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Giorno: 12 Gennaio 2017

Vino: da oggi in vigore testo unico vino, dimezzata la burocrazia

Da: Coldiretti

Con l’entrata in vigore del Testo Unico sul vino si taglia del 50% il tempo dedicato alla burocrazia, con 100 giornate di lavoro che oggi ogni impresa vitivinicola è costretta ad effettuare per soddisfare le 4mila pagine di normativa che regolamentano il settore. Ad affermarlo è Coldiretti Emilia Romagna in riferimento all’avvio da oggi, 12 gennaio, della “Disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino”. Il cosiddetto Testo Unico porta finalmente alla semplificazione delle comunicazioni e adempimenti a carico dei produttori, revisione del sistema di certificazione e controllo dei vini a denominazione di origine ed indicazione geografica con un contenimento dei costi, alla revisione del sistema sanzionatorio, l’introduzione di sistemi di tracciabilità anche peri i vini a Igt e norme per garantire trasparenza sulle importazioni dall’estero.
Adesso la palla passa al Ministero delle Politiche agricole che dovrà mettere mano ad alcuni decreti applicativi al fine di rendere completamente operative le semplificazioni stabilite nel Testo Unico. In tal senso Coldiretti Emilia Romagna auspica che nella revisione dei decreti applicativi si dia assoluta priorità all’adeguamento delle disposizioni sui controlli e la certificazione dei vini a Denominazione di Origine e Indicazione geografica e alle norme per la gestione del potenziale produttivo, al fine di mettere a regime lo sportello unico degli adempimenti e evitare la duplicazione inutile delle attività di controllo.
Il settore vitivinicolo dell’Emilia Romagna – ricorda Coldiretti regionale – vede impegnate 22 mila aziende agricole che coltivano 50 mila ettari di vigneto e producono circa 7 milioni di ettolitri di vino per un valore alla produzione di 350 milioni di euro. l’intero comparto da lavoro a livello regionale a 150 mila addetti e contribuisce alle esportazioni per un valore di 280 milioni di euro.

L’inverno al teatro Ferrara Off è ‘Fuori pista’

Da: Ferrara Off

Nuovo calendario all’insegna della contaminazione tra arti performative e visive, musica e poesia

Contaminazione, collaborazione e multidisciplinarietà: l’associazione Ferrara Off inaugura la stagione invernale presentando ‘Fuori Pista’, calendario di appuntamenti teatrali ma non solo, aperto alla danza, alla pittura, alla poesia e alla musica. «Lo spazio performativo che gestiamo ormai da tre anni in viale Alfonso I d’Este costruisce con sempre maggiore attenzione la propria identità – spiega Monica Pavani, presidente dell’associazione. La formazione e la rappresentazione teatrale conservano un ruolo privilegiato nella definizione delle attività, ma l’intenzione di Ferrara Off è costituire per la città di Ferrara un vero e proprio centro di produzione e fruizione culturale, un luogo di scambio e di confronto artistico capace di accogliere le più diverse istanze espressive della contemporaneità».
Il programma delle attività organizzate da gennaio ad aprile 2017 comprende otto spettacoli di teatro, tre appuntamenti musicali, una serata dedicata alla danza e una alla poesia, un ciclo di tre approfondimenti dedicati alla storia dell’arte. Le collaborazioni attivate con le istituzioni, gli enti e le associazioni attive sul territorio comprendono Cies, Conservatorio Frescobaldi, Ferrara Jazz Club, Ferrara Marathon, Fondazione Ferrara Musica, Riaperture, Teatro Comunale Claudio Abbado, Teatro Nucleo.

Ad aprire la stagione sarà “Dux in scatola”, sabato 21 gennaio alle 21, monologo di Daniele Timpano che salirà sul palco assieme al baule contenente – così parrebbe – le spoglie mortali di Benito Mussolini. L’attore – che con questa rappresentazione ha guadagnato la finale del Premio Scenario nel 2005 e la finale del Premio Vertigine nel 2010 – ripercorrerà le rocambolesche vicende del corpo del Duce, da Piazzale Loreto al cimitero di Predappio. Intreccerà alle avventure post- mortem testi letterari del Ventennio, luoghi comuni sul fascismo e materiali disparati provenienti dal web, per tracciare il percorso di Mussolini nell’immaginario degli italiani, dagli anni del consenso agli anni della nostalgia. Il giorno successivo, domenica 22 gennaio alle 18, sarà in scena ‘Digerseltz’, di Elvira Frosini in collaborazione con Officine Caos e Stalker Teatro, che affronterà l’ossessione contemporanea del cibo, l’azione del sostentamento come pratica culturale massificata, rituale legato al rapporto dell’essere umano con il corpo, la fame e la morte, con il sacro e con la comunità.

«Cominciamo con un weekend intenso, doppio appuntamento di teatro – racconta l’attore Marco Sgarbi, tra i fondatori di Ferrara Off -. Proseguiremo intrecciando discipline e arti diverse. Sabato 28 gennaio il maestro Berardo Mariani proporrà “L’antica essenza del teatro”, opera da camera ispirata al “Teatrino di don Cristòbal” del poeta Federico Garcia Lorca, composta assieme agli studenti del Conservatorio Frescobaldi. Altre intersezioni con il mondo della musica arriveranno grazie alle interessanti sinergie sviluppate con Ferrara Musica, con il Jazz Club e con il Teatro Comunale. Venerdì 27 gennaio, in occasione della Giornata della Memoria, presso la Sala Estense si terrà il concerto “Exil” del compositore georgiano Giya Kancheli, assieme alla lettura di testi poetici di Paul Celan. Per approfondire la conoscenza dell’autore rumeno, imprescindibile riferimento del Novecento, domenica 29 Ferrara Off ospiterà la mise-en- scène del carteggio intercorso tra Celan e la scrittrice austrica Ingeborg Bachmann».

Musica e poesia si incontrano anche giovedì 26 febbraio con “Alberto Masala meet Marco Colonna”, appuntamento in collaborazione con il Jazz Club e Cies che farà dialogare lo scrittore sardo e il clarinettista in una performance concertistica vivace e inusuale, quasi una sfida agita. L’identità nazionale e il passato più recente saranno al centro di “Nostra Italia del miracolo” sabato 4 febbraio, monologo di Maura Pettorusso dedicato alla vicenda personale e agli scritti della giornalista Camilla Cederna, premio Cassino Off 2016. L’integrazione delle persone uscite dal carcere e la funzione educativa della pena saranno invece le tematiche affrontate sabato 11 febbraio da Horacio Czertok e Moncef Aissa del Teatro Nucleo, con “Il mio vicino”.

Sabato 25 febbraio sarà la danza ad essere protagonista, con “Poema degli atomi” di Elisa Mucchi, ricerca coreografica sulla “in-definizione”, strutturata come un vero e proprio work in progress, che in questa replica propone per la prima volta il passaggio dall’assolo al duetto. La danzatrice inoltre curerà tra gennaio e marzo il workshop di danza per madri con figli e figli “Ui_Oi_We”, finalizzato a stimolare la comunicazione non verbale, a conoscersi e riconoscersi attraverso il contatto. Alla fotografia sarà dedicata la serata di venerdì 17 marzo, “Anatomia dei sentimenti”, organizzata assieme alle autrici Giulia Maria Falzea e Claudia Gori per il festival Riaperture: il loro libro, che raccoglie testi e fotografie, verrà presentato attraverso un reading accompagnato da musica e proiezioni. Lo sport e il piacere della corsa sarà invece il focus di “La grande storia della maratona dal 490 a.C. al 2076 d.C.”, epopea atletico-teatrale ideata da Laurent Soffiati e Roberta Pazi nell’ambito del festival Storie di passi, in calendario sia sabato 18 che domenica 19 marzo.

«Ci piace ospitare spettacoli capaci di portare un valore aggiunto, il cui potenziale non si esaurisca nella rappresentazione ma sappia espandersi coinvolgendo i ferraresi in momenti formativi e di approfondimento – spiega Giulio Costa, tra i curatori della rassegna -. Per questo abbiamo voluto comprendere in “Fuori Pista” la mise-en-scène di alcuni racconti scritti da Anton Chekhov, selezionati appositamente per Ferrara Off dal regista Paolo Civati, e proporre nella stessa giornata – sabato 18 febbraio – un suo laboratorio dedicato allo studio della drammaturgia del celebre dramma “Zio Vanja”. Va nella stessa direzione la decisione di ospitare sabato 4 marzo “Tranne che il buio” e sabato 11 marzo “La boutique del mistero”, entrambi ispirati ai racconti di Dino Buzzati, e organizzare domenica 5 marzo un laboratorio di lettura ad alta voce basato sulle invenzioni fantastiche dello scrittore bellunese».

Sempre in quest’ottica si è voluto anticipare il concerto “Stabat Mater”, organizzato da Ferrara Musica al Teatro Comunale venerdì 14 aprile con l’ensemble “Il suonar parlante”, fissando tre incontri preparatori curati dal pittore Giacomo Cossio. Il ciclo, intitolato “Vite al limite”, si terrà la domenica pomeriggio dal 5 al 18 febbraio e indagherà con una prospettiva originale il lavoro di tre artisti contemporanei la cui biografia presenta assonanze cristologiche: Vincent Van Gogh, Jackson Pollock e Mario Schifano, rispettivamente domenica 5, 12 e 18 febbraio.

EVENTO
Vittorio Sgarbi a Ferrara per presentare il suo ultimo libro e parlare di arte e capre

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“Capre!” Quante volte lo abbiamo sentito apostrofare così i suoi interlocutori? Ora sono anche sulla copertina del nuovo libro di Vittorio Sgarbi: la riproduzione di un dipinto di Rosa da Tivoli, che rappresenta appunto delle capre al pascolo.
E nemmeno alla conferenza che si è tenuta ieri nella sala dell’Oratorio San Crispino il celebre opinionista ha perso l’occasione di proferire una delle sue parole più ‘amate’ e ricorrenti, che ormai lo contraddistinguono. Questa volta però non le ha pronunciate in riferimento a qualcuno, anzi, Sgarbi si è mostrato molto più docile rispetto alla classica visione che i mass media ci offrono, ricoprendo in pieno le vesti di critico d’arte. Ha così presentato il suo ultimo libro “Dall’ombra alla luce. Da Caravaggio a Tiepolo” dedicandosi, senza troppe divagazioni alla sua passione: l’arte.

Baciccio, Guercino, Mastelletta: sono solo alcuni dei pittori che hanno reso l’Italia tanto ricca, di cui però non conosciamo l’identità. “Siamo invece certi delle opere, ma soprattutto dell’esistenza di Cimabue, Giotto, Brunelleschi, Leonardo, i classici “pittori toscani”, famosi per decisione del Vasari, che ha conferito loro il primato”. Siamo quindi, secondo il celebre critico, davanti ad una storia dell’arte conosciuta in maniera molto imperfetta e molto inefficiente rispetto a quello che dovremmo vantare. “Noi siamo il primo paese nel mondo ad avere tante opere d’arte. E non lo sappiamo nemmeno!”
Per questo ha pensato di rivelare i tesori dell’arte italiana e da qui prende il nome la serie di volumi di cui Sgarbi ha presentato il quarto tomo, aggiungendo che per terminare la sua opera, ne scriverà anche un quinto arrivando fino a De Chirico.

