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Giorno: 24 Febbraio 2018

In ricordo di Folco Quilici: “Nei viaggi attraverso gli oceani ho incontrato il mare della storia”

di Franco Patruno

A poche ore dalla scomparsa del grande regista e documentarista di origini ferraresi, Ferraraitalia gli rende omaggio attraverso un’intervista di Franco Patruno, pubblicata originariamente sull’Osservatore Romano nel 2001.

Folco Quilici ha lo stesso sorriso di quando lo conobbi, nei primi anni Ottanta, durante le riprese di ‘La Grande Epoque’. Mi si conferma un’impressione: gli occhi hanno la vivacità curiosa di sempre e il sorriso li accompagna in una sorta di viaggio della parola che sa descrivere compiutamente l’inesausto pellegrinaggio della vita. Sembra che il regista e letterato ferrarese riattualizzi ogni volta il racconto che sta alla base di un’avventura che non può essere preventivamente sceneggiata: è l’esperienza della scoperta in diretta che crea la propria sceneggiatura.

Mi introduco definendo film le sue opere, e non solamente “documentari”. “Ho letto l’introduzione di Tullio Kezich all’ampia documentazione di Ilaria Caputi nel recente ‘Il cinema di Folco Quilici’ e concordo sul fatto che le sue opere, appunto, non si possono semplicemente definire meri documenti etnografici o antropologici; c’è sempre una struttura narrativa, un percorso di vite, e tracce d’esistenza come in un romanzo nato direttamente dal viaggio e dall’esperienza concreta che sta facendo”. Interviene prontamente: “In effetti, la mia curiosità di viaggiare e riprendere storie che le persone ed il luogo di volta in volta mi presentano, mi affascina sempre in modo nuovo. Non ho trovato mai niente di scontato: è la vita che mi viene incontro in quelli che, da antica retorica, chiamiamo paesi lontani: una storia, tante storie”.
Gli sottopongo una mia personale lettura di alcuni tra i tanti film nati dai viaggi; la constatazione, cioè, che in ‘Oceano’ o in ‘Ti-Koyo e il suo pescecane’ è sempre la persona umana che è al centro e che determina l’ambiente e il suo fascino. “E’ vero – mi risponde con convinzione – Se durante le riprese, l’acqua, i monti e lo splendore della natura mi invitano a percorrere i loro itinerari, ho sempre l’avvertenza che siano forma dell’uomo. Mi spiego meglio: c’è un’interazione, una comunione, spesso raggiunta in apparenti e paradossali conflitti. Ma è sempre l’uomo che crea il suo mondo”. “E che può anche distruggerlo”, aggiungo subitaneamente. “Certo, non solo può ma spesso effettivamente li distrugge. Ho sempre pensato, anche nelle situazioni che amiamo chiamare incontaminate, che tutto potrebbe essere sconvolto. Come di fatto è avvenuto in diverse tragedie ambientali. Ma, ripeto, la persona umana è sempre al centro di questo micro o macro universo”.
Nell’utilizzare questa terminologia, non dimentico che Quilici ha avuto la gioia di avere un grande storico degli ‘Annales’ come “maestro ed amico”: Fernand Braudel. “Nel mio libro ‘L’avventura e la scoperta’ narro del primo incontro con lui a Parigi, nella sede della Maison des Sciences de l’Homme. In quell’incontro osai fare una proposta a proposito del progetto di ‘Mediterraneo’. Si potrebbe, dissi, prendere un barcone, un peschereccio, ripercorrere questi itinerari e ricostruire il modo in cui gli uomini di allora si orientavano, prima dell’ottavo secolo. Non avrei mai immaginato la risposta entusiastica di Braudel: ‘Ha proprio ragione! Perché la storia è fantasia!”

