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Giorno: 15 Gennaio 2017

L’INTERVENTO
Senza vie d’uscita

Da: Gianni Belletti

di Gianni Belletti, responsabile Comunità Emmaus S.Nicolò – Ferrara

Partiamo dalla conclusione: la libera circolazione delle persone non conviene a chi può sfruttare la mano d’opera a basso costo che si può facilmente reperire dallo Sri Lanka al Bangladesh, dal Kenya alla Cina.

Non conviene neanche a chi compra i prodotti finali ottenuti con quella mano d’opera.
Se il costo di un operaio tessile negli USA è di circa 20 dollari l’ora, nei paesi suddetti siamo attorno ai 50 centesimi l’ora.
Chi sfrutta questa differenza, sia l’imprenditore o il consumatore finale, non ha interesse naturalmente che il lavoratore cingalese abbia la possibilità di spostarsi negli USA per aspirare ad un salario più alto. A meno che quello stesso lavoratore ci possa arrivare illegalmente negli USA e possa quindi prestarsi al lavoro nero, forzando al ribasso il salario legale.

La libera circolazione delle persone nel mondo, quindi, è ‘fuori discussione’ perché darebbe fastidio in questo senso, a chi coltiva un certo titpo di interessi.
La versione che i media e la gran parte dei politici ci propinano però è differente: lo scontro di civiltà e la guerra di religione sottendono al bombardamento quotidiano a cui siamo sottoposti.

Mi permetto di proporre una angolo di lettura diverso, con la speranza di far trapelare uno spiraglio di luce non colto.
Vorrei fare due premesse per essere certi di parlare la stessa lingua:
1 – Viviamo in un apartheid globalizzato: nel mondo, circa un quinto della popolazione, fra cui noi italiani, può spostarsi praticamente liberamente e andare dove vuole, quando vuole. Gli altri quattro quinti (80%) non lo possono fare.
2 – Il migrante non è né un potenziale delinquente, né un potenziale deficiente. Se la pensiamo come Orban, il premier ungherese, che un anno fa dichiarò che tutti i migranti sono terroristi, allora non possiamo dialogare.

Il punto di partenza dovrebbe sempre essere la “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”, scritta nel 1948, da donne e uomini che uscivano da due guerre spaventose: ebbene hanno scritto un testo bellissimo, un vademecum per l’umanità, cercando di raccogliere tutte le precauzioni da mettere in pratica se si vuole tutelare la collettività umana e la casa che la ospita.
In particolare gli articoli 13 e 14 ci ricordano che la libera circolazione delle persone nel mondo deve essere una priorità. Addirittura l’articolo 15 suggerisce il diritto di cittadinanza… fantascienza oggi per noi, ma realtà, per esempio in Argentina.

Bene, alla luce di questi presupposti stiamo assistendo a due follie.

La prima: l’unica possibilità che ha uno straniero (appartenente ai quattro quinti di cui sopra) di entrare legalmente nell’Unione Europea e in Italia, oggi, è di fare domanda di asilo politico, anche se proviene da un paese in cui non c’è dittatura, in cui non rischia la vita, in cui non ci sono carestie o pestilenze particolari.
Questa condizione ha prodotto 470.000 ingressi illegali nel nostro territorio in tre anni, 170.000 domande di asilo politico (ma i dati andrebbero aggiornati quasi quotidianamente).
Vi lascio immaginare cosa vuole dire organizzare un’audizione per un richiedente asilo: la Convenzione di Ginevra giustamente stabilisce dei passi da compiere per rispondere adeguatamente a una simile richiesta. Così, ad oggi, siamo a tempi di attesa che superano i due anni , considerando sia la prima audizione che l’eventuale ricorso.
Tra parentesi, come alternative al diniego, il richiedente asilo ha due possibilità nell’ambito dell’UE: ottenere lo status di rifugiato politico (perché viene provato che è direttamente coinvolto in dinamiche che mettono a repentaglio la sua vita), oppure ottenere la “protezione sussidiaria” (in quanto coinvolto indirettamente nel rischio, per essere, per esempio, un familiare, un amico, un collega della persona veramente a rischio).
L’Italia per fortuna ricorre ad una terza via, la “protezione umanitaria” per tutti quei casi al limite, ai quali non sapremmo dare, come società civile, una collocazione diversa.

La seconda follia è che oggi facciamo gestire questa permanenza ai privati. Siamo talmente manipolati dal punto di vista informativo che siamo convinti che lo Stato non sia assolutamente in grado di gestire direttamente tutte quelle situazioni che riguardano il benessere dei propri cittadini.
Non voglio dire che lo Stato opera sempre al meglio, ma voglio affermare che in certi ambiti il privato è bene che non entri e non ci possa lucrare sopra, quindi a mio avviso non ci dovrebbero essere alternative alla gestione pubblica. Oggi li chiamano “beni comuni”, più o meno impropriamente. I migranti sono un “bene comune”.
Ora se la gestione dei migranti la affidiamo alla Caritas, a Viale K, ad altre associazioni o cooperative sane, siamo sicuri che non c’è nessun profitto. Purtroppo non lo possiamo sempre supporre e tanta “cronaca nera” degli ultimi tempi lo ha dimostrato.
Per ogni richiedente asilo lo Stato garantisce 35 euro al giorno, di cui 3 vanno direttamente alla persona, e gli altri servono per organizzare la sua permanenza quotidiana.