“Per realizzarlo, ho immaginato la storia dell’arte italiana tagliata a fette. E in questo libro in particolare, ho voluto parlare di una serie di artisti meravigliosi, ma totalmente sconosciuti. Pittori che, non solo non vengono mai citati, ma sono addirittura chiusi in chiese strane, remote e la gente non sa nemmeno che esistano”. Ecco perché nasce questo libro dal titolo profondamente metaforico, “Dall’ombra alla luce”, che rimanda a un duplice significato: il passare dalle ombre  di Caravaggio alla luce di Tiepolo, ma allo stesso tempo la volontà dell’autore di far riemergere, far “venire alla luce” tutte quelle opere che sono rimaste nell’ombra per troppo tempo.

Certo, il nostro opinionista non si è lasciato sfuggire qualche critica, soprattutto a proposito della situazione nella quale versano alcune architetture della zona. “Non possiamo avere le chiese chiuse, soprattutto per noi che ci troviamo nel ‘Nord produttivo’, le chiese di Ferrara devono essere aperte! Il ministro – ha detto Sgarbi riferendosi a una sua conversazione con l’ex ministro Bray, ma alludendo forse anche all’attuale titolare del Mibact, il ferrarese Franceschini – ha il dovere di aprirle tutte, una per una. Da questo punto di vista, sento Ferrara un po’ inerte, ma non per questo la odio, come erroneamente si crede, anzi la amo e sono felice di esser tornato nella mia città”.

Sgarbi ribadisce più volte l’amore e l’orgoglio che prova per la città natia, anche se i suoi rapporti con questa non sono stati tra i più felici. Il popolo ferrarese sembra non avvertire questo distacco, riempiendo la sala nella quale si è svolta la presentazione e restando ad ascoltare in religioso silenzio, fino all’ultimo fragoroso applauso. Anche il padre Giuseppe e la sorella Elisabetta non potevano mancare all’appuntamento, sostenendo Vittorio con una determinata ammirazione.

Insomma, chi si aspettava lo Sgarbi critico, agitato e polemico della televisione questa volta se n’è andato insoddisfatto, ma per tutti quelli interessati all’arte, il nostro opinionista ha dato una lezione coinvolgente e sentita, degna di un vero divulgatore del nostro immenso e in larga parte sconosciuto patrimonio.

Area, uffici clienti aperti anche il sabato

Da: Area

Area, sportelli clienti aperti anche di sabato a Copparo e Comacchio

AREA amplia gli orari di apertura degli sportelli clienti di Copparo e Comacchio, che da quest’anno saranno accessibili al pubblico anche di sabato, a settimane alterne, per tutte le pratiche inerenti la Tariffa Rifiuti. Agli sportelli si possono rivolgere tutti i clienti AREA indipendentemente dal Comune di residenza.

Ecco nel dettaglio le aperture per il primo trimestre 2017.

Comacchio, via dei Govi 4
Tutte le mattine da lunedì a venerdì dalle 8.30 alle 12.30; martedì pomeriggio dalle 14.30 alle 16.30; nei seguenti sabati dalle 8.30 alle 12.30: 14 e 28 gennaio, 11 e 25 febbraio, 11 e 25 marzo.

Copparo, via Marconi 42
Tutte le mattine da lunedì a venerdì dalle 8.30 alle 12.30; giovedì pomeriggio dalle 14.30 alle 16.30; nei seguenti sabati dalle 8.30 alle 12.30: 21 gennaio, 4 e 18 febbraio, 4 e 18 marzo.

Dal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 18.00 e tutti i sabati dalle 9 alle 13 è inoltre come sempre attivo lo sportello telefonico (800 881133 – gratuito – per chiamate dalla rete fissa, 199 127722 –a pagamento -per chiamate dalla rete mobile) per informazioni, segnalazioni e prenotazioni di servizi.

Per l’iniziativa “Libraio per un giorno” I libri consigliati da Paolo Zappaterra

Da: Ibs+Libraccio

Sabato 14 gennaio ore 11:00
Presso la libreria Ibs+Libraccio di Ferrara

Il Libraio per un giorno è un’iniziativa originale per avvicinare più persone possibili al mondo dei libri attraverso chi ci sta intorno tutti i giorni.
Il primo ospite dell’anno sarà il fotografo Paolo Zappaterra sabato 14 gennaio alle ore 11:00, che racconterà ai presenti il suo bagaglio di letture con auto-ironia e spontaneità: i classici che lo hanno formato, ma di più, i titoli che non abbandonano il suo comodino la notte, dai quali non si separa mai.

I libri non hanno età e, come affermò giustamente Umberto Eco, chi legge vive innumerevoli altre esistenze oltre la sua, con cui mettersi a confronto e crescere interiormente.

Il rinfresco è offerto da NaturaSì, Via Bologna 296 e Via Copparo 3/A – Ferrara

I pupi di Stac aprono la quinta edizione di Junior!

Da: Comune di Comacchio

La storica compagnia fiorentina in scena a San Giuseppe

E’ tutto pronto per la partenza della quinta edizione di Junior! Pomeriggi a Teatro con Mamma e Papà, la rassegna di spettacoli per ragazzi e famiglie che anima le domeniche d’inverno, sviluppandosi in parallelo alla stagione teatrale serale Comacchio a Teatro. La programmazione pomeridiana viene proposta quest’anno secondo una formula rinnovata: gli spettacoli non si svolgeranno più in Sala Polivalente a Palazzo Bellini, ma sarà il teatro a spostarsi sul territorio, ripercorrendo le località che già da qualche anno ospitano con successo gli appuntamenti delle programmazioni per ragazzi in primavera e nel periodo natalizio, ovvero Porto Garibaldi, Volania, Vaccolino e San Giuseppe. Rispetto agli anni scorsi inoltre, gli spettacoli saranno offerti ad ingresso gratuito per tutti. Il programma punta come sempre sulla qualità e su di un connubio tra innovazione e grande tradizione, ospitando anche compagnie storiche del panorama nazionale. Proprio nel segno della storia del teatro di figura e per ragazzi si inserisce lo spettacolo inaugurale, di cui sarà protagonista la compagnia fiorentina I Pupi di Stac, nata a Firenze nel 1946 per opera di Carlo Staccioli (1915-1971). Affiancato dapprima da molti validi collaboratori, fra cui lo stesso Paolo Poli, ‘Stac’ realizzò con Laura Poli, in compagnia dal 1958, un sodalizio artistico che affinò una linea teatrale inconfondibile. Alla morte del fondatore, Laura Poli coadiuvata dal figlio Enrico proseguì l’attività basando il proprio teatro sulla ricerca, raccolta ed elaborazione di antiche fiabe popolari toscane, molte delle quali tuttora in repertorio. I pupi, di legno intagliato, sono alti circa 60 centimetri ed hanno, unici nella
tradizione italiana, figura intera. Sono, insomma, ‘marionette senza fili’ animate dal basso o, se si preferisce, ‘burattini con le gambe’ come il loro fratello più famoso: Pinocchio. Le baracche, veri teatrini in miniatura con sipari, quinte e fondali, hanno due piani scenici: il palcoscenico dove i burattini possono camminare ed un livello superiore dove appaiono nel modo più tradizionale. Il dialogo con il pubblico ed il ritmo teatrale assai serrato sono alla base della vivacità e dell’imprevedibilità della narrazione: tutti, dai bimbi più piccoli agli adulti, assistono incantati e partecipi dall’inizio della vicenda fino all’immancabile lieto fine.
Domenica 15 gennaio a partire dalle ore 16 presso il Teatrino Parrocchiale di San Giuseppe, la compagnia presenterà uno dei suoi cavalli di battaglia: Il drago dalle sette teste. Nella rete del giovane pescatore Gianni finisce un pesce magico che in cambio della salvezza gli dona una conchiglia, una spada arrugginita, e un compagno fedele, il cane Carlino. Assieme ai fratelli, il ragazzo affronta avventure e terribili pericoli, ma nei momenti decisivi gli vengono in aiuto la propria audacia e gli strani oggetti regalati dal pesciolino. Gianni arriva così a liberare il Reame dal terribile Drago. Ma quando il trionfo e la mano della principessa sono ormai conquistati… ecco l’ultima, inattesa difficoltà!
L’ingresso è gratuito e lo spettacolo è adatto a tutti, a partire dai tre anni di età. La rassegna è organizzata per il Comune di Comacchio da Bialystok Produzioni, in collaborazione con Teatro dell’Aglio e sotto la direzione artistica di Massimiliano Venturi. Il prossimo appuntamento è in programma per domenica 29/01 a Volania, e vedrà in scena Officine Duende con lo spettacolo Superchef!. Il programma completo è disponibile sul sito www.comacchioateatro.it; aggiornamenti in tempo reale sulla pagina facebook ‘Comacchio a Teatro’, infoline 349 0807587.

Premiazione “Crea il tuo Presepe”

Da: Organizzatori

l’Associazione Volontari Iniziative Parrocchiali (A.V.I.P.) di Fossalta invita alla cerimonia di premiazione dell’iniziativa “Crea il tuo presepe” per la mostra “Piccoli Presepi del Natale”, che si terrà domenica 15 gennaio, alle 17, presso la Parrocchia di Sant’Andrea Apostolo a Fossalta, frazione di Copparo.
L’iniziativa ha coinvolto sei scuole materne e primarie di Copparo, Voghiera, Ferrara, Masi Torello, Tresigallo, Formignana.

Nell’occasione saranno presenti Autorità Istituzionali del Comune di Ferrara e di Copparo e rappresentanti della Curia Arcivescovile

La premiazione riguarderà gli autori del Presepe Artistico della Parrocchia di Fossalta e i partecipanti della mostra “Piccoli Presepi del Natale”, ai quali sarà rilasciato un Attestato di Partecipazione e un piccolo omaggio di riconoscimento.

Il Conservatorio apre i lavori del consiglio comunale di Ferrara

Da: Conservatorio Ferrara

“La furio di Orlando”
Il Conservatorio apre i lavori del consiglio comunale di Ferrara
Lunedì 16 gennaio alle 15 in Municipio (piazza Municipale 2)
Concerto dell’Ensemble rinascimentale e Gruppo teatrale del Frescobaldi

L’amore, le gesta cavalleresche, la poesia, ma anche la musica, il teatro, gli strumenti musicali antichi e leggendari. Sono tutti gli elementi del copione che i talenti del Conservatorio metteranno in scena con La Furia di Orlando, lunedì 16 gennaio alle 15 alla sala consigliare del Comune di Ferrara. In occasione del primo Consiglio Comunale del 2017, infatti, il Conservatorio “G. Frescobaldi” di Ferrara inaugurerà il nuovo anno consigliare attraverso la musica e le gestualità teatrali antiche, in un omaggio alle ottave di Ludovico Ariosto.

La rappresentazione sarà anche un modo curioso e appassionato per far scoprire alla città una delle molte attività realizzate dal Conservatorio durante l’anno accademico. A cura di Marina Scaioli, vicedirettore del Frescobaldi che dirigerà l’Ensemble e responsabile dell’area di musica antica dell’istituto, sarà uno spettacolo di teatro e al contempo un evento musicale. La furia di Orlando nasce infatti a coronamento del Feudarmonico, corso di teatro sulla commedia dell’arte, gestualità teatrale antica e musica rinascimentale realizzato al Conservatorio Frescobaldi e tenuto da Alberto Allegrezza, regista ed esperto in materia. La Furia di Orlando, realizzato in collaborazione con la Fondazione Ferrara Arte e portato in scena per la prima volta lo scorso ottobre alla Pinacoteca nazionale durante le celebrazioni ariostesche, è frutto dunque di una ricca ricerca filologica sulla recitazione cantata e improvvisata delle ottave del poema, accompagnate dalla lira da braccio.