Guardando l’immensa filmografia e l’intensa produzione letteraria, confesso a Quilici che non saprei più su quale particolare o quale ‘avventura’ avrei potuto trovare uno spunto per il colloquio. Ma è lo stesso regista che, con naturalezza, favorisce agganci: “Ho fatto un sogno strano: mi immaginavo di andare via dall’Oceano, tra il sentimento dell’angoscia del lasciare un orizzonte ormai legato alla mia pelle e l’entusiasmo di riprendere un cammino scoprendo nuovi ed inattesi mondi. Ma fu un sogno salutare. Il mutamento di interessi, dal mare verso l’entroterra, mi di diede la possibilità di incontrare un mare ancora più sconfinato: il mare della storia”. Rimango colpito dall’apertura di Quilici e dalla sua curiosità di varcare i confini tra cosmo ed antropologia”. “Allora è la storia del paesaggio umano – chiedo – che l’interpella; con le sue radici, il presente ed il futuro che si appressa…”. “Indubbiamente. Le epoche, le culture, un’immensa scenografia umana nella quale le culture scorrono, si muovono, interagiscono, creano un connubbio di gioia e sofferenza insieme. Come interagiscono, cioè, e stabiliscono rapporti che vanno interptetati, scoperti e riscoperti. Ed anche le ideologie, le vicende politiche ed economiche, le loro stratificazioni…tutto questo, mi accorgo, era implicito nel sogno, ma che l’amicizia confidente di Braudel ha portato in superficie”.
“Credo, Quilici, che da questa accentuazione che amo chiamare vocazionale, sia presente un forte recupero anche della dimensione umanistica respirata in famiglia”. Prima della conversazione, dissi al regista che avevo conosciuto ampiamente l’opera pittorica e grafica della sua mamma, Mimì Quilici Buzzacchi, e mi aveva interessato particolarmente il rapporto con la Scuola Romana…”. “Sono grato alla mia famiglia; è stata alla base della mia formazione e della curiosità sia per le avventure dei viaggi che per l’interiorizzazione dell’esperienza culturale. Forse, senza avvertenza esplicita, ora penso a quanto debbo a mia madre. Devo dire, però, che nel lavoro, cioè mentre dipingeva o creava incisioni e xilografie, esigeva da me e dai mie fratelli un solenne silenzio. Rimanevo affascinato dalla trasformazione di un semplice supporto in una cosa altra: forme, colori, storie sulla carta o sulla tela. In fondo, anche quello era un narrare, un modificare, un creare; quindi un viaggio, un’avventura”.
Ricordo che le sue rivisitazioni del Barocco e dell’Art Nuveau hanno affascinato non solo il sottoscritto, ma pure fini storici dell’arte e, al tempo stesso, antroplogi e studiosi di etnografia. Sottolineo, soprattutto, la magia del montaggio. “Si, il montaggio! Ricordo le lezioni al Centro Sperimentale, come quelle di Renato May. Imparai che con il montaggio si può ricostruire tutto, ricapitolarlo, sintetizzarlo…” “Interpretarlo – aggiungo io – perché ogni montaggio è una forma di appressamento alla realtà”. “Indubbiamente, anche se, pur figlio di una generazione post neo realista, non sono mai stato tentato di ricreare o riattualizzare un fenomeno che ha una sua specifica collocazione storica. Non sono mai stato, d’altronde, neppure un surreale. Anche se son sempre stato affascinato da Lo sceicco Bianco di Fellini, determinante per altri aspetti del mio mondo, è stata la continua rivisitazione di Flaherty che mi ha liberato lo sguardo. Mi ha aiutato molto la fotografia, che è mi è cara soprattutto se scandita in modo di sequenza. Da Flaherty ho afferrato che contemplazione e montaggio non si contappongono. Ho sempre avvertito, però, il pericolo dell’oleografia, dalla quale, mi sembra, sono sempre stato lontano”.
“E’ la vita – domando – che l’aiuta a definire le modalità di un film o segue un modello preventivo ‘di ferro’?” “Quando mi immergo, leggendo e visitando tutto ciò che è possibile, in un mondo particolare (come, per esempio, il Barocco), cerco di intravedere quali inquadrature e quale montaggio sia funzionale a quel tipo di sensibilità, di cultura e di esperienza storica. Ciò che mi coinvolge e che continuamente mi affascina è l’aspetto visivo del reale: per La Grande Epoque ho cercato di rendere la festosità ad arazzo dello stile attraverso una sorta di caleidoscopio multicolore, per meglio far rivivere non solo alcuni particolari di quel mondo e di quelle atmosfere, ma l’anima danzante ed il movimento incessante, senza soluzione di continuità”. Trovo significativo il rapporto tra ‘Festa Barocca’, anche se sacrificato in moviola, e ‘La Grande Epoque’ per questo aspetto festoso che però sembra alludere, nel massimo del suo splendore, alla sua crisi, cioè al passaggio ad un mondo di segni decisamente più austero.
“E’ l’opera d’arte che può raccontare meglio di altre documentazioni lo spirito di un’epoca, perché svela un paesaggio trasformato dall’uomo: miserie e grandezze, esuberanza della fantasia, ricchezza esorbitante dell’elemento decorativo, gusto del meraviglioso… Mi interessa cogliere le costanti universali della mente creativa. Il Barocco è indubbiamente una categoria dello spirito, al di là delle singole proposizioni”.

