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Giorno: 21 Aprile 2017

POLITICA
Sul caso ‘campo scuola’, l’assessore Merli contro Morghen (M5s):
“Assurdo affermare che i soldi pubblici siano spariti”

Di Federica Mammina

Secca è la risposta dell’assessore allo sport Simone Merli: “E’ assurdo affermare che siano spariti”. Il riferimento è ai 17.200 euro che, secondo le accuse della consigliera Morghen, la FIDAL non avrebbe giustificato durante la gestione del Campo Scuola di via Porta Catena (vedihttp://www.ferraraitalia.it/spese-pubbliche-porta-catena-la-consigliera-5s-attacca-campo-scuola-affidato-alla-fidal-oltre-17mila-euro-di-spese-non-giustificate-124836.html). Oltretutto precisa Merli “i fondi erogati alla Federazione sono confluiti nel bacino federale controllato anche dal CONI Nazionale”. Non ci sarebbe stata quindi, stando alla sua ricostruzione, alcuna sparizione di denaro pubblico, ma un rapporto con la FIDAL chiuso dal Comune con notevole ritardo anche se nel rispetto della convenzione stipulata, e comunque prima dell’interessamento della Corte dei Conti. Difende la scelta di esternalizzarne la gestione per garantire al Comune un risparmio, e “le persone che hanno operato in buona fede”. E guardando al futuro annuncia che “il Campo Scuola vedrà una ristrutturazione attesa da vent’anni”.

Qui di seguito le dichiarazioni rilasciate dall’assessore Simone Merli.

Premessa sul Campo Scuola di via Porta Catena
“Il Campo Scuola di Ferrara è un impianto sportivo di base destinato alla pratica dell’atletica leggera, aperto gratuitamente a tutte le scuole di ogni ordine e grado, gratuito per i ragazzi fino a 14 anni, e con pagamento di una tessera a tariffa agevolata di 45 euro all’anno per gli appartenenti alle società di atletica leggera. La sua funzione è estremamente importante ritenendo la pratica dell’atletica leggera tra gli sport più completi del panorama sportivo. L’impianto è aperto 3.000 ore all’anno e l’impegno per consentire il suo funzionamento richiede anche l’utilizzo di personale volontario”.

I costi della gestione diretta
“La gestione diretta dell’impianto richiede due dipendenti che, sommati alle utenze e ai costi di manutenzione ordinaria, comportano una spesa annua di 50.000 euro circa. Pertanto il Comune ha risparmiato 45.000 euro nei tre anni di affidamento alla FIDAL”.

Chi è la FIDAL
“La FIDAL è la Federazione Nazionale di Atletica Leggera, unico organismo riconosciuto dal CONI per la promozione e l’organizzazione delle attività di atletica leggera a qualsiasi livello, fino a quello Olimpico. Sono oltre una decina gli impianti sportivi gestiti dalla Federazione tra cui i Centri di preparazione olimpica di Formia e Tirrenia”.

La gestione della Federazione
“I fondi sono stati erogati alla Federazione e sono confluiti nel bilancio federale controllato anche dal CONI Nazionale, quindi è assurdo affermare che siano ‘spariti’. Nel periodo di gestione della FIDAL (2012-2014) si sono tenuti diversi meeting di atletica leggera, un campionato italiano di pugilato, un campionato italiano di mt. 10.000, tutte le prove degli studenteschi e dei Giochi della Gioventù, e il campo è stato accessibile a tutti gli utenti. La gestione dell’impianto era stata affidata al Comitato Regionale FIDAL con sede a Bologna, il quale si è avvalso di dirigenti sportivi locali con attività svolta anche in forma volontaria”.

La convenzione stipulata con il Comune e il mancato rinnovo
“La convenzione, approvata in consiglio comunale il 30/01/2012 (pubblicata sul sito del Comune dal 07/02/2012 al 21/02/2012), oggi consultabile attraverso un normale accesso agli atti, prevedeva: – relazione e rendiconto economico gestionale (art.12); – erogazione in 4 rate con scadenza 31/01, 31/04, 31/07, 30/10 (art.25) previa presentazione dei documenti giustificativi delle spese sostenute nei tre mesi precedenti. Una volta conclusa la gestione, dal 01/01/2015 l’amministrazione ha individuato un nuovo gestore attraverso la presentazione di un progetto che vede coinvolte le principali società di atletica leggera della Città (UISP, CUS Ferrara e Atletica Estense)”.

Chiusura del rapporto sotto la vigilanza delle autorità: le tappe
“A metà del 2015 la FIDAL non aveva ancora attivato la procedura di richiesta delle ultime due rate del 2014. Contemporaneamente veniva presentata l’interpellanza (del Movimento 5 Stelle ndr) poi seguita dalla verifica degli atti da parte degli organi preposti. A seguito della richiesta delle ultime due rate, l’amministrazione ha effettuato un riesame di tutta la documentazione, vincolando 9.996.07 euro con atto del 19/10/2015, mandando in economia tale somma e richiedendo successivamente un rimborso alla Federazione quantificabile in 7.198,78 euro per un totale di 17.194,95 euro. In data 14/03/2016 la Procura regionale della Corte dei Conti chiedeva l’esito dell’esecuzione della delibera di conguaglio approvata nell’ottobre 2015. In data 22/03/2016, i revisori dei conti trasmettevano alla Procura della Corte dei Conti, gli estremi degli atti adottati dall’amministrazione comunale. Resta fermo il concetto che parliamo di persone che hanno operato in buona fede, con i limiti tipici di chi mette il proprio tempo personale, dopo il lavoro, a disposizione degli altri così come dichiarato dall’Avv.to Matteo De Sensi allora Presidente del Comitato Regionale FIDAL e attuale consigliere Nazionale”.

