treno che passa, rispettate la natura, mangiate una mela al giorno, fate un budino o impastate una torta, preparate una zuppa calda per un povero, fate un pic nic in campagna, parlate con gli angeli (soprattutto con il vostro paziente angelo custode), passeggiate un pomeriggio di sole senza smartphone, accarezzate le onde del mare con i piedi nudi, sognate, organizzate un viaggio impossibile, improvvisate cortesie, distribuite atti di gentilezza a casaccio, sfogliate margherite sapendo già che uscirà m’ama. Sorridete di più e sempre e, come diceva Augusto, anche tu, cara amica, festina lente, affrettati lentamente.
A questa lista, che ti chiedo di provare a seguire, ti prego di aggiungere anche solo due nuovi propositi. Il compito e’ un po’ arduo ma so che per te sarà un’avventura. Vai, dunque, per il mondo e aiutami a diffondere queste parole. Ognuno saprà cosa farne e se anche solo una di queste cose verrà realizzata da qualcuno dei tuoi amici, potremo sperare che qualcosina cambi. Piano piano.
Auguri dalla tua cara Befana, allora, piccola amica mia. Take care”.

Che bigliettino curioso…

IL FATTO
Lettera aperta da una scrittrice tedesca derubata a Ferrara

Cari lettori di Ferraraitalia,
sono una scrittrice tedesca e sono arrivata a Ferrara sabato scorso, con l’idea di fermarmi qualche giorno nella vostra splendida città, prima di riprendere il mio viaggio per Roma. Questo viaggio a Ferrara era un progetto accarezzato da molto tempo, in onore di Giorgio Bassani, uno scrittore che mio marito ed io ammiravamo molto. Purtroppo la prima notte a Ferrara, una città che (meraviglia delle meraviglie!) non ha bisogno di un solo parcheggio controllato, la mia macchina è stata svaligiata in via Baluardi, molto vicino a Piazza Travaglio. L’avevo parcheggiata là, con due valigie e delle scatole all’interno, perché sembrava al sicuro e il padrone dell’albergo mi aveva garantito che non c’era pericolo. I ladri hanno preso le mie valigie che contenevano dei vestiti e delle scarpe, anche vecchi, e del materiale elettronico. Molte di queste cose non hanno un grande valore materiale e in più sono assicurata, ma ciò che mi rende inconsolabile è che hanno per me un grande valore sentimentale e per molti versi sono insostituibili. Mio marito, con cui volevo fare questo viaggio, è morto in ottobre. Quasi tutto quello che c’era nelle valigie ha un significato emotivo, è pieno di ricordi ed è quindi molto prezioso.
Ferrara sembra così cordiale e tranquilla. La gente è rilassata, il posto molto bello e tutti ne sembrano orgogliosi. Non c’è nulla che dovrebbe rendere la gente più orgogliosa della propria città, se non che altri si possano sentire sicuri e benvenuti. So che la povertà può indurre a rubare le cose degli altri, e che lasciarle incustodite può rappresentare una tentazione. Io non sono ricca, ma sono pronta ad offrire 400 euro per la restituzione del contenuto delle valigie, che è molto di più di ciò che varrebbero se andassero vendute in un negozio dell’usato, ma che ha per me un significato incalcolabile. Non ho bisogno delle valigie, né degli strumenti di valore che sono stati rubati. Non mi interessa chi ha preso le mie cose. Non ho bisogno della polizia. Vi chiedo solo, per piacere, di ridarmele indietro o di aiutarmi a recuperarle.
Potete rivolgervi al giornale in modo anonimo (interventi@ferraraitalia.it) o chiamarmi allo 06 9563532, per accordi sullo scambio di soldi e cose.
Grazie infinite,
Esther Kinsky

LA FAVOLA
Due fratelli

“L’Epifania tutte le feste si porta via”, recitava un vecchio detto popolare. È tempo di tornare al lavoro e a scuola, ma abbiamo ancora il tempo per un ultimo regalo e questa volta abbiamo pensato ai più piccoli. Abbiamo colto l’occasione della nostra chiacchierata con Luigi Dal Cin [vedi] per chiedergli di regalarci una storia da donare a tutti i giovani lettori e lui ha scelto un racconto tratto da un’antica fiaba eritrea che affronta il tema della paura di ciò che non si conosce… per affrontare il nuovo anno con un pizzico di fiducia in più nell’Altro.

di Luigi Dal Cin

C’erano un tempo due fratelli che si chiamavano uno Giuseppe e l’altro Giacobbe.
Giuseppe viveva nelle terre d’occidente, Giacobbe nelle terre d’oriente.
Questi due fratelli avevano abitato insieme per lungo tempo, ma poi si erano dovuti separare per cercare fortuna e non si erano più incontrati.
Più passava il tempo, più il desiderio di rivedersi diventava forte, finché una medesima mattina ciascuno di loro lasciò il proprio paese per andare a far visita al fratello.
Giuseppe così partì dalle terre dell’ovest e Giacobbe partì dalle terre dell’est, senza sapere nulla l’uno dell’altro.
E mentre camminavano, si avvicinavano sempre di più, finché a metà strada si incontrarono.
Ma era già notte, e ciascuno scambiò l’altro per un nemico.
“Fermati dove sei!” gridarono insieme.
Subito entrambi estrassero la spada, e ciascuno sferrò un colpo.
Tra di loro c’era una roccia, e così tutti i loro colpi si infransero lì, e continuarono a colpire la roccia per tutta la notte finché alle prime luci dell’alba si riconobbero.
“Fratello mio!” esclamarono insieme.
Allora lasciarono cadere le spade, e si buttarono entrambi in ginocchio.
E si abbracciarono sani e salvi, e si baciavano, e piangevano per la felicità.
Poi insieme meditarono su quello che era successo: su come fosse stupido e insensato che due fratelli, a causa del buio e della paura, si fossero scambiati per nemici!
Rimasero insieme per un giorno e per una notte, finché dovettero nuovamente separarsi per ritornare ai loro paesi. Così si salutarono e Giuseppe si incamminò verso le terre d’occidente, Giacobbe verso le terre d’oriente.
La roccia colpita dalle loro spade esiste ancora oggi.
La potrete riconoscere perché si notano numerosi colpi di spada sul lato est, e altrettanti sul lato ovest, lasciati da due fratelli che si scambiarono per nemici.

LA SEGNALAZIONE
In scena lo Stabat Mater rock-sinfonico di Franco Simone

Lo “Stabat Mater“ (dal latino “stava la madre”) è una celebre preghiera del XIII secolo attribuita a Jacopone da Todi, che racconta il dolore straziante della Madonna dinanzi a Gesù Cristo sulla Croce. Numerosi sono stati i compositori ispirati da questo testo, la versione di Giovanni Battista Pergolesi, terminata poco prima della sua morte, rimane una delle più intense ed eseguite, ma occorre ricordare anche quelle di Gioacchino Rossini, Franz Schubert, Franz Liszt e Giuseppe Verdi.

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La locandina

Questa premessa è necessaria per introdurre la nuova versione realizzata da Franco Simone, che andrà in scena il 16 gennaio, presso il Teatro Super di Valdagno (VI), in prima nazionale. Il noto cantautore italiano, conosciuto e apprezzato anche fuori dai confini nazionali, grazie ai tanti successi delle sue canzoni in lingua spagnola, ottenuti in Cile, Argentina, Uruguay e in altre nazioni. Simone è uno dei pochi artisti italiani che ha avuto il privilegio di entrare nella classifica Billboard dei dischi più venduti negli Stati Uniti, con la canzone “Magica” (versione in spagnolo del celebre brano “Malafemmena” di Antonio De Curtis, in arte Totò), nella chart “Hot Latin Song”.

Erano trent’anni che l’artista salentino desiderava scrivere un’opera rock basata sullo “Stabat Mater” e, finalmente, ci è riuscito, grazie all’ispirazione compositiva e alla collaborazione del cantante Michele Cortese e del tenore Gianluca Paganelli, voci che interagiscono perfettamente con quella di Simone. Un valido contributo è venuto anche dal chitarrista Adriano Martino, che vanta un’esperienza trentennale. Gli arrangiamenti sono stati curati da Alex Zuccaro.

Lo “Stabat Mater” è l’ouverture dell’intera opera rock sinfonica, che si compone di dieci brani. I tre cantanti si esibiscono in alcuni momenti solistici ma, soprattutto, dialogano tra di loro. Alcune parti, esclusivamente strumentali, riprendono e arricchiscono le melodie fondamentali. Nelle performance solistiche Gianluca Paganelli evidenzia i momenti vicini al mondo lirico-sinfonico, Michele Cortese dona la sua innata vocalità rock, Franco Simone, da autore e interprete, rende chiara l’affinità tra quest’opera e quanto di meglio espresso dal cantautorato italiano. I titoli degli altri brani sono: Benedicta, Quis est homo, Pro peccatis, Fons amoris, Sancta Mater, Tecum, Vigo virginum, In die e Quando corpus.

Le melodie si basano rigorosamente sul testo originale, spaziando dalla musica classica fino alle soluzioni rock che caratterizzano il sound attuale.
Per chi non conosce Simone potrà sembrare un azzardo l’essersi inoltrato in un campo tanto difficile e con precedenti così illustri, con cui inevitabilmente confrontarsi. In realtà, la profonda conoscenza della musica classica e del latino, oltre all’indubbio talento compositivo, gli hanno consentito di sorprendere ancora una volta chi lo ascolta.
Stupisce che, per la prima volta nei tempi moderni, una lingua considerata “morta” sia così attuale e cantabile. Non bisogna dimenticare però che la struttura ritmica del testo è la stessa del latino medievale e anche della lingua italiana: non si hanno sillabe lunghe e brevi ma toniche e atone, in una serie di ottonari e senari sdruccioli, che rimano secondo lo schema AAbCCb. L’uso del latino, in un’opera rock, è inconsueto ma la musica composta da Simone l’abbina alla perfezione con il rock moderno, senza dimenticarne la matrice classica.

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Il video è stato girato alle “Tajate” di Acquarica del Caplo (LE)

“Stabat Mater” è anche un’opera visiva: per raccontare il dolore di Maria ai piedi della Croce è stata scelta una scenografia particolarmente suggestiva ovvero le “Tajate”, cave di tufo di Acquarica del Capo (LE), straordinariamente adatte a rappresentare questo evento religioso. L’intento è di avvicinare, con musica e immagini, il dolore della Santa Madre a quello di un’intera umanità dolente e smarrita, in un mondo che fatica a trovare punti di riferimento morali ed esistenziali, con la speranza di una possibile redenzione.

Il grande fascino che questo testo continua a trasmettere è la conseguenza di un paradosso artistico, ma soprattutto umano; rappresenta la sintesi ideale tra asprezza e dolcezza, sollievo e carità, paura e coraggio, in cui l’accettazione del sacrificio e delle contraddizioni, che spesso complicano la vita, aprono infinite prospettive di fede e di speranza.
L’opera rock sinfonica di Simone si sviluppa in una crescente tensione che culmina nello struggente Amen finale del brano “Quando corpus”, cui spetta il compito di aprire uno spiraglio di fiducia nel presentimento della vita eterna: “Quando corpus moriétur, fac, ut ánimae donétur paradísi glória. Amen”. E quando il mio corpo morirà, fa’ che all’anima sia data la gloria del Paradiso. Amen.

“Stabat Mater” di Franco Simone, Prima nazionale dell’Opera il 16 gennaio 2015, presso il Teatro Super di Valdagno (VI).

Il video ufficiale del brano “Stabat Mater” [vedi]

Foto di Roberto Micoccio

L’INTERVISTA
Con Luigi Dal Cin sulle ali dell’immaginazione

Ci sono presentazioni di libri durante le quali non si riesce proprio a stare fermi e zitti, ma si fanno i versi, si ride a crepapelle e si ascoltano domande molto interessanti, che tutti vorrebbero fare anche se nessuno ne ha mai il coraggio, come per esempio “Come hai fatto ad incollare le pagine del libro?” oppure “Come mai sei ancora vivo anche se sei uno scrittore?”. Sono gli incontri con l’autore di Luigi Dal Cin, scrittore ferrarese per giovani lettori, con all’attivo più di 90 titoli tradotti in 10 lingue e una decina di premi nazionali di letteratura per ragazzi, tra i quali il prestigioso Premio Andersen 2013 come autore del miglior libro 6/9 anni. Quando apre la sua valigia, che fa il paio con la borsa di Mary Poppins per le stranezze che contiene, la fantasia prende il sopravvento e anche i grandi tornano bambini. “Perché scrivi libri?”, “Per chi li scrivi?”: ecco, in genere, le difficilissime domande dei piccoli fans delle sue storie.

Abbiamo voluto provare anche noi a chiedergli qualcosa sul suo lavoro, cercando però di rendergli le cose un po’ più semplici.

Come hai deciso che da grande saresti… ‘rimasto bambino’, scrivere racconti per giovani lettori forse significa fare come Peter Pan e non crescere mai, tu cosa ne pensi?

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Copertina del libro ‘Il puzzle di Matteo’

Quando si scrive un libro, si dice di solito, lo si fa per esprimersi e per comunicare. Io preferisco dire che scrivo per dire la verità attraverso l’invenzione: le mie scoperte, i miei sogni, bisogni, desideri, paure, ma soprattutto le mie speranze. Sembra un paradosso pensare di dire la verità attraverso un’invenzione, eppure è proprio il modo dei bambini quando per spiegare la realtà inventano delle storie: facevamo che io ero…
Si può anche scrivere per sé stessi, come si può canticchiare sotto la doccia. Ma se desidero che un bambino legga quello che scrivo, devo chiedermi se lo può davvero interessare anzi, di più, se lo sa affascinare. Canticchiare sotto la doccia trovo equivalga a dire: “Scrivo solo per esprimermi”. Credo che scrivere con un lettore di fronte sia l’attività esattamente opposta: è non accontentarsi di stare da solo, ma andare verso l’altro.

Come passi da un foglio bianco a una mirabolante avventura?

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Copertina del libro ‘La casa del vento’

“C’è bisogno di un aiutante magico”: così rispondo ai miei giovani lettori quando mi fanno questa domanda. Io lo chiamo la ‘Penna bambina’. La Penna bambina è uno strumento che sta dalla parte dei bimbi e che consente allo scrittore adulto di esprimere il pensiero e il linguaggio adulto in una lingua non più parlata con gli altri adulti, ma mai dimenticata: la lingua dei bambini. La ‘lingua madre’ di cui parla Bianca Pitzorno. Non si tratta solo di saper utilizzare vocaboli comprensibili ai più piccoli, ma soprattutto di toni, di capacità nel creare corrispondenze tra il testo e ciò che il piccolo lettore vive. Con il tempo mi sono convinto che la magica Penna bambina si riveli solo a chi sta davvero dalla parte dei bimbi: a chi li considera davvero delle persone. D’altronde, il vero scrittore per ragazzi, per vocazione, sta sempre dalla loro parte, altrimenti non è uno scrittore per ragazzi: magari scrive di ragazzi, ma non per loro. Se siamo convinti che il bambino ha la dignità di una persona, con i suoi desideri profondi, le sue individuali caratteristiche e le sue specifiche aspirazioni, e il nostro compito non è altro che quello di aiutarlo a far emergere tutto ciò, se partiamo da questo, penso che la maggior parte degli errori che possiamo fare nei suoi confronti – come scrittori, insegnanti, educatori, genitori – vengano già evitati alla sorgente.

Come inventi le tue storie?

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Il piccolo Barbanera tradotto in Tedesco

Di solito all’inizio c’è appena una scintilla nella nostra mente: brilla, ma non è ancora una storia. Spesso ci si butta a scrivere quando in testa c’è solo l’ispirazione iniziale, il seme della storia. Ma il seme va coltivato, fatto germogliare, bisogna attendere di far maturare nella propria mente la storia in modo quanto più completo possibile, annotando le soluzioni narrative che via via emergono, prima di cominciare a scrivere davvero. Nel momento in cui tracciamo le frasi su un foglio, quei segni segnati, tracciati, scritti, si difenderanno dall’essere eliminati. Così la storia già scritta si può anche migliorare e correggere ma la sua essenza resterà, non si potrà più re–immaginare. E se l’invenzione non era ancora matura, il testo resterà comunque nella sua essenza incompleto, perché frutto di un’invenzione incompleta, senza fascino. Quando arriva una buona idea trovo invece sia bello indugiare il più possibile per farla maturare e raccoglierne i frutti.

Gli illustratori dei tuoi libri come vengono scelti?

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Copertina del libro ‘Wiligelma Cook’

Vengono concordati con l’editore. Se c’è una medesima sensibilità e professionalità nell’autore e nell’illustratore, il libro diventerà molto più di un semplice accostamento tra testo e illustrazioni: il suo valore sarà dato dalla loro sinergia. Credo, inoltre, che il percorso iconico debba avere la stessa autonomia e la stessa dignità del percorso letterario, in quanto espressioni di due modalità artistiche differenti con la medesima dignità. Il testo deve essere scritto prevedendo fin dal principio che sarà illustrato, lasciando spazi immaginativi autonomi per l’illustratore e pieghe narrative non del tutto svelate da cui l’illustratore può partire per il suo percorso. Un testo troppo ricco di descrizioni particolareggiate non è un buon testo perché ‘obbliga’ l’illustratore a illustrare solo ciò che il testo impone.

Nei tuoi libri ti piace viaggiare alla scoperta dell’immaginario di altri popoli e altre culture…

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Fiabe delle regioni artiche
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Fiabe del Brasile

Da oltre 10 anni collaboro con la Mostra internazionale di illustrazione per l’infanzia “Le immagini della fantasia” e con Franco Cosimo Panini per una collana dedicata ogni anno alle fiabe tradizionali di paesi e culture. Ho pubblicato libri di fiabe da Medio Oriente, Africa, Estremo Oriente, regioni artiche, Oceania, Brasile, India, Russia, Messico, Scozia.
Le fiabe per me sono capolavori preziosi. Sono nate nella notte dei tempi più antichi: accanto al fuoco, in riva al mare, sotto le stelle, quando gli antenati di ogni popolo del mondo esprimevano, con un racconto di fantasia, le questioni più importanti per la vita delle loro comunità, quelle che dovevano essere trasmesse alle generazioni future e dare speranza ai piccoli e ai deboli. Le fiabe sono capolavori preziosi anche per un altro motivo: sanno viaggiare nel mondo.

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Fiabe e leggende della Scozia

È una grande fortuna per noi adulti e per i bambini, perché ci fanno scoprire ambienti, avventure e personaggi che non avremmo mai nemmeno immaginato, ci fanno intravedere nuovi punti di vista e nuove sensibilità. È così che le fiabe degli altri popoli ci arricchiscono e ci aprono all’incontro con culture differenti rispetto alla nostra. Ciò che le accomuna, qualsiasi sia il luogo del mondo in cui sono nate, è la capacità di esprimere gli stessi desideri, le stesse aspirazioni, le stesse paure e le stesse sofferenze che appartengono al cuore dell’umanità intera.

Hai pubblicato anche tante guide turistiche per ragazzi e sei impegnato in progetti per la valorizzazione e la narrazione del patrimonio artistico e culturale italiano ai tuoi piccoli interlocutori…
intervista-luigi-dal-cinintervista-luigi-dal-cinCredo che il patrimonio artistico, storico e culturale debba essere raccontato a bambini e ragazzi in modo efficace e adeguato alla loro età, utilizzando uno strumento a volte nuovo per l’arte, la cultura e i musei, eppure potentissimo: la narrazione. Sono convinto che solo l’utilizzo di una sapiente narrazione consenta di trasmettere – con un coinvolgimento non solo intellettivo, ma anche emotivo – informazioni storiche, artistiche e culturali. Nei testi cosiddetti di “divulgazione per ragazzi” spesso le informazioni sono invece presentate senza alcun fascino narrativo, senza una vera storia, e dopo un po’ si scopre che il personaggio non è un vero personaggio, ma una semplice “funzione”: la guida.

intervista-luigi-dal-cinLa sfida per avvicinare i ragazzi a un qualsiasi contenuto credo stia invece proprio nel saper costruire una vera avventura capace di creare fascino e di divertire. I racconti che ho scritto sono un invito per tutti, adulti e bambini, a vivere bellezza e cultura intensamente, penso infatti che esista un diritto alla bellezza, da esercitarsi con forza sempre maggiore di fronte alle fantasie preconfezionate e stereotipate in cui siamo immersi.

Spesso poi usi lo strumento narrativo per affrontare tematiche difficili: è successo con “Un drago sottosopra” in cui bimbi ferraresi hanno raccontato il terremoto, mentre in “La fiaba del Vajont” narri insieme ai bambini di Longarone la tragedia della diga del Vajont, e ancora con “Il puzzle di Matteo” affronti i problemi neurologici di una sindrome genetica…

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Copertina de ‘La Fiaba Del Vajont’

Dopo il terremoto mi sono subito chiesto che cosa potessi fare e ho iniziato a tenere incontri con i bambini nelle tendopoli. A volte qualcuno di loro mi chiedeva: “Ma le storie a cosa servono, quando il terremoto è sempre lì in agguato?” Allora io raccontavo la storia di un personaggio delle ‘Mille e una notte’ che rappresenta benissimo la potenza della narrazione: è Shahrazàd. Il re Shahriyàr, straziato dal tradimento della moglie, per vendicarsi ordina che ogni sera gli venga portata una fanciulla che sposa e poi la notte immancabilmente uccide. Shahrazàd, la figlia del visir, si offre di sposare il re per salvare la vita delle altre ragazze: ogni notte racconterà una nuova storia, ma prima che sia terminata ogni volta sopraggiungerà il mattino e dovrà interromperla per consentire al re di occuparsi del regno, così il re giurerà di farle salva la vita finché non avrà ascoltato il resto del racconto la notte successiva. Così le storie narrate da Shahrazàd tengono lontana la morte, sospendono il tempo: le storie di Shahrazàd salvano il futuro dell’intero regno e alla fine lo stesso re, che si pentirà della propria vendetta e saprà di nuovo gioire della vita. “Alla fine allora vincono i racconti?” mi chiedevano i bambini e io rispondevo: “Alla fine credo che vincano i bambini e gli adulti che provano a esprimere e comunicare i propri sentimenti, le proprie paure e sofferenze, le proprie speranze, i propri desideri più profondi, attraverso la parola, la narrazione, il racconto. Così, se anche la terra dovesse crollare sotto i nostri piedi, noi possiamo imparare a volare”.

Per saperne di più sul lavoro di Luigi Dal Cin [vedi]
Per leggere la storia che Luigi Dal Cin ha regalato ai lettori per la Befana leggi qui.

