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Giorno: 2 Settembre 2018

Comunicato Regione: Ricostruzione

Rinasce la Torre Castellina di San Felice sul Panaro. Bonaccini: “Torna uno dei simboli più colpiti dal sisma, fondamentale per i valori di identità e appartenenza dell’intera comunità”

Questa mattina l’inaugurazione nel comune del modenese alla presenza del presidente della Regione, dell’assessore alla Ricostruzione, Palma Costi, e delle autorità locali. Contributo regionale di oltre 234 mila euro

Bologna – Rinasce a San Felice sul Panaro (Mo) la Torre Castellina, edificio tra i più antichi del comune, dopo la Rocca Estense. Nel maggio 2012, la prima scossa, il 20, aveva fatto crollare la casa annessa, la successiva del 29 era stata invece fatale per la torre colombaia alta 12 metri. Questa mattina l’inaugurazione della struttura completamente restaurata, alla presenza del presidente della Regione e Commissario delegato per la ricostruzione, Stefano Bonaccini, del sindaco di San Felice, Alberto Silvestri, dell’assessore regionale alla Ricostruzione, Palma Costi, e dell’ingegner Giovanni Castellazzi, che ha seguito i lavori di rifacimento a cui la Regione Emilia-Romagna ha partecipato con un finanziamento di oltre 234 mila euro, mentre altri 30 mila euro hanno rappresentato il contributo della famiglia Vergnanini, proprietaria dell’immobile.

“La Torre è un simbolo di questo territorio ed è stato uno di quelli fra i più colpiti dal terremoto- afferma Bonaccini-. Oggi è quindi un giorno importante, che si aggiunge alle ormai numerose tappe di grande significato che hanno caratterizzato e che caratterizzano la ricostruzione in Emilia, uno sforzo collettivo i cui risultati vengono riconosciuti da più parti e che vede insieme le istituzioni, gli amministratori locali e gli abitanti di queste terre, davvero i primi protagonisti con la loro forza e volontà. Grazie a questo impegno diffuso, dell’intera collettività, non ci siamo mai fermati e continueremo a lavorare finché ogni ferita sarà sanata. La ricostruzione è un processo che non si esaurisce con i muri e le strade, è infatti importante restituire alla popolazione edifici che, per il territorio, hanno una forza evocativa straordinaria. Per questo- chiude il presidente della Regione- oggi con la Torre Castellina restituita alla comunità locale ricostruiamo anche valori fondamentali come l’identità e l’appartenenza”.

La storia dell’edificio
Fu Annibale Marzi, nel 1562, a far costruire la Torre Castellina. Siamo nel cuore di un’area storicamente rilevante, quella di via Villa Gardè che prende il nome dal notaio rivarese Iacobino Gardè (tracce del suo lavoro di notaio sono tuttora presenti nell’abbazia di Nonantola). I Gardè, a quel tempo, erano latifondisti. Il più antico documento che evidenzia il nome della Castellina, come edificio, è la carta topografica del 1669, che riporta tutto il territorio di San Felice.

A pochi metri dalla Castellina troviamo un oratorio, anch’esso restaurato subito dopo il sisma dalla famiglia Vergnanini, dedicato a Santa Teresa D’Avila.

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Al via le prove per i corsi a numero programmato nazionale

Giorni intensi a Unife per lo svolgimento dei test di ingresso dei corsi a numero programmato nazionale. Primo appuntamento martedì 4 settembre presso la Fiera di Ferrara, via della Fiera 11 per gli aspiranti medici e odontoiatri mentre il giorno 6 settembre, presso il Polo Scientifico Tecnologico Via Saragat, 1, si terranno i test di ammissione ad Architettura.
Il 12 settembre, sempre presso la Fiera di Ferrara, si terranno le prove per i corsi di Laurea triennali in Dietistica, Educazione professionale, Fisioterapia, Igiene dentale, Infermieristica, Logopedia, Ortottica ed assistenza oftalmologica, Ostetricia, Tecnica della riabilitazione psichiatrica, Tecniche di laboratorio biomedico, Tecniche di radiologia medica, per immagini e radioterapia.
Infine il 26 ottobre, presso il Polo Chimico Bio Medico via Borsari, 46 Ferrara, si terranno le prove per le lauree magistrali in Scienze delle Professioni sanitarie tecniche diagnostiche, Scienze infermieristiche e ostetriche, Scienze riabilitative delle professioni sanitarie.
Rispetto allo scorso anno per Medicina e Odontoiatria, a livello regionale, le domande sono aumentate da 5.778 a 6.120, con +5,9% medio, ma la parte del leone la fa sicuramente Unife che passa da 724 dello scorso anno a 1.012 (+40%) seguita da Bologna con +4%, da 3.161 a 3.287. Al contrario la domanda si riduce del -4% sia per Parma (da 892 a 858) che per Modena-Reggio (da 1.001 a 963).
Anche per quanto riguarda le professioni sanitarie, è davvero rilevante l’aumento di domande all’Università di Ferrara con +12,7%, che da solo bilancia il calo di domande verificatosi a Modena-Reggio con -7,7% e a Parma con -3,8%, mentre è minore, del -2%. il calo di domande a Bologna.

