Skip to main content

In un buffo gioco condotto sulle pagine di fb cercavo d’individuare oggetti, luoghi, situazioni, ma soprattutto le parole che li descrivono, decisamente insopportabili. Si è giocato specie con quelle parole che, tradotte da una lingua della tecnica come l’inglese, producono risultati da brivido: da ‘ciattare’ a ‘performante’, da ‘endorsement’ fino all’uso divenuto comune di parole difficili come ‘pervasivo’.
Gioca che ti gioca si arriva a situazioni, mode, atteggiamenti e cure del corpo che producono un mio disperato rifiuto: dalla barba, barbona, barbetta, come segnale di essere alla moda, agli sciarponi che ti eliminano il collo, all’eterno uso dei tattoo molto amato dagli unici divi che in questo terribile momento storico-politico superino ancora la prova della popolarità: vale a dire i calciatori, modello epico insostituibile nell’immaginario (eccolo!) popolare.
Mi ritorna in mente, non ‘bella come sei’, ma il discorso che si svolge nella pubblicità televisiva fra signore che si raccontano all’ora di pranzo la qualità preziosa dei loro pannoloni/pannolini che non lasciano odore o bagnaticcio. Avete in mente lo sguardo d’intesa delle sdegnose modelle che reclamizzano i profumi, che lanciano tremende occhiate di fuoco promettendo il paradiso per poi rifiutare il contatto, loro, le divine, mentre una secca voce racconta la marca del profumo in un francese anglicizzato?

Cosi trascinandomi stancamente nel mio doveroso status di casalingo per caso e riguardando con occhio distaccato le meraviglie mangerecce e vestimentarie esposte nei mercatini natalizi mi trovo a ragionare ‘così per non morire al primo incontro’ dei luoghi esteticamente più brutti della città delle cento meraviglie, tenendo presente quello che il genio assoluto dell’architettura contemporanea, Renzo Piano, ha confidato a ‘La repubblica’ su cos’è un museo o una mostra; lui che ha costruito il modello straordinario del Beaubourg per tutto quello che verrà dopo. Un museo o una mostra rovinati e distrutti dai selfie.
Orbene, ma è ormai situazione storicamente accertata, Ferrara ha luoghi specifici nella loro bruttezza che possiedono la capacità malvagia di distruggere quel patrimonio estetico fondamentale della perfetta urbanistica di una città il cui centro è patrimonio dell’umanità. Sono le torri del grattacielo o il palazzo degli specchi, ma anche luoghi apparentemente segreti che, come uno schiaffo in faccia (un’attività che riesce molto bene ai miei concittadini), producono danni estetici terribili.
Nel mio quartiere c’è una chiesa non agibile che da molti decenni è chiusa. Una facciata neo-gotica, un interno senza pretese, ma dignitoso. Fino all’anno scorso un piccolo sagrato accompagnava il non esaltante complesso. Sant’Antonio Abate un tempo richiamava folle di persone che facevano benedire i loro animali all’interno di un quartiere che si concludeva con la piazzetta resa famosa dal film di Visconti ‘Ossessione’. La novità che ha reso quell’angolo un vero obbrobrio estetico è stata trasformare il sagrato in una specie di piazzetta minacciosamente chiusa da paracarri e illustrata da un enorme vaso quadrato in cui svetta un alberello striminzito probabilmente morto. La pietas del vicinato ha addobbato quel moncherino d’albero con alcune palline natalizie che forse non esistono più nemmeno in villaggetti sperduti della campagna ferrarese rendendone ancor più obbrobriosa la vista. Non siamo nei brutti quartieri di periferia, ma in pieno centro storico. Il gusto del ferrarese per adottare situazioni urbanistiche di dubbia qualità estetica rimbalza dalla Galleria Matteotti alla revisione di san Romano fino al disastro di Piazza Travaglio. Così ci s’ingegna a correggere ciò che con entusiasmo si era tentato di costruire. Un ‘crossover’? Non lo so.

Eppure la bellezza offesa potrebbe risollevare il capo e proporre nuove soluzioni e nuove scelte. Basterebbe avere più coraggio e forse più attenzione. Così, non per infierire sulla parola ormai esecrata da tutta la città: calotta. Ovviamente della spazzatura. Perché posizionarla in via Mayr davanti a una celletta religiosa?
Certo si fa presto ad emettere giudizi che, lo capisco, s’imperniano su una paroletta che propone esecrabili pensieri: bellezza.
Bellezza non è un fatto, né una condizione. E’ una verità o meglio una virtù. Resa impronunciabile da chi non appartiene a quella sempre più esigua schiera di ‘radical chic’ presi nelle loro utopiche prestazioni lontane dai ‘fatti’ che tutti ormai chiedono: dai politici, ai giornalisti, dai manovratori del vapore, costruttori ed edili, alle associazioni spesso definitesi da loro stesse culturali.
Bellezza dovrà essere sacrificata perché così la storia ha deciso. Non c’è più posto per l’assioma platonico del bello=buono.
Così ‘ciatteremo’ ancora una volta predicando una virtù astratta che al di là dei ‘like’ non ha più diritto di cittadinanza.
Ferrara: esempio di ciò che accade in tutte le città dal Nord al Sud.

tag:

Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it