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In questi giorni Ferrara alimenta e rafforza il suo strettissimo legame con il Meis (per chi ancora non lo sapesse acronimo di Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah) che aprirà i battenti, almeno per la prima parte, nel dicembre 2017. Istituito nell’ex carcere della città è oggetto di un intenso lavoro che lo rivelerà come una delle realtà culturali più affascinanti italiane ed ebraiche. Fu proposto dall’odierno ministro del Mibact, Dario Franceschini, e proprio in questi mesi sta concludendo la sua complessa e affascinante vicenda di gestazione.

In questo contesto abbiamo proposto al Meis, come Centro Studi bassaniani, la presentazione di un libro che rappresenta una decisiva svolta negli studi su Bassani: ‘Dopo la morte dell’io. Percorsi bassaniani “di là dal cuore”‘, di Anna Dolfi, edito da Firenze University Press (2017).
Anna Dolfi è professore di Letteratura contemporanea all’Università di Firenze e Accademica dei Lincei. La sua produzione critica è connotata da importanti ricerche su Leopardi e il leopardismo novecentesco, sull’Ermetismo, ma soprattutto su Giuseppe Dessì, Antonio Tabucchi, Giorgio Bassani e gli scrittori della terza generazione.
La folta presenza di un pubblico assai interessato ha vivacizzato un pomeriggio che negli articolati interventi ha saputo mettere in luce l’importanza mondiale ormai acclarata dello scrittore ferrarese. Ai saluti di Massimo Maisto, assessore alla cultura e vicesindaco del Comune di Ferrara, presentato da Ethel Guidi – direttore del Castello, che ha messo a disposizione la magnifica sala dei Comuni per l’evento – sono seguiti due importanti riflessioni condotte da Simonetta Della Seta e da Dario Disegni, rispettivamente direttore e presidente del Meis, che hanno sottolineato la necessità di un rapporto stretto tra il museo e lo scrittore Bassani ebreo italiano.
L’intervento di Portia Prebys, curatrice del Centro Studi Bassaniani, ha messo in luce il rapporto tra lo scrittore e la giovanissima studiosa Dolfi che si è concretizzato in una serie d’interventi critici che lo scrittore riteneva fondamentali per la conoscenza della sua opera. Perno di quel rapporto l’amicizia che legava Bassani al maestro Claudio Varese, che ha introdotto alla conoscenza e alla attività critica su e di Giorgio Bassani sia chi scrive sia Anna Dolfi.

Numerose altre volte ho sottolineato l’importanza della figura di Varese per la esegesi critica dello scrittore, fondamentale in quel momento della storia, quando il fascismo trionfa e nelle aule dell’università bolognese, dove insegna Roberto Longhi l’indiscusso maestro – assieme a Croce e a Manzoni – dell’opera bassaniana e a Ferrara si forma quel gruppo d’amici, tra cui il normalista Claudio Varese, che tengono vivi il concetto di antifascismo narrato nel primo racconto ‘Una città di pianura’, il libro bassaniano uscito nel 1940 con lo pseudonimo di Giacomo Marchi. Le giovani generazioni, tra cui Anna Dolfi, impararono a conoscere dal vivo la figura dello scrittore, invitato dal critico a tenere negli anni Settanta una serie di lezioni presso la cattedre fiorentina di letteratura italiana ricoperta dal Varese.
Il libro propone almeno tre temi fondamentali: la morte dell’io di evidente origine leopardiana, il rapporto tra scrittura e arte visiva e infine il ritorno alla poesia dopo la conclusione dei quattro romanzi che sono il cuore pulsante del ‘Romanzo di Ferrara’ uscito nell’edizione ne varietur nel 1980 per Mondadori.
L’affascinante vicenda condotta esemplarmente da Dolfi sul concetto di morte-vita di cui le poesie dell’ultima produzione sono exemplum dirimente – e si pensi a quella che dà il titolo al tema, ‘Epitaffio’ – si appunta sul simbolo del vetro, che diventa specchio e che impedisce la congiunzione su ciò che sta “di là dal cuore”. La morte come risultato finale del lungo corridoio che il poeta-testimone deve percorrere per essere testimone.

Le manifestazioni legate alla Festa del Libro Ebraico si sono aperte con un evento eccezionale, di cui la città non potrà che essere grata al Meis e agli organizzatori: lo straordinario concerto offerto dal musicista di fama mondiale Yakir Arbib, che sull’esempio del suo disco più famoso ‘Babylon Classical improvisation’ ha ripercorso i momenti più importanti delle melodie ebraiche più famose restituendole alla contemporaneità con un esercizio che coinvolgeva non solo la musica, ma le mani, il corpo e perfino la voce quando l’artista proponeva il pezzo. Formidabile.
Di fronte a questo momento le pur importanti manifestazioni che riempiono le due giornate del Festival trovano una necessità e una coerenza entro quