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Giorno: 17 Gennaio 2016

Lo storytelling e i suoi sette principi chiave

  • Oggi si parla tanto di raccontare storie (o meglio di raccontare tout court o “comunicare attraverso racconti”, vedremo poi perché…), di “storytelling” e di “storytelling aziendale” (o “corporate”), tutti sembrano vogliano narrare qualcosa e molti pensano di saperlo fare.

Ma cos’è questo fantomatico “storytelling”? Domanda seria e impegnativa.

Abbiamo cercato in rete varie definizioni, letto diversi manuali e articoli e dopo aver anche frequentato un bel corso in merito (arrivando a comprendere subito che non è mai abbastanza), siamo giunti alla conclusione che le migliori riflessioni in merito restano quelle di Daniele Orzati, storytelling designer di Storyfactory: la prima realtà italiana di “Corporate Storytelling”, che unisce esperti di apprendimento organizzativo e marketing narrativo con un gruppo di professionisti di comunicazione visiva, curatori d’arte contemporanea e di progetti editoriali, designer grafici e video-maker. Un team di professionisti la cui missione è quella di aiutare l’impresa a esprimere la propria identità e il proprio capitale narrativo. In diverse interviste, Orzati ha spiegato anche come è giunto a occuparsi di storytelling.
La motivazione principale? La voglia di diventare uno scrittore e il culto per la perfezione formale, il cercare metodi sempre più raffinati per farlo in maniera sistematica. Per poi rendersi conto che di tutto questo si poteva fare tranquillamente a meno. Nel frattempo il bagaglio accumulato di modalità tecniche e strumenti, che potevano servire per la scrittura destinata alla comunicazione corporate, veniva completato dall’incontro con Andrea Fontana, il fondatore di Storyfactory. Ed ecco l’impiego in termini lavorativi.
Alla domanda su cosa sia lo storytelling, Orzati risponde partendo dalla semplificazione della collega Francesca Marchegiano: “la forma basilare della fiaba, con i suoi quattro momenti: c‘era una volta… ma purtroppo… per fortuna… alla fine… Quattro momenti che includono tanti sotto-elementi fondamentali per l’articolazione narrativa. Ma il nocciolo è che senza i “ma purtroppo” non accade nulla, non si articola la contrapposizione tra valore e disvalore. La linea di demarcazione tra comunicazione e narrazione non è netta, in parte può esserci una sovrapposizione. E cioè: nella comunicazione possiamo trovare elementi di grammatica del racconto, così come un racconto può essere infarcito di elementi puramente informativi. Ciò che solitamente manca alle classiche forme di comunicazione, soprattutto all’advertising, è quello che chiamiamo “sistema dei conflitti”. I “ma purtroppo” si pescano proprio da questo sistema: senza “fatal flaw” non c’è impresa di sanamento da compiere, senza avversari/nemici non ci sono aiutanti/amici, senza sfide non ci sono tesori. Una vita di felicità costante fa solo invidia, e quindi distanzia, mentre le difficoltà generano compassione, e la compassione avvicina”.
Una storia quindi implica empatia, quella di un’azienda è una rappresentazione (testuale e visiva) di un’organizzazione, che allinea i contenuti e gli immaginari del racconto d’impresa con i diversi strumenti, per declinarli su diversi pubblici, un approccio che progetta e guida identità e relazioni d’impresa attraverso le tecniche del racconto per creare valore. Il segreto? Conoscere la storia-racconto degli altri. Tutti vogliamo capire e ritrovarci in un racconto, esso ha ripercussioni psicologiche importanti: quando una persona racconta e un’altra ascolta attivamente (o legge), i cervelli si sincronizzano. E se la storia, per definizione, è una mera cronologia di fatti, il racconto è una rappresentazione. Basti confrontare una descrizione fattuale e cronologica di una compagnia su wikipedia e cercarne poi il profilo aziendale dove magari un video illuminato e attraente ne descriva alcune caratteristiche salienti e accattivanti, oltre che coinvolgenti.