Sociologi importanti in Italia e nel mondo tentano faticosamente di veicolare alternative a questo modo di gestire la spinta migratoria verso quei paesi dell’un quinto della popolazione mondiale a cui accennavamo sopra.
Potenziamo le nostre delegazioni nel mondo, emettiamo visti di ingresso temporanei, condizionati a caparre, collegati a persone già presenti nel nostro territorio, permettiamo viaggi sicuri, legali, agli stessi nostri prezzi; diamo altre opportunità di entrare legalmente nel nostro territorio ed eventualmente, di lavorare nel rispetto della legalità.

Non ci sono alternative né vie d’uscita: dobbiamo mettere in condizione tutte le persone del mondo di muoversi liberamente. Dobbiamo dare l’opportunità a chiunque di venire nel nostro territorio, naturalmente con delle condizioni e con modalità che non diano spazio alla illegalità, al traffico ed allo sfruttamento di chi aspira legittimamente ad una vita migliore.

Non dimentichiamo che, negli ultimi 3 anni, sono più di 100 mila i nostri ragazzi con meno di 25 anni che hanno espatriato per cercare un lavoro e una opportunità che stiamo negando loro in Italia. Come genitori ci dispiace che vadano via, ma allo stesso tempo siamo contenti che possano trovare, da qualche parte, uno spazio dove affermarsi.

Ebbene, possiamo ancora pensare due pesi e due misure?

Saggio di chitarra lunedì 16 gennaio alla Boiardo

Da: Istituto Comprensivo 2

Nuovo appuntamento con l’Indirizzo Musicale, lunedì’ 16 gennaio alle 17 alla Boiardo. Nella sede di via Benvenuto Tisi 1 suoneranno gli allievi di chitarra del maestro Giulio Arnofi. Chiara Zanella, Diletta Banzi, Simone Conti, Tommaso Orti, Pablo Piattella Sanz, Vittorio Platon, Emilia Cipriano, Alessandra Brugiapaglia, Vittoria Salvadori, Francesca Malagù, Paula Andreea Cucu, Emma Buzzoni, Cristea Angelica Cordova, Luca Ranaldi, Luigi Trilli, Lorenzo Padricelli, Mario Xu, Andrea Bocchi, Nico Gelli, Federico Dall’Olio, Margherita Garbuglia, Claudia Petrini, Bianca Rizzi e Andrea Zucconi eseguiranno brani didattici di vari autori e, tra gli altri, Studi di Carulli e Leo Brower.

Il Museo Universale. Dal sogno di Napoleone a Canova

di Maria Paola Forlani

La mostra – allestita fino al 12 marzo 2017 alle Scuderie del Quirinale – racconta tutte le fasi di un importante pezzo di storia del nostro paese attraverso autentici capolavori provenienti dalle migliori collezioni italiane: da Raffaello a Tiziano, da Carracci a Guido Reni, da Tintoretto a Canova. Ventotto agosto 1815: lo scultore Antonio Canova arriva a Parigi per restituire all’Italia i beni artistici sottratti da Napoleone in seguito al trattato di Tolentino del 1797. Dopo mesi di trattative, tra la fine del 1815 e il 1816, alcune delle opere rientrano in patria, dopo avventurosi viaggi via terra o via mare. Un ritorno il più delle volte accolto dalla popolazione in festa. Da questo momento l’Italia avrà quindi una coscienza sempre più forte del valore del suo patrimonio, ponendosi il problema della sua conservazione e della sua valorizzazione in modo sempre consapevole.

Sono passati 200 anni da quello straordinario ritorno a casa. Oggi l’avventura che vede in Europa un grande movimento di quadri e sculture, diretti prima a Parigi e poi in quegli stessi luoghi da cui erano stati trafugati, è raccontata, per quel che riguarda l’Italia, in un affascinante mostra intitolata “Il Museo Universale. Dal sogno di Napoleone a Canova” a cura di Valter Curzi, Carolina Brook e Claudio Parisi Presicce. Il primo piano del palazzo è occupato da alcune delle opere scelte dalle commissioni mandate da Napoleone nello Stato Pontificio, per decidere quali capolavori avrebbero potuto far parte del suo museo ideale, il nascente Louvre. Tutte rientrate dopo l’intervento di Canova.