Gli altri impianti in concessione convenzionata
“Per quanto riguarda le altre convenzioni, bisognerebbe sapere che non tutti gli impianti necessitano di contributi a sostegno della gestione. La complessità dell’impianto, l’uso a tariffe accessibili agli sportivi, la valenza territoriale come unico luogo di aggregazione, la possibilità di ospitare diverse discipline sportive, sono alcuni dei criteri che possono determinare la necessità di erogazione di un contributo pubblico. Ad esempio per i 24 campi di calcio a bilancio sono disponibili 50.000 euro, una media di poco superiore a 2.000 euro a campo quando solo per il canone di concessione arrivano a spendere anche 2.500 euro, senza contare le utenze e la manutenzione ordinaria tutte a loro carico, il che significa che i contributi erogati non sono sufficienti al sostentamento di tutte le spese per la gestione degli stessi”.

Progetti futuri
“Infine il Campo Scuola vedrà un lavoro di ristrutturazione atteso da vent’anni, a significare la rilevanza sportiva e sociale che l’impianto riveste per la nostra comunità. E per quanto concerne la nuova legge regionale sullo sport, il suo iter sarà all’interno dell’Assemblea Legislativa Regionale, luogo rappresentativo di tutte le formazioni politiche che hanno ottenuto i voti per potervi operare”.

RESISTENZE
Uber Pulga, il partigiano in camicia nera morto per l’Italia di domani

Si avvicina il 25 aprile, l’anniversario, o meglio la festa della Liberazione dalle truppe naziste e dal regime fascista. Come dimostrano i casi di Roma e Milano, anche quest’anno molto probabilmente porterà dibattiti – e diatribe – più o meno ideologici, quasi di sicuro molto poco ‘storici’, sulle esperienze e le narrazioni memoriali della Resistenza, dei vinti e dei vincitori, di quella lotta per la libertà, che è stata anche una guerra civile, importante quanto tragica, in tutta la sua umana miseria e nobiltà.
In quest’epoca pericolosa, mentre di nuovo soffiano sull’umanità venti di guerra, persino nucleare, venti che in alcuni regioni del mondo non hanno mai smesso di scuotere le vite, mentre razzismo e intolleranza hanno rialzato la testa e di nuovo sentiamo slogan che speravamo consegnati al nostro passato più buio; in quest’epoca si può e si deve andare orgogliosi di quella ribellione, ma allo stesso tempo si possono e si devono affrontare i drammi che inevitabilmente la guerra e la violenza provocano, strappi e divisioni fra la gente e nelle famiglie. E a volte persino all’interno di una stessa persona, come racconta ‘Un partigiano in camicia nera’, del giornalista Alessandro Carlini, uscito per Chiarelettere lo scorso febbraio.
Partigiano e fascista, eroe e traditore, spia e disertore, pluridecorato di Salò e uomo della Resistenza, Uber Pulga è stato al tempo stesso un vincitore e un vinto e ha ripercorso in modo drammatico il travaglio di molti italiani. Tanti sono stati i “voltagabbana” per opportunismo, ma non Pulga, almeno secondo Carlini, che ha pagato con la vita la propria conversione e che prima di essere fucilato, due mesi prima di quel 25 aprile, ha gridato: “Viva l’Italia!”

Più volte la storia di Uber incrocia quella con la S maiuscola. Classe 1919, allevato con libro, moschetto e vanga nella Bassa mantovana, nel 1942 combatte i partigiani nei Balcani con rastrellamenti ed esecuzioni sommarie, l’8 settembre del 1943 è fra gli ‘ammutinati’ della Nembo, che dopo aver ucciso il loro comandante decidono di restare a fianco dei tedeschi, in Germania viene addestrato al controspionaggio e spedito a Reggio Emilia per la sua missione come infiltrato fra i gruppi partigiani. Si finge quindi un disertore e i partigiani della zona di Reggiolo lo prendono fra di loro. Saranno però il rimorso per la morte di alcuni di loro e parole come libertà e democrazia a instillare in lui il dubbio e incrinare la sua fede: anche una volta scelta la Resistenza però terrà sempre la camicia nera che gli ricorda il fardello delle sue colpe. Fino al capitolo finale, al tragico beffardo ‘redde rationem’: fucilato all’alba del 24 febbraio 1945 dietro il cimitero di Gaiano per mano dei suoi ex camerati.
Basandosi su documenti storici, alcuni dei quali inediti, Alessandro Carlini narra la storia di Uber Pulga come una biografia, ma in presa diretta, come un romanzo, per descrivere al meglio il travaglio psicologico ed emotivo del protagonista che ha lottato per quell’alba di Liberazione, ma non ha potuto viverla perchè è morto per essa: “Io vengo dalla campagna, sarò il concime di quello che poi verrà e spero ci crescano belle cose”.