Università degli Studi di Ferrara
Ripartizione Marketing e Comunicazione
Ufficio Stampa, Comunicazione Istituzionale e Digitale

Polizia Municipale di Comacchio: denunce per detenzione e ricettazione di prodotti contraffatti, con decreto di esplusione per un extracomunitario e sequestro di merce in un appartamento

Blitz della Polizia Municipale in un appartamento: sorpreso un cittadino extracomunitario sotto ad un letto. Sequestrati giubbotti ed altri prodotti con marchio contraffatto.

Altro duro colpo ai circuiti del commercio abusivo, da parte della Polizia Municipale di Comacchio. A chiusura di una meticolosa attività investigativa, finalizzata alla individuazione di immobili utilizzati da cittadini extracomunitari non solo come alloggi, ma anche come locali di deposito per merce contraffatta, è stato compiuto un intervento significativo. Intorno alle ore 9.30 di ieri, venerdì 31 agosto 2018, gli agenti di Polizia Municipale hanno compiuto un blitz in un appartamento di Viale Lussemburgo al Lido delle Nazioni. Al momento del controllo dei documenti, non sono state riscontrate irregolarità sui titoli di soggiorno in Italia. Nel corso delle successive verifiche, gli agenti hanno notato un borsone in plastica appoggiato ad un balcone, dal quale fuoriusciva un capo di abbigliamento con il marchio “Colmar”. A quel punto gli agenti di P.M., coordinati dall’Ufficiale della Polizia Giudiziaria, hanno proceduto a controllare il contenuto del borsone, all’interno del quale è risultato che fossero custoditi 17 giubbotti con marchio contraffatto delle più note griffe di moda (Colmar, Woolrich, Moncler e Napapijri). Il controllo pertanto è stato esteso anche ad altri locali e pertinenze dell’appartamento, nonché nel magazzino/garage dello stesso immobile, all’interno del quale sono stati rinvenuti altri 28 capi di abbigliamento ed accessori, anche questi contraffatti, tra cui pantaloni, borse, occhiali e portafogli. Tutta la merce è stata sottoposta a sequestro, come prescritto per legge. Ma non finisce qui, perché in uno dei locali dell’appartamento, è stato individuato un uomo che, nascondendosi, aveva tentato di sfuggire ai controlli. Il soggetto, un cittadino extracomunitario, è stato sorpreso, sotto ad un letto. Poiché sprovvisto di qualsiasi documento, l’uomo è stato sottoposto a fermo per identificazione ed accompagnato presso la Questura di Ferrara per i necessari accertamenti sull’identità e per gli adempimenti foto-segnaletici previsti. Si è poi potuto appurare che a carico del cittadino extracomunitario vi fossero diversi precedenti penali. Dalla Questura di Ferrara è scattato immediatamente l’ordine di espulsione, mentre tutti coloro che erano stati identificati dalla Polizia Municipale all’interno dell’appartamento sono stati denunciati per detenzione e ricettazione di prodotti recanti marchio contraffatto. Sono tuttora in corso le indagini da parte della Polizia Municipale, volte ad accertare eventuali responsabilità, anche di natura penale, a carico del titolare del contratto di affitto dell’immobile.
Le attività di prevenzione e di repressione dell’abusivismo commerciale sulla costa comacchiese, da parte degli Agenti di Polizia Municipale, proseguiranno su più fronti anche nelle prossime settimane.