L’imperatore aveva un gusto ben preciso e non portava via niente che non fosse di qualità eccellente. Sceglieva con grande sapienza il suo bottino di guerra, o meglio di pace – perché era all’interno degli accordi che definivano la fine delle ostilità, che con grande furbizia, si “legalizzava” il furto. Quindi molti dei prestiti ottenuti in questa mostra sono di straordinaria bellezza. Lo si vede dall’incipit, che vede La strage degli innocenti di Guido Reni, artista molto amato (e dunque molto sottratto). Il dilemma del Reni consiste nel <<desiderio in lui acutissimo, di una bellezza antica, ma che racchiuda un’anima cristiana>> (Longhi). Egli torna all’ideale di bellezza assoluta del rinascimento, che, a sua volta, ha la sua più lontana origine non nel classicismo greco ma in quello romano, e che permane anche nel Seicento, trovando la sua formulazione nelle parole del teorico Giovanni Pietro Bellori, il quale, nella seconda metà del secolo, scriverà che, essendo gli oggetti creati dalla natura sempre imperfetti, << li nobili pittori…si formano … nella mente un esempio di bellezza superiore, ed in esso riguardando emendano la Natura >> (1672).

Accanto a Reni appare un gesso del Lacoonte. L’opera, che Plinio vide nel palazzo dell’imperatore Tito, venne alla luce, nella primavera del 1506, nelle rovine delle cosiddette Terme di Tito, sull’Esquilino a Roma. Secondo il mito, Lacoonte, sacerdote di Apollo, fu uno dei pochi che, diffidando del cavallo di legno lasciato dai greci sotto le mura di Troia, cercò di dissuadere i troiani dal portarlo dentro la città. Due serpenti, venuti dal mare, lo aggrediscono, mentre compiva sacrifici in onore di Poséidon, e lo stritolarono insieme ai due figli. Studi recenti sembrano dimostrare che i tre autori, Aghesàndro, Polydòro, Athenodoro, sarebbero eccellenti copisti dell’età di Tiberio e che l’originale sarebbe stato realizzato in bronzo. Riproposto in mostra in un calco del XIX secolo proveniente dai Musei Vaticani, aveva significato l’irrompere di un’antichità da cui non era escluso il pathos, la drammatizzazione dell’avvenimento. Ed ecco che, secoli dopo, questo contorcersi di braccia e di muscoli, arriva fino alla figura sul fondo del dipinto di Reni, quell’uomo che tira i capelli di una madre in fuga per difendere il suo bambino. La strage di Reni giunge a Parigi da Bologna nel 1896, il Lacoonte fu trasportato su carro con 12 bufali al traino e arrivò in Francia con un vero e proprio corteo trionfale.

Il mondo classico consentiva a Napoleone di considerarsi parte di quella storia, di autoincoronarsi erede dell’antica Roma. A Parigi arriva quasi al completo ciò che aveva realizzato Raffaello. Sono i francesi a far nascere il mito dell’artista. Basti pensare a Ingres che lo considerava il più grande di tutti. Qui c’è un capolavoro come il Ritratto di Leone X con il cardinale Giulio de’ Rossi accanto ad una bella copia della Deposizione della Galleria Borghese, eseguita dal Cavalier d’Arpino. In questo caso non era stato trafugato l’originale perché il principe Borghese era cognato di Napoleone, ma anche perché per 13 milioni l’imperatore si era accaparrato – e per sempre – la sua meravigliosa collezione di marmi antichi. Nel frattempo, perché fosse dichiarata la sua origine culturale, si era portato a Parigi anche la Venere Capitolina e il Giove di Otricoli, altri due pezzi importanti dell’esposizione delle Scuderie.

Accanto alla pittura “ideale” bolognese di Reni, Carracci, Guercino, Domenichino, Albani presentati in mostra con pale d’altare di grande impatto e intensità, nel museo universale di Napoleone, quello in cui tutta l’Europa avrebbe dovuto identificarsi, non poteva mancare il colore della scuola veneziana: ecco l’agitazione di Tintoretto, la luce di Tiziano e la bellezza cromatica di Veronese. Al piano di sopra delle Scuderie c’è la seconda puntata di questa storia, ovvero l’Italia che si accorge che il suo patrimonio ha valore civico. Con le opere già conservate nei depositi, dopo la soppressione degli ordini religiosi e con quelle rientrate si pensano ai musei come luoghi identitari.

Tra i capolavori di queste sale ecco la Madonna con il Bambino di Cima da Conegliano, la Lastra sepolcrale di Guidarello Guidarelli realizzata da Tullio Lombardi nel 1525: un prestito importante, non era mai uscita dal Museo della città di Ravenna. Al centro della sala del secondo piano troneggia la Venere Italica di Canova che nell’intento dello scultore doveva onorare il genio dell’Italia. Vicino alla splendida scultura, come chiusura della mostra, troviamo un’opera particolare e suggestiva, il dipinto di Hayez dove l’Italia non ha le sembianze di una divinità, ma quelle di una fanciulla del popolo. Bella e con lo sguardo fiero, ma oltraggiata. Un’allegoria della nazione dolente dopo i fatti del 1848 e che invita ad una profonda riflessione ancora oggi.