Alessandro Carlini

Abbiamo intervistato il giornalista Alessandro Carlini a pochi giorni dalla prossima presentazione di ‘Un partigiano in camicia nera’ alla libreria Feltrinelli di via Garibaldi, lunedì 24 aprile alle 18.00.

Chi era Uber Pulga?
E’ stato molte cose diverse nella sua esistenza breve, straordinaria e drammatica. Nato a Felonica, in provincia di Mantova, nel 1919, è stato un soldato del Regio esercito, una spia e un ufficiale della Repubblica Sociale Italiana, un finto disertore reclutato dalle Ss per infiltrarsi in una unità partigiana di Reggio Emilia, e infine, a 25 anni, ha fatto la scelta che gli è costata la vita: quella di unirsi, questa volta per davvero, alla Resistenza. E’ stato fucilato da un plotone misto di repubblichini e tedeschi all’alba del 24 febbraio 1945 in provincia di Parma.

Perché ha deciso di raccontare la sua storia?
Prima di tutto per una promessa che feci a mio nonno, Franco Pulga, prima che morisse nel 2005. La promessa era di far luce su quello che era accaduto al nostro cugino negli anni terribili della guerra. E poi perché la vicenda di Uber è emblematica di tutto un Paese, che si è sentito tradito dal fascismo e ha scelto di liberarsi da quel regime e dagli anni terribili della guerra.

Inserirebbe il suo lavoro in una bibliografia per il 25 aprile, per esempio fra i consigli di lettura di una biblioteca?
Assolutamente sì. Una figura come quella di Uber chiude il cerchio, si potrebbe dire. C’è una memoria e una letteratura resistenziale e, negli anni più recenti, ne abbiamo avuta una di Salò. Mancava una vicenda che le contenesse entrambe, quelle due componenti conflittuali della nostra storia, senza scivolare nel revisionismo. Ciò che alla fine rende Uber una sorta di ‘eroe’, anche se oscuro per il suo passato da spia, è la scelta di combattere, come lui stesso afferma, l’“imboiatura del regime” e di non cambiare casacca o diventare un “voltagabbana” cercando di sopravvivere al conflitto, ma di pagare il prezzo più alto.

Come ha ricostruito la vicenda di Uber e quanto tempo ha impiegato?
Ho utilizzato molti documenti in possesso della mia famiglia, come la lettera di Don Augusto Sani, il cappellano militare della Divisione Italia della Rsi dove militava Uber, che lo ha confessato e accompagnato fino al plotone d’esecuzione. Altre fonti le ho trovate negli Istituti storici della Resistenza e negli Archivi di Stato italiani e poi ancora all’estero, in Germania e a Londra. Le ricerche sono durate più di dieci anni.

Per un certo periodo ha anche interrotto il lavoro, perché?
Ho avuto una sorta di ‘crisi’ nel 2002, quando ho scoperto che Uber era stato una spia della Rsi e che, con la sua operazione da infiltrato, aveva causato la morte di due partigiani nella zona di Reggiolo, Dante Freddi – nome di battaglia ‘Noli’ – e Arvedo Simonazzi – ‘Marco’.

Oltre ai documenti ufficiali, è riuscito a ritrovare almeno alcuni suoi compagni, da una parte e dall’altra? Come è stato incontrarli e come l’hanno accolta?
Sì, ho ritrovato e incontrato un comandante partigiano del Reggiano, Egidio Baraldi – ‘Walter’, ha riconosciuto Uber in una fotografia che io gli avevo dato: era lui la spia che si era infiltrata nella sua unità. Non dimenticherò mai quello che disse in dialetto: “E’ quel porco là!”. Per non parlare dei reduci repubblichini, che lo definivano uno sporco traditore. Ho preso parolacce un po’ da tutti, ma questo mi ha spinto ad andare avanti, ancora più sicuro che la storia di Uber doveva essere raccontata.

In famiglia, al di là di tuo nonno Franco, si parlava di Uber? E lei ora che opinione si è fatto sulla sua figura, sulla sua vicenda e sulle sue scelte?
Se ne parlava da tempo, ma non si conosceva tutta la sua vicenda, in particolare la sua attività di agente segreto. Ma è proprio quella che lo rende un personaggio unico. Divorato dal terribile senso di colpa ha avuto il coraggio di rinnegare tutto quello per cui aveva combattuto e il regime fascista nel quale aveva creduto e si mise al servizio della Resistenza, quasi con la sicurezza che alla fine avrebbe incontrato la morte in una forma di riscatto che somigliava molto al martirio.

Chi gli è stato accanto negli ultimi momenti?
Don Augusto Sani, il cappellano militare della Divisione Italia, che ha scritto una lunga e toccante lettera sulla confessione di Uber. Era rimasto sconvolto da quelle ore passate col sottotenente Pulga, che si portava al patibolo il dramma e il conflitto fratricida di una nazione intera.

