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Giorno: 13 Agosto 2018

I “sinistrati”, pochi e divisi pure nel cordoglio per gli schiavi dei campi

Dodici braccianti africani schiavizzati nelle nostre campagne muoiono su una strada in un terribile incidente e la risposta che tutti ci attendevamo, per lo meno io mi attendevo, era di una massiccia, imponente manifestazione unitaria. Per dire no allo sfruttamento, no al nuovo schiavismo, no al caporalato mafioso. Invece, no. Questi uomini vivono separati dal resto del mondo nel ghetto di Rignano vicino S. Severo, terra di mafia, per altro, muoiono soli e manifestano da soli. Due distinte manifestazioni di cui non si è capita la motivazione. Una alla mattina, alle otto e trenta organizzata dall’Usb. Coprendo a piedi la distanza che separa il loro ghetto dal centro di Foggia. L’altra al pomeriggio, simbolicamente ad un’ora più comoda, meno soleggiata, alle 18.30, organizzata dalle tre confederazioni sindacali. Ancora una volta separati e divisi. Nella terra che fu di Giuseppe Di Vittorio, storico leader della Cgil, bracciante anch’esso che conosceva il sapore amaro del pane, come diceva mio nonno contadino. Lui, artefice dell’unità sindacale, ma soprattutto dell’unità dei lavoratori. Quasi profeta della necessità dell’unità degli sfruttati nel lavoro. A me quelle due manifestazioni separate e distinte sono sembrate una bestemmia. L’ennesima per altro a cui i sindacati confederali ci stanno sempre più abituando. Eppure, l’8 agosto scorso 2018 è successo proprio questo, che dei lavoratori hanno dovuto organizzarsi da soli la loro manifestazione.
Sarebbe interessante capire il perché di quei due cortei. Le sento già le giustificazioni: “loro hanno preferito manifestare da soli”; “non c’è stato il tempo per mettere in moto la macchina organizzativa”; ecc. ecc. ecc. Forse la verità è che un filo di razzismo serpeggia anche tra i lavoratori nostrani e le loro organizzazioni che in fondo pensano che se la sono cercata. Un po’ come negli stupri dove la responsabilità è sempre della vittima. Magari anche in questo caso si pensa che se avessero detto di no allo sfruttamento non sarebbe successo. Magari si pensa che è colpa loro se in fondo il caporalato continua ad imperversare, se il prezzo della manodopera è sceso al punto che nessuno di noi accetterebbe di lavorare a quelle condizioni ed ora ci ritroviamo i nostri figli disoccupati. E allora non c’è tempo per organizzare insieme una manifestazione unitaria. Per riconoscersi come parte di una stessa storia di sfruttamento, per riconoscersi come parte di una stessa classe. Sì, classe! Viva Dio! Usiamola questa parola! Quella di chi è costretto a vendere le propria braccia per campare. Bianchi, verdi, gialli, musulmani, cristiani, induisti, buddisti. Classe! Per guardare insieme cause e origini di questo sfruttamento e dire insieme basta! Così non va. Per dirsi reciprocamente che chi calpesta i tuoi diritti calpesta anche i miei ed è per questo che dobbiamo lottare insieme. Insieme trovare le parole comuni. Insieme riconoscersi come parte di un’umanità che rivendica i diritti nel lavoro e al lavoro. Parlarsi. Guardarsi negli occhi. Stringersi mani nelle mani a formare un’unica catena. Questo avrei voluto vedere in un’unica manifestazione l’8 agosto scorso a Foggia. E allora sì che caporali, imprenditori agricoli senza scrupoli e spesso fiancheggiatori della mafia, quando non affiliati essi stessi, avrebbero avuto paura. Invece, insieme alle lacrime ho dovuto ingoiare il boccone amaro di due distinte manifestazioni che per quanto mi riguarda resteranno un’ulteriore macchia nella storia del sindacato contemporaneo. Perdonaci compagno Di Vittorio se abbiamo dovuto assistere a questo scempio proprio nella tua terra.