“Allora è sempre l’uomo che l’interessa, con l’intersecarsi dei rapporti tra scienza e arte, ricerca filosofica e manifestazione artistica”. “Indubbiamente. Il senso della ‘maraviglia’, devo averlo detto in alcune interviste, accumuna il viaggio dell’intelligenza e della fantasia attraverso i secoli e delle diverse ricerche disciplinari. Ma mi interessa anche la concretezza storica del manifestarsi della ‘maraviglia’. Allora mi immergo in un singolo mondo, cerco di conoscerlo a fondo anche se poi accentuo l’aspetto della percezione visiva nell’arte. Il debito con mia madre è indubbiamente grande. Non nel senso che, come può avvenire comunemente oggi, mi portasse a vedere musei, gallerie ecc… perché questo è stato un percorso che ho seguito in seguito; ma nel senso dello stupore per la creazione e per la serietà della costruzione della forma. Con mio fratello, osservavamo attentamente mia madre mentre disegnava o dipingeva, ma in assoluto silenzio, quello, per altro, che lei stessa pretendeva. Questa serietà severa mi ha fatto comprendere che non si trattava di un gioco”. La conversazione si fa sempre più interessante e ho l’impressione che stia nascendo un’amicizia. Non c’è urgenza di domande e risposte perché i collegamenti sorgono spontanei. Avendo visto ‘Il rischio e l’obbedienza’ (quattro puntate per Rai 1 per illustrare la storia della Compagnia di Gesù, ndr), inserisco l’argomento che, evidentemente, mi incuriosisce in modo particolare. Anche Quilici lo affronta con vivacità. “E’ stata un’esperienza nuova ed importante, perché nel 1992 si celebrava in cinquecentenario della nascita di Sant’Ignazio di Loyola. Collaborai strettamente con Padre Giovanni Marchesi S.J., redattore della Civiltà cattolica. Mi appassionò la vicenda biografica straordinaria di Ignazio, come pure la diffusione della compagnia prima in Europa e poi in Asia e in Sud America. Se si pensa al periodo storico, c’è qualcosa non solo di stupefacente nell’intraprendenza verso l’India e la Cina! Si pensi poi ai tentativi di inculturazione della fede cristiana nel rispetto delle culture locali, quasi a far comprendere che la fede non mortifica le singole manifestazioni etniche”. Annoto che Ilaria Caputi, nella biografia precedentemente citata, parla di una luce prettamente spirituale nella scoperta di questi mondi e nell’indagine su San Francesco Saverio e Matteo Ricci. “Ho un’ammirazione per la formazione ed il coraggio dei gesuiti, non solo nel creare scuole ed università ad altissimo livello culturale, ma anche, e soprattutto, per la condivisione con coloro che vivono emarginati, i più poveri, come nel caso degli indios Guaranì contro la violenza dei conquistadores, come si può vedere nella parte conclusiva del film. Purtroppo una puntata non è più rintracciabile e non ne posseggo una coppia”.
Gli chiedo come è stato il suo rapporto personale durante la lavorazione. “Emozionante, mi risponde subito, per la serietà che ho riscontrato nella ricerca e per il totale rispetto della mia attività cinematografica. Un particolare bello ed anche, almeno per me, insolito: quando feci vedere il film terminato al Padre Generale, mi disse che gli era molto piaciuto. Ma poi mi fece una domanda che potrebbe apparire imbarazzante: mi chiese cosa ne pensavo dei gesuiti che avevo incontrato e conosciuto. Con sincerità gli espressi la mia ammirazione, facendo notare, però, che tutti avevano una spiccata individualità e che era complesso trovarne uno uguale all’altro. Il Padre Generale sorrise compiaciuto. Mi accorsi che questa autonomia di giudizio nasceva proprio dai caratteri della loro formazione spirituale”. Aggiungo che se i gesuiti non avessero avuto questa formazione sarebbero da tempo estinti, come molti stati avrebbero voluto e che la spiritualità di Ignazio è fortemente caratterizzata non in senso individualistico ma capace di aiutare i singoli ad affrontare anche da soli situazioni limite.