Uber Pulga © Ansa

Quando, secondo lei, Uber ha cominciato a dubitare del fascismo, un ideale con il quale era cresciuto e nel nome del quale aveva compiuto atti crudeli nei Balcani? Davvero è stato davanti al ‘Mussolini ombra di sé stesso’, oppure è stato prima, vivendo con coloro che aveva sempre considerato criminali e che doveva tradire?
Non c’è un momento solo ma un lungo percorso, fatto di dubbi che sgretolano lentamente quella ideologia ‘granitica’ sulla quale aveva costruito una vita intera. Uber percepisce il tradimento di Mussolini verso l’Italia in rovina, allo stesso tempo sente parole per lui nuove e affascinanti come libertà e democrazia durante il periodo in cui è infiltrato fra i partigiani nel Reggiano, ma soprattutto dentro di lui cresce il rimorso per le morti alle quali ha contribuito direttamente, rimorso che diventa insostenibile. La sua vita è fatta di scelte estreme, che si susseguono, una dopo l’altra.

“Io vengo dalla campagna, sarò il concime di quello che poi verrà e spero ci crescano belle cose”: sono parole che fai dire a Uber. Secondo lei oggi la sua speranza si è realizzata?
Posso dire di “sì”. Certo, viviamo in una società con grandi problemi e contraddizioni, ma quando rifletto sul fatto che persino chi era stato un convinto fascista, come Uber Pulga, ha deciso di morire da partigiano per lasciarci un mondo senza più dittatura e guerra allora mi rendo conto della nostra straordinaria fortuna.

Salvatore Rossi e Carife, ovvero l’ennesima ‘beffa’

di Alice Ferraresi

Salvatore Rossi ha pubblicato un volumetto – scritto a quattro mani con Anna Giunta – intitolato ‘Che cosa sa fare l’Italia’. In esso (perlomeno, nella parte nella quale dovrebbe avere maggiore competenza specifica, come scopriremo poi), Rossi scrive tra l’altro che il prezzo dei crediti deteriorati attribuito alle banche in risoluzione (tra cui Carife) fu fissato da alcuni funzionari della Commissione Europea “a un prezzo irragionevolmente basso, meno del 18% del valore di libro, utilizzando come benchmark per le poste più significative dati del mercato sloveno”. Un fatto molto grave, visto che è fondamentalmente per questa ragione – ipersvalutazione dell’attivo – che in Carife si è dovuto ipersvalutare una parte del passivo, cioè azzerare parte dei debiti verso i clienti (le famose obbligazioni subordinate, emesse a Ferrara negli anni 2006 e 2007).
Verrebbe da pensare: chi è questo Rossi giustamente indignato e così bene informato sui meccanismi che hanno portato allo scellerato bail in all’italiana? Un giornalista d’inchiesta? Un economista con fonti informative riservate? Un redattore di Report?

Niente di tutto questo. Salvatore Rossi è (da maggio 2013, attenzione) nientemeno che il Direttore generale di Banca d’Italia!
Ma Rossi l’ineffabile non si limita a questo. Scrive anche, nello stesso volumetto, che i tecnici dell’istituto da lui diretto hanno formulato obiezioni scritte al bail in retroattivo che si prospettava in Italia; ma che tali obiezioni non furono prese in considerazione dal Consiglio dei Ministri Finanziari e dal Consiglio Europeo. Ancora: “non si vedeva alcun profilo di violazione delle regole sugli aiuti di Stato” nell’intervento del Fondo Interbancario (fatto approvare dai commissari di Banca d’Italia all’assemblea dei soci Carife il 30 luglio 2015, ndr), “essendo il Fondo un ente costituito da tutte le banche del sistema e da queste finanziato, che interveniva per un interesse privato, ossia per scongiurarne l’onere sicuramente maggiore che sarebbe caduto su di esso, e dunque ancora su tutte le banche del sistema, se le banche in difficoltà fossero state liquidate e avesse dovuto rimborsare tutti i prestiti garantiti”. Purtroppo, scrive Rossi, “ci si è dovuti piegare alla volontà della Commissione per una ragione assai semplice: nel caso di contenzioso davanti alla Corte di Lussemburgo, le norme contabili internazionali prevedono che i fondi apportati dal soggetto in odore di statalità vengano coperti da appositi accantonamenti, rendendoli quindi del tutto inutili”.

Alcune osservazioni sorgono spontanee.
Primo: che cosa faceva Salvatore Rossi mentre il sistema bancario italiano, o almeno parte consistente di esso, naufragava sotto il peso della mala gestio e della crisi? Cosa faceva quando Zonin, padre padrone della Popolare di Vicenza franata sotto il peso delle operazioni baciate prestiti contro azioni, acquistava per oltre 9 milioni di euro palazzo Repeta, allora immobile prestigioso (ma vuoto) di proprietà di Bankitalia? Parliamo del 2014, non di vent’anni fa.
Secondo: se le osservazioni scritte di Banca d’Italia (peraltro non disponibili per la visione) non servono a nulla perché tanto la Commissione Europea non le considera, a cosa serve la Banca d’Italia? Se la cessione di sovranità finanziaria è talmente totale da rendere pregiudizialmente privo di ogni significato anche un ricorso alla Corte Europea, a cosa serve la Banca d’Italia? (verrebbe da aggiungere: a cosa servono il governo e lo Stato Italiano, ma allargheremmo il tema…).
Terzo: come si giustifica la remunerazione del Direttore Generale della Banca d’Italia, nella migliore delle ipotesi ente inutile secondo le stesse deduzioni del medesimo Salvatore Rossi, nella sua veste di saggista fustigatore di costumi? Parliamo di circa quattrocentomila euro.