Lacoonte
Deposizione
Venere
Ritratto di Leone X
Dipinto di Hayez
Venere
Testa di Giove
Lastra sepolcrale di Guidarello Guidarelli
Lacoonte
Lastra sepolcrale di Guidarello Guidarelli

Il Comune di Comacchio alla più grande fiera per il turismo in Europa

Da: Comune di Comacchio

Il Comune di Comacchio alla CMT di Stoccarda, la più grande fiera per il turismo in Europa

240.000 visitatori attesi, oltre 2.000 espositori provenienti da circa 100 paesi in tutto il mondo. Sono solo alcuni dei numeri del CMT di Stoccarda, la più grande fiera in Europa per il turismo e il tempo libero, che ha inaugurato ieri (sabato 14 gennaio) e si protrarrà fino a domenica 22.
Una vetrina di straordinaria importanza dedicata all’offerta turistica, con tour operator e enti territoriali presenti per far conoscere destinazioni e territori. Come successo anche per la fiera Vakantiebeurs di Utrecht, che chiuderà i battenti nella giornata di oggi (domenica 15 gennaio), il Comune di Comacchio coordina la presenza degli operatori dell’Emilia Romagna, con un proprio stand interamente brandizzato di 36 mq, nell’ambito del progetto di promo-commercializzazione “Vacanze Natura”, realizzato in collaborazione con Apt Servizi Emilia Romagna, Provincia e Camera di Commercio di Ferrara.
Una quindicina gli operatori presenti, tra i quali anche alcuni di Rosolina Mare, con postazioni personalizzate per promuovere le proprie strutture o incontrare tour operator ed agenzie di viaggio. Come accaduto, poi, anche lo scorso anno, si rinnova la proficua collaborazione con l’Istituto scolastico superiore “Remo Brindisi” di Lido degli Estensi, con la presenza allo stand di 6 ragazzi, accompagnati dai professori Andrea Piccoli e Giorgia Legato, che proporranno per tutti i giorni della fiera degustazioni a base di prodotti enogastronomici del territorio.
Per il Comune di Comacchio, dunque, un’ottima occasione per diffondere sempre di più la conoscenza della sua ricca offerta turistica, promuovendosi in un paese di importanza strategica per il proprio mercato, come affermato anche dall’Assessore al Turismo del Comune di Comacchio Sergio Provasi, presente in fiera: “Le previsioni positive del mercato tedesco si confermano con lo straordinario afflusso registrato oggi; la presenza di numerosi operatori del territorio comacchiese e della prossima Destinazione Turistica sono un punto di riferimento nella più importante fiera del settore turistico in Germania”.

Donne nella guerra per la rassegna Donna & Arte

Da: Organizzatori

Fabrizia Amaini presenta Sopravvissi non so come alla notte il 19 gennaio a Ferrara

Il libro

Le donne che resistono alla guerra, non solo nella Resistenza ma nelle piccole resistenze che erano richieste quotidianamente a chi doveva portare avanti la famiglia, magari con l’assenza degli uomini. Sopravvissi non so come alla notte, di Fabrizia Amaini ed edito da Saecula edizioni, è ambientato nella campagna emiliana all’epoca del fascismo e fino alla sua caduta. La Storia che racconta è stata ricercata e documentata, anche grazie a dettagli come l’uso del dialetto locale, ma sono le piccole storie quelle che colpiscono il lettore. Storie che somigliano sotto diversi aspetti a quelle che vive chiunque si trovi nella stessa situazione, anche oggi.

La storia inizia quando zia Pinéta decide di affidare alla nipote la storia della sua vita: «Il suo romanzo di vita è la memoria di un periodo storico imperniato di crudeltà e indicibili orrori. Ѐ ambientato in una piccola frazione di campagna della pianura reggiana dove le difficili microstorie personali aiutano a capire la grande Storia, dal primo dopoguerra alla Liberazione», spiega l’autrice.

Anche per questo il volume è stato scelto per essere presentato alla rassegna Donna & Arte, a Palazzo Scroffa a Ferrara, dove si terrà una lettura il 19 gennaio alle 17.30.

Aggiunge Fabrizia Amaini: «Questo libro è un inno alla grandezza femminile. Le donne ne sono la colonna portante, il fondamento per raccontare il Novecento nei suoi crudeli anni della miseria, della dittatura e delle guerre. Per evidenziare l’ingiustizia di un tempo retrogrado, standardizzato e maschilista, in cui la donna era emarginata in un ruolo di moglie-madre, con obbligo di obbedienza e subordinazione all’uomo e con il veto di ricoprire un ruolo sociale. Le donne del libro vivono una realtà tribolata che le spinge a mettere in campo ognuna le proprie armi per provare a cambiarla col diritto e la giustizia».