Mi accorgo che è trascorsa più di un’ora e che Quilici ha un impegno in quanto convocato per la giuria del Premio Estense. Mentre ci salutiamo calorosamente, mi consiglia di leggermi l’ultimo suo libro, “L’abisso di Hatutu”. Avrei trovato, lo dice con un cordiale sorriso, una preveggenza della tragedia che in questi giorni ha colpito gli Stati Uniti. Lo apro appena mi arriva fresco fresco dalla casa editrice.
Le prime righe del capitolo (‘Tra il golfo di Biscaglia e l’Atlantico-Giugno 1943’) così narrano: “Erano finalmente giunti alla prova decisiva. Se avesse funzionato gli americani avrebbero avuto una brutta sorpresa: una loro nave sarebbe affondata nel porto di New York. Il lampo accecante di un’esplosione a Manhattan”.
Nei prossimi giorni lo leggerò compiutamente per verificare se, nella conoscenza del nostro passato, Quilici non abbia intuito altre cose del nostro futuro.

Il 26/2 il CAL TRIO di DOMENICO CALIRI si presenta con una nuova sezione ritmica al Torrione per il consueto Monday Night Raw

Da Ufficio Stampa Jazz Club Ferrara

Lunedì 26 febbraio, a partire dalle ore 20.00
Monday Night Raw
Opening Act
Happy Hour with Andreino Dj

+

Live
Cal Trio
Domenico Caliri, chitarra
Stefano Senni, contrabbasso
Marco Frattini, batteria

+

Jam Session
In collaborazione con il Conservatorio “G. Frescobaldi”
Tip of the Day
Antonio Cavicchi, chitarra
Matteo Balcone, basso elettrico
Gianfilippo Invincibile, batteria

Il Monday Night Raw di lunedì 26 febbraio è affidato al chitarrista e compositore Domenico Caliri che, in compagnia di una nuova sezione ritmica, riprende il progetto Cal Trio mettendo in evidenza una personale rielaborazione delle varie possibilità timbriche che la chitarra elettrica offre. Immancabili l’aperitivo a buffet accompagnato dalla selezione musicale di Andreino Dj e la jam session aperta dagli allievi e dai docenti del Dipartimento Jazz del Conservatorio “G. Frescobaldi” di Ferrara.