Dedicato a Célia

Célia è una ragazza francese di vent’anni, con la sindrome di Asperger. Si tratta di un disturbo pervasivo dello sviluppo, comunemente connesso allo spettro autistico. Ancora non se ne conosce l’eziologia. Compromette le interazioni sociali, produce comportamenti ripetitivi e stereotipati, attività e interessi sono molto ristretti. Ma la sindrome di Asperger non è una malattia, è invece un modo di essere, un modo di pensare ‘diverso’.
Ricordate Cristopher, genio della matematica, protagonista di “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte”? Leggendo le pagine scritte da Mark Haddon, ci si può facilmente rendere conto del dramma personale e famigliare di quanti soffrono di questa sindrome.
Apprendo la notizia dall’articolo che, su Le Monde, Pascal Krémer ha dedicato a Célia il 23 dicembre scorso, “La meilleure de la classe est autiste”. Perché Célia è risultata la migliore tra gli studenti dell’ultimo anno del liceo Lakanal di Sceaux, nell’Alta Senna.
Una rinascita per questa ragazza che per lungo tempo ha patito senza che la medicina desse un nome alla sua sofferenza: la sindrome di Asperger.
Per anni, a partire dalla scuola elementare, è stata isolata dai compagni, considerata folle e bizzarra, curata con ansiolitici, sonniferi, antidepressivi e antipsicotici, fino a quando incontra il dottor David Gourion, uno psichiatra che a lungo ha esercitato nell’America del Nord.
Un incontro che apre le porte del mondo a Célia, che le permette di scoprire la sua umanità, che il suo essere è la normalità per tante altre persone come lei, nella sola Francia almeno 650.000, di cui 150.000 bambini. I dati mondiali della sanità ci dicono che l’autismo è in aumento e che entro il 2020 un bambino su dieci soffrirà di questa patologia.
Célia è dotata di un quoziente intellettuale insolito, come spesso accade per i portatori della sindrome di Asperger. Ed è questo quoziente intellettuale del tutto eccezionale che le consente di compensare il deficit di interazione sociale per tentare di assecondare “i nostri comportamenti irrazionali”, osserva il dottor David Gurion, con un costo psichico enorme.
Ora che la sofferenza di Célia ha finalmente un nome, non più schizofrenia o altro, è curata con un solo farmaco regolatore dell’umore, frequenta un gruppo di abilità sociale che l’aiuta ad adattare i suoi comportamenti ai nostri e soprattutto le permette l’incontro con la sua famiglia.
Célia non vive più sola, non è più condannata all’isolamento nella sua alterità. Incontra altri giovani Asperger come lei, con i quali intrattiene conversazioni profonde, senza doversi preoccupare di riflettere correttamente i sentimenti o dell’intonazione giusta per ogni frase che pronuncia.
Ha preparato la maturità in due anni, appassionandosi alla filosofia delle religioni e alla teologia. Gli insegnanti sono entusiasti di questa studentessa rara, che beve le loro parole, che ha una memoria prodigiosa. Ha imparato a memoria cinquantaquattro poesie di Eluard, possiede una finezza di ragionamento unica, una straordinaria capacità di costruire relazioni tra i diversi autori.
C’è davvero dell’eccezionale nei progressi compiuti dalla scienza nella diagnosi dell’autismo e della sindrome di Asperger. L’eccezionalità è però data dal contributo che diverse personalità affette da autismo hanno fornito alla ricerca e alla conoscenza di questa patologia.
È il caso di Josef Schovanec, trentatré anni, laureato in scienze politiche e filosofia, autistico con la sindrome di Asperger. Per anni ha trascorso le sue giornate chiuso in una stanza, senza uscirne per mesi. Per cinque anni, etichettato come schizofrenico, sedato con una camicia di forza chimica, una batteria di psicofarmaci di quelli più pesanti per l’organismo e, nello stesso tempo, più discussi nella pratica psichiatrica.
Da allora Josef Schovanec ha imparato a comunicare con i neurotipici, a introiettare tutti i codici della ‘commedia sociale’, a viaggiare e a parlare di autismo in giro per il mondo. È diventato lui stesso ambasciatore di chi soffre come ha sofferto lui, dell’incapacità di accettare la propria differenza. Come ha osservato il genetista Thomas Bourgeron dell’Istituto Pasteur, è importante che le persone con autismo possano comunicare la loro visione di questa sindrome complessa e spiegare tutte le difficoltà che incontrano nella nostra società.
Com’è il cervello autistico e soprattutto come funziona? Molti libri scritti da medici e ricercatori cercano di fornire una risposta a questa domanda.
Temple Grandin, una professoressa associata della Colorado State University, una delle più famose personalità affette da autismo, nel suo ultimo libro, “Il cervello autistico”, propone una visione che intreccia i risultati della ricerca scientifica con la propria esperienza personale. Già con “Pensare in immagini ed altre testimonianze della mia vita d’autistica”, pubblicato dall’Erickson, ci ha offerto uno spaccato unico e affascinante del vissuto interiore, della cognizione e delle emozioni delle persone con questa sindrome. Una lettura preziosissima e ricca di spunti per genitori, insegnanti, psicologi, educatori e per tutti coloro che, in un modo o nell’altro, sono a contatto con l’autismo e con le sue zone d’ombra.
La sua nuova testimonianza è ancora più emozionante. Non senza una buona dose di umorismo, Temple Grandin ripercorre le principali tappe dell’evoluzione della concezione dell’autismo nel succedersi delle varie edizioni del Dsm, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, la classificazione americana tanto criticata della malattia mentale. “Una collezione di diagnosi burocratiche” per la studiosa statunitense che si ribella alla pratica di etichettare i pazienti.
Secondo lei è necessario lavorare sui sintomi, non sulle diagnosi, non disprezzare le testimonianze, ma incominciare a studiarle con molta attenzione. Troppo poco è il lavoro condotto per conoscere l’ipersensibilità sensoriale, onnipresente in ogni forma di autismo e molto invalidante.
Temple Grandin richiama gli specialisti, i genitori e quanti sono interessati a conoscere l’autismo, non solo a vederne le difficoltà, ma a comprendere i punti di forza che scaturiscono dal modo singolare di funzionare del cervello autistico, utili a tutti noi. Ma soprattutto ad essere particolarmente prezioso è l’apporto dei singoli pazienti, perché possono diventare loro stessi esperti nella conoscenza di sé e insostituibili partner dei ricercatori.