Strumento tanto usato un tempo quanto sconosciuto oggi, la lira da braccio diventa l’emblema dell’immaginario che il poema di Ariosto ha saputo trasmettere anche ad altre arti, prima su tutte la musica. Tutto torna. L’unica lira originale, conservata a Vienna, è infatti ora esposta nella mostra ferrarese “Orlando Furioso, 500 anni”. Una sua copia storica verrà suonata da Alberto Allegrezza, lunedì in apertura dello spettacolo in Comune. Al testo recitato, attori e musicisti, studenti e docenti del Conservatorio alterneranno così musiche originali, in particolare frottole solistiche e corali. Sarà un viaggio nel tempo nella Ferrara del 1516, mentre alcune diapositive concesse da Ferrara Arte e tratte dalla mostra di Palazzo dei Diamanti accompagneranno questo inconsueto momento, dedicato alla città e al nuovo anno ricco di iniziative.

La Ferrara di Giorgio Bassani

Da: Fiab

Domenica 15 gennaio ore 9.00
Piazza Cattedrale

Leggere Bassani nei luoghi di Bassani

L’itinerario nasce dalla passione per Bassani e per le sue descrizioni di Ferrara che non riguardano tanto e soltanto i muri ma le sensazioni che da quei muri nascono. Probabilmente chi viene da fuori non può cogliere le specie di sospiri che noi ferraresi sentiamo quando ci accostiamo al muretto del Castello oppure in via Mazzini dove ciò che lì è successo, e che ha visto spettatori i nostri genitori o i nonni, esce dall’argilla dei muri e si incolla al naso, alle orecchie, alla pelle e ogni volta ritorna.

Itinerario realizzato attraverso le pagine de “il Romanzo di Ferrara”, Oscar Mondadori, 1980.

Castello Estense (ponte di fronte all’angolo dei “4S”): brano da “La passeggiata prima di cena”; pp. 57-61
Abside della chiesa di Sant’Andrea: stessa novella; pp. 64-67
Casa Bassani, via Cisterna del Follo, 1: “Rolls Royce” poesia
Lapide Sinagoga, via Mazzini: brano da “Una lapide in via Mazzini”; pp. 87-91
Via Mazzini (angolo Vignatagliata): stessa novella; pp. 111-113
Corso Martiri della libertà (di fronte lapide): brano da “Una notte del ’43”; pp. 207-210
Certosa (ramo più lontano del chiostro): brano da “Gli ultimi anni di Clelia Trotti” pp.129-134
Mura estensi (ghiacciaia): brano da “Il giardino dei Finzi-Contini”; pp. 384-390

Ritrovo
davanti alla Cattedrale alle ore 9.00

Partenza
ore 9.30
L’escursione terminerà entro le ore 12.30

In questa occasione sarà possibile fare/rinnovare l’iscrizione alla FIAB per il 2017.

La Pinacoteca nazionale di Ferrara decolla…

Da: Gallerie Estensi

La Pinacoteca Nazionale di Ferrara decolla. Più che positivo infatti il dato dell’affluenza del Museo Nazionale nell’anno appena terminato.

Il 2016 infatti si è chiuso con un consistente aumento di visitatori rispetto agli anni precedenti: si è passati infatti dai 30.022 visitatori del 2015 ai 45.463 del 2016, con un incremento di pubblico di circa il 50%.

La Pinacoteca Nazionale, che lo scorso ottobre ha riaperto l’ala cosiddetta “Biagio Rossetti” dopo un lungo lavoro di restauro e un allestimento più moderno, con nuovi colori alle pareti e una diversa esposizione delle opere, è dall’ottobre 2015 tra gli istituti di cui è composto il Museo Nazionale Gallerie Estensi, voluto dal Ministro Franceschini.

Workshop con Federico Mana: Il respiro per la gestione dello stress

Da: Organizzatori

Importante evento per tutti gli apneisti, amanti del mare e del benessere salutista in genere.

E’ con grandissimo piacere che annunciamo lo stage / workshop sulla respirazione e la gestione dello stress per il prossimo weekend 14 e 15 gennaio tenuto dal pluricampione di apnea Federico Mana qui a Ferrara, presso il teatro FerraraOff.

Federico oltre ad essere un atleta completo e avere all’attivo decine di corsi, stage, eventi e corsi di formazione a diverso livello, collabora attivamente con otorini di tutta italia per insegnare e capire come funziona il corpo umano in relazione alla respirazione e
alla compensazione, comprese tecniche di rilassamento e yoga. Quello che presentiamo è uno stage di respirazione e yoga che Federico porta avanti già da mesi in tutta Italia.

La pagina dello stage:
http://priscilladive.com/notizie/189/14-15-gennaio-2017-workshop-il-respiro-per-la-gestione-del-benessere.html

Tutela dello Scalone, dal Comune totale mancanza di concretezza.

Da: LR Comunicazione

Ricordate i fatti incresciosi accaduti nella notte tra il 15 e il 16 ottobre, con lo Scalone del Comune imbrattato con bottiglie, cartacce, oltre che da tracce di vomito ed escrementi? Il giorno dopo quei fatti presentai un’interpellanza per chiarire diversi aspetti, anche e soprattutto per cercare di capire se da parte dell’Amministrazione ci fosse la volontà di fare in modo che episodi del genere, ad opera di ‘maiali, incivili’ come li etichettò il nostro sindaco, non si ripetessero.

Al di là dell’enfasi del primo cittadino nell’immediatezza dei fatti, dalle risposte fornite alla mia interpellanza (presentata il 17 ottobre 2016, risposta comunicatami il 10 gennaio 2017 nda) non mi sembra che la determinazione a fronteggiare questi fenomeni da parte dell’Amministrazione Comunale sia tanto elevata, anzi.

Avevo proposto, non come provocazione, ma come possibile rimedio, l’installazione, alla base dello Scalone, di un cancello che venisse chiuso negli orari in cui gli uffici del Municipio sono interdetti al pubblico. Mi è stato risposto di no, e questo lo posso anche capire, perché si tratta di una scelta di gestione e di tutela del patrimonio, con la speranza che venissero comunque apprestate altre valide soluzioni per arginare il degrado, non limitato ai fatti di quella sera.
Ho chiesto se, in precedenza a quei fatti, i vigili urbani avessero elevato sanzioni relativamente alla violazione delle norme contro il degrado, previste dal Regolamento di Polizia Urbana, in particolare per gli articoli che stabiliscono “Il divieto di salire sui monumenti, superare le recinzioni apposte dall’Autorità a protezione dei luoghi pubblici, imbrattare o lordare il suolo pubblico, gettarvi sostanze liquide, rifiuti od altri oggetti di qualsiasi specie” e poi “Divieto di soddisfare alle proprie esigenze fisiologiche fuori dai luoghi a ciò destinati”. Mi è stato risposto che, complessivamente sono state erogate 17 sanzioni nel 2015 e 18 nel 2016, perché i vigili urbani compiono prevalentemente azioni di prevenzione.
Ho chiesto se le telecamere apposte nei pressi dello Scalone siano sufficienti a monitorare per intero quell’area specifica. Risposta della Comandante della Polizia Municipale: le telecamere riprendono per intero lo Scalone, fino alla carreggiata, ma dall’alto. “Quindi chi transita non viene ripreso in viso”. Quella sera pertanto non sono stati individuati, tra la moltitudine, i responsabili degli imbrattamenti.
A questo punto mi chiedo a cosa servono le telecamere se non sono in grado di individuare chiaramente i responsabili di possibili danneggiamenti a un monumento simbolo della città.
In ultimo l’assessore Modonesi, contrario come detto al cancello protettivo, ha voluto spiegarmi come “il valore e il rispetto del patrimonio storio-artistico dovrebbe essere sempre alla base dell’educazione di ogni generazione…. Basterebbe insegnare forse un po’ più di senso civico”.
Risposte del genere non suonano beffarde tanto per la sottoscritta, che continuerà a sollecitare l’amministrazione, ma per la maggioranza di cittadini che credono nelle istituzioni e vorrebbero un impegno ben maggiore da parte di chi è chiamato ad amministrare la città e che, proprio nel preservare il patrimonio pubblico, dovrebbero fornire un valido esempio all’intera collettività.

Dal momento che tanti italiani e stranieri residenti a Ferrara non mostrano rispetto per questi beni, occorrerebbe da parte dei nostri amministratori una ben diversa concretezza sia nella prevenzione (magari attraverso telecamere poste in modo più proficuo, in modo da rintracciare realmente eventuali vandali) che nel contrasto (maggiore severità da parte della Polizia Municipale) verso comportamenti incivili, a difesa e tutela di una città dal valore universale. Poi, se al contempo si vogliono avviare percorsi di sensibilizzazione delle scuole, sarei la prima ad approvare la scelta, conscia però che da soli non saranno sufficienti.

Paola Peruffo
Consigliere comunale – Forza Italia

Chi tutela il bene comune? Lunedì 16 voci a confronto in Ariostea

“Il bene comune: politiche pubbliche e interessi collettivi” è il titolo del primo incontro del terzo ciclo di conferenze “Chiavi di lettura – Opinioni a confronto sull’attualità”, organizzate da FerraraItalia con l’intento di “leggere il presente”. Ogni mese il quotidiano online, fedele al proprio impegno di sviluppare l’“informazione verticale”, proporrà un approfondimento su un tema di attualità, locale o nazionale. Lo farà mettendo a confronto voci e opinioni diverse, per alimentare dibattiti costruttivi che contribuiscano ad ampliare la conoscenza dei fatti, a favorire l’elaborazione di fondati punti di vista, nella convinzione che l’autonomia di giudizio sia imprescindibile condizione per l’esercizio dei diritti di cittadinanza e stimolo per una partecipazione attiva alla vita pubblica.

Quello sul “Bene comune”, in programma lunedì 16 gennaio alle 17 alla biblioteca comunale Ariostea, sarà un confronto a più voci, coordinato dal direttore di Ferraraitalia Sergio Gessi, con il contributo di cittadini che hanno svolto percorsi professionali e operato scelte di vite differenti fra loro.
Al prologo, seguiranno (sempre di lunedì alle 17) il 27 febbraio “Ferrara violenta? La criminalità fra realtà e suggestione”, il 27 marzo “Moriremo moderati? Il ritorno della Balena Bianca”, il 24 aprile “Ma la coop sei veramente tu? Cooperazione e impresa ai tempi della collera”, il 29 maggio “Uomini o caporali? Storie di dignità e vassallaggio”.

Le post-verità e il trionfo del “secondo me”

Post-verità è la parola dell’anno secondo il dizionario di Oxford. Si tratta della tendenza a far prevalere emozioni e credenze nel giudizio sulla realtà. Il termine è stato usato per descrivere il linguaggio della politica che ha fatto grande uso di una comunicazione manipolatoria, coltivando l’arte del mentire, sollecitando emozioni, alimentando contrapposizioni viscerali, spostando l’accento sui protagonisti, banalizzando i contenuti. Sul carattere manipolatorio di molta politica odierna non vale la pena insistere, anche se l’etichetta abusata di populismo copre una crisi che non è solo di stili di comunicazione.