Premesso questo, vediamo ora i sette segreti dello “storytelling” di Andrea Fontana: penetrazione, molteplicità, costruire un mondo, estraibilità, serialità, soggettività, performance. Sono tutti elementi interessanti e che meritano una riflessione.

Stoytelling

Penetrazione: una narrazione penetra nelle storie di vita dei suoi lettori e ne determina nuovi percorsi. Si tratta di quello cui si accennava, l’empatia. Entrare in contatto con il lettore e farlo sentire parte del racconto è la sfida di chi fa “storytelling”. Ricordo una campagna di una compagnia di telefonia mobile, dove si invitava lo spettatore a comunicare non solo con la tecnologia, ma anche diversamente. E subito si va indietro con la memoria e si prende il telefono per chiamare un amico o un anziano genitore che non si sente da tempo…

Molteplicità: una narrazione oggi è trans-mediale, entra ed esce da più canali comunicativi. Le vie della comunicazione oggi sono infinite. Piattaforme di ogni genere e social media vari permettono di diffondere un racconto nel mondo, in tempo reale, con pochi clic…

Costruire un mondo: una storia genera sempre un mondo. Il prodotto mediale è uno spazio che talvolta (spesso, direi) entra in relazione con la vita quotidiana. Intorno a noi, ogni vita una storia, ne abbiamo parlato, basta fermarsi a pensare, anche solo un attimo (vedi).

Estraibilità: il mondo della narrazione diventa parte integrante del mondo reale e dalla storia si estraggono linee di sviluppo della nostra identità. Un racconto può facilmente aiutarci, orientarci e farci trovare una via prima solo intravista o del tutto sfuggita.

Serialità: i racconti oggi si aprono, si chiudono e si riaprono. Non solo i pezzi di storia sono dispersi su diversi segmenti all’interno dello stesso medium ma si diffondono in media diversi. Una catena spesso virtuosa, se ben compresa e ben gestita.

Soggettività: le narrazioni (politiche, organizzative, di consumo) sono sempre più soggettive. Si affidano al punto di vista di un personaggio / autore del racconto. Questo genera maggior identificazione. Rivederci in un racconto non è difficile, se ben scritto.

Performance: una narrazione genera una performance di attivazione in termini culturali, è un cultural activators: una attività che dà a tutta la comunità qualcosa da fare. Spesso sulla base di un racconto importante, ci svegliamo, ci attiviamo, reagiamo, vediamo. Ragioniamo, approfondiamo e cerchiamo di capire, questo conta.

Le riflessioni potrebbe continuare, la materia è troppo interessante e soprattutto in evoluzione. Ce ne sarà l’occasione. Certo resta che provare a fare “storytelling”, soprattutto aziendale, non è semplice ma sfidante, per chiunque scriva. Provare per credere (vedi).

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IL DIBATTITO
Gattopardi… a loro insaputa