Il Monday Night Raw di lunedì 26 febbraio (inizio ore 21.30) è affidato al chitarrista e compositore Domenico Caliri che, in compagnia di una nuova sezione ritmica, riprende il progetto Cal Trio, avviato già negli anni 2000 (con all’attivo due cd per l’etichetta Caligola), dando continuità al proprio percorso compositivo e mettendo in evidenza una personale rielaborazione delle varie possibilità timbriche che la chitarra elettrica offre. Il leader è coadiuvato, in maniera magistrale, da due musicisti dotati di una non comune sensibilità musicale come Stefano Senni (basso elettrico) e Marco Frattini (batteria).
Domenico Caliri (Messina, 1967) è noto per la lunga militanza nel gruppo Electric Five di Enrico Rava. Approdato a Bologna nel ’90, Caliri si fa spazio nell’ambiente musicale con il proprio personale ed autorevole linguaggio che lo conduce ad incidere, nel corso del tempo, una trentina di album come sideman e cinque a proprio nome. Oltre a condividere interessanti progetti con alcuni protagonisti della scena creativa nazionale come Piero Bittolo Bon e Pasquale Mirra, Caliri ha collaborato con artisti del calibro di Lester Bowie, Han Bennink, Kenny Wheeler, Richard Galliano, Antonello Salis, Paolo Fresu, Aldo Romano, Gianluigi Trovesi, Michel Godard, Stefano Bollani, ecc. È altresì docente di chitarra jazz, arrangiamento e composizione presso il Conservatorio “E. R. Duni” di Matera.
Anticipa il concerto il goloso aperitivo a buffet del wine bar del Torrione (a partire dalle ore 20.00) accompagnato dalla selezione musicale di Andreino Dj.
Segue il concerto Tip of The Day, ovvero l’apertura della jam session a cura degli allievi e dei docenti del Dipartimento Jazz del Conservatorio “G. Frescobaldi” di Ferrara. Questo lunedì scenderà in campo il trio formato da Jacopo Salieri al pianoforte, Nicola Govoni al contrabbasso e Fausto Negrelli alla batteria. Ingresso a offerta libera riservato ai soci Endas, infoline 0532 1716739.

INFORMAZIONI
www.jazzclubferrara.com
jazzclub@jazzclubferrara.com

Infoline: 0532 1716739 (dalle 12.30 alle 19.30)

Il Jazz Club Ferrara è affiliato Endas, l’ingresso è riservato ai soci.

DOVE
Torrione San Giovanni via Rampari di Belfiore, 167 – 44121 Ferrara. Se si riscontrano difficoltà con dispositivi GPS impostare l’indirizzo Corso Porta Mare, 112 Ferrara.

COSTI E ORARI
Ingresso a offerta libera riservato ai soci Endas.
Tessera Endas € 15

Non si accettano pagamenti POS

Apertura biglietteria 19.30
Aperitivo a buffet con dj set a partire dalle ore 20.00
Concerto 21.30
Jam Session 23.00

DIREZIONE ARTISTICA
Francesco Bettini

UFFICIO STAMPA
Eleonora Sole Travagli
e-mail: solejazzclubferrara@gmail.com ; press@jazzclubferrara.com
cell. + 39 339 6116217

“Non parlare con la bocca piena ”

Da ufficio stampa EVENTI FERRARA

Lunedì 26 febbraio alle 18.00

Presso la storica sala dell’Oratorio San Crispino

Libreria Ibs+Libraccio di Ferrara

In collaborazione con Arcigay Ferrara

Chiara Francini presenta il libro

“Non parlare con la bocca piena ”

(Rizzoli)

Dialoga con l’autrice Manuela Macario

Una storia di lacrime e risate, dentisti e caramelle, nonne, zie e amiche tatuate, cuori e nostalgia.

“Al terzo giro dell’isolato Chiara si rende conto di aver scelto probabilmente il momento peggiore, con la luce più bella di Roma, per lasciare. Del resto non esiste un’ora perfetta per la fuga perfetta. Da bambina le bastava il tempo di una mela – i bocconi piccoli – per raggiungere la sua cameretta partendo da scuola. Quanto sarebbe stato più facile adesso arrivare in quella casa a piedi, a undici anni, con le bucce verdi ancora tra i denti…”