Ma ora il tema riguarda in modo preoccupante la diffusione di bufale sui social media, diffuse e viralizzate per ignoranza e insipienza. Quali sono le ragioni di questo fenomeno che ha serie conseguenze sull’opinione pubblica? Innanzitutto una dinamica implicita nei social che abbassa la soglia critica e spinge a convergere sulle opinioni di altri e a credere alle notizie che coincidono con le nostre rappresentazioni della realtà. Ma vi è un fatto più specifico: i social danno voce alla crescente sfiducia nelle fonti ufficiali, catalizzano il senso di frustrazione e di impotenza, coltivano lo spirito di opposizione a qualunque verità percepita come ufficiale. Di fronte alla drammatica e generale crisi di fiducia si genera il grande equivoco che i cittadini possano contribuire dal basso a ricostruire una corretta interpretazione dei fatti: dalla medicina alla scienza, dalla scuola alle questioni di politica internazionale. Il pericolo di tale tendenza è evidente in molti ambiti della vita quotidiana, uno di forte attualità riguarda l’opportunità dei vaccini, le origini del contagio, i cosiddetti rimedi alternativi per la salute (una pratica pericolosa come sottolineano molti scienziati). Si afferma il mito di una verità dal basso, la “verità delle persone comuni”.

È il trionfo del punto di vista, il “secondo me” scambiato per partecipazione democratica dei cittadini alle decisioni. Opinioni costruite rovistando nella rete e scambiando per attendibili bufale di ogni genere diventano il metro con cui misurare ogni verità ufficiale: quella del telegiornale, quella dell’insegnante, quella del medico, quella del giornalista, tutti presunti prezzolati per coprire chissà quali interessi di casta. Una generale diffidenza dilaga in ogni campo: anni di cattiva amministrazione della cosa pubblica potrebbero giustificarla, se non vincesse l’esito catastrofico di esaltare la superiorità dell’ignoranza.

“La scienza non è democratica, non è attraverso un civile dibattito che si possono confrontare opinioni su fatti che richiedono anni di studio e di ricerca”. Con queste parole nette il virologo dell’ospedale San Raffaele Roberto Burioni ha sintetizzato con coraggio il degrado del dibattito pubblico che, nel caso specifico, riguarda la salute (Corriere, 5 gennaio 2017)
Ristabilire un confine tra fatti e interpretazioni e distinguere gli uni e le altre è una questione importante che riguarda anche la nostra idea della democrazia che non è esaltata dal mero diritto di parola. Sarebbe necessario che i fatti, in ogni ambito ritornassero centrali.

Sarebbe necessario ridare valore alla razionalità nei procedimenti discorsivi contro una retorica che sollecita emozioni; urgente disvelare i rischi di manipolazione impliciti nelle reti, le illusioni percettive per cui il numero di like fa sembrare più verosimile un’affermazione. Sarebbe necessario che la scuola educasse ad un confronto basato sui fatti e sul rigore, sollecitando solo dopo l’espressione di un punto di vista soggettivo. Di soggettività ne abbiamo fatto davvero una sbornia.

La pratica della post verità può essere contrastata solo con un’informazione seria, capace di proporre in modo accessibile le questioni, citando i dati e le fonti, distinguendo i fatti dalle interpretazioni degli stessi. Solo cultura diffusa e senso di responsabilità potranno arginare la deriva della post verità.

Sognava di fare l’interprete la donna che traduce la neve in oro

La stagione invernale è all’apice e la montagna reclama il suo ruolo da protagonista. Piste da sci e affascinanti percorsi sono la meta più ambita dagli sportivi e da chi ama passeggiate ed escursioni. Gli operatori si prodigano per offrire il meglio del turismo stagionale, mentre paesi e vallate accolgono la folla vacanziera con addobbi e manifestazioni che al ritorno animeranno i racconti. Alle 9 del mattino sulle piste c’è già un vivace giro di persone entusiaste per la giornata che si prospetta, tra campi innevati di fresco, aria purissima, confortevole ristorazione alla partenza e in vetta, personale competente e cordiale, un magnifico cielo sereno.

Ma l’industria del relax e del divertimento va alimentata. Valeria Ghezzi è un’imprenditrice determinata, ha visione e dimostrato la capacità di infrangere schemi anacronistici: “inventarsi ogni giorno qualcosa” è il suo mantra. E’ titolare degli Impianti a Fune di Alpe Tognola, nel comprensorio Primiero San Martino di Castrozza (nella provincia di Trento), presidente dell’Anef (Associazione nazionale esercenti funiviari) nonché presidente della sezione impianti a fune dell’Associazione industriali del Trentino. Esercita le sue funzioni con energia e ha contribuito a ridare slancio a un settore economico, quello del turismo, di vitale importanza per il Trentino. L’abbiamo incontrata per conoscere il suo percorso e le sue idee.

valeria-ghezzi1Lei è un’imprenditrice affermata, ma prima di approdare in questo angolo di Trentino, da Milano, città d’origine, qual è stato il suo percorso di vita e di studi?
Io ho studiato alla Scuola interpreti di Ginevra, ho fatto lingue al liceo, sognavo di fare l’interprete per girare il mondo. Sono finita a fare la spola sulla Milano-Venezia. Le mie aspirazioni erano viaggiare, parlare mille lingue diverse e poi, invece, la vita ti porta dove vuole.

E com’è successo che ha finito per occuparsi di turismo?
Quando nel 1989 stavo finendo l’Università, mio papà è stato male, l’azienda qua era abbandonata perché lui non poteva più seguirla e nessuno lo faceva. A quel punto mi sono detta: “Vado almeno a vedere…”. Ci sono andata e mi sono fermata per 30 anni. Quindi, alla fine, la vita a volte soverchia tutti i nostri volere. Qua ci sono arrivata quasi per caso, perché in famiglia eravamo tutte ragazze, non c’era un fratello né un cugino che si occupasse dell’azienda, come genesi familiare avrebbe previsto al tempo. Non era nei miei programmi ma ha funzionato.

Che cosa significa avere visione imprenditoriale? E’ una cosa innata, insita nella persona o è una condizione che uno si costruisce giorno dopo giorno, con l’esperienza, le occasioni, l’intuizione?
Penso che per ciascuno sia diverso, non esiste una ricetta. In primo luogo, quando ho iniziato venivo da una facoltà di Lingue, sette anni di Svizzera, completamente irreggimentata, all’oscuro di contabilità, bilanci e quant’altro. Ricordo ancora l’angoscia di quando andavo a cercare il significato di Tfr e la presa di coscienza di cosa significhi mandare avanti un’azienda. Le prime due regole entrate nel mio quotidiano sono state: un gigantesco bagno di umiltà, perché devi renderti conto che non sai niente e poi l’applicazione del buonsenso in tutte le cose, perché è vero che serve la competenza ma è altrettanto vero che è necessario fermarsi, studiare, ragionare e applicare il buonsenso.

Ha faticato a muovere i suoi primi passi in questa inattesa realtà che si è trovata dinanzi?
Ho passato i primi anni in archivio, ho imparato tutto quello che era possibile sulle funivie, studiando i vecchi documenti. Il caposervizio di allora, Bruno, mi ha fatto da maestro ma nella parte amministrativa e contabile non potevo contare su nessuno. Mi sono comprata un libro, “La contabilità per i non ragionieri”, che tengo ancora come un’icona dei ricordi. All’inizio uno deve imparare anche quello che non gli interessa perché l’azienda richiede anche questo aspetto, e poi pian piano procede.

Qual è stata la chiave di volta che l’ha convinta a portare avanti quest’avventura?
Io detestavo la neve, detestavo sciare e amavo il mare; ero prossima a ottenere il brevetto di insegnante di nuoto e nessuno avrebbe detto che sarei finita qua. Mi sono appassionata a questo lavoro. Ho fatto un percorso, acquisito competenza ma soprattutto ho continuato il mio lavoro con passione ed entusiasmo, altrimenti avrei finito ancora prima di iniziare. Bisogna poi avere il coraggio di mettersi in gioco, di assumersi le responsabilità. Fare tutto con i soldi e le responsabilità degli altri è molto facile e purtroppo questa è una tendenza che noto in molte occasioni. Assumersi responsabilità significa che prima di dare la colpa al tempo piuttosto che agli altri, io metto in discussione me stessa e poi la mia azienda. Vedo tutto ciò che posso fare e le colpe lasciamole alla teoria… Dire “E’ colpa di…” significa scaricare il problema per autoassolversi.

Che qualità definiscono nel vostro settore un buon imprenditore ?
L’imprenditore è colui che deve inventarsi qualcosa ogni giorno, altrimenti non “imprende”. Noi, qui in Tognola, diamo un servizio ai clienti però poi, se vuoi continuare l’attività e rimanere vivo, devi avere ogni giorno un’idea diversa, innovare, inventare. Devi fare la differenza. Negli anni ’60, in pieno boom economico, era tutto facile; oggi lo sci è uno sport maturo, la funivia è un settore che se non è certo in crescita ma che se va bene è stagnante altrimenti è in discesa. In un ambiente come Primiero San Martino di Castrozza, con tutti i problemi che conosciamo, fa la differenza innovare ogni giorno. Non è sempre facile e non sempre si riesce.

Cosa suggerisce agli amministratori? E quali sono le criticità da risolvere?
In questi anni ho fatto molti interventi e mi è sempre stato risposto di “starmene a casa mia”, cioè in Tognola. Senza polemica, è necessario rendersi conto che, e lo dico anche come Presidente dell’Anef dove sto facendo un grande lavoro in questa direzione, impianti e ambiente non sono in contrasto né in contraddizione perché noi abbiamo bisogno degli impianti per valorizzare l’ambiente in cui siamo. Questo perenne contrasto che viviamo, tra impianti o insediamenti socioeconomici e parco è un grosso fattore limitante in molte occasioni; è l’antitesi allo sviluppo e a qualsiasi studio per la valorizzazione del territorio. Si deve anche tenere conto della sostenibilità socioeconomica legata al settore, in termini di personale dipendente e possibilità occupazionali.

Come si riesce a districare fra divieti e lassismo?
All’interno della mappa che copre quest’area, dalle Pale di San Martino al Lagorai, la mia azienda occupa un piccolo spazio urbanizzato che contribuisce e garantisce il sostentamento socioeconomico della valle. Qui non devono esserci sempre dei ‘no’, dei limiti e dei vincoli rigorosi a volte assurdi; detto questo, si comprende e si accetta la giusta tutela ambientale, arrivando ai corretti compromessi che permettano di vivere. Attaccarsi all’integralismo sul discorso del bacino sulla Tognola, che è un lago artificiale costruito tra la cabinovia, la Rododendro e le piste da sci, per me è inconcepibile. La rigidità ad oltranza è un grosso limite anche in molte altre situazioni. Ci vuole equilibrio nelle scelte e questo è il concetto che sta passando anche a livello nazionale.