di Gianni Corazza

Egregio direttore,
Le scrivo per esprimere la mia modestissima opinione in merito alle questioni proposte sul tema Sinistra e problematiche annesse. Una risposta alle allettanti sue sollecitazioni potrebbe essere trovata, a mio parere, lontano nel tempo, alle radici del pensiero e dei movimenti che alla Sinistra fanno riferimento.
Tra i tanti assunti marxiani, credo che uno dei più trascurati dal popolo che si definisce ‘di sinistra’ (e in particolare dalla sua ‘intellighenzia’ meno incline all’omologazione) sia quello relativo al rapporto tra teoria e prassi.
Nelle “Tesi su Feuerbach” (1845) Karl Marx sostiene che “E’ nell’attività pratica che l’uomo deve dimostrare la verità […] La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica […] La vita sociale è essenzialmente pratica. Tutti i misteri che sviano la teoria verso il misticismo trovano la loro soluzione razionale nella attività pratica umana e nella comprensione di questa attività pratica. I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo”.
In queste parole, ancor oggi, può essere individuata una delle chiavi più efficaci per interpretare ciò che accade nell’organizzazione sociale, nella politica e, in particolare, nel complicato dibattito che oggi arrovella e tormenta le forze politiche, più o meno organizzate della Sinistra.
Da una parte abbiamo l’attuale maggioranza Pd: un folto gruppo di politici, prevalentemente giovani, molto più propensi a lavorare per avviare a soluzione i problemi concreti che non ad arrovellarsi in sofisticate analisi socio-politiche, presuntivamente foriere di soluzioni miracolistiche. Dall’altra parte abbiamo l’attuale minoranza Pd e una complicata galassia di forze più o meno organizzate e di diversi ‘liberi pensatori’, perennemente indisponibili a qualsivoglia forma di appartenenza esplicita. Questo articolato ‘non gruppo’ sembra essere assai più interessato alla presunta salvaguardia di principi e valori e alla profondità e accuratezza delle proprie teorizzazioni che non al cambiamento e alla risoluzione dei problemi.
E’ mia convinzione che la caratteristica che maggiormente connota un approccio ‘di sinistra’ ai problemi dell’organizzazione sociale sia la volontà e l’impegno per cambiare la realtà. Ed è mia convinzione che un politico ‘di sinistra’ non dovrebbe mai perdere di vista questo impegno e questo obiettivo. Altri approcci, hanno invece (anche legittimamente) l’obiettivo della conservazione e della tutela delle situazioni consolidate, non quello del cambiamento.
L’azione politica (di sinistra) efficace è quella che realizza il cambiamento (anche parziale) non quella che si impegna soprattutto per produrre profonde ed esaustive teorizzazioni. Come dimostrano le vicende, anche meno recenti, del nostro Paese, queste acute teorizzazioni sono destinate a restare affermazioni velleitarie che potrebbero certo essere esaustive e teoreticamente corrette ma che, nei fatti, si sono dimostrate e continuano a dimostrarsi non realizzabili, sempre necessitanti di ‘ulteriori sviluppi’, ‘ulteriori fasi di crescita’, maggiori approfondimenti teorici. Ciò che propone questo tipo di approccio sarebbe perfetto: realizzerebbe l’utopia e la giustizia con le iniziali maiuscole, ma non si sa come attuarlo. Quindi aspettiamo che i tempi maturino e nel frattempo… lasciamo fare agli altri e manteniamo di fatto lo status quo, senza preoccuparci di quanto equo esso sia. Peraltro senza nemmeno interrogarci troppo su quello che sta cambiando (in peggio) attorno a noi e su quanto questo cambiamento stia intaccando le nostre velleità utopiche. Nei fatti questo tipo di approccio diventa uno strumento di conservazione, che connoterebbe assai meglio forze politiche ben diverse.
A ben vedere è in parte questa una costante della storia della Sinistra più recente. Il caro Bertinotti, che fece cadere i governi dell’Ulivo per la questione delle trentacinque ore (paradossale e ridicola per le migliaia di persone che in seguito persero il posto di lavoro). I sindacati, che negli anni ‘80 e ’90 non hanno mosso dito sulla delocalizzazione e sulle regole di mercato europee e oggi (a stalla ormai vuota, si potrebbe dire) non sono in grado di fare altro che riproporci la tutela degli occupati, la conflittualità contro le poche imprese rimaste e la difesa, anche contro ogni decenza, degli ipergarantiti della pubblica amministrazione. Da qui si vede l’incapacità della ‘sinistra-sinistra’ di farsi agente di cambiamento essendo invece, nei fatti, conservatrice di privilegi e ingiustizie.
Dopo la riforma Fornero e la presa di consapevolezza delle ragioni strutturali che l’hanno determinata e del radicale cambiamento di prospettive per i trattamenti pensionistici dei prossimi anni, si continuano a difendere i ‘diritti acquisiti’ e l’apparato giuridico ordinamentale che li protegge, anche se ciò risulta, nei fatti, quanto di meno equo e socialmente giustificabile possa darsi. Fermarsi alla forma delle trasformazioni sociali e restare fermi su principi, ormai acclaratamente inapplicabili all’universo degli aventi diritto, è quanto di meno ‘di sinistra’ si possa fare. Oggi tali caratteristiche sono rinvenibili soprattutto nella complicata galassia di forze che si oppone al rinnovamento in atto nel Pd. E lo si vede nei fatti, nelle alleanze che questi, di volta in volta, sperimentano: le forze più retrive e/o avventuriste del panorama politico.
Per quanto si riferisce al dibattito sulla sinistra di oggi e quella di ieri (o dell’altro ieri) e alla nostalgia della piazza che fu, mi pare di poter dire, che la piazza che fu non può chiamarsi fuori. Nè restare a fare testimonianza. Buona parte delle responsabilità nell’incapacità di percepire il cambiamento e nel tutelare i “diritti acquisiti” (in realtà: privilegi estorti ai nipoti!) viene anche da lì. Mi pare che non serva a nulla, non cambi nulla, e quindi non sia di sinistra, rimpiangere il tempo che fu, come non lo è arrovellarsi sui distinguo segnando il passo all’infinito.
E per esplicitare l’opinione in ordine alle altre sollecitazioni della Redazione, si può affermare che oggi dipende dalle persone che si riconoscono nella Sinistra impegnarsi affinchè essa diventi una forza che si adopera per trasformare in meglio la realtà con gli obiettivi e i valori storicizzati della Sinistra di sempre. E ciò senza più farsi bloccare da presunti acuti teorizzatori politici (sedicenti difensori a oltranza dei valori democratici) che in realtà hanno dimostrato di essere (a loro insaputa, va dato atto!) una sorta di gattopardi che per volere un cambiamento troppo perfetto hanno contribuito a perpetuare, attualizzandoli, ingiustizie e privilegi di cui loro stessi sono talvolta fruitori.