Sulla manifestazione
Una esposizione di opere tutte al femminile per esaltare la passione, la forza e la determinazione, con cui le Donne riescono ad esprimere la loro interiorità e rendere visibile una concezione del mondo che spesso dimentichiamo. Un mondo di dolore ma anche di felicità, di peccato e santità, di solitudine e sorellanza, rappresentato senza falsità ne compromessi.
Nel corso della storia le Donne hanno costruito sempre delle fondamenta importanti per la crescita dell’umanità grazie alle loro opere e al loro impegno, con percorsi che nascono sottovoce per poi diventare suoni di trombe udibili in tutto il mondo. Il loro “talento creativo” è stimolato dalle piccole cose alle grandi idee, giornalmente e, quasi, per una necessità continua di sopravvivenza concreta ed emotiva. La Donna, sicuramente madre e alter ego dell’uomo, ancora oggi trova difficoltà ed impedimenti in tutte le espressioni lavorative e creative nella società e nella stessa famiglia, non peraltro continuano a crescere i fatti di femminicidio per questa sua “voglia di libertà” sia personale che sociale.
La situazione sta cambiando e le generazioni contemporanee hanno raggiunto una visibilità ed indipendenza di molto maggiore a quella delle nostre nonne. Ma la strada è lunga e ancora certi meccanismi restano in maggioranza in mano a uomini. Anche nell’arte ciò si verifica e la bravura di un’artista donna, per raggiungere una visibilità e notorietà ad alto livello, deve essere sicuramente molto, ma molto, superiore a quella maschile per emergere.
Lentamente la storia sta cambiando e le artiste stanno crescendo sia numericamente che nella loro affermazione, grazie anche a collezioniste e imprenditrici che, di pari passo, si sono affermate. E questa rassegna vuole proprio far assaggiare la presenza, tutta al femminile, di espressioni artistiche tra Arti visive, poesia, musica, teatro, e quant’altro abbia bisogno di sensazioni ed emozioni per esistere.

La casa editrice
Le Edizioni Saecula nascono nel 2008, come nuova branca di un precedente progetto che aveva lo scopo di creare un punto di riferimento e di scambio di conoscenze nel settore della Storia Antica e Medioevale.
Il ramo editoriale si specializza nell’ambito storico in senso più ampio, articolandone le tematiche in differenti collane dedicate, al fine di offrire spunti multidisciplinari verso orizzonti che sono, per certi versi, assolutamente sconfinati.
Quel che vorremmo riuscire a fare è dare voce alla Storia nel modo più ampio possibile, lasciandoci condurre dalle sue tracce, aprendoci a nuovi sguardi, offrendo nuovi spunti ai nostri lettori. A guidarci è sempre il medesimo obiettivo: stimolare il dialogo, il confronto, la ricerca sulle tematiche storiche.

IL REPORTAGE
Sorrisi, luci e volti di una Thailandia autentica

di Giuliano Gallini, Chiara Levorato, Maria Bordini, Tito Cuoghi

Sorriso 1

L’ultimo Wat che visitiamo a Lampang, una benestante città del nord, è un bizzarro complesso di edifici religiosi con vertiginosi pinnacoli bianchi e leziose colonne dorate. Un corteo rumoroso riempie i suoi cortili: segue un uomo giovane, dall’espressione estasiata e che cammina a passo di marcia. E’ protetto da un rigido ombrello (d’oro come le colonne del tempio) alto sul suo capo rasato, retto da un ragazzo che ride a crepapelle.

Mentre ci chiediamo il significato dell’allegra processione veniamo avvicinati da una signora che si qualifica come una docente universitaria. Ci chiede se può intervistarci: ha visto le biciclette che abbiamo noleggiato in albergo, è incaricata dal governo di realizzare una inchiesta sulla percezione della sicurezza di chi si muove in bicicletta in Thailandia ed è curiosa di conoscere anche l’opinione dei turisti.

Ci regala un oggetto di artigianato di Lampang (una sorta di comò in miniatura) per ringraziarci del tempo che perderemo con lei e ci impegniamo a rispondere a un lungo questionario, anche se siamo continuamente distratti dai girotondi festosi del corteo, che vibra tra il Virham (la sala che contiene la statua maggiore del Buddha) i mondopo (templi minori) e i chedi (stupe con le reliquie del Buddha o ceneri dei monaci)

L’uomo alla testa della processione indossa una tunica bianca, ricamata, e cammina sempre più velocemente; dietro di lui il corteo è sempre più numeroso e la sua allegria è contagiosa. Vorremmo abbandonare la docente per unirci ai seguaci dell’uomo, ci piacerebbe reggere l’ombrello d’oro e condividere tanta popolare felicità. Ma la docente è inflessibile e dobbiamo condurre in porto l’intervista.