Comune di Comacchio
Ufficio Comunicazione Istituzionale e Trasparenza

Cerimonia di consegna ricavato raccolta benefica “Moda Danza ed Acconciature”

Lunedì 3 settembre, alle ore 11, avrà luogo nel Museo Delta Antico, una breve cerimonia di consegna dell’assegno relativo alla raccolta fondi, effettuata il 22 luglio scorso, durante la sfilata sul Trepponti “Moda Danza ed Acconciature”, organizzata da CNA ed ANAM.
L’iniziativa benefica a favore di Telethon e dunque a sostegno della ricerca contro le malattie congenite rare dei bambini, è stata patrocinata dal Comune di Comacchio e dal Soroptimist Club di Ferrara.
Parteciperanno al momento ufficiale della consegna: Claudio Benvenuti, coordinatore del comitato provinciale di Ferrara di Telethon, l’Assessore alla Cultura Alice Carli, Caterina Cornelio, Presidente della sezione ferrarese del Soroptimist International Club, il Presidente di CNA del Delta, Giordano Conti ed il funzionario di zona di CNA, Enrico Zappaterra.
La presente vale come INVITO.

Comune di Comacchio
Ufficio Comunicazione Istituzionale e Trasparenza

Juliana

L’impressione che Juliana dava immediatamente era quella di un’anima in pena, una giovane leonessa in gabbia costretta a girare e rigirare senza sosta in uno spazio che non era il suo. Gli sforzi di apparire diversa, calma e accomodante erano perfino commoventi ma non convincenti. La giovane donna si presentava un po’ dimessa anche se era palese il tentativo di vestire in modo accattivante, con quell’incredibile gonna jeans di finti rattoppi fuori moda, le magliette a righe con colori mal combinati, gli zoccoli con zeppa e borchie, i pantaloni sformati, a volte troppo corti, altre troppo abbondanti. Era magra ed un po’ ingobbita, forse ritirata in se stessa per l’imbarazzo o l’istinto di auto protezione. L’armonia d’insieme del piccolo viso tondo era disturbata da una fronte perennemente corrugata che lasciava trapelare un pensiero tormentato costante, senza tregua. Si lisciava senza sosta i capelli, quel caschetto irregolare e ormai fuori taglio da parecchio tempo, di un biondo indefinibile, risultato di chissà quali prodotti ossigenanti scadenti. Sembrava perfino che il giallo sfumasse, ad un certo punto, in un vago riflesso verdognolo. Era stata contattata perché in famiglia avevano deciso di assumere una badante per la madre ultranovantenne, dal momento che nessuno era più in grado di reggere lavoro e ritmi ormai pesanti e far fronte ai bisogni di quell’anziana donna che non aveva perso né l’attitudine al comando, né l’istinto di governare la casa a modo suo anche se le forze andavano regredendo e i risultati non sarebbero mai potuti essere quelli di un tempo.
La ragazza era sembrata “all’antica”, una di quelle rare ragazze come ormai non se ne trovano, senza grilli per la testa, pragmatiche e di buonsenso. Una giovane senza età perché aveva vissuto abbastanza da accumulare esperienza, in luoghi segnati dalla disciplina sovietica, dal rigore di quel modello che permea ancora quel Paese e anche dalle batoste e vicissitudini che il destino le aveva assegnato. Veniva dall’Ucraina ma la famiglia d’origine era uzbeka. Un mix di provenienze, spostamenti e storie familiari complesse, movimentate, spesso pesanti.
“Mio padre se n’è andato da casa, vicino a Taškent, lasciando mia mamma con due figli piccoli, io avevo solo tre anni e mio fratello era più grande. Colpa del cattivo carattere di mia mamma.” aveva raccontato con aria convinta, asettica, senza manifestare alcun segno di sofferenza. Solo l’addebito alla madre lasciava capire che dovevano esistere ancora delle pendenze, degli irrisolti.
Aveva cominciato a lavorare già il giorno dopo il suo arrivo e non si risparmiava su niente; la si doveva mandare di forza a riposare qualche ora al pomeriggio ed invitare ad uscire per fare quattro passi. Intuitiva e dotata di quell’ intelligenza pratica che distingue chi ha dovuto misurarsi con la corteccia dura della vita, capiva ed affrontava le situazioni a volo, prendendo iniziative e agendo velocemente.