Ferraraitalia ha pubblicato un articolo interamente dedicato a Temple Grandin, in occasione della Giornata mondiale dell’autismo [vedi].

IMMAGINARIO
Magi multietnici.
La foto di oggi…

Giorno dell’Epifania con la visita dei re Magi al bambino. Nel giardino del seminario, a Ferrara, ci si può passeggiare vicino ricordandoci la cura con cui si prepara l’inserimento di queste tre figure nel presepe. Da piccoli ci insegnavano che i tre saggi in arrivo oggi dietro la cometa rappresentano una saggezza multietnica e di tutte le età: una figura regale ha il volto di un giovane africano (Baldassarre), c’è un orientale adulto (Gaspare) e un signore con la barba bianca e i tratti europei (Melchiorre). Benvenuti, allora, rappresentanti di una globalità antica e accogliente. Il presepe è in via Fabbri 401, visitabile ogni giorno dalle 9 alle 19. (Giorgia Mazzotti)

OGGI – IMMAGINARIO EVENTI

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I magi nel presepe del seminario di Ferrara (foto di Aldo Gessi)

Ogni giorno immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

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GERMOGLI
Filastrocche.
L’aforisma di oggi…

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

Celebriamo la tradizione, aspettando la festa che si porta via tutte le altre.

“La Befana vien di notte
Con le scarpe tutte rotte
Col vestito alla romana (o in altra versione: col cappello alla romana)
Viva, Viva La Befana!”
(Filastrocca Tradizionale)