L’ultima domanda è sulle nostre motivazioni: perché siamo venuti in Thailandia? Per il cibo? Per le meraviglie archeologiche? Per il mare?
O per la famosa cortesia dei Thailandesi? Per il loro buon umore?

Per il loro sorriso?

Cibo 1

Alla pervasività di monaci e templi si oppone con più prosaica ma non meno massiva presenza il cibo.

Chiunque viaggi sa che nella grande maggioranza dei paesi del mondo la penuria di cibo non esiste più. I desolati mercati che quarant’anni fa frequentavamo nei paesi dell’est Europa, o del nord africa o in India o Cina sono appunto un ricordo lontano, per i più anziani, o una cosa da non credere per i più giovani.

L’abbondanza di cibo è particolarmente evidente in Thailandia perché ogni giorno, in ogni strada e sulle barche dei floating market si cucina e si vende all’aperto.
Con un caleidoscopio di prodotti innumerabili, di ricette profumate, di abilità provette.

Accanto agli spiedini più tradizionali, simili a tutti i souvlaky o raznici della nostra vita, abbiamo visto schidioni che nessun masterchef o germidisoia avrebbe il coraggio di tentare. Ma accanto agli spiedini: pesci, carni, zuppe, ravioli, noodles, riso bollito, riso crispy – e riso sticky, lucido con mango, una dolcezza dorata come i Buddha dei templi.

Olio

Olio nel cibo, poco. Tanto sulla pelle. Il massaggio migliore lo proviamo a Sukkotay dove un parco archeologico meraviglioso non ci stanca gli occhi nemmeno dopo quattro giorni ma muscoli e ossa sì. E per questo ricorriamo al massaggio – pronuncia: masaaaasc.

Un materasso a terra, una ragazza dalle mani di ferro, tenaglie ammorbidite dal profumato unguento che il nostro corpo assorbe in un’ora di carezze robuste.

Il ritmo è dettato da insegnamenti – crediamo, speriamo – antichi e sapienti. I nostri corpi comunque escono dai massaggi rinfrancati e pronti a nuovi Wat, Chedi, Mondop, Buddha giganti, stagni verdi di trifogli o rossi di bacche, fiori di loto, frangipani, alberi dell’illuminato, acacie che grattano il cielo, palme, prati intensi che gli inglesi se li sognano.

Angelo del nostro soggiorno a Sukkotai è l’eterea Moon, receptionniste di classe, un filo di ragazza svanente davanti alla rotonda massaggiatrice Laa.

Sorriso 2

Nel Wat assolato e attraversato da un festoso corteo al seguito di un uomo vestito di bianco, l’ultima domanda di una inchiesta governativa cui abbiamo accettato di collaborare – perché siete venuti in Thailandia? Per il sorriso dei suoi abitanti? Ci riporta alla memoria tutti i sorrisi di tutti i Tahilandesi che abbiamo finora incontrato.

E’ un popolo che sorride. Più di noi europei, più di altri popoli asiatici. Sorridono sempre, se incontri il loro sguardo, se chiedi una informazione – sorridono anche se non lasci mance, sorridono snche se non compri al loro banchetto. Sorridono e ti aiutano se ti vedono in difficoltà.

E sorridono e ridono tutti dietro l’uomo vestito di bianco e protetto da un rigido e alto ombrello d’oro, e tutti i sorrisi ci invitano a unirci alla felice processione che finalmente ora ci svela, al diapasono dell’allegria, il suo significato.

E’ la cerimonia di ordinazione di un monaco, un rito di passaggio celebrato con passi di danza, braccia al cielo e grida di gioia.

Dall’alto dei cinque gradini del Virham il monaco ora premia chi lo ha seguito lanciando coriandoli di plastica, stelle colorate, eliche, pianeti luminosi, lune di ogni forma a creare sopra di noi una galassia di sorrisi celesti.

Cibo 2

Abbiamo visto spiedini: di uova, di semi di zucca, di granchi e di cosce di rana, di piselli e fagiolini, di bacche, di dolci bignè.

Infilzare una cosa dentro l’altra è un rito dettato da un pensiero che ama unire ogni essere del creato, da un pensiero che ama infilzarne altri e gustarli nel nirvana dell’indifferenza.

Questo cibo di strada è un cibo in cammino che si gusta prima con gli occhi, così onesto nei suoi processi produttivi da essere scostumato – e per chi ama l’igiene in gran parte inavvicinabile.
Che cosa ci sia nelle cucine dei ristoranti, anche i più pretenziosi, non è dato sapere. Come in molti ristoranti occidentali. Il cibo in cammino invece si offre sinceramente, attraverso mani spolverate di spezie e di infiniti batteri.