E’ già abbastanza scandaloso quello che sta avvenendo nel sistema bancario sotto la supervisione di quello che dovrebbe esserne l’organo di vigilanza. Appare addirittura beffardo che il direttore generale di questo istituto si erga a osservatore accademico, con punte ridicolmente “pamphlettistiche” di critica sociale, di vicende delle quali porta una pesantissima corresponsabilità.

IL LIBRO
Tutto quello che avreste voluto sapere sulla Costituzione e nessuno vi ha mai detto
L’avvocato Palma: “Vi racconto lo stupro della Carta degli italiani”

“Le mie intenzioni sono quelle di divulgare – con un linguaggio comprensibile a tutti – gli aspetti di criticità tra la nostra Costituzione da un lato e i Trattati europei e la moneta unica dall’altro”. Ventuno libri: novelle, letteratura, storia e tanti riferimenti alla Costituzione e al diritto; ma anche articoli e interventi con cadenza pressoché giornaliera su tanti quotidiani online e cartacei. Dal blog scenarieconomici.it a La Verità, il Giornale, il Giornale d’Italia… passando per tante conferenze in giro per l’Italia. Così l’avvocato Giuseppe Palma si fa testimone dei valori della nostra carta costituzionale e delle implicazione connesse agli assetti economici.

In questo suo ultimo libro “La Costituzione, come nessuno l’ha mai spiegata”, che ci prepara ai 70 anni della nostra Carta, vuole riportare l’attenzione sulle promesse fatte da chi, come lei, si era impegnato per il No al referendum del 4 dicembre scorso. C’è ancora da fare? non siamo “fuori pericolo”?
No, purtroppo non siamo fuori pericolo, anzi, siamo in costante pericolo! Con la vittoria del No al referendum costituzionale dello scorso dicembre abbiamo evitato sia la costituzionalizzazione del vincolo esterno Ue sia un assetto istituzionale privo di adeguati pesi e contrappesi. Ma il pericolo non è assolutamente scampato: la Costituzione è stata stuprata, nel 2012, con la costituzionalizzazione del vincolo del pareggio di bilancio. Occorre debellare quello scempio e dobbiamo vigilare sui futuri tentativi di stupro! Con questo mio nuovo libro spiego agli italiani, con un linguaggio semplicissimo, i principi inderogabili della nostra Costituzione, mettendovi a confronto gli obiettivi dell’Ue e dell’euro, evidenziandone i gravi aspetti di criticità.

Lei è anche il promotore di un disegno di revisione costituzionale presentato in Senato dalla senatrice Paola De Pin e che ho intervistato su queste stesse pagine (leggi). Vuole aggiungere qualcosa?
Con quel Ddl, che ho redatto tra dicembre e febbraio, propongo principalmente l’abrogazione del vincolo del pareggio di bilancio e la costituzionalizzazione dei contro-limiti così come sanciti dalla Corte costituzionale con le due importantissime sentenze del 2007 e 2014. In pratica, propongo di ripristinare la Costituzione primigenia tipizzando la “linea del Piave” contro le illegittime intrusioni da parte della normativa europea ed internazionale confliggente con i Principi Fondamentali della Carta e i diritti inalienabili della persona.

Il suo libro ha tratti romantici e del resto l’autore si è ben dimostrato poeta avendo al suo attivo anche delle pubblicazioni di poesie. Mi sembra voglia colpire i cuori prima che la ragione.
Io nasco poeta. E’ la mia passione. Ho scritto una poesia anche in difesa della Costituzione, intitolata: “Una sigaretta con la più bella del mondo”, scritta la notte tra il 25 ed il 26 aprile 2016.

Da un punto di vista prettamente giuridico, di analisi della Carta Costituzionale, quale è l’obiettivo di questo libro?
Il mio ultimo libro si propone l’obiettivo di spiegare a tutti gli italiani i Principi Fondamentali della Costituzione, e di farlo in maniera diversa da come sono stati spiegati finora. Il tutto tenendo presenti i lavori preparatori dei Padri Costituenti, quindi le loro intenzioni autentiche. Inoltre, cerco di spiegare – sempre tenuto conto dei lavori dell’Assemblea Costituente – il rapporto impossibile tra Costituzione italiana e Trattati europei/moneta unica. Ricordatevi che le intenzioni dei Padri Costituenti, rinvenibili dai verbali dei lavori preparatori, sono fonte autentica di interpretazione della Costituzione. Se i tempi cambiano, sono i tempi che devono adeguarsi a quelle intenzioni, e non viceversa!

Ritorna sulla costituzionalizzazione del pareggio di bilancio con l’articolo 81 che definisce “vile”
In realtà non se ne è mai andato. Il Parlamento inserì quella vigliaccata in Costituzione nel 2012, e da allora esiste ed è lì… fu un vero e proprio attentato alla Costituzione! Tra i più vili! Nel libro spiego perché fu una vigliaccata e perché il vincolo del pareggio di bilancio è incompatibile con i principi fondamentali.

Parla anche di un tema a lei caro, il rapporto tra Costituzione e Trattati Europei. Un rapporto difficile?
Un rapporto impossibile. Nel libro v’è spiegato tutto con metodo scientifico. I verbali dei lavori preparatori dell’Assemblea Costituente non lasciano dubbi: le limitazioni di sovranità verso ipotesi federative a livello europeo furono messe ai voti e bocciate! Le limitazioni di sovranità di cui all’art. 11 della Costituzione vanno riferite – nelle intenzioni dei Patres – esclusivamente all’Onu, e al solo fine di evitare altre guerre! Il tutto in condizioni di reciprocità!