Cosa significa per lei fare turismo?
Noi non vendiamo le funi, le cabine o le seggiole. La gente che sale lo fa perché c’è un panorama fantastico, porta i bambini per l’aria buona, perché va in un posto unico dove a piedi non potrebbe magari andare. Si sale per fare sport, per divertirsi, per rigenerarsi e quindi dobbiamo sviluppare il concetto in cui l’impianto serve a condurre in certe determinate e definite zone, persone che altrimenti non potrebbero godere la montagna. Senza questa possibilità, di chi sarebbe la montagna? Un privilegio esclusivo di pochi e questo non è democratico. Diventerebbe discriminatorio se si pensa ai disabili: noi facilitiamo loro l’accesso alla montagna e siamo contenti di poterlo fare. Non vogliamo una montagna d’èlite, di pochi alpinisti giovani e forti, immagine drammaticamente sbagliata. A mio nonno bastava aprire l’impianto, non si batteva neanche la pista e la gente arrivava in numeri esorbitanti. Oggi non basta mettere in funzione gli impianti, battere la neve e rendere tutto perfettamente agibile perché ciò che si deve offrire è un servizio completo, che siano le iniziative per i bambini o per gli snowboarder, o ancora manifestazioni ed eventi vari che rendano la vacanza allettante.

In Trentino e sulle piste di San Martino di Castrozza arrivano sciatori e amanti della montagna da ogni parte d’Italia e dall’estero. Qual è la situazione attuale?
Il punto che mi sta a cuore è questo: nelle altre valli del Trentino, operano all’interno di ciascuna imprenditori impiantistici che collaborano a un obiettivo comune, non necessariamente arrivando a costituire una società unica ma collaborando assieme al Consorzio Impianti. Fanno bene il loro mestiere con passione e totale dedizione, non come ripiego nei ritagli e spazi lasciati da mille altre attività. Io ho le mie idee su sviluppo, investimenti, modalità del procedere ma mi mancano gli interlocutori, da chi prepara un sano piano economico finanziario, a chi adotta tecniche gestionali diverse da quelle del passato. A me oggi manca un collega che qua faccia questo di mestiere, col quale collaborare per creare insieme ciò che fa la differenza.

 
Durante l’intera intervista, Valeria Ghezzi non ha smesso un solo attimo di parlare con autentica passione, quella stessa passione che lei augura a tutti gli imprenditori. Nel frattempo, il parcheggio alla partenza dell’Alpe Tognola si è riempito all’esaurimento, la gente scende dalle auto e si avvia con entusiasmo, sci e tavole da snowboard in spalla, per salire nella comoda funivia, verso quel piccolo lembo di paradiso dove trascorrerà una giornata indimenticabile.

Re-pop, le sonorità anni ’80 captate dai Radar

È sufficiente ascoltare le prime note di “Vegano no”, per riemergersi nel pop surreale e grottesco anni ’80 dei Radar, un viaggio nel tempo senza teletrasporto o distorsioni temporali.
Attenzione! Come ci ha insegnato “Back to the future”, il viaggio nel tempo può portare anche nel futuro, da qui il senso del titolo dell’album e del rinnovato sound dello storico gruppo veronese. A distanza di 34 anni dal loro primo disco i Radar tornano con la formazione composta da Nicola Salerno (fratello di Nini dei Gatti di Vicolo Miracoli), Gaetano Lonardi e Joyello Triolo.

La copertina del nuovo album

“No vegano” traccia la linea del disco, tra ironia e paradosso, cavalcando le pretese vegetariane di una morosa che vincola il matrimonio a insalate e cicoria. Meglio riempiere il piatto di salsicce, burrate e frittate, cibi che rendono più felici delle fidanzate intransigenti, alle quali non resta che pentirsi e riconvertirsi, ballando e muovendosi al ritmo di un fresco electro-pop.
“re-pop”, titolo volutamente in minuscolo, contiene dieci brani suonati con una timbrica particolare, ricca di contaminazioni, voci, fiati, percussioni, drum machine e qualche assolo quando serve. “Una cuoca calabra” completa la visione musicale con spunti jazz e pensieri improvvisati, un brano colorato che invoglia all’ascolto e a qualche passo di dance. “I formaggi di Lanzarote” alterna coro e fiati, mentre Cinzio, cuoco improvvisato, segue Master Chef spendendo una fortuna per cucinare il brasato. In “Grugy”, Zia Lina sembra casta ma poi si trasforma in qualcos’altro. Una melodia semplice, arrangiata con fiati e archi, aiuta a comprendere come la mente di un idiota abbia la profondità di un fiume.

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“James Carruba” si muove tra peperoni e valvole, una sorta di ballata surreale a ritmo sincopato, tanto di moda negli anni ottanta. Il riferimento alla musica di quel periodo non confina il disco nel revival, tutt’altro! Si tratta di un’esperienza arricchita da trent’anni di mestiere e dalla voglia di proporsi in una nuova veste, come in “Plastic People”, il cui testo è tratto da una poesia di Aldo Nove: “La plastica mentale elettorale, liberale. La plastica mentale esagonale, intestinale, macchinale, ombelicale…”.
Aldo Nove, nome d’arte del poeta e scrittore Antonello Satta Centanin, è considerato uno degli autori che chiude il secolo delle avanguardie (Atlante del Novecento italiano).
Nicola Salerno, fondatore dei Radar, così ha commentato il nuovo album: “È un caso divertente che il nostro ritorno coincida con un gruppo di tutt’altro genere, ma in qualche modo paragonabile a noi: Il Volo. Il confronto è buffissimo: loro sono giovani e noi siamo vecchi ma paradossalmente loro cantano canzoni antiche e sembrano cantanti cinquantenni, noi invece cerchiamo un linguaggio originale e più in sintonia coi tempi all’interno della musica elettronica “commerciale”, pur restando anagraficamente vecchi, non vogliamo fare i finti giovincelli, pietà. I tre del Volo hanno una tecnica vocale ineccepibile, noi siamo assolutamente ruspanti e imprecisi. Loro cantano col vibrato, con uno stile vocale anni ’60, lasciando spesso ampio spazio a virtuosismi, noi usiamo filtri, vocoder e Melodyne per alterare le voci qui e là. Non vibriamo quasi mai”.

 Lo stesso Salerno ha definito la musica dei Radar: “Il nostro genere è musica per grandi e piccini, spesso piacciamo anche ai bambini perché siamo sostanzialmente un gruppo giocoso”.
“re-pop” è un bel regalo anche per chi era “piccino” soltanto qualche mese fa e naturalmente per chi era “analogico” nel 1982, citazione tratta dal testo di “Sul Vesuvio”, brano attuale, nostalgico e lucido.

“Grugy” – Il video ufficiale

I Radar sono:
Nicola Salerno | Voce e Soundmaster
Joyello Triolo | Voce
Gaetano Lonardi | Voce
Parole, musiche e arrangiamenti di Nicola Salerno;
“James Carruba” e “Sul Vesuvio” parole di J. Triolo e N. Salerno;
“Plastic People” (N. Salerno – Antonello Centanin – N. Salerno), da una poesia di Aldo Nove

Game Over solo di nome, la trash-metal band ferrarese gira il mondo

di Fabio Rossi

“Crimes against reality” è il titolo del loro terzo recente album. Per i Game Over, band trash-metal ferrarese, si profila un nuovo successo. Il gruppo da tempo raccoglie significativi riscontri da parte di pubblico e critica ed è presente anche sulla scena internazionale, con tournée in Giappone e persino in Cina, dove pochissime band italiane si sono esibite. Luca Zironi, Alessandro Sansone, Anthony Dantone sono i componenti del gruppo, con Renato Chiccoli – bassista e canigo1tante – con il quale abbiamo scambiato quattro chiacchiere…

Quali gruppi avete preso come riferimento nell’idea iniziale del vostro progetto musicale?
Beh, chiaramente tutta la scena thrash metal americana degli anni ‘80, come Testament, Megadeth, i primissimi Metallica, Anthrax e Overkill. Con il tempo abbiamo iniziato ad inglobare sempre più l’influenza britannica; Iron Maiden in primis. In particolare, l’ultimo disco è quello che abbiamo scritto più a mente libera cercando di riprendere un po’ tutto quello che alla fine ci piace.
Quali sono i pezzi a cui siete più affezionati?
Per certi versi “Dawn Of The Dead” è uno di quelli a cui teniamo di più perchè generalmente chiude la scaletta della serata: è un must immancabile di ogni concerto e senza, lo show sarebbe in qualche modo evirato! Ci diverte molto anche a “Mountains Of Madness” perchè rappresenta il prototipo di quello che sarebbe stato il nostro percorso musicale, e per quanto riguarda l’ultimo album siamo molto affezionati anche a “With All That Is Left” perché è una delle canzoni più strane che abbiamo mai prodotto; è una ballata su cui abbiamo “scommesso” perché esce prepotentemente dalla nostra solita linea compositiva.
Secondo voi nel 2016, in Italia, è ancora possibile vivere di musica?
Per noi no! Forse, del nostro genere, solo i Rhapsody of Fire ed i Lacuna Coil, che si sono traferiti in America, ce la possono fare. Però se consideriamo “vivere di musica” più a trecentosessanta gradi, con lezioni o produzioni musicali allora si, potrebbe diventare possibile.
Se dovessi descrivere il vostro ultimo disco con 3 parole quali sarebbero?
Beh, la prima sarebbe “personale” perché stiamo cercando di prendere una direzione più distaccata dai clichè che a volte il genere impone, poi sicuramente “tamarro” perchè deve essere pacchiano ed ignorante! La terza parola potrebbe essere “eterogeneo” perché abbiamo cercato di fare suonare tutti i pezzi uno diverso dall’altro: ci sono alcuni pezzi che hanno un tiro più hardcore e ce n’è uno che invece incarna una melodia più orientaleggiante, oltre alla già citata ballad.
Le aspettative circa l’ultimo disco, sono state soddisfatte?
A sorpresa si! Pensavamo che molta più gente avrebbe storto il naso perché il disco è meno granitico e meno omogeneo dei precedenti, invece anche a livello di recensioni è andato molto bene sia in Italia che all’estero. Mi aspettavo che avrebbe più diviso quelli che già da tempo ci seguivano invece pare sia stata generalmente gradita la direzione che stiamo prendendo.
Astral Matter ha un’intro alla Kyuss, in che modo altri generi hanno influito nella scrittura del disco?
Si, come ti dicevo prima, abbiamo ripreso alcune sonorità “settantiane” e stoner/acide, ma anche solo lo stile dei Rainbow ricompare frequentemente, i Maiden, i Diamond Head, e poi ci sono le solite influenze Hardcore presenti fin dall’inizio; in particolare Sanso e Ziro (entrambi chitarristi nella band) sono “in fissa” con i gruppi Punk-Hardcore anni ’80, Vender, il batterista, ha la passione dei Toto, e quindi bene o male, tutte queste influenze vengono a galla, ed abbiamo lasciato che tutto venisse fuori.
Quanto tempo ci mettete all’incirca per comporre un pezzo?
Un casino! Troppo! Da quando abbiamo fatto uscire il disco, ancora non ne abbiamo scritto nessuno, perché in realtà lavoriamo bene solo quando qualcuno ci mette il fiato sul collo ed abbiamo delle scadenze da rispettare, perché siamo pigri. Metti però che se ci mettiamo sotto seriamente in un paio di settimane un pezzo viene fuori.
E’ importante il lavoro di gruppo o ognuno mette la sua parte per conto proprio e si prova cosa viene fuori?
Di solito qualcuno propone un riff, e poi tutti assieme ci si trova e ci si lavora sopra, cercando di vedere cosa ne viene fuori. Spesso e volentieri i pezzi sono il risultato di vari riff, magari originariamente sconnessi tra loro, che facciamo in modo di mettere assieme. Tutto ciò ovviamente, una volta che lo proviamo tra di noi magari non ci piace, o lo modifichiamo retroattivamente dopo aver “assemblato” il pezzo completo. Comunque si parte sempre dall’idea di qualcuno e come gruppo ci si lavora attorno assieme.
Com’è la scena musicale italiana locale, e com’è quella estera?
La scena italiana è sicuramente lo specchio di quella locale, adesso ci sono meno gruppi del nostro genere, qualche anno fa ce n’erano molti di più. Poi senza dubbio un problema che si ripercuote nell’ambiente musicale è quello di internet: oggi c’è troppa musica in giro e tutto è alla portata di tutti: chiunque può fare qualcosa e buttarlo in faccia al resto del mondo, rischiando di rendere satura la situazione e di dare meno spessore a ciò che vale veramente. Fortunatamente c’è stata una scrematura generale dei gruppi. E poi parliamoci chiaro, qui a Ferrara siamo in quattro gatti che vanno ai concerti, se ci metti che i locali non si organizzano a sufficienza per promuovere gli eventi e spesso ci si ritrova ad avere due o più concerti la stessa sera di genere simile, ecco che il pubblico che può venire a sentirti si restringe sempre più. All’estero invece, si va proprio per il gusto di andare a vedere un concerto: la musica è vista come intrattenimento. Nel Nord-Europa in particolare la mentalità è del tutto diversa; ci è capitato di suonare in palazzetti tra i primi gruppi di un festival, e la gente veniva a vederti proprio per scoprire qualcosa di nuovo.
Per finire: quale gruppo con cui avete condiviso serate secondo voi merita e consiglieresti di ascoltare di più?
Ci è capitato di suonare all’Headbangers in Germania, dove gli headliner erano gli Overkill, uno dei nostri gruppi preferiti di sempre, da commuoversi! Gli Exciter, con cui abbiamo suonato ad Osaka in Giappone sono uno un altro gruppo clamoroso!

