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E la Kultura a Ferrara? Sembra non si possa più fare a meno di una mezza dozzina di ‘eventi’ nella nostra città: al giorno, anzi al pomeriggio stipati fra le 17 e le 18. Ce n’è per tutti e di più. Scrittori famosi, scrittori ferraresi, uomini e donne che della cultura hanno fatto il loro scopo e il loro mestiere. Primi fra tutti i giornalisti. Pensiamo al colpo da maestro del libro di De Bortoli.
Bassanite e Orlandite un po’ in calo, ma almeno due volte alla settimana, come una buona medicina. E la riproposta dei classici iniziata in tempi non sospetti da Claudio Cazzola e proseguita con le conferenze manzoniane di Fiorenzo Baratelli. Si dicono entrambi miei allievi; ma gli allievi hanno superato il maestro che semmai, al di là di Bassani, rivolge cure amorose solo a Lui, Dante l’eterno.
Ma cosa nasconde questo revival culturale? E’ segno dei tempi o finalmente s’abituano i ferraresi a rendersi conto che la cultura apre le menti e fa star bene lo spirito?

Eppure un dubbio m’assilla. In quella che fu la capitale della cultura umanistica – e parlo ovviamente di Firenze – la proposta smodata di eventi ha portato con sé che pochissimi s’affaccino nelle solenni stanze del sapere per quegli ‘eventi prestigiosi’ (Oh l’orrido aggettivo! Quasi quanto ‘piacevoli’) che riempirebbero le sale di ogni città della provincia cólta. Non parliamo di Roma dove per assistere a un evento ci si deve districare in un sistema labirintico fra i mucchi di spazzatura e gli sventati appuntamenti. Solo l’algida Milano sa amministrare con impeccabile savoir faire le sue performances. O Torino tra le città metropolitane.
Se poi a Ferrara s’aggiunge che un numero assai ridotto di persone si divide la grande abbuffata, allora possiamo pensare che in fondo l’ansia di cultura vera è un pregio della nostra città. Oggi per esempio la Biblioteca Ariostea ospitava alla sala Agnelli Roberto Escobar sul tema libertà e paura; al piano superiore si parlava dell’opera di Celio Calcagnini con illustri presenze della critica umanistico-rinascimentale e al Libraccio c’era Marco da Milano. Eppure, nonostante il tempo inclemente le sale erano piene.
Non si deve dimenticare che sono poi le mostre a trascinare le arti sorelle. E’ la pittura con il collaudato esempio di Ferrara Arte e con il marchio del Palazzo dei Diamanti che propone e impone la possibilità che il turismo culturale diventi garanzia di un rinnovamento dei Musei, che molto spesso cozza contro la fedele compagnia del museo impostato secondo le norme di un tempo con la garanzia di quella funzione svolta dalla sovrintendenza, che pur con tutti i limiti e gli sbagli commessi poteva ergere lo stendardo di difesa dell’aspetto più propriamente conservativo del museo come casa dell’arte.
Oppure preferiamo l’assalto immondo alla reggia di Caserta come risulta dalla foto postata da Tomaso Montanari?
Non vorrei ritornare su un argomento che in questo periodo ha visto una dura contesa tra amministratori e associazioni culturali che da sempre in città svolgevano un ruolo principale e collaborativo. Ora la situazione si è rovesciata. L’associazionismo culturale non sa o non può o anche non vuole star dietro al complesso e a volte disperante problema di rinnovamento: dalle direttive ministeriali fino all’opera di coloro che debbono amministrare città e province debbono escogitare i mezzi che possono procurare il rinnovamento in senso lato del Museo. Rinnovamento che, fuor dai denti, ha un primo e supremo obiettivo: rendere economica la cultura. Si aggiungano, almeno per il nostro territorio, i gravi danni del terremoto e l’immagine lanciata a livello ministeriale delle terre estensi, del ducato estense che produce sì aggregazione, ma anche distorsione, delle specificità culturali. Si aggiunga poi, come ho già rilevato, il sempre minor spazio lasciato alle biblioteche soprattutto quelle specialistiche tanto da far temere che un pilastro della memoria storica vale a dire la Biblioteca Ariostea con la sua specificità scientifica e libraria possa essere accorpata sotto una direzione museale.
Sarebbe un danno tremendo.

Mentre dunque la città si riempie per festeggiare la Spal, la Corte del Palio, i figuranti dei vari rioni intrecciano coreografie e sbandieramenti. Benissimo! La cultura popolare è fondamentale. Meno l’uso quasi del tutto popolare che si fa del patrimonio ‘alto’ della città perché non si dà alternativa. O lo si tratta con la cura e il rispetto che esso pretende o lo si rovescia a evento mediatico.
Ovviamente si debbono respingere – almeno per chi scrive – certe scelte adottate da alcuni musei che permettono e favoriscono lo scatto dei selfie in cui i protagonisti mimano le stesse situazioni delle posture di quadri famosi.
E naturalmente la priorità va a quel piccolo gruppo di quadri che si disputano il primo posto nell’immaginario mondiale: la Gioconda, gli impressionisti, il ‘solito’ Caravaggio, la ragazza dall’orecchino di perla, Botticelli, il David di Michelangelo ormai conosciuto nel mondo come il Devid e pochi altri.
Può questa scelta arricchire o svecchiare il concetto di Museo? Ne dubito benché sia un semplice connoisseur e non certo un addetto ai lavori. In più se penso all’uso che si fa delle immagini scolpite da Canova su cui posso avanzare una non superficiale conoscenza. Beh! Resto basito. Così a Bassano, città sacra al Canova, il Sindaco e l’attuale direttrice del Museo entusiasticamente in un sol colpo cancellano l’Istituto di studi canoviani, meritoria associazione che ha prodotto la riproduzione in fac-simile di tutte le più importanti opere e scritti su Canova e indetto per anni la settimana alti studi canoviani. Qualcuno – e non a torto – troverà qualche riferimento anche all’Istituto di Studi Rinascimantali di Ferrara sul quale lo statuto era mutuato ma che, per fortuna, ha evitato la chiusura definitiva.
Basta dunque a noiosi studi! Ci si avvicini al mondo dei libri e delle opere d’arte possedendoli, ma non leggendoli o studiandole. Val più avere libri che leggerli. Non ci si avventuri perciò nel mondo del collezionismo, dove il primo imperativo sempre più sta diventando il valore economico più che quello culturale. Vuoi mettere selfiggiare sotto i cabasisi del David o inginocchiarsi di fronte alla Primavera del Botticelli?
Probabilmente come accade nella teoria dei corsi e dei ricorsi anche questa moda passerà. Le opere d’arte riacquisteranno la loro sacralità imprescindibile in quanto custodiscono la verità del mondo che ci rende liberi e che, come dice Roberto Escobar, ci affrancano dalla paura. Ma noi della razza di coloro che restano a terra a questo punto conviene rinchiuderci nel nostro cerchio non magico, ma di eterni noiosi intellettualini buoni solo a svolgere il loro ruolo di radical-chic.
Per fortuna c’è la Spal che ci salva!

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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