Bello sapere che si può tornare. Che a ogni passo falso, nella vita, i genitori sono pronti a riabbracciarti con un calore che gli anni non hanno mai attutito né tanto meno spento. Per Chiara, questo calore profuma di caffè e canta sulle note della Vedova allegra. Perché i suoi genitori sono così, loro che l’hanno tirata su in amorosa allegria, le hanno costruito attorno un mondo da fiaba e hanno trattato la vita come una partita a tombola a Natale: leggera. Chiara ha appena lasciato Federico, il loro nido e i gatti. Il suo essere una donna fallica le ha impedito di portare avanti pure questa storia. E sì che stavolta si era impegnata. Ora il dolore le morde il cuore. Anche le donne come lei soffrono. Ma niente, non ce la fa, ed eccola a suonare il citofono a papà, a trascinarsi su per le scale i due trolley, ad addolcire la vita masticando Galatine per consolarsi un po’. Come le hanno insegnato fin da piccola. Meno male che, a casa dei suoi, Chiara ritrova tutto com’era, la cameretta rosa da principessa, l’albero di Natale acceso a ogni stagione, le riviste anni Novanta, gli amici di famiglia chiassosi e colorati. E naturalmente la matura armonia d’amore fra i suoi genitori. Un amore che ha superato tante prove, un amore coraggioso e per nulla convenzionale, un amore disinteressato e forte che ha sconfitto i pregiudizi, spesso con il fendente di una risata. Ma anche un amore buffo e capace di curare le ferite della vita (pure quelle che non si rimarginano perfettamente e lasciano la cicatrice). Una vera scuola d’amore, da cui Chiara avrà ancora molto da imparare.

Chiara Francini è nata a Firenze e cresciuta a Campi Bisenzio. È un’attrice. Ha sempre amato scrivere. Questo è il suo primo romanzo. La protagonista si chiama Chiara. Come lei.

La stazione ecologica e lo smaltimento dei rifiuti

Da ufficio stampa Fiab Ferrara

Sabato 3 marzo alle 9.30 Cicloaperitivo: andremo a visitare la stazione ecologica di via Caretti.

Faremo una visita accompagnati da un operatore della società di smaltimento rifiuti Hera che gestisce nel nostro territorio le stazioni ecologiche.

La stazione ecologica di via Caretti è la più grande delle tre esistenti a Ferrara e integra le raccolte stradali o domiciliari e rappresenta l’opzione ambientale di minore impatto. I cittadini possono conferire gratuitamente tutti i rifiuti urbani che per tipologia/dimensione/peso non possono essere raccolti con il servizio ordinario.

Al termine ogni partecipante riceverà un gadget in omaggio.

RITROVO
Sabato 3 febbraio ore 9.30 piazza Duomo, partenza per via Caretti alle ore 10.

INFO
Massimo 348 8645028; mamiglio48@tim.it

Quanto buon cinema questa settimana all’Apollo!

Da ufficio stampa Apollo Cinepark

Nelle sale di via del Carbone in programmazione “Il Filo Nascosto”, scritto, diretto e co-prodotto da Paul Thomas Anderso (lunedì 26 alle ore 21.00 in lingua originale),”Figlia Mia”, film del 2018 diretto da Laura Bispuri, con protagonista Valeria Golino e Alba Rohrwache. Resta sala l’imperdibile “La Forma dell’Acqua” diretto da Guillermo del Toro, film ha vinto il Leone d’oro al miglior film alla 74ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e The Post , con gli immarcescibili Meryl Streep e Tom Hanks diretti da Steven Spielberg.
Per I più piccoli c’è invece “Belle e Sebastien – Amici per sempre”, che racconta le nuove avventure di Sebastien e il suo cagnolone bianco.
Martedì 27 alle ore 19.45, dal Metropolitan di New York arriva “La Boheme”, mentre mercoledì 28 alle 20.15 sul grande schermo sarà possibile assistere al balletto “Il Racconto d’Inverno” dal Royal Opera House di Londra.

Ezio Roi (M5S) alla caffetteria del Castello Estense

Da organizzatori

Lunedì 26 febbraio alle 11.30, presso la Caffetteria del Castello Estense (Piano Nobile), incontro pubblico con Ezio Roi, candidato al Senato del Movimento 5 Stelle – Collegio Uninominale Ferrara-Bologna-Imola. Un incontro che vuole essere un vero e proprio dialogo con i cittadini e che avrà come spunto il tema “Sicurezza dei cittadini e funzionamento della giustizia. Idee per una necessaria riforma”. Sarà presente all’incontro anche Claudio Frati, candidato per il Movimento 5 Stelle alla Camera – collegio uninominale di Bologna e Imola.