Rimasta sola con due creature, la madre aveva lasciato la bambina dai nonni in Uzbekistan, e si era stabilita in Ucraina, a qualche decina di chilometri da Kiev col figlio maschio. E’ difficile spiegare il perché della scelta: forse Juliana le ricordava troppo quel marito che se n’era scappato con un’altra in Grecia, forse temeva per l’incolumità della figlia femmina in un Paese diverso, straniero, dove gli uomini “non si fanno tanti scrupoli, specie quando hanno bevuto a dismisura”, come aveva confessato alla figlia una volta. Era stato molto più facile per lei lasciare da solo a casa quel figlio maschio mentre lavorava turni massacranti in una fabbrica di surgelati a 200 Euro al mese, compresi straordinari notturni nei periodi di sovrapproduzione. E c’era da esserne contenti perché al peggio non c’è mai fine. Sta di fatto che la bambina era cresciuta con i due anziani nonni, una capra bianca, qualche mucca ed un cane, qualche parente che abitava nei paraggi del villaggio rurale sperso nella campagna, bambina povera ma spensierata, in quella casa di legno in cui d’estate entravano ondate di caldo umido e d’inverno si formava una patina di cristallini di ghiaccio sulle pareti. Niente bagno in casa, solo uno sgabuzzino di assi malconce, una tavola di legno con un buco, una fogna a cielo aperto a pochi metri dall’abitazione. La ragazza ricordava sorridendo le pareti di assito della cucina su cui qualcuno aveva tentato dei disegni, i tuffi nelle pozzanghere con gli altri bambini, le rincorse ai maiali e alle galline, le bevute di latte appena munto dal nonno e le grida delle vicine da una casa all’altra. Un’infanzia durata un attimo ma troppo intensa e gioiosa per non raccontarla con gli occhi lucidi diventati, col sorriso, appena due fessure, due regolari segmenti orizzontali. Una notte la nonna le era morta accanto nello stesso letto, dopo aver patito le pene dell’inferno per un tumore al seno mai curato. Non se l’era goduto molto l’affetto di quella donna che l’aveva allevata per qualche anno e l’aveva amata più delle figlie. Poi era toccato al nonno, povero vecchio stanco che non aveva più né forza né voglia di vivere. Juliana aveva 11 anni quando la spedirono in Ucraina dalla madre Anja, diventata negli anni una perfetta estranea. L’unico ricordo nitido che la ragazzina conservava di lei era di una donna giovane e bella che suonava il violino perché, di tutte le figlie, era stata l’unica che aveva avuto il privilegio e la fortuna di imparare a farlo da un vecchio del paese. Quello che Juliana non conosceva per vissuto, aveva provveduto la nonna a raccontarglielo: sua figlia Anja era la più bella e la più ribelle tra le figlie, la più corteggiata e richiesta. Venivano in tanti a chiedere di lei a casa ma il nonno li allontanava tutti perché su di lei riponeva grandi speranze, era o non era quella che aveva più possibilità di tutti? Forte, sana, sveglia e bella. E poi sapeva suonare il violino nelle feste e matrimoni, per chiunque fosse disposto a darle qualcosa in cambio di quella magica musica. Faceva vibrare le corde e metteva i brividi, così raccontavano. In seguito, la fabbrica ucraina di surgelati le aveva danneggiato le dita, che erano rosse e spesso gonfie e doloranti, perché per lavorare di più e in fretta non sempre indossava i guanti e questo era stato l’inizio della fine come violinista. Le speranze del nonno erano andate in frantumi quando Anja aveva sposato Jakov, un bravo muratore ma sicuramente non un ambìto genero. Le cose erano andate finchè l’uomo aveva preso altre strade con altre intenzioni sparendo nel nulla.
Quando Juliana lavorava in casa come badante della sua anziana, sembrava quasi che scaricasse ogni briciolo di energia, pensiero, ricordo e riflessione dolorosa sui fornelli, la biancheria da lavare, il ferro da stiro sempre caldo e la carrozzina dell’invalida che lei conduceva in lunghi giri senza fine nei giardini pubblici o nelle vie del centro. Quello che sembrava contare per lei era muoversi ininterrottamente, quasi si sentisse rincorsa da qualcosa di oscuro e pericoloso. Non aveva pace, non si dava pace e quando riferì della brutta fine che aveva fatto quel padre, trovato morto ad Atene in circostanze mai chiarite, si comprese questo suo modo di essere. Lei raccontava che il cadavere era stato scorto sulle rive dell’Egeo, in una zona depressa del Pireo, gonfio e sformato dalla lunga permanenza in acqua, con le mani legate e un rozzo cappio al collo. Una laconica comunicazione burocratica aveva informato Anja e i figli dell’accaduto. L’immagine di quel padre che lei guardava spesso in fotografia, era diventata nel tempo una vera e propria icona da adorare, invocare e rimpiangere, un atto sublimatorio che segnava ogni attimo della sua vita.