Da un punto di vista costituzionale la nostra presenza nell’euro è legittima? e nell’Unione Europea?
No, non lo è. Come Le dicevo prima, le limitazioni di sovranità di cui all’articolo 11 della Costituzione vanno riferite – nelle intenzioni dei Patres – esclusivamente all’Onu, e al solo fine di evitare altre guerre! Il tutto in condizioni di reciprocità!

Nel libro si parla di cosa è stato realmente respinto dal popolo in sede referendaria lo scorso 4 dicembre.
Si, esatto. L’obiettivo principale della riforma, come risulta dalla relazione del Governo Renzi, era quella di accelerare l’iter legislativo che consentisse l’ingresso più celere – all’interno del nostro ordinamento giuridico – della normativa europea.

In questo libro c’è qualcosa di Ferrara.
Sì, lo scorso 19 novembre sono stato a Ferrara e, dopo la mia conferenza una donna mi ha detto – in lacrime – di aver conosciuto quella sera cose che lei non sapeva. Nel libro l’ho citata come “la donna di Ferrara”, che, da quella stessa sera, ha iniziato ad interessarsi della più bella del mondo, la nostra Costituzione.

Il libro è acquistabile online in ebook direttamente dal sito della Key editore oppure attraverso una qualsiasi libreria on-line. A breve uscirà anche la versione cartacea, per informazioni è possibile consultare il blog dell’avv. Palma (vedi)

MUSICA
Ironia e cuore per cantare la decadenza del mondo
Il cantautore Cortex, “fuori dagli schemi, ma dentro la vita”

“Quando avevo 8 anni i miei genitori mi hanno regalato una batteria. Suonavo, picchiavo, rompevo così tanto, che un giorno la batteria è sparita: i miei hanno detto che erano venuti i ladri. In realtà (sorride) l’avevano messa in cantina perché facevo troppo casino”. Così il cantautore Enrico Cortellino – in arte Cortex – si è avvicinato alla musica. “Poi per fortuna alle superiori, quando sono stato promosso, mi hanno regalato una chitarra. È iniziata così la mia avventura con un gruppo demenziale e una passione folle per il rock”. Cortex è ‘fuori’, ho pensato la prima volta che l’ho visto: in effetti Cortex è ‘fuori’ dagli schemi, ‘fuori’ dalle definizioni. Ma ‘dentro’ la vita.

Una vita che sa raccontare con autoironia, con leggerezza e al tempo stesso con professionalità e profondità. L’occhio ‘magnetico’ di Cortex – nel logo che si è scelto e dissemina con i suoi adesivi lungo tutto la penisola – mi osserva da un po’, a volte mi inquieta, ma mi ricorda quel suo sguardo originale sulle cose, disincantato e libero, provocatorio. Come le sue canzoni. E basta passeggiare un po’ su YouTube, tra i video esilaranti di Cortex – da ‘Capitano tutte a me’ a ‘Complicare’ – per farsi un’idea di questo artista che sa dire cose importanti, ma sa anche prendersi in giro, ridere del mondo che ci circonda e di se stesso. ‘Miseria e libertà’ è il suo ultimo lavoro: è stato registrato a Trieste da Cortex con l’aiuto di Abba-Zabba e mixato a Torino ai M.a.m. studio da Riccardo Parravicini, tranne l’ultima canzone ‘Amo un popolo presente’ mixata da Federico Altamura al S.a.e. Institute di Milano; nel disco gli strumenti sono suonati da Cortex e c’è un featuring con Alberto Bianco che sbuca come ospite nella prima canzone del disco. Tutte le canzoni sono state scritte da Enrico Cortellino tranne la già citata ‘Amo un popolo presente’, scritta assieme a Paola Cacchio, e ‘Cantautore mi fai pena’ scritta da Andrea Sambucco.

Cortex è un cantautore che descrive la realtà dei nostri giorni come un visionario, è un sognatore disilluso che stuzzica e punge la sensibilità del pubblico su temi scottanti ed attuali, nel suo show coinvolge spesso il pubblico a reagire, a non restare solamente fermo a guardare il concerto – si legge in una recensione on line -. Cortex si presenta solo sul palco: ha una chitarra elettrica ed una stomp-box lo-fi che usa come una batteria, un fischio, due armoniche ed una voce. E questa la sua formula per affrontare i live. In studio usa principalmente amplificatori valvolari, chitarre vintage, pianoforti acustici e registratori a nastro”. Grandi occhi espressivi sotto una montatura nera rettangolare – per squadrare la realtà -, Cortex ci accoglie con un sorriso spontaneo e con un’irresistibile carica vitale.

Chi è Cortex?
Cortex è lo pseudonimo di un progetto musicale, è un personaggio creato ed interpretato da me, per cantare la decadenza dei valori del mondo moderno. Scrivo canzoni fin da quando ero piccolo. Poi vedendo Kurt Cobain ho cominciato a suonare la chitarra.