Trasporti 1

Il tuk tuk tradizionale è qui aumentato dai songthaew, ovvero “due file”, pick up con tendone e attrezzato di due panche dove possono sedersi anche dieci passeggeri (magri). Ma operano anche per due passeggeri, o per uno solo: e la loro concorrenza ai tuk tuk è quindi spietata.

Non mancano moderni e costosi taxi, tutti senza taxametro, suv toyota con il predellino; e scendendo a sud si può salire su tuk tuk con moto a spingere invece che ape a tirare, una variante che offre quattro comodi posti a sedere e zona per le valigie invece dei tre e mezzo dei tuk tuk tradizionali.

Le città, pianeggianti, invitano alla bicicletta; anche a piedi si passeggia gradevolmente. E’ più afosa la pianura padana. Tutto è dolce, come le crepes di cocco arrotolate e imbustate ancora calde, preparate sulla strada da sorridenti chef chini su piastre a gas incrostate di ogni sudiciume immaginabile.

Luci 1

Il re è morto a ottantasette anni dopo settanta di regno e ha voluto regalare, a sudditi e turisti, durante il lungo lutto sei mesi di musei e parchi archeologici gratuiti. Anche lo spettacolo del parco archeologico di Sukkotai illuminato di sera non si paga. Il grandioso palcoscenico viene allestito anche per i pochi turisti presenti in questa stagione. Luci artificiali colorate e centinaia di candele avvicinano Chedi, Prang e statue di Buddha ai nostri occhi sorpresi e ammirati. Ci incanta anche il kitsch.

A piedi e in bicicletta, in tuk tuk o sui bus non dobbiamo far nulla per evitare le orde di turisti che le nostre guide minacciano. Dove sono finiti i turisti? Ci sono: qualche sparuta coppia anziana con zainetti in spalla e rare coppie di giovani con valigie. E le gite organizzate? Sparite. Che cosa è successo?

Il silenzio e l’assenza illumina la nostra Thailandia come le luci notturne di Sukkotai. I sorrisi e i cibi si sporgono verso di noi con tenerezza.

Trasporti 2

Grandi strade, autostrade, superstrade. Corriere, corriere VIP, minivan, taxi. Treni di terza classe, treni storici. Treni coraggiosi che affrontano il passo della morte costruito dai prigionieri di guerra tra il 1942 e il 1945.

Ma il mezzo di trasporto più bello, per noi, è il “long tail”, la piccola barca di legno con un motore a poppa che è una scultura barocca, un intricato costrutto meccanico di bobine e candele, alberi motore e pistoni. A vista. Sul costrutto è innestata una lancia di quattro metri che termina con l’elica, e che serve anche da timone. Dura, pesante: e il marinaio la manovra infatti con l’aiuto delle gambe e dei piedi.

Ne prendiamo uno sotto il ponte del fiume Kwei, zufolando come nel film. Decidiamo di rornare così al nostro albergo. La breve traversata è una avventura della velocità e della destrezza, uno sport estremo a basso rischio (e basso costo), una cavalcata che ci dà energia e buon umore. Long Tail for ever!

Persi e trovati 1

Niente si perde, tutto rimane. Nel mondo, nella realtà, in vita. Questa è la convinzione della filosofica religione di questo pezzo di universo.

Le cose, gli affetti, i ricordi. Il passato. Niente finisce, tutto continua a esistere.

Ma quando perdiamo alcune delle nostre cose l’insegnamento del buddhismo non ci viene in aiuto. Ci disperiamo.

Perdiamo: un orologio d’oro di valore (sentimentale e di mercato) al controllo dell’aeroporto di Bangkok. Una valigia, scambiata a Chiang Mai con quella di una bambina (a giudicare dal contenuto). Perché non ci sorregge la serena accettazione che quelle cose non si sono distrutte ma continuano, pur senza di noi, la loro esistenza da qualche parte dell’universo?

Acqua 1

In barca andiamo non solo per una veloce cavalcata dal ponte sul Kwai al nostro albergo, ma anche sul fiume che circonda la vecchia Ayuttaya. Il marinaio ci fa scender tre volte per visitare i templi fluviali, meraviglie antiche e venerabili. Sullo sfondo dell’ultimo avremo il tramonto.

Paese di acque interne la Thailandia è una palafitta tropicale che nonostante gli interramenti e le grandi autostrade continua ad aprirsi a fiumi, canali, stagni laghi e paludi, di cui controlla bene la ricchezza e i capricci, la bellezza e la fragilità.

Si dice che le alluvioni siano diventate più frequenti e disastrose con il progresso dell’asfalto, ma c’è anche chi contesta il dato.

L’uomo cresce sulla terra e la addobba con i suoi manufatti come un albero di Natale. E’ la festa del progresso – e anche una sopportazione: ormai è Natale tutto l’anno.