La vita della ragazza in Ucraina si divideva tra la scuola, qualche amica e una casa da tirare avanti in assenza della madre che si annientava di lavoro. Vivevano in una abitazione piccolissima, la più sgangherata della strada, diceva Juliana, in un centro abitato che aveva ridato vita ad una zona ex-militare dismessa: le caserme erano diventate condomini, gli alloggi degli ufficiali erano appartamenti in piccoli blocchi grigi come gli altri ma meno affollati, gli hangar si presentavano ora come magazzini semivuoti, il cemento delle strade era rimasto là, dappertutto, in tutto il suo squallore. Un non luogo che di giorno si svuotava e di notte si riempiva di umanità stanca e litigiosa.
“A 14-15-16 anni andavo di nascosto a ballare in discoteca a Kiev o altri posti, bevevo cose forti, mi divertivo, eravamo una bella compagnia di amici.” raccontava la ragazza, aggiungendo che molti ragazzi come lei avevano perso la vita in incidenti d’ auto o motorino e in risse epocali. Il fratello stesso frequentava una palestra di boxe, perché la boxe era un mito e lui era considerato davvero bravo. Raccontò in particolare di uno scontro nel suo quartiere, tra una banda di rom che scorazzava in zona già da molto, molestando, rubando e minacciando. Quando un giovane locale rimase ucciso, la reazione della gente fu terribile: vennero incendiate le case dei responsabili che sparirono definitivamente.
Il sogno di Juliana era quello di andarsene, rincorrere spazi più ampi, guadagnare per mettere a posto quella casa che non era una casa ma qualcosa di molto simile, fare nuove conoscenze e magari trovare un ragazzo di cui innamorarsi. Ma soprattutto voleva allontanarsi da quella madre scomoda che riteneva responsabile dello sfascio della sua famiglia “per il brutto carattere”, come andava ripetendo. E se ne andò sul serio, senza dire né tre né sei, senza tante cerimonie e tanti addii. Passò il confine con la Polonia come molti ucraini, a raccogliere mele per confezionarle in casse da esportazione. La paga non avrebbe dato una svolta alla sua vita ma non era nemmeno disprezzabile, anche se parallelamente spendeva in cose che non aveva mai e poi mai avuto. Sembrava che tutto andasse al posto giusto e il quadro che lei aveva in mente si andasse a comporre esattamente come desiderava che fosse. Quando conobbe Jan, lei aveva già deciso che sarebbe stato per sempre, non importava che avesse una moglie, un figlio e raccontasse più menzogne che verità. Lavorava nell’ufficio del magazzino, aveva soldi, spendeva per lei in modo così prodigo che lei stessa si meravigliava di tanta abbondanza: smartphone, abiti, un viaggio nella capitale Varsavia, l’orologio, … e soprattutto le regalava interminabili dichiarazioni che la facevano sentire totalmente realizzata. Era fagocitata da questa nuova vita e dalla piega che gli eventi avevano preso, al punto tale che non esisteva più nessuno all’infuori di quell’uomo che l’aveva travolta con regali, gentilezza e velate promesse. Non c’era discorso in cui non comparisse Jan, non c’erano progetti, sogni e visioni del futuro che non lo includessero. Era passata dal nulla al molto e questo balzo la sconcertava e la lusingava insieme. Litigi furiosi e scenate di gelosia ogni volta che l’uomo dedicava attenzioni a qualcuna si alternavano a rese incondizionate e pace dichiarata. Una sfibrante altalena che non tendeva a cessare. Juliana era esausta, prosciugata, esaurita. La notte non dormiva e il giorno era ancora peggio. Quando scoprì che sparivano le sue cose, compresi i regali che aveva gelosamente custodito, e le vide indosso a qualche sua connazionale che di buon grado aveva accettato da Jan questi inaspettati oggetti, qualcosa scattò. Qualcosa di rabbioso, definitivo.