Incontro 27 febbraio al Cinema Santo Spirito (Ferrara)

Da organizzatori

Dopo la buona riuscita della tavola rotonda di mercoledì 21 febbraio a San Benedetto, i rappresentanti dei partiti in lizza alle elezioni del 4 marzo prossimo prenderanno parte all’atteso incontro pubblico in programma alle 20,45 di martedì 27 febbraio prossimo al cinema Santo Spirito (in via Resistenza, 7 a Ferrara) su un tema particolarmente rilevante per il mondo cattolico e non solo: la famiglia, autentico propulsore della società.
L’iniziativa è promossa dall’Ufficio diocesano per la Pastorale della Famiglia con l’obiettivo di mettere a confronto il mondo politico su alcuni aspetti – di grande valore e interesse – della vita personale e comunitaria.
Gli esponenti dei partiti risponderanno alle domande proposte da associazioni cattoliche. Un primo gruppo tratterà i temi della famiglia, della vita e della denatalità. Un secondo si occuperà di fiscalità e scuola. Condurrà l’incontro il presidente dell’Unione della stampa cattolica e consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti Alberto Lazzarini.
Hanno dato adesione: Alberto Balboni (Fratelli d’Italia), Alberto Bova (Civica popolare – Lorenzin), Maura Tomasi (Lega), Dario Franceschini (Pd), Paola Peruffo (Forza Italia), Federico Messina (Pri), Vittorio Ferraresi (M5S), Eugenia Roccella (Noi con l’Italia), Maria Cecilia Guerra (Liberi e Uguali), Deanna Marescotti (Insieme), Emanuela Biagi (Popolo della famiglia), Giovanni Tavassi (Potere al popolo).

Il mio nome è Farkhunda

di Roberta Trucco

Questo è un mio breve racconto pubblicato sul libro di Teresa Forcades, che ho curato insieme a Cristina Guarnieri, intitolato ‘Siamo tutti Diversi’ ed edito da Castelvecchi. Come ho scritto nella introduzione del libro: “’Il mio nome è Farkhunda’ è dedicata alla giovane musulmana Farkhunda Malikzada, linciata a morte a Kabul per aver predicato per ore nel cortile del santuario denunciando i traffici di finti amuleti. Farkhunda studiava diritto islamico e lavorava come maestra volontaria. È un racconto simbolico, inserito qui per onorare donne coraggiose che sembrano aprire il cammino a nuovi immaginari e anche per ribadire che quelle distanze che troppo spesso sono raccontate come insormontabili, a un attento esame dimostrano la vicinanza che accomuna tutti noi, al di là delle culture e delle tradizioni, e ribadiscono l’importanza della sorellanza e fratellanza tra gli esseri umani. Per noi Teresa testimonia tutto questo. Lei apre a una pacifica rivoluzione del pensiero alla quale vorremmo vedere affiancarsi sempre più persone.”

Credo dica bene perché oggi le donne possono rappresentare la speranza del futuro. Il femminismo oggi rappresenta una delle vie più autentiche per interpretare la complessità nel quale siamo immersi, un femminismo incarnato, che testimonia la nostra differenza. Oggi dire ‘sono una donna’ è rivoluzionario.

Il mio nome è Farkhunda

C’era una bambina che aveva gli occhi colore della notte fonda e il sorriso largo come la luce del sole. Il suo nome era Farkhunda e il suo destino quello di volare.
Era nata in una famiglia numerosa. Aveva solo fratelli maschi, per la precisione tre, lei era la più piccola.
Farkhunda era cresciuta inseguendo i fratelli. Al mattino, quando faceva colazione mandava giù la tazza di latte in quel modo frettoloso e disattento come fanno solitamente i maschi, lasciando lì la tazza, tanto qualcuno la ritira e la lava. Correva dietro a loro per raggiungere la scuola, correva dietro a loro per tornare da scuola. Correva sempre Farkhunda, correva dietro ai suoi fratelli, correva quando la mandavano a fare la spesa, correva alla sera quando sgattaiolava dalla porta di casa incontro al tramonto. Correva ed era davvero veloce. Man mano che cresceva le sue gambe sottili e lunghe la rendevano sempre più agile, una vera corridora.
Farkhunda era così veloce che batteva i suoi compagni maschi con grande facilità, batteva anche i suoi fratelli e loro fino a quando era stata poco più che una bambina ne gioivano e ci scherzavano… addirittura la usavano per organizzare corse a scommessa, come per i cavalli.
Farkhunda si divertiva e si sentiva importante, era il cavallo sul quale puntare!
Correre era il suo sogno.

