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Il termine geografia mi evoca tre cose. Le province del Molise che alle elementari non riuscivo mai a ricordare. L’etimologia imparata a memoria alle scuole medie, γῆ, Terra e γραφία, scrittura.
La scoperta, scioccante, al liceo, della proiezione cartografica della Terra di Arno Peters, in cui vengono rispettate le proporzioni tra le superfici dei continenti, e dove l’Europa è molto, molto più piccola rispetto a quella a noi più familiare, resa nota dalla proiezione di Mercatore.
Questo per dire che io, ma temo non solo, sconto una profonda ignoranza in materia, e il retaggio di una sottostima della sua importanza: la geografia non è solo l’elenco dei nomi (anche se ho sempre invidiato “quelli che la capitale del Benin è…”), ma la cultura del territorio, una cosa che adesso è anche finalmente in voga.

Lo dice bene la Treccani: “Un ghiacciaio, una foresta, una città saranno studiati dal geofisico, dal botanico, dall’urbanista, ma nessuno di costoro perverrà alla lettura globale del territorio di cui quegli oggetti sono parti integranti; donde la necessità di una disciplina diversa, non naturale né umana, bensì ‘territoriale’, quale appunto va considerata la geografia”.
Bene, se è complesso già solo capire cos’è, immaginiamoci insegnarla, la geografia. Mentre li studiavo, mi sono sempre interrogata su chi scrivesse i libri di scuola, quale mente prodigiosa avesse non solo la padronanza della materia, ma anche la capacità di propormela. Poi una di queste menti mi è apparsa, sotto le spoglie più inaspettate.

Francesca Carpanelli, oltre ad essere una delle firme di Ferraraitalia, è anche una delle persone più eclettiche che abbia conosciuto. Ferrarese, laureata in Storia moderna a Bologna con una tesi in didattica della storia, dopo la laurea si è trasferita negli Stati Uniti, a Seattle, per lavorare come tecnico del suono. Da lì è finita a Firenze, dove è stata fonico e produttore artistico per la mitica etichetta Cpi (Consorzio produttori indipendenti). Dopo qualche anno, la svolta, entrando a far parte del mondo dell’editoria come redattrice free lance. Ha collaborato molti anni con la Zanichelli come redattrice, soprattutto di libri di geografia. Circa dieci anni fa è stata coinvolta nel progetto di un corso di geografia per le superiori, sempre per Zanichelli, dal professor Gianni Sofri.

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Da queste esperienze sono nate la passione per la geografia e le competenze che hanno portato poi alla nascita di un manuale che porta la sua firma: “La geografia in 30 lezioni”, edito da Zanichelli, uscito il marzo scorso, in adozione da questo anno scolastico negli istituti tecnici e professionali di tutta Italia.

Francesca, da dove si comincia per scrivere un libro di geografia?
Naturalmente stiamo parlando di manuali scolastici, quindi rivolti a studenti e insegnanti. Si comincia da un’idea, che deve essere abbastanza originale e competitiva, dal momento che la concorrenza in questo campo è grande. Il mio libro è rivolto al biennio degli istituti tecnici e professionali, dove si fa una sola ora di geografia, o in prima o in seconda. Per questo motivo ho pensato di dividere il manuale in 30 lezioni, che corrispondono alle ore da svolgere in classe durante l’anno.
manuale-geografia-carpanelli Le lezioni sono abbastanza brevi, di quattro o due pagine: comprendono una parte generale di contenuto, e dei box tematici in cui si approfondiscono alcuni argomenti. Per esempio, il capitolo sulla condizione femminile, oltre alla parte introduttiva, che affronta i temi generali del ruolo della donna nella società attuale, le disuguaglianze di reddito, istruzione, accesso alle attività economiche e alla vita politica, analizza poi più nel dettaglio il problema della violenza contro le donne e il caso specifico della condizione femminile nel regime degli ayatollah in Iran.