 

Debito e moneta, le leve per sbloccare la crisi

Uno dei fenomeni più rilevanti degli ultimi decenni e che ha determinato la situazione attuale di crisi perdurante, sia in termini prettamente economici che anche di valori, è la privatizzazione dell’emissione monetaria con la quale si è sostituita la moneta con il debito. Cioè lo Stato ha rinunciato sempre di più al suo potere di emettere moneta e bilanciare così il rapporto tra i beni in circolazione e lo strumento per farli girare. Oggi siamo un po’ alle strette per cui potrebbe essere logico cominciare a fare un discorso inverso, cioè sostituire il debito con la moneta.
All’atto pratico quanto sta facendo la Bce di Draghi va in questa direzione, infatti sta comprando Btp, cioè debito degli Stati, dietro moneta che però non è direttamente destinata ad attività economiche reali e per questo non ce ne stiamo accorgendo più di tanto.
Questa operazione portata avanti per un certo numero di anni potrebbe persino portare alla sparizione dei debiti pubblici con conseguente fine dello stress a cui siamo sottoposti per rispettare uno dei parametri di Maastricht, Psc e Fiscal Compact ovvero che il debito pubblico di uno Stato deve essere compresso fino a raggiungere il 60% del rapporto con il Pil.
Considerando che la Bce, in realtà Bankitalia, sta ricomprando circa 8 miliardi di euro di debito pubblico sotto forma di Btp al mese che vuol dire poco meno di 100 miliardi all’anno e considerando ancora che i Btp da ricomprare sono circa 1.700 miliardi, possiamo facilmente calcolare che se questa operazione durasse 17 anni sparirebbe il nostro debito pubblico, quella parte diciamo così “pericolosa” per i motivi spiegati in uno dei miei ultimi articoli (la speculazione sui Btp).
In tutto questo per avere chiara la situazione bisogna considerare che una Banca Centrale non può finire i soldi, come ha detto lo stesso Draghi, ed è un’istituzione che può operare in negativo, senza obblighi, perché i soldi che crea non deve ridarli a nessuno.
Il punto è che se togli qualcosa senza immettere niente si è al punto di partenza. Convergere al 60% del debito pubblico o eliminarlo non crea di per sé più moneta e non aumenta la sua quantità in circolazione rimettendo in moto gli scambi, quindi ci sarebbe bisogno di spesa reale dello Stato, un abbattimento dell’altro parametro, quello del 3%.
E come riferimento ci dovrebbe essere la crescita e non il rapporto deficit-pil, crescita al 3% o al 6% al quale fare riferimento e quindi spendere fino a quando si raggiunga quel livello. Per ulteriore chiarezza, quando lo Stato commissiona un’opera pubblica immette moneta nel circuito perché paga quel lavoro, se abbassa l’Iva aumenta gli scambi con conseguente necessità di aumentare la produzione dei beni in circolazione e soprattutto lascia più moneta in circolo e quindi non frena lo sviluppo e l’economia in generale.
Togliendo debito si tolgono dalla circolazione anche un po’ di interessi sui quali contano i vari fondi e anche le famiglie che detengono titoli di Stato e in generale chi lavora su questo. Il tutto però sarebbe benefico per l’economia reale in generale grazie alla conseguente crescita e ad una migliore distribuzione del benessere non più legato al debito e agli interessi di pochi. Perché questo sia possibile, ovviamente, necessità di controllo e l’unico che possa farlo è uno Stato nel pieno delle sue funzioni, sovrano e che utilizzi democraticamente i suoi poteri nell’interesse generale.
In questo contesto probabilmente l’informazione sulle dinamiche macroeconomiche sarebbe di importanza basilare. I giornali dovrebbero amplificare al massimo tali informazioni, una su tutte: l’intervista a Mario Draghi in cui sorridendo ammette che la Bce non può finire i soldi (leggi). Ma anche quella in cui Ben Bernanke (Governatore Federal Reserve) ammette che per salvare l’Aig non si sono usati i soldi dei contribuenti ma si è semplicemente cliccato su un tasto (leggi), e poi Sir Marvin King (Governatore Banca Inghilterra) che informa che la maggior parte della moneta in circolazione è creata dalle banche commerciali, quindi moneta privata per scopi privati.
Tali informazioni dovrebbero trovare più spazio sui media in modo da creare consapevolezza rispetto a frasi del tipo: non ci sono soldi! e aiutare poi anche a comprendere che il problema è come è stato disegnato il sistema monetario attuale che dopo aver abbandonato come collaterale l’oro nel 1971, cioè dietro una moneta non c’è più oro ma aria fritta, ha cominciato ad usare come collaterale il debito.
Ogni moneta in circolazione rappresenta il debito di qualcuno e prima o poi deve ritornare alla base, per comprenderlo bisogna sempre guardare il sistema in grande, non al proprio portafoglio. Ragionare per un momento macro, in modo da spiegarsi il perché ci sono le crisi e perché la vita in fondo è tanto problematica. Capire il sistema nel suo insieme aiuta a migliorarlo mentre affrontare i problemi in maniera separata e parziale aiuta la confusione e a far sì che le crisi persistano.

L’eremita urbano che crea arte per esseri liberi

L’Umbria è una terra mistica e si sa. Qui, se ti lasci guidare da un’anima di sole, puoi ricevere un dono inaspettato: un mezzogiorno di gelo a Bevagna, nitida e decisa nel suo essere spirituale, dove, così come se niente fosse, incontri l’Arte. Non quella consueta e nota della tradizione, che puoi respirare a ogni passo in questa città alchemica. Piuttosto un’arte insolita, antica e moderna insieme, figlia di occhi e mani che sanno catturare il bello dovunque dimori.
Quella di Rinaldo Morosi, fotografo, poeta, pittore, performer, attore teatrale. O, in due parole, “Eremita urbano”, come si presenta sul profilo Facebook.
Morosi vive a Spello, dove è nato e ha iniziato la sua attività negli anni ’70 , è un autodidatta sotto la lente di critici e operatori del settore da tempo. Realizza mostre fotografiche, dipinge icone, partecipa a rassegne d’arte nazionali, crea installazioni e performance con materiali di risulta per teatri e antiche fabbriche dismesse, diventati luoghi della memoria. Questa intervista è una tappa alla scoperta del suo segreto di artista: la libertà di catturare la vita e crearne sempre una nuova.

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Rinaldo, che cos’è per te l’arte?
L’arte è qualcosa che ti nasce dentro, è l’anima che esce fuori e ti mette in contatto con quello che ti circonda, con l’universo che è attorno a te. Non so spiegartelo, è qualcosa di spirituale, che va oltre il pensiero e le parole. Non so come nasce. Ci sono periodi che tu stai lì a covare come una chioccia e poi all’improvviso nasce il pulcino. E’ un po’ così, è questo.

Da quanto tempo fai arte, dipingi, fotografi, crei?
Che ti devo dire… penso da sempre, la prima opera che ho dipinto è stato un coniglio, facevo la prima elementare. La maestra disse “guarda che bello, sembra vero”. Poi ho continuato da autodidatta, io non ho frequentato la scuola d’arte, ma la scuola alberghiera. Che poi se vuoi anche quella è arte: metti insieme degli alimenti e crei delle opere astratte.
La mia arte è figlia di città come Spoleto e Spello perché quando tu cammini nei vicoli medievali ti innamori di quello che vedi.
Io sono nato a Spello, in campagna, poi sono andato a scuola nel centro storico e ho avuto la fortuna di avere come maestro Antonio Ranocchia, uno scultore informale che realizzava sculture molto crude e ci faceva lavorare molto con la creta. Ranocchia ci portava a vedere il Pinturicchio alla cappella Baglioni ed ecco perché io realizzo le icone che hai visto prima. Mi è rimasta dentro l’arte antica, a me interessa quella degli inizi del ’400, non quella rinascimentale che è più figurativa. Gli artisti rinascimentali tolgono l’oro e dipingono le persone … oggi non c’è più bisogno di questo, c’è la macchina fotografica che le ritrae meglio.

rinaldo-opera-ruggineOltre a dipingere icone, tu crei opere con materiale di risulta, come nasce questa passione?
Mi ricordo che da ragazzino mettevo in tasca tutto quello che trovavo. L’ho raccontato anche nel libro “Orizzonti dall’astronave” , che ho scritto a quattro mani con Luana Brilli, raccontando la mia biografia artistica. La mia arte nasce dallo scarto del materiale di lavoro della vita quotidiana. Per qualche anno ho lavorato in un’officina e lì mi portavo sempre la macchina fotografica perché quando vedevo una macchia, una chiazza di ruggine, un pezzo di legno, una scritta, un pezzo di scarto di metallo o di ferro, lo prendevo e ci vedevo dentro altro. Messo vicino a uno straccio, trattato con una macchia di colore qualsiasi scarto risulta qualcosa di artistico, assume un senso che va oltre l’oggetto buttato là. Diventa ricco come se tu lo mettessi su un piedistallo, prende un’altra forma, gli dai slancio, potenza e quindi diventa un oggetto d’arte.
Quando lavoravo per le Ferrovie italiane vedevo nel piazzale della stazione i carri merci, i vagoni che camminavano nell’intervia, che si muovevano… quando erano fermi prendevo la macchina fotografica e imprigionavo nel fotogramma delle immagini. Poi la sera a casa lavoravo sulle fotografie e da questa esperienza nel 1982 è nata la mostra “Carro merci”, ad Assisi.

rinaldo-opera-scartoQuindi tu cammini per le strade, entri negli ambienti, vedi degli scarti e dentro ci vedi altro…
Si è così, è questo il processo che mi porta a creare. Poi con gli oggetti che trovo, in cui vedo qualcosa, realizzo delle installazioni come quelle messe sul palco del teatro Sacco di Perugia, dove recito anche, o quelle realizzate l’anno scorso in occasione della Giornata della Memoria ed esposte nella fabbrica di Ponte Felcino, un vecchio lanificio dell’800, ora abbandonato. Qui abbiamo realizzato vari set con artisti e attori. Le mie installazioni segnavano i diversi percorsi, dove gli spettatori venivano accompagnati ad assistere alle varie performances.

