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L’intento primo era stato quello di commentare lo stato da suk a cui è ridotta Firenze in questi giorni. Mai vista una città più orridamente invasa e consumata da orde di grassi turisti, ognuno però con distinzioni nazional-popolari a seconda dei Paesi d’origine, salvo naturalmente gli smilzi, giapponesi, che mangiano, bevono, ruttano e lasciano dietro di sé odori che definire puzze è già un elegante eufemismo. Nella via dove si concentrano i peggiori esempi di questa nefasta invasione che è quella dove abito, ma anche quella del David, poveretto, che vede passare sotto i suoi prestigiosi attributi virili, le orde maleodoranti, capaci per lo più di commentare la congruità dei suddetti attributi con la monumentalità del corpo michelangiolesco, s’accalcano e scambiano democraticamente i loro fortori, poi corrono a comprare ciò che li attrae di più della visita d’obbligo all’Accademia : proprio l’immagine di quel segno di giovanile virilità che viene riproposta in primo piano da grembiuli, magliette, mutande in vendita nei bazar orientali che costellano la via e gli immediati dintorni.
Ier mattina nell’angolo, un tempo straordinariamente armonico, dove sulla piazzetta antistante s’apre il portone del Conservatorio Cherubini e sull’altro, appena svoltato l’angolo quello del Museo delle Pietre dure, ovviamente deserto, stazionavano sedute per terra e scosciate (così una volta si diceva e si scriveva) cinque americanine che esibendo procaci cosce su, su fin dove il tacere è bello, secondo l’affermazione del mio amatissimo Durante, detto Dante, beatamente si selfiggiavano posando mani, gelati, e quanto si può portare alla bocca sull’immondo marciapiede in cui stazionavano. Rapida la memoria scorre agli esibiti casi della sporcizia che ha invaso Milano e Roma prodotta dalle orde dei migranti che portano scabbia e chissà quali malattie dovute al non rispetto delle regole d’igiene secondo i pulitissimi leghisti, naturalmente inorriditi da tanta incoscienza. E qui? Che fanno le bionde giovinette che non cedono il passo al vecchierel malato e stanco? Al mio mite rimprovero pronunciato nell’ancor più imbarazzante linguaggio più vicino all’esperanto che all’inglese o americano in cui tento di spiegarmi per chiedere il passo, mi esibiscono sorrisi d’intesa e mentre con moto d’orrore penso “Ora mi colpiscono con un selfie bell’azzecato, soavemente pronunciano un sonoro ‘Sorry’ e si cacciano in bocca l’immondo pasto raccattato da terra”. Così passo accompagnato nella traversata non da un profumo n.5 ma da vaghi sentori di sudore e altri effluvi umani.

Firenze è un immensa cucina degna di un Expo del medioevo prossimo venturo. Ovunque si mangia. “Se magna” direbbero nella Roma Capitale. E l’esibizione di montagne di pseudo pizze e gelati dai colori improbabili e di panini-panoni che ti lasciano scoraggiati solo al vederli restituisce a pieno l’infelice stato in cui è piombato l’Occidente. Che rimane di Giotto, di Orcagna, di Donatello e di Botticelli e di Leonardo? L’impronta su un piatto. O il marchio. Come la lettera scarlatta del sublime racconto di Nathaniel Hawthorne.

Così dopo aver schivato le tremende imbottiture di grasso tremolante che accompagnano l’andar penoso delle folle migranti accompagnate da stremate guide leggo con stupore misto ad angoscia il grido verdiano (“Cortigiani, vil razza dannata ” qui mutato in “folla d’imbecilli”) con cui il principe dei critici e dei narratori italiani, Umberto Eco, bolla la folla dei frequentatori di Internet. Riferisce L’Huffington Post: “”I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli”. Parola di Umberto Eco che attacca così internet dopo aver ricevuto all’Università di Torino la laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei media”. “Prima – ha detto Eco – parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli.”

Non so se a quegli imbecilli possa essere accomunato anche chi scrive questa nota, fedele seguace più che dei romanzi delle posizioni critico-metodologiche dell’illustre intellettuale. Ma, siccome non ho la memoria corta, ricordo le parole con cui Maria Corti, celebre filologa e amica di Eco, mi raccontò come nacque la fortuna americana e quindi mondiale del suo famoso “Il nome della rosa”. I critici più potenti e i giornalisti più celebri furono invitati a una raffinatissima crociera su un battello che navigava il Mississipi. A forza di chiacchere da bar davanti a un bicchier di vino, meglio di cocktails, la fortuna del libro fu decretata.

Perciò sentire questa parola” imbecilli” in bocca ad un semiologo – e di quale vaglia! – rende la vicenda assai imbarazzante ( per lui).

Il grande Eco tenta sempre di ‘épater les bourgeois’: come lo si vede nei i suoi romanzi, forse commentati anche dagli imbecilli. Posta così la sua affermazione ci fa sembrare tutti idioti o culturalmente iloti nel senso leopardiano. Lo scrittore sa benissimo che sono quegli imbecilli che commenteranno poi il suo divin parlare e ne trarranno materia di scussione… Non credo quanto a cultura di essere inferiore a Eco o perlomeno, come dire, di aver timore di discutere questa presuntuosa affermazione . Nel mio gruppo facebook composto di 500 persone mai una volta ho sentito prender la parola a degli imbecilli né commentare un argomento come chiacchiera da bar. E questo gruppo pur annoverando scrittori, critici, politici, storici e via dicendo nella maggior parte è composto da persone di cultura media e bassa ma che sicuramente sanno leggere anche le opere dello scrittore. Il punto sta nel come formi tu personalmente il tuo gruppo, come lo selezioni, come lo coinvolgi e a differenza del giudizio di tanti colleghi accademici con il naso a puzzo come si dice nella mia Firenze la riunione degli “imbecilli” funziona assai bene.

Personalmente dopo essere andato in pensione sono stufo dei guru che oracoleggiano dall’alto della fama raggiunta (e basta aprire gli ormai inguardabili talk show dove Eco troverà tanti suoi colleghi: anche quelli che gli hanno dato lavoro).

Uno sguardo meno ironicamente sussiegoso potrebbe servire anche per il divino Eco.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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