 

dibattito-sinistraInvitiamo i lettori a sviluppare il confronto, incardinato su alcuni nodi politici: cos’è diventata oggi la Sinistra, quali valori esprime, quale personale politico la rappresenta, a quali aree sociali fa riferimento, per quali obiettivi sviluppa il proprio impegno, quali sono la visione e il progetto di società che intende realizzare.
Il tentativo è di andare oltre l’analisi, spingendosi sul terreno della proposta.
Attendiamo i vostri contributi. Scrivete a: direttore@ferraraitalia.it

LA SEGNALAZIONE
Galleria primaluce, scrigno d’arte nel magico giardino di palazzo Scroffa

Quando, anni fa, mi trasferii a Ferrara alcuni amici mi consigliarono di spiare attraverso i portoni delle vie del centro. La cosa mi stupì non poco ma loro, osservando la mia espressione dubbiosa, mi spiegarono che i veri gioielli nascosti della città erano le corti interne dei palazzi storici, dove si celano giardini degni di una favola, ma di proprietà privata e difficilmente visitabili. Col passare del tempo ho avuto la fortuna di scoprire anche io alcuni di questi splendidi cortili, che attraggono coloro che li scoprono,facendo sì che venga dimenticata la città, distante solo un portone. Così ho scoperto la bellezza del palazzo Scroffa, edificio rinascimentale in via Terranuova, e la magia del suo giardino, incantevole anche in pieno inverno.
All’interno di questa cornice senza tempo, una porta finestra spalancata ti invita a scoprire un altro genere di bellezza. Il palazzo, infatti, ospita la Galleria d’Artè Primaluce, associazione culturale nata a Milano e trasferitasi a Ferrara, che con esposizioni, corsi e visite guidate, desidera diffondere l’arte come elemento di crescita del territorio. Il sole sta calando, le ombre nel giardino si allungano e i punti più nascosti sono già avvolti dall’oscurità della sera: la luce proveniente dalla sala più ampia della galleria colpisce i colori sulle tele e illumina le istallazioni, richiamando i curiosi all’interno delle sale, perché le opere possano mostrarsi. Venerdì, infatti, è stata inaugurata la nuova esposizione, curata dal critico d’arte Nadia Celi, visitabile fino al 12 febbraio. Sarà possibile ammirare non solo la collettiva, che ospita artisti emergenti e altri di fama internazionale, ma anche la personale “Le mie donne” del pittore ferrarese Enrico Gherardi.
La curatrice Nadia Celi accompagna i visitatori all’interno delle sale, segna il percorso soffermandosi su ogni opera, per mostrarla al meglio, raccontandone l’essenza. Così le creazioni di Stefania Bertini Cavelti, artista di origini fiorentine trasferitasi in Svizzera, acquistano vita, evidenziando la potenza dell’unione dei quattro elementi, del sacro e del profano, le differenze tra i sessi, in un’unica opera. Ci vuole attenzione per scoprirne tutti i dettagli ma anche pazienza, come se l’artista volesse che ciò che ha creato si sveli lentamente, lasciando che colui che osserva si faccia trasportare dai sensi. L’artista fiorentina divide la sala con altre due donne che hanno trovato nel colore travolgente e nel simbolismo la base con cui esprimersi.
Le opere di Gabriella Teresi, pittrice napoletana di fama internazionale, hanno un impatto più diretto con chi guarda, sembrano volerlo avvolgere, trasmettendo, con l’esplosione di colori, una visione complessa e personale del mondo che ci circonda. Ultima artista raccontata dalla curatrice è Serena Martelli, bolognese, che, giocando con i materiali, crea riflessi di luce e giochi di colore.