Quando tu crei che cosa provi?
Quando creo è come se generassi qualcosa. Io non sono un padre perché non ho avuto figli… creare è come dare alla luce una vita, liberarsi di qualcosa che hai dentro, non so dire bene che succede, è difficile spiegarlo. Non è come prendere del vimini e costruire un cesto o due tavole e costruire una cassetta. Lì hai già un progetto, hai tutto in testa e realizzi un oggetto. Io non seguo progetti quando creo, è un po’ come quando Michelangelo vedeva un blocco di marmo…già ci vedeva qualcosa dentro senza avere in mente un progetto.

morosiQual è il messaggio che vuoi dare con le tue opere d’arte?
Io non ho un messaggio da dare… mi ricordo una volta una signora, una contadina, che di fronte a una mia opera mi disse: “Io in queste macchie di colore non ci capisco niente, però mi entrano dentro”. Ecco l’arte è questo, è come se fosse una musica. C’è una musica, ti entra dentro e basta. Tu non conosci le note, non conosci l’opera però entra dentro di te. Davanti a un’opera d’arte non chiederti niente, lasciala liberamente entrare dentro di te. L’artista l’ha vista in un modo, per te è altro. Si possono spiegare le tecniche ma Alberto Burri non si spiega… se ti piace resti a vedere, se non ti piace vai via. L’arte è un messaggio di libertà, che dice a chi guarda un’opera lasciala entrare e con libertà assoluta senti se ti piace oppure no.

 

Per approfondimenti su Rinaldo Morosi:
https://m.facebook.com/RinaldoMorosi
Biografia artistica “Orizzonti dall’astronave” MEF-L’Autore Libri Firenze

 

Nelle cellule i segreti della vita

Perché alcune persone muoiono prima di altri? Cosa possiamo fare per rimanere sani e giovani, e vivere più a lungo o forse per sempre? Voi dite è impossibile. Quali nuove tecnologie sono in fase di sviluppo? Sarà l’uomo un giorno ad essere in grado di vivere per sempre, ad eccezione di incidenti rilevanti?
Queste sono le domande che inizialmente hanno stimolato il mio interesse.
Sappiamo che la cellula è l’unità fondamentale di tutti gli organismi viventi.
Milioni di cellule compongono la nostra pelle ed i nostri muscoli. Non importa quale organismo vivente esaminiamo, troveremo sempre che è composto di cellule. Tutti i processi biochimici di base si svolgono o iniziano nella cellula.
In gioventù durante il nostro periodo di crescita (fino a circa 18 anni di età), il numero di cellule di nuova formazione nel nostro corpo sono più numerosi della morte delle cellule. In giovane età adulta, da circa 18 a circa 25 anni di età, il numero di cellule di nuova formazione supera le cellule morenti. Nell’invecchiamento (dopo i 25 anni di età) il numero di cellule di nuova formazione è inferiore al numero di cellule che muoiono.
Degli esperimenti hanno dimostrato che molto tempo prima che le cellule cessano di riprodursi hanno mostrato alcuni cambiamenti nella loro struttura e nel funzionamento, come ad esempio una minore capacità di produrre energia, meno capacità di fare gli enzimi abbastanza rapidamente, e più materiali di scarto all’interno di ogni cellula.
Questi cambiamenti nella vita delle cellule svolgono un ruolo centrale nella espressione di invecchiamento del corpo, e provocare la morte del nucleo individuale prima tutte le sue cellule non riescono a dividere.
Personalmente penso che l’invecchiamento rappresenti una perdita di controllo sui vari processi corporei, e vi è anche una perdita di controllo a livello cellulare nel Dna di tali cellule.

Ci potrebbero essere CINQUE PRINCIPALI TEORIE DEL PERCHE’ invecchiamo:
1. L’ipotesi di errore
2. La teoria dei radicali liberi
3. La teoria Cross-linkage
4. L’ipotesi cerebrale
5. La teoria autoimmune

1. L’ipotesi di errore:
L’ipotesi di errore, o “invecchiamento per errore”, si riferisce agli errori che possono verificarsi nelle reazioni chimiche nella produzione di Dna, Rna, o proteine, perché il macchinario metabolico non è accurato al 100%. La morte cellulare può derivare da questi errori non riparati. Alcuni gerontologi attribuiscono questo errore ad una combinazione dei seguenti elementi: energia o fattori nutritivi insufficienti, o insufficiente rallentamento dei prodotti di scarto delle cellule.
2. La teoria dei radicali liberi:
La teoria dei radicali liberi si riferisce a molecole, che hanno una forte tendenza a collegarsi ad altre molecole, interferendo con il loro funzionamento. Essi sono prodotti da cellule che assistono il metabolismo, più comunemente nel “bruciare” gli zuccheri. A volte sono prodotte per caso se l’ossigeno, sempre presente nella cellula e altamente reattivo, si combina con molecole cellulari. I Radicali liberi incontrollati possono causare danni accumulati alle membrane nelle cellule circostanti e alle molecole cellulari di Dna e Rna. Sufficienti risultati danno nella eventuale morte della cellula.
Allo stato attuale la teoria dei radicali liberi viene caldamente indagato. La ricerca sui topi mostra che una riduzione del 40% nei risultati apporto calorico in un raddoppio della loro vita. Quando il cibo viene metabolizzato, i radicali liberi sono prodotti. I nostri corpi producono liberi “spugne” radicali che assorbono i radicali liberi, ma spesso non basta. L’ingestione di vitamine E e C sono particolarmente buoni assorbitori di radicali liberi.
3. La teoria Cross-linkage:
La teoria reticolazione afferma che l’invecchiamento degli organismi viventi è dovuta alla formazione occasionale, da reticolazione, di ponti tra le molecole proteiche nel Dna che non può essere rotto dagli enzimi di riparazione cellulare, interferendo nella produzione di RNA da DNA . Alla formazione di legami in proteine e Dna possono essere causati da molte sostanze chimiche normalmente presenti nelle cellule come risultato del metabolismo, e da comuni inquinanti quali piombo e fumo di tabacco.
4. L’ipotesi cervello:
Il cervello Ipotesi, o ripartizione del pacemaker cervello, si riferisce alla teoria che l’invecchiamento è dovuto ad un guasto nella omeostasi delle funzioni corporee – soprattutto nel controllo dell’ipotalamo sopra pituitaria – che a sua volta causa una rottura in controllo sul le ghiandole endocrine.
5. La teoria autoimmune:
La teoria autoimmune, proposto dal Dr. Roy Walford alla Ucla ipotizza che due tipi di globuli bianchi, B e T cellule del sistema immunitario si indeboliscono con l’età, e malfunzionanti. Cellule B perdono il loro vigore nei batteri attaccano, virus e cellule tumorali, e le cellule T perdono il loro vigore in attaccare le cellule estranee all’organismo, come le cellule tumorali e cellule trapianto. Quando B e T cellule malfunzionamenti, attaccano normali cellule sane del corpo.
L’ambiente influenza i nostri geni!

Fido, ti amo, ti estinguo

La battaglia contro i menù delle feste è sempre ancora in corso: carnivori contro vegetariani, il polpettone di nonna contro le ricette a base di soia e germogli. Ma se nel sentire comune alla convinzione che l’uomo sia onnivoro, e che di conseguenza la carne animale faccia naturalmente parte della sua dieta, si oppongono coloro che hanno scelto di essere vegetariano o vegano-abolizionista, abolendo parzialmente o totalmente il consumo di prodotti di origine animale, c’è chi è andato oltre.

“Non possiamo giustificare l’uso dei non umani come risorse più di quanto non possiamo giustificare la schiavitù ” afferma Gary Francione nel suo libro “The abolitionist approach” nel quale afferma che pur avendo il compito morale di occuparci dei nostri animali domestici finché sono in vita, dobbiamo fare in modo che l’ addomesticamento non esista più perché “moralmente inaccettabile”.
Qui la discussione si sposta dalla semplice tutela degli animali e coinvolge anche coloro che si dedicano a curare, nutrire e vezzeggiare i propri animali domestici: “Io amo i miei cani, ma questo non è il loro posto” sostiene Francione.

Gary Lawrence Francione è un attivista, accademico e filosofo statunitense e uno dei principali esponenti del movimento dei diritti animali, conosciuto in particolare per le sue idee abolizioniste e le sue critiche al protezionismo animalista. Insieme alla collega e compagna Anna E. Charlton ha tenuto il primo corso sui diritti animali in una università di giurisprudenza nel quale ha diffuso quella che per lui é una verità incontestabile: gli animali sono esseri senzienti, “soggetti di una vita” come dice il filosofo Tom Regan: esseri coscienti titolari di una coscienza e di una vita emotiva e come tali titolari di pari dignità rispetto agli uomini.
In quest’ottica l’addomesticamento degli animali da parte dell’ uomo è una prevaricazione immorale tra pari esattamente come la schiavitù, e non importa se l’animale sia trattato nel miglior modo possibile: il rapporto uomo – animale non sarà mai paritario e quindi non “naturale” e “sano” .

Afferma Gary Francione: “L’addomesticamento solleva seri problemi morali indipendentemente da come vengono trattati gli animali non-umani coinvolti. Questo perché gli animali domestici sono completamente dipendenti dagli esseri umani in ogni aspetto della loro vita”. L’immoralità per Francione é proprio questa: aver voluto creare degli esseri innaturali in tutto assoggettati al volere dell’uomo “siamo noi decidere se e quando gli animali addomesticato addomesticati devono mangiare, bere, urinarie, dormire, muoversi. Restano sempre nel limbo della vulnerabilità (…) li abbiamo allevati perché siano obbedienti e servili o perché abbiano caratteristiche dannose per loro”, afferma il filosofo trinceandosi dietro le proprie convinzioni alle tante critiche che gli vengono mosse.
A chi gli fa notare che il concetto di dipendenza è intrinseco anche nei rapporti umani e che ci sono degli oggettivi aspetti positivi dell’ addomesticamento (basti pensare alle tante attività di soccorso e aiuto in cui sono impiegati i cani) Francione ribatte che la dipendenza presuppone una scelta, cosa che è negata agli animali addomesticati che “non fanno parte né del mondo non umano né completamente di quello umano”.

Indubbiamente la posizione di Francione è di quelle che fa discutere, e sono in tanti i suoi detrattori, ma catalogare le sue affermazioni come quelle di un filosofo un po’ eccentrico sarebbe riduttivo.
Di sicuro c’è il fatto che l’addomesticamento animale, dal punto di vista ambientale è una catastrofe: secondo i dati diramato dalla Fao i pascoli occupano il 26% della superficie terrestre libera dai ghiacci e la produzione dei mangimi occupa il 33% della produzione agricola. Inoltre il 36% della produzione mondiale di cereali viene impiegato per nutrire gli animali da carne e da latte: se si considera che solo negli Stati Uniti, ogni anno, 3 milioni di capre e 90 milioni di mucche l’idea dell’ impatto che tutto questo ha sull’ambiente diventa più chiaro.