Persi e trovati 2

La valigia e l’orologio perduti ci vengono avventurosamente restituiti dalla grande ruota del destino che in Thailandia pare girare anche all’indietro, producendo effetti controintuitivi.

Con la freccia del tempo direzionata solo in avanti come vogliono le leggi della termodinamica i nostri beni non sarebbero riapparsi; con le fantasmatiche interpretazioni di Bohr (e di Buddha) invece il tempo e le cose possono tornare indietro.

Recuperati i nostri oggetti gridiamo per la felicità, più forte ancora di quanto gridammo per la disperazione. Dovremmo essere più sobri: non avevamo detto che nulla si perde? Non erano i nostri oggetti in altre mani? Non esistevano anche là, insieme a una bambina polacca e a una addetta al controllo bagagli dell’aeroporto Suvarnabhumi? Perché per noi esiste solo ciò che possediamo?

Animali 1

Cani cinesi, gatti rossi, merli parlanti, gechi, zanzare, serpenti…ma ci innamoriamo degli elefanti. Del loro passo felpato, del loro perenne sorriso, delle loro orecchie che ci immaginiamo li facciano volare, quando gli uomini non li stanno a guardare.

Sogni realizzati della nostra infanzia.

Viene voglia di toccare le zampe di questi bestioni, proprio la pianta dei piedi, per saggiarne la consistenza, carezzarne la pazienza. Immaginiamo portino pantofole morbide di preziosa lana di montagna, doni della natura che conferiscono un incedere elegante e sereno.

Avessimo noi quelle pantofole per avanzare nella vita con passo sapiente e sorridente, sbruffando quando ci vuole ma lanciando lontano le amarezze, virtù che ci deriva dalla nostra lunga proboscide, naso d’ironie, eredità di una selezione naturale per una volta non frenetica come quella che ha generato le zanzare, instancabili evoluzioni del fastidio.

Acqua 2

A Erewan le famiglie salgono le sette cascate riposandosi tra una e l’altra su grandi panchine di bambù, tavole per pic-nic.

Anche qui palafitte di sorrisi si moltiplicano specchiandosi nelle acque fresche. Lo vediamo anche nei mercati galleggianti dove sulle barche si prepara il cibo. Barche, donne e cibo: una visione indivisibile. Barche, donne e cibo sono arabescati sulla vita trasparente dei fiumi.

Sorriso 3

I sorrisi spontanei, teneri, dolci e sereni che i Thailandesi non mancano mai di dispensare pensiamo traggano ispirazione e necessità dalla iconografia che ogni abitante di questo paese ha davanti agli occhi.

Buddha è in ogni luogo, e in ogni luogo, posizione, situazione Buddha sorride.

Una iconografia religiosa sorridente ha creato un popolo sorridente; impossibile pretendere che una iconografia religiosa tragica come la nostra possa fare altrettanto.

Infine, però, non sappiamo quanto il sorriso traduca la realtà. Quanta sofferenza sopportino i miserabili, gli sfruttati e gli oppressi di questo paese. Quanto il sorriso dell’accettazione comporti anche una accettazione delle ingiustizie.

Trasporti 3

Ci mancava il tuk tuk con moto laterale, da due passeggeri, uno dei quali seduto sul seggiolino della moto.

E: il tuk tuk innovativo, al comando di una app che organizza il pick – up dei turisti nei luoghi di maggior interesse, con precisione teutonica e puntualità svizzera; e anche: il tuk tuk number one di Bangkok, un folle che scivola tra il traffic-jam della città come burro sciolto sul pane da toast. Se ne esce vivi, ma con le ossa ridotte a una marmellata.

Maltempo

A Bancrud (o Ban Krut, le traslitterazioni non sono mai univoche) viviamo l’esperienza magica di camere a pochi metri dal mare, di ristorante sulla spiaggia, di quiete assoluta nel giardino tropicale in un piccolo villaggio senza nessun altro ospite oltre noi.

La sera, durante la cena (solo gatti rossi ci fanno compagnia) una luna rossa e piena sorge davanti a noi a coronare l’incanto. Decidiamo di non muoverci da Ban Krut fino alla fine del nostro viaggio.

Ma non possiamo disporre di tutto. La notte viene la tempesta e il giorno dopo vento, pioggia, cielo pesante di nuvole basse e mare pauroso. Rifacciamo le valigie orgogliosamente disfatte il giorno prima e partiamo per Bangkok, per la città.

Acqua 3

Il fiume Chao Phraya è l’anima di Bangkok. Abbiamo scelto un albergo sulla riva e ci muoviamo in città con il servizio pubblico di traghetti o con veloci long-tail privati.

Chao Phraya e numerosi klong (canali) aiutano questa ormai moderna metropoli a mantenersi nell’acqua, nei riti della trasparenza e del cambiamento naturale, della serenità per il ritorno continuo al flusso originario dei nostri primi nove mesi di vita. Dell’umano della specie umana.

Per quanto ancora?