Arraffò in fretta tutto ciò che poteva raccogliere e se ne andò, lasciandosi alle spalle solo odio. Era arrivata in Italia su uno di quegli sgangherati pullman che regolarmente fanno la spola con l’est, Islamabad, Chişinău, Bucarest…ed imbarcano ogni sorta di speranza: quella di guadagnare per un futuro sicuro, quella di uscire dalla miseria, di aiutare figli e nipoti perché gli uomini non hanno lavoro, quella di trovare da sposarsi, quella di… Ed eccola qua, anche lei, giovane ignara alla stessa stregua della più incallita e smaliziata delle badanti, con una valigia che si chiude a malapena, lacrime e voglia di riscatto.
La nuova vita in Italia l’aveva profondamente cambiata e un po’ alla volta, giorno dopo giorno, senza accorgersene, aveva assunto i comportamenti, gli atteggiamenti e perfino i gusti di chi la circondava, delle nuove conoscenze e dei modelli che la tv proponeva. Aveva cominciato a spendere in moda, magari quella più popolare del mercato, in cosmetici, gratta e vinci, bijoux, riviste, biglietti dell’autobus e del treno per raggiungere le città vicine nei momenti di libertà. Ora era disinvolta e sicura come non lo era mai stata, ma anche meno disponibile a riconoscere le debolezze e le fragilità degli altri; a volte sembrava anche un po’ aggressiva e sfacciata. Proprio così, l’aveva definita l’anziana di casa che non aveva peli sulla lingua e avvertiva più di altri la grande metamorfosi. Non restava neanche l’ombra di quella figurina impacciata che li aveva inteneriti al primo incontro. Ma si sa, la vita pialla, lima, forgia e rimodella, eliminando, aggiungendo, mescolando e definendo nuove menti, nuove ottiche, nuove persone e nuovi mondi.
Juliana continuava a fare il proprio dovere ma spassionatamente, senz’anima; continuava a guadagnare e spendere, lamentarsi per i piccoli disagi che le convivenze forzate inevitabilmente inducono, incontrare amici online in modo compulsivo e tagliare un po’ alla volta i fili che la univano a madre, fratello e parenti più cari. Era una specie di forza d’inerzia, quella che la conduceva ad andare avanti senza tanti scrupoli e ripensamenti.
E un giorno sparì, lasciando tutti di stucco. E quando si ripresero dallo sconcerto, tra un misto di indignazione e risentimento, azzardarono ipotesi e pensieri di ogni tipo. Ognuno diceva la sua e la sosteneva col suffragio di fatti successi, parole dette in precedenza, sospetti che covavano da lungo tempo e molta, molta fantasia. I più moderati erano propensi a credere che se ne fosse tornata a casa, i più estremisti paventavano già scenari da thriller sull’onda di qualche notizia del TG che riguardava giovani donne trovate decapitate in un fosso piuttosto che prive di vita in qualche scantinato. I ragionevoli esortavano alla cautela e invitavano ad attendere, anche perché non c’era motivo che la ragazza non desse notizie di sé.
La famiglia, il vicinato e tutti coloro che erano abituati a vederla tutti i giorni se ne dimenticarono un po’ alla volta, come succede sempre quando la novità del momento perde di mordente e dopo un paio di anni anche le più labili tracce erano sparite dai discorsi. Le badanti si susseguirono in quella casa e la nonnina sembrava essersi acquietata, rassegnata al fatto che qualcuno si occupasse di lei e facesse i lavori al posto suo.
Una mattina sua figlia, ferma ad un semaforo che non scattava mai, guardandosi intorno annoiata la vide. Elegantissima, i capelli diversi, splendidi, un’aria di sufficienza e sprezzo, o così dava a vedere. Era lei, ne era sicura, impossibile non riconoscerla dopo che erano vissute nella stessa casa per diverso tempo. Si concentrò su quella figura di donna appariscente per cercare ancora segni e conferme ma non aveva dubbi, era Juliana. Avrebbe voluto aprire il finestrino per chiamarla ma era scattato il verde e qualcuno cominciava a suonare il clacson. Riavviò la macchina e guardò nello specchietto, il tempo di vederla ridere aggrappata al braccio di un uomo attempato che la guardava compiaciuto. Guidò fino a casa con quell’immagine fissa negli occhi e concluse che la vita ha sempre un asso nella manica. Forse.