In un mondo giusto per Francione “non ci sarebbero animali domestici, non campi pieni di maiali, mucche o galline ovaiole. Non ci sarebbero zoo o acquari”. Rimarrebbe fermo il nostro dovere morale di accudire, nel miglior modo possibile, i nostri animali domestici ma adottando tutte le precauzioni affinché il loro addomesticamento abbia fine con la loro graduale estinzione.
Il problema dello sfruttamento ambientale incombe su di noi e sulle generazioni future ma quanti siamo pronti a sacrificare i nostri ” animali-non umani” domestici per questo?

The Americans: la guerra fredda dei Jennings alle altre serie tv

Le serie Tv hanno riportato alla luce, nell’immaginazione degli spettatori e nella fantasia degli sceneggiatori, la voglia di raccontare storie di mondi distopici ma anche talmente veri da poter essere considerati a tutti gli effetti geniali. Si parla di cyberspazio, crimine, storia, fantasy e anche, perché no, di fatti realmente accaduti, o quasi.

Una delle serie più acclamate in USA e nel resto del mondo è stata la recente The Americans, attualmente disponibile sulla piattaforma Netflix. Come si legge da Wikipedia la serie “ideata da Joe Weisberg, segue le vicende di una coppia di agenti del direttorato sovietico operante all’interno degli Stati Uniti negli anni ottanta, durante la guerra fredda. Ha ricevuto una positiva accoglienza da parte della critica, venendo candidata a importanti riconoscimenti tra cui i premi Emmy, i Saturn Award, i Writers Guild of America Award e i Satellite Award”. Ma non è tutto, considerando che al termine della prima stagione, lo scrittore Stephen King – di certo un veterano esperto in fatto di suspance -, ha definito The Americans come la miglior serie TV del 2013.

Per entrare nello specifico: di cosa parla The Americans? La sua trama narra di vicende estremamente verosimili o vicine alla realtà. Joe Weisberg, il regista è da sempre un grande appassionato di spionaggio, tra il 1990 e il 1994 alle dipendenze della CIA, prese spunto per la creazione della serie dai risultati conseguiti nel 2010 dall’indagine dell’FBI denominata Operation Ghost Stories, che aveva portato alla scoperta negli Stati Uniti di una rete di spie dormienti russe soprannominata Illegals Program. All’interno dei vari episodi si svela lentamente un mondo in piena guerra fredda in cui si avvicendano storie misteriose e ricche di azione, i cui attori sono per lo più appartenenti ad alcune organizzazioni internazionali segrete come il famigerato KGB, il GRU (Servizio Segreto Militare Sovietico), la CIA, il Mossad israeliano e l’FBI.

I protagonisti della storia, sono Philip ed Elizabeth Jennings, due agenti del KGB, membri del direttorato S che riunisce le spie russe attive sotto copertura, illegalmente, all’estero. Dopo un severo addestramento in URSS i due furono inviati in USA con l’ordine di fingersi una reale coppia americana. È qui che la situazione inizia a complicarsi, i Jennings col passare del tempo iniziano a provare sentimenti veri reciprocamente e allo stesso tempo sono condizionati dal dover svolgere compiti sempre più rischiosi per l’acuirsi della guerra di nervi tra le due superpotenze. Da un punto di vista “politico” però Philip sembra riuscire ad ammorbidirsi nei confronti della sua nuova patria, mentre Elizabeth è costante nel rimanere una fervente sostenitrice della “madre Russia”. La coppia ha anche due figli, Paige ed Henry che però tutto sembrano tranne che discendenti di una coppia sovietica. A complicare le cose ci si mette poi anche un nuovo insospettabile vicino di casa, l’agente Beeman, funzionario FBI destinato ad indagare sulle attività del direttorato S.

The Americans è importante perché è una serie Tv che riesce a fare luce su tanti aspetti finora poco noti al grande pubblico della “guerra fredda”, del governo Reagan, Breznev e non solo. In essa sono presenti termini ormai caduti in disuso che però, all’epoca dei fatti, erano sulle cronache di tutti i quotidiani e che ora nelle cronache destinate alle scuole sembrano essere fin troppo lontani. Prendiamo ad esempio in esame il KGB (Comitato per la sicurezza dello Stato), come descritto nei vari episodi della serie, i cosiddetti residenti legali, erano spie che operavano in un paese straniero sotto copertura diplomatica. Questi erano membri ufficiali del personale consiliare (addetti commerciali, culturali, militari) e quindi godevano della immunità diplomatica che consentiva loro di non essere arrestati né processati nel paese ospitante anche nel caso in cui fossero stati sospettati di spionaggio. La Residentura, cioè la base di spionaggio russa, aveva la responsabilità di rimpatriare il personale non idoneo o, come accade anche nella serie tv, quando le spie venivano scoperte e il loro ruolo compromesso. La Residentura aveva molte sedi, ognuna di esse guidata da un comandante chiamato Direttorato (in The Americans è Arkady Ivanovich Zotov) che svolgeva le stesse funzioni dei capi sezione della CIA. Fu tramite abili mosse da parte dei dirigenti di ambo le parti che furono scongiurate situazioni di crisi geopolitiche che avrebbero potuto sfociare nella terza guerra mondiale.

Nel telefilm si parla molto spesso di armamento bellico nucleare e misteriosi progetti spaziali la cui scoperta viene sotterrata da repentine mosse di spionaggio e controspionaggio che vanificano ogni sforzo in tale direzione. Le vicende dei Jennings sarebbero state verosimili in diverse parti del mondo poiché ogni capitale occidentale facente parte della NATO era sede di ambasciate tra cui anche una Residentura. Non è un caso che proprio una sede sovietica come quella di Londra salì alle cronache e fu teatro della fuga di un nome di spicco del KGB, il colonnello Oleg Gordievsky, ricercato per alto tradimento per aver spiato per conto della CIA, ma sfuggito al processo e alla condanna a morte grazie all’M16, il servizio segreto britannico. Ogni “base” della Residentura nel mondo aveva sottogruppi con ruoli precisi ad esempio il PR Line, il KR Line, la Linea X, N e i Riservisti Speciali. Tutte queste sezioni fornivano supporto agli infiltrati che in genere prendevano l’identità di persone scomparse o decedute e conducevano una vita da cittadini del paese ospitante, talvolta con un una famiglia, dei figli e dei colleghi del tutto inconsapevoli. Al momento

The Americans è in onda in Italia con la quarta stagione, ne mancano ancora due alla parola fine messa dai produttori, nonostante il grande successo di critica e pubblico. A colpire e a renderlo diverso da tantissimi altri sceneggiati proposti negli ultimi anni è proprio l’ambiziosa ricostruzione storica in ogni dettaglio di un’epoca come quella degli anni ’80 che solo ultimamente è tornata di moda, escludendo di certo l’insolito “inenarrabile” teatro della guerra fredda. Se vi capita di vederlo, sicuramente vi capiterà di voler approfondire i temi in esso nascosti e qui avrete un piccolo punto di partenza per iniziare la vostra esplorazione, osservate poi attentamente i costumi, ascoltate la colonna sonora, assecondate i gesti, vi troverete immersi, come spie, in un mondo diversissimo ma non mai troppo lontano.

Il soldato e il terrorista. Una condanna che fa discutere nella polveriera di Hebron

L’opinione pubblica israeliana in questi giorni si trova drammaticamente spaccata in due a causa della condanna per omicidio colposo nei confronti del giovane soldato, oggi ventenne, Azarya Elor, decretata dalla corte marziale militare israeliana. Una condanna che fa discutere, anche perché, all’epoca dei terribili avvenimenti di Hebron (24 marzo 2016), il giovane soldato aveva solamente 19 anni e, trovandosi nel mezzo di un attentato in cui due militari suoi amici venivano accoltellati e ridotti in fin di vita, non ha esitato a sparare alla testa uccidendo il terrorista palestinese, seppur già ferito e a terra. I dubbi sulla condanna riguardano il fatto che il terrorista, nonostante gli fosse stato ordinato di non muoversi, secondo le ricostruzioni continuava a farlo destando timori sulle sue intenzioni: se avesse attivato un giubbotto esplosivo causando una carneficina? Tutti gli ufficiali presenti sulla scena hanno testimoniato a favore del giovane Azarya. Perché non si è voluto tener conto del fatto che le procedure – nel caso di un terrorista sospettato di indossare una cintura esplosiva –  indicano di sparare alla testa se questo si muove o muove una mano?
Ma la giustizia israeliana ha voluto da prova di imparzialità, in un paese in cui vige lo stato di diritto retto da una magistratura indipendente, in cui anche Presidenti e i Primi Ministri vengono condannati alla galera. Resta il fatto che, a giudizio della maggior parte delle opinioni pubbliche, sia israeliane che italiane, questa condanna inflitta al giovane soldato è eccessiva.

Michael Sfaradi, giornalista e scrittore, italiano di nascita ma residente in Israele da oltre 30 anni, spesso impegnato come corrispondente di guerra, in un’intervista ad un giornale svizzero afferma: “…Serviva un colpevole e un colpevole è stato servito senza attenuanti. Come attenuante non è servita la giovane età dell’imputato in servizio di leva messo in una situazione di ordine pubblico che sarebbe stato invece compito della polizia.”

Sul web fanno eco altri commenti: Silvia: “L’unico Stato al mondo dove un soldato che uccide un terrorista viene processato e condannato! Non ho parole”. Aldo:”Come si può condannare un ragazzo di 18/19 anni, che probabilmente era emozionalmente instabile… Sono dei giovani, non dei professionisti. Non è giusto, la sua condanna è surreale. Non tutti riescono a mantenere sangue freddo in condizioni di emergenza, e lui è ancora un ragazzo”. Anna:” Quando penso ai palestinesi che offrono caramelle e cioccolatini ogni volta che uccidono un ebreo mentre Israele condanna un giovane diciottenne che ha svolto il suo dovere di soldato…queste sono le contraddizioni che non capisco e che mi fanno saltare i nervi”. Non è possibile non criticare certa stampa e Tg italiani che sull’uccisione del terrorista palestinese lo descrivono: “sdraiato a terra”. Non stava prendendo il sole, aveva appena compiuto un attentato. Gabriella:” Dire che era un terrorista era superfluo? Questi “giornalisti” diffusori di notizie che divulgano mezze verità”. Anna:” Non è conveniente scrivere la verità. Tutta la notizia in fondo era per ricordare agli italiani i cattivi soldati israeliani che ammazzano i poveri pacifici palestinesi! E’ preferibile non leggere più certa stampa”.

E proprio mentre sto per terminare questo articolo, apprendo la terribile notizia di un ennesimo attentato a Gerusalemme compiuto da un terrorista palestinese che, alla guida di un camion ha volutamente investito e ucciso quattro soldati tutti giovanissimi, appena ventenni. Tre di loro erano soldatesse. Il criminale palestinese, ha poi ingranato la retromarcia passando diverse volte sui poveri corpi, marciando avanti e indietro.
Il sangue versato oggi possiamo metterlo in relazione con i fatti accaduti e illustrati in questo articolo perché i soldati presenti oggi a Gerusalemme, si sono dimostrati talmente intimoriti da quella sentenza che hanno esitato a sparare… E’ stato un civile, l’unico che ha sparato e ucciso il terrorista alla guida del camion. Le decine di soldati presenti non hanno sparato un solo colpo. Questo è il tragico effetto della condanna inflitta al giovane soldato Azarya.