Quando è iniziato il tuo progetto musicale?
Il progetto Cortex è nato nel 2007, con l’uscita del primo omonimo disco per l’etichetta udinese Arab Sheep. Nel 2008, suonando al Piper di Roma alla finale del Tourmusicfest, Mogol mi ha notato e premiato per i testi, assegnandomi una borsa di studio per la sua scuola, il Cet. Negli anni seguenti mi sono dedicato ad autoriduzioni sul web e a suonare dal vivo. Nel 2013 è uscito ‘Cinico Romantico’ per Maninalto! Records di Milano, un lavoro grazie al quale sono stato definito “cantatore blues lo-fi”, ottenendo buone critiche dalla stampa dal web e dalle radio; ad ottobre 2013 sono stato proclamato “artista della settimana” da MTV New Generation.

‘Cinico Romantico’ è un album sorprendente: minimale, con pochi strumenti (una chitarra jazz spesso e volentieri distorta, pianoforte, armonica e, in due tracce, la batteria suonata da Francesco Valente de Il Teatro Degli Orrori), ma allo stesso tempo denso, avvolto da una patina lo-fi, indie/blues.Cosa è accaduto dopo questo tuo lavoro?
Nel 2014 ho suonato prima di Tonino Carotone e all’after party del concerto di Manu Chao; a settembre ho ricevuto il premio Superstage al Mei di Faenza come miglior artista emergente dell’anno.
Nel 2015 ho registrato il mio terzo album e sono stato scelto, assieme ad altri 10 artisti italiani, da Irmarecords in collaborazione con radiocoop per far parte della collana ‘Mi sento indie’, distribuita in tutta Italia.

Nel 2016 poi hai ricevuto un altro riconoscimento da Mogol come miglior artista indipendente all’anteprima della Festa della Musica, aggiudicandoti una seconda borsa di studio. Il 2016 è stato un anno da ricordare…
Sì, l’anno scorso ho vinto il premio per la migliore esecuzione della cover de ‘Il poeta’ di Bruno Lauzi e ho aperto il concerto di Daniele Silvestri al Mei di Faenza.

Hanno scritto che nella tua musica riecheggiano voci di grandi, come quella di Ivan Graziani, Lucio Battisti, Mino Reitano. A chi ti ispiri quando scrivi e canti?
A Bruno Lauzi, Max Gazzè, Daniele Silvestri, Vinicio Capossela, Paolo Conte, Domenico Modugno, Lucio Battisti, Lucio Dalla, Franco Battiato. 
Unconventional, direbbero gli inglesi.

E in effetti nella tua musica si respira un mix perfetto di poesia e rock, di suoni puliti e graffianti, oltre ad una vena di blues. Che cos’è per te la musica?
La voce dell’anima. È emotività che vibra.

Com’è Cortex nella vita di ogni giorno?
Eclettico, romantico, altruista. È uno che sta sempre dalla parte delle minoranze, degli oppressi.

E cos’è per te la vita?
Un viaggio. Non so dove porta, ma so che arricchirà la mia anima.

IL PERSONAGGIO
Simonetta Fedrizzi, manager e presidente della commissione Pari opportunità: “La meta è ancora lontana”

Simonetta Fedrizzi è la presidente della Commissione Pari Opportunità della provincia autonoma di Trento e Project Manager di FT-coop, la federazioni trentina della cooperazione, per quanto riguarda le politiche giovanili e le pari opportunità. Partecipa a diversi tavoli nazionali sul tema e ha al suo attivo progetti, pubblicazioni, convegni e iniziative di vario genere. Una persona gentile, entusiasta della vita e sempre pronta a cimentarsi in nuove iniziative che le sembrano importanti. Alta, magra, capelli neri e sguardo dolce, la incontro a Trento in una pausa di lavoro.

Perché di pari opportunità si parla quasi sempre con donne, tra donne? E molto meno con persone di entrambi i sessi?
E’ una questione che spesso mi viene posta. In realtà a ben pensarci le ragioni hanno radici storiche profonde che ancora condizionano il presente. Consideriamo le lotte per il diritto al voto femminile: non potevano che essere le donne a farsene carico, visto che andavano a scardinare il monopolio maschile della politica. Gli altri principi della parità salariale, parità nell’accesso alle cariche politiche, il principio generale di eguaglianza davanti alla legge sono tutti diritti che sono stati sanciti dalla nostra Costituzione per merito delle Madri Costituenti che con la loro forte unità d’intenti, superando le differenze di appartenenza politica, hanno rivendicato in una sola voce i diritti delle donne. E’ da qui che dobbiamo partire. E il punto è che i principi e valori della parità di genere non sono ancora consolidati nella cultura comune, nonostante siano posti alla base del nostro ordinamento. Tutti gli indicatori statistici ci dicono che la parità è una meta lontana. Ma la vera questione, per tornare alla domanda, è che la parità di genere non viene considerata una questione chiave per lo sviluppo sociale ed economico di tutta la comunità, ma lo è! Fintanto che si continua a pensare che le pari opportunità sono una ‘questione femminile’, avremo sempre pochi uomini a interessarsi al tema.