Ci sono dei punti fermi da trattare? Quanta parte è lasciata al tuo apporto personale, alla tua sensibilità?
Diciamo che i libri di geografia, dal punto di vista della partizione, si assomigliano un po’ tutti. I macro temi sono gli stessi, spesso anche le fonti a cui noi autori attingiamo, come quelle istituzionali delle grandi organizzazioni internazionali, come l’Onu o la Banca Mondiale. Posto questo, sta alla sensibilità di ognuno personalizzare il manuale con approfondimenti originali ma anche con immagini che a volte più del testo possono catturare l’interesse di studenti o insegnanti e rendere più accattivante il libro.

La geografia non è solo la conoscenza dei luoghi, ma comprende una moltitudine di temi come quelli che riguardano la politica e la società: come si integrano questi temi in un libro?
Gli argomenti di cui la geografia si occupa sono quelli del mondo in cui viviamo, sono i problemi dell’attualità, l’economia, la politica, l’ambiente, i diritti umani. La geografia oggi ha smesso di essere quella disciplina eccessivamente nozionistica che si insegnava fino a qualche decennio fa, che da molti è ancora ricordata come un elenco arido e noioso di dati e di numeri. manuale-geografia-carpanelli
Oggi la geografia è lo studio delle interrelazioni tra i vari aspetti della realtà, ha un approccio problematico, ci aiuta ad analizzare in modo critico le dinamiche delle nostre società. Purtroppo oggi in Italia questa materia è molto penalizzata, e ha subito un drastico ridimensionamento a livello di ore scolastiche, specie a partire dalla riforma Gelmini. Di recente è stata reintrodotta un’ora di geografia nei bienni degli istituti professionali – ai quali il mio libro appunto è rivolto –, ma lo stato della disciplina resta piuttosto sconfortante.

In che senso?
Come ho già detto, la geografia ha una parte del tutto marginale non solo nella scuola, ma nella cultura italiana. Viviamo in un mondo globalizzato, strettamente integrato, dove ciò che accade dall’altra parte del mondo può avere forti ripercussioni sul nostro quotidiano. Per esempio prendiamo il clima. manuale-geografia-carpanelliIl clima, a livello globale, sta cambiando, e questo avviene anche a causa di eventi che coinvolgono piccole parti del pianeta, per noi molto remote, come la foresta dell’Amazzonia o il Borneo. Ci sono anche eventi che ci toccano molto più da vicino, come i massicci movimenti migratori che stanno mutando la struttura della nostra società, la sua composizione etnica, in alcuni casi anche l’architettura delle nostre città, con la costruzione di moschee e minareti. Come spiegare la complessità di questi eventi se non con uno studio critico, analitico, di dati e fenomeni che solo la geografia è in grado di dare? Purtroppo i nostri governanti hanno deciso che questo tipo di sapere è inutile e sacrificabile. Non riconoscendo il valore della geografia come elemento fondamentale per la formazione di cittadini consapevoli, rischiamo di avere future classi dirigenti impreparate ad affrontare la complessità del mondo in cui viviamo.

Com’è andato il volume in libreria?
Molto bene, la vendita è stata significativa si sono raggiunte le 10mila copie, grazie evidentemente alla positiva considerazione dell’impianto didattico da parte degli insegnanti che lo hanno adottato. E’ in virtù di questa buona accoglienza che l’editore ha già deciso di affidarmi la cura autoriale di un nuovo testo.

Quindi ti sei già rimessa al lavoro?
Sì, anche questo nuovo progetto, che però è ancora in fieri, riguarda la geografia. Lo sto ancora sviluppando, e diciamo che si delineerà meglio nel giro di qualche settimana. Adesso è ancora presto per parlarne.

Ah, giusto per colmare l’eventuale lacuna: le province del Molise sono Campobasso e Isernia, la capitale del Benin, Porto-Novo…

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Stefania Andreotti

Giornalista e videomaker, laureata in Tecnologia della comunicazione multimediale ed audiovisiva. Ha collaborato con quotidiani, riviste, siti web, tv, festival e centri di formazione. Innamorata della sua terra e curiosa del mondo, ama scoprire l’universale nel locale e il locale nell’universo. E’ una grande tifosa della Spal e delle parole che esistono solo in ferrarese, come ‘usta’, la sua preferita.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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