Grazie Alfio

La mattina dello scorso 8 agosto sono stato svegliato da un messaggio di poche lapidarie parole: è morto Alfio Finetti.
Da quel giorno di neanche una settimana fa stiamo quindi vivendo in un mondo senza il nostro unico e inimitabile cantore .
Purtroppo non ho avuto la fortuna di vederlo dal vivo, non ho avuto la fortuna di fare due parole con lui ma posso dire di aver avuto – e che avrò sempre – la fortuna di ascoltare la sua musica.
Non è assolutamente una cosa da poco, è una fortuna che ad esempio a New York se la sognano.
Loro hanno avuto Lou Reed ma Lou Reed ce l’abbiamo anche noi e a noi va pure meglio perché abbiamo tutti e due.
Ѐ una cosa che non scambierei con niente al mondo perché grazie alle canzoni di Alfio Finetti ho potuto – e posso – ridere, imparare delle cose che purtroppo rischiano di scomparire, arricchirmi come musicista, andare a caccia di dischi suoi e scoprirci dentro cose sorprendenti.
E quelle cose sorprendenti le posso vedere tutti i giorni.
A New York invece, ma anche boh, a Parigi, in Gabon, in Australia: avec al caz, proprio come ci ricorda quella grande barzelletta.
Grazie ad Alfio Finetti – io che non sono nato qui – sono riuscito ad amare ancora di più questa città che mi ha accolto e mi ha insegnato a cercare di vivere come un ometto.
Questa è una delle tante cose per cui sarò sempre grato a quell’uomo.
Un’altra è questa cosa che ho pensato mentre quell’8 agosto, verso sera, mi trovavo al supermercato a cercare qualcosa da mangiare e – per forza – ho sentito il dovere di investire 3 umili euro + 49 centesimi in una confezione di cappellacci confezionati.
Mentre andavo verso la cassa ho pensato che avrei dovuto godermi quei cappellacci come se fossero gli ultimi cappellacci presenti nell’intero universo.
Mi è sembrato un modo onesto e soprattutto doveroso di chiudere quella giornata che non penso mi dimenticherò.
Grazie Alfio, speriamo che adesso qualcuno ristampi quei dischi e ti costruisca qualcosa che magari non sarà mai Graceland ma sarà pur sempre la nostra Graceland.

Al Re dla miseria (Alfio Finetti, 1976)

Chi trova un libro trova un tesoro!

di Federica Mammina

A volte mi domando come sia possibile che esistano persone a cui non piaccia leggere.
I libri sono abissi di emozioni, di esperienze, di domande e di risposte. Sono oggetti vivi, che ci parlano, ci consolano, ci fanno compagnia e lasciano in noi una traccia, sempre.
Ogni libro letto ha il potere di riportarci ad un periodo della vita, ad un luogo, magari ad una persona, e così la nostra libreria diventa come un grande album fotografico.
Leggere crea dipendenza, ma è l’unica droga al mondo che fa solo del bene.
Leggere è lo sport dell’anima e non esiste età in cui devi smettere di praticarlo.
Leggere è una medicina potente, ma sul suo bugiardino non ci sono controindicazioni.
Il libro è il miglior compagno che ci sia: parla quando hai voglia di ascoltare e tace quando glielo chiedi, senza mai rifiutarsi di passare del tempo con te.
E se divori libri come una scatola di cioccolatini assortiti, sai che per fortuna non la vedrai mai vuota.

“Quando penso a tutti i libri che mi restano ancora da leggere, ho la certezza di essere ancora felice”
Jules Redard

Una quotidiana pillola di saggezza o una perla di ironia per iniziare bene la settimana…

La montagna di plastica

di Federica Mammina

L’Everest, situato nella catena dell’Himalaya, è nota come la vetta più alta del continente asiatico e della terra con i suoi 8848 metri di altitudine sul livello del mare. Un luogo che ha sempre esercitato un indiscutibile fascino: un luogo impervio, dove gli amanti della montagna possono apprezzare la natura nella sua essenza più pura, oltre che misurarsi con le proprie capacità. E probabilmente uno dei luoghi al mondo che, nell’immaginario collettivo, rappresentano la natura nel suo aspetto più incontaminato.
Condividerete quindi la mia delusione e incredulità nello scoprire che l’Everest è attualmente noto per un altro primato: essere la discarica più alta del mondo. Nei mesi scorsi, la Cina, in un tentativo di ripulire la vetta, ha recuperato ben 8,5 tonnellate di rifiuti. Rifiuti, prevalentemente plastica, lasciati da tutti quei sedicenti amanti della montagna che ogni hanno vanno a farle visita. Disastro ambientale amplificato dal fatto che oltretutto, a causa del riscaldamento globale, stanno riemergendo anche tutti i rifiuti passati, sepolti per decenni sotto i ghiacci.
D’altro canto per gli amanti del mare esiste già l’isola di plastica, quindi per gli amanti dell’altitudine ci stiamo attrezzando con una montagna di rifiuti.
Non è la prima volta che affronto il tema dell’inquinamento perché mi interessa particolarmente e nonostante io sia piuttosto informata sull’argomento, ancora mi scopro incredula e sgomenta.
Maledetta speranza che sei sempre l’ultima a morire.