I dati Istat affermano che negli anni di crisi le donne hanno tenuto di più nel mercato del lavoro e hanno visto incrementare il loro ruolo di breadwinner. Però la condizione reddituale femminile continua ad essere peggiore di quella maschile, anche se la distanza fra uomini e donne, negli ultimi anni, si è accorciata. Cosa davvero determina questo gap secondo lei?
Il cosiddetto gender pay gap (GPG) è il risultato delle discriminazioni e diseguaglianze nel mercato del lavoro che, nel mondo reale, colpiscono principalmente le donne. Il differenziale salariale è connesso a numerosi fattori di natura giuridica, sociale, ed economica che vanno al di là del principio di parità retributiva a parità di lavoro. Il differenziale salariale è come la punta di un iceberg in cui sono incorporate una più ampia gamma di diseguaglianze tra donne e uomini (Advisory Committee on Equal Opportinities for Women and Men). I fattori che determinano principalmente il Gpg si possono riassumere in: sottovalutazione del lavoro femminile, segregazione orizzontale e verticale, struttura dei salari, persistenti stereotipi e modelli tradizionali di genere nei contesti lavorativi e persistenti difficoltà di conciliazione degli impegni professionali e familiari. Conseguentemente per ridurre il Gpg è indispensabile valorizzare il lavoro delle donne attraverso politiche di trasparenza rivedendo ad esempio i sistemi di valutazione del lavoro e superando la segregazione di genere nel mercato del lavoro; attivando misure di conciliazione innovative che coinvolgano anche uomini, promuovendo iniziative culturali per superare gli stereotipi di genere che alimentano ancora una concezione del lavoro cosiddetto ‘maschile’ e ‘femminile’, avere maggiore dialogo sociale e collaborazione tra aziende, sindacati, Pa.

Ripensando alla sua carriera lavorativa, ci puoi raccontare di una iniziativa che ha avuto particolare successo e che ti ha dato particolare soddisfazione?
Fortunatamente sia nel lavoro che nel ruolo di presidente della Commissione provinciale Pari Opportunità ho realizzato numerose iniziative e progetti che mi hanno dato molta soddisfazione e che hanno riscosso un certo successo soprattutto in termini di ricadute concrete. Se proprio deve scegliere, allora segnalo il progetto Pari-Politiche di Armonizzazione Responsabile dei tempi di vita e lavoro nelle Imprese cooperative, un progetto che ho realizzato nella cooperazione. Una ricerca quali/quantitativa riguardo le misure organizzative adottate dalle cooperative per conciliare i tempi di vita e lavoro e una serie di azioni di informazione/sensibilizzazione sul tema e scambio di buone pratiche. In sostanza attraverso questo progetto si è avviato nella cooperazione un percorso molto importante, tutt’ora in essere, di conoscenza e di scambio di buone pratiche cooperative di conciliazione, di benessere e innovazione organizzativa.

Simonetta è anche una donna che ha una vita personale, relazioni, hobby, interessi. Anche nella vita non lavorativa si occupa e promuove il principio di pari opportunità?
Certo che sì, è inevitabile perché diventa un modo di leggere e interpretare la realtà, un modo di comunicare, di comportarsi, di essere, al quale non posso e non voglio rinunciare. Va dalla scelta del giocattolo, al libro che acquisto per un regalo, a quando leggo un giornale, vedo una pubblicità. E da queste esperienze di vita quotidiana spesso traggo anche degli input che sviluppo nell’ambito lavorativo, per realizzare alcune iniziative; c’è una sorta di circolarità tra vita privata e professionale. Se regalo un libro a una bambina cerco un testo che descriva storie di donne forti, che abbiano realizzato qualcosa di importante, storie che non veicolino una visione stereotipante, come spesso accade, e così via. Nella comunicazione presto molta attenzione alle parole che uso e nelle relazioni con le persone colgo spesso aspetti che attengono in qualche maniera al modo di intendere i rapporti tra donna e uomo.

Una frase celebre che ha a che vedere con le pari opportunità e che ti piace particolarmente?
“Quando le donne si sono impegnate nelle battaglie le vittorie sono state vittorie per tutta la società. La politica che vede le donne in prima linea è politica d’inclusione, di rispetto delle diversità, di pace”: è di Tina Anselmi. Secondo me questa frase interpreta il senso profondo, vero di democrazia paritaria.

Un quadro che è adatto a suscitare riflessioni sulle pari opportunità e che ti piace particolarmente?
Il bacio di Gustave Klimt

Un personaggio del mondo dello spettacolo che secondo te potrebbe essere un buon testimonial per iniziative legate al tema delle pari opportunità e un personaggio che invece non vorresti.
Sceglierei Riccardo Iacona come testimonial; è davvero difficile scegliere il personaggio che non vorrei, la lista sarebbe troppo lunga.

Il personaggio politico con cui vorresti aprire un dialogo sul tema.
La ministra Maria Elena Boschi.

Il miglior libro sul tema che hai letto.
‘La Passione di Artemisia’. E’ la storia di Artemisia Gentileschi, una artista, ma ancora prima, una donna che ha vissuto nel 600 che ha infranto le regole del periodo per affermare la propria libertà. Un romanzo che con la storia di Artemisia insegna molto alle donne, ma non solo.

Se tu dovessi scrivere un libro sulle pari opportunità che titolo avrebbe?
Le pari opportunità: dalla teoria alla pratica.

Che colore sceglieresti per la copertina?
Color turchese, perché oltre ad essere uno dei miei colori preferiti è un mix di armonia e serenità.

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