Poi un giorno a Farkhunda capitò una cosa strana proprio mentre correva.
Sentì giù per le gambe un fluido caldo e denso, era rosso e si ricordò delle parole della madre: “Attenta Farkhunda arriverà il giorno in cui il tuo posto non sarà più fuori a correre, dovrai fermarti e stare in casa e quel giorno non è lontano. Guarda come già sta cambiando il tuo corpo e assomigli sempre più a me!”
Ma Farkhunda, che amava sua madre, non voleva assomigliarle; a forza di stare in casa, chiusa tra le mura di poche stanze, la madre, un tempo molto bella, era sfiorita, i suoi fianchi si erano appesantiti e il suo sguardo sembrava sempre rivolto alla porta come a cercare qualcosa che era fuori.
Farkhunda voleva bene a sua madre, sapeva che poteva correre perché sua madre le lavava sempre la tazza al mattino e perché faceva molto altro ma non voleva fermarsi. Sapeva anche che era tardi ormai per cambiare la sorte della madre, per portar via quel velo di nostalgia che le si leggeva negli occhi. E sapeva, in fondo al cuore, che poteva pensare a sé stessa e che quel giorno del fluido caldo era il giorno in cui avrebbe dovuto spiccare il volo. Così continuò a correre quel giorno e poi il giorno dopo e così per altri giorni.

Passarono gli anni, alcuni anni, e molti pensieri crebbero dentro di lei mentre correva.
Una notte ripercorse le stanze della casa, spiò il sonno dei fratelli, cresciuti in fretta, che giocavano sempre meno con lei, si avvicinò al letto della madre e del padre, sfiorò con le labbra le loro guance. Poi, al chiaror della luna, aprì la porta di casa e incominciò a correre, rapida come il vento, verso il suo mondo.
Mentre correva il sole sorgeva e la terra luccicava come una promessa.
Man mano che attraversava il deserto, le montagne si stagliavano all’orizzonte nei loro confini azzurrognoli.
Attraversava i villaggi correndo e presto si sparse la voce di quella strana corridora dalla gambe di gazzella.
Le vecchie l’attendavano all’ingresso dei villaggi con acqua fresca e cibo e piano piano le si affiancarono altre ragazze che si mettevano a correre dietro di lei.
Ora, all’ingresso dei villaggi non c’erano più solo le vecchie con cibo e acqua ma anche le madri e i figli maschi.
Tutti porgevano loro qualcosa.
Anche i bambini, maschi e femmine, correvano per un po’ al loro fianco e provavano l’ebbrezza della libertà.
All’ingresso dei villaggi accorsero anche gli uomini anziani e le osservavano. Videro nei loro occhi la speranza del futuro, videro il nuovo che avanzava, la promessa del domani. Smisero di trattenere i loro figli e con dolcezza li spinsero al loro fianco.

MEMORABILE
Tormento, poesia e anarchia

Come anticipato la settimana scorsa, eccoci a parlare dell’inconsueta silloge poetica ‘Tormento. Poesia e Anarchia’, di Virgilia d’Andrea (1890-1933), una poetessa dell’anarchia: scrive e canta perché sente e vuole, e perciò riesce più vera e più efficace di tanti poeti maggiori. Scrisse di lei l’anarchico Errico Malatesta: «Virgilia D’Andrea si serve della letteratura come di un’arma; e nel folto della battaglia, in mezzo alla folla e in faccia al nemico, o da una tetra cella di prigione, o da un rifugio amico che alla prigione la sottrae, lancia i suoi versi come una sfida ai prepotenti, uno sprone agli ignavi, un incoraggiamento ai compagni di lotta». È questa un’altra rara e preziosa chicca del catalogo Tiemme Edizioni Digitali (www.tiemme.onweb.it), distribuita in tutte le librerie on-line.