Forza, spiritualità e contrasti sono anche i temi degli artisti scelti per la collettiva del mese, in cui gli aspetti più contrastanti dell’essere umano vengono esposti con fare di sfida. Di grande impatto l’opera di Simonetta Barini, che rappresenta due giovani, con corpi atletici, intenti a stringersi, cercando però, in questa spirale infinita, una via di fuga. Totalmente diverse, invece, le sculture di Donato Ungaro, ricavate da tronchi d’ulivo, blocchi da cui non è l’opera ad uscire ma è lo spazio ad entrare in essi.

L’ultima sala, dedicata all’artista Gherardi, ospita cinque delle sue opere, che rappresentano donne dai corpi minuti e dagli sguardi taglienti che pretendono la dovuta attenzione, invitano ad unirsi a loro nei momenti d’intimità, ma anche nelle sfide.

“L’artista obbedisce all’ispirazione- afferma Enrico Gherardi, presente all’inaugurazione- non può fare altro. Anche io a volte, dopo aver finito un’opera, la riguardo con attenzione, per capirla meglio. “Le mie donne” non sempre hanno successo, o si amano o si odiato. C’è chi vede in questi corpi troppo magri uno stereotipo culturale, altri non apprezzano l’intimità che c’è tra loro. Secondo me il mondo femminile è sacro,sempre, anche nel suo lato più oscuro. Questo perché le donne hanno una complessità a cui noi uomini possiamo solo aspirare. In tutto ciò che fanno c’è un insieme di sentimenti: dove c’è invidia c’è ammirazione, dove c’è attrazione non manca la paura, dov’è presente l’odio, c’è l’amore”.

La mostra sarà visitabile sino al 12 febbraio alla Galleria Artè Primaluce, in via Terranuova 25.

LA LETTURA
Quando un nome è un destino

imageIl lettore sarà costretto ad ammettere che non poteva andare diversamente, che dovevano dargli quel nome e nessun altro. (Nikolaj Gogol, Il cappotto)

Come si fa a nascere e sentirsi chiamare Gogol? Come si riesce a vivere con un nome dalle origini sconosciute che sembra un soprannome e che per molti significa semplicemente un richiamo a uno scrittore lontano? Con questo mistero convive Gogol Ganguli, giovane bengalese insignito di un nome impegnativo dal padre Ashoke che, una buia e fredda notte d’ottobre, in India, aveva visto la morte in faccia durante il deragliamento di un treno che, accartocciatosi in un lampo, lo aveva ritrovato coinvolto. Ashoke si era salvato solo grazie al racconto che stava leggendo al momento dell’incidente, Il cappotto, di Nikolaj Gogol. Al lume di una lanterna, infatti, un soccorritore aveva intravisto le pagine del libro sparse e un foglio sventolante che Ashoke teneva in mano. E così era stato recuperato vivo, grazie a quella magica pagina dello scrittore russo che, sette anni più tardi, avrebbe dato il nome al suo primogenito. Il giovane Gogol era ignaro di quella ragione del suo nome, un nome-cognome che lo avrebbe fortemente infastidito per tutta la sua vita, che lo avrebbe spesso irritato e accompagnato nel viaggio americano dove avrebbe trovato lavoro, una posizione sociale invidiabile, una moglie, una famiglia e una separazione. Dal 1968 al 2000, tutto e tutti ruotano intorno a una vita tormentata, fatta di libri, studio, aule universitarie e case arredate, di un essere in bilico fra India e America, fra culture e tradizioni, nostalgia e voglia di futuro, profumi di paesi lontani, dalla madre Ashima, mai completamente integrata nella società americana, alla sorella Sonia e il suo futuro marito Ben, fino alla prima bionda aristocratica fidanzata di Gogol, la raffinata ed elegante Maxine, e al matrimonio combinato con Moushimi, che si perderà, alla fine, con un Dimitri di un tempo.
Tradito da un tentativo di recuperare terreno sul fronte di casa, a un passo dal terribile e tenendo naufragio, Gogol troverà un nuovo punto di partenza, nella vita, proprio dove meno se lo aspettava. La dedica del padre, che un giorno gli avrebbe rivelato il segreto del suo nome, nel frontespizio di un libro di racconti di Gogol, sarebbe stato presto il nuovo inizio. Infatti, nell’attesa di tempi migliori, intanto, lui avrebbe iniziato a leggere….

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Jhumpa Lahiri, L’omonimo, Marcos y Marcos, 2003, 242 p.

Rosso ferrarese con ferita aperta

La chiesa di San Francesco è una tra le più belle di Ferrara: enorme, l’esterno tutto in cotto inframezzato da qualche lesena in marmo e due morbide e grandi volute sulla facciata, come riccioli che si posano sulle tempie. La mattina il sole le scalda l’ampia e robusta schiena, la sera le colorisce il volto rivelando tutto il suo splendore. Tuttavia questa chiesa è anche tra le più danneggiate dal terremoto del maggio 2012. Inagibile ancora oggi, come la maggior parte dei beni monumentali del centro storico, porta i segni di quella sciagura soprattutto nella parete posteriore esterna: come si può vedere in foto, sono ben visibili diverse crepe, tra cui una lunga quanto l’intera arcata.

Fondata dai Francescani fin dagli anni in cui il santo fondatore era in vita, la chiesa di San Francesco viene ricostruita nel 1494 da Biagio Rossetti su incarico del Duca Ercole I d’Este.

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Immagini rappresentative di Ferrara in tutti i suoi molteplici aspetti, in tutte le sue varie sfaccettature. Foto o video di vita quotidiana, di ordinaria e straordinaria umanità, che raccontano la città, i suoi abitanti, le sue vicende, il paesaggio, la natura…

Piccoli maestri

Piccoli insegnanti…grandi insegnamenti.

Paulo-Coelho
Paulo Coelho

Un bambino può insegnare sempre tre cose ad un adulto:
1. A essere contento senza motivo.
2. A essere sempre occupato con qualche cosa.
3. A pretendere con ogni sua forza quello che desidera.

(Paulo Coelho)

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la giornata…

Pugni e musica

Il 17 gennaio del 1942 nasceva a Louisville Cassius Clay, noto al mondo anche come Muhammad Ali. Il pugile tre volte campione del mondo dei pesi massimi e medaglia d’oro alle Olimpiadi di Roma del 1960 fu una vera e propria icona, non solo sportiva: oltre ad essersi rifiutato di combattere in Vietnam e la scelta di impegnarsi in azioni umanitarie una volta appesi i guantoni al chiodo, Ali si lanciò anche in alcune comparse musicali; tra le versioni della celebre Stand By Me di Ben E. King, infatti, ne troviamo una proprio a suo nome.

Ogni giorno un brano intonato a ciò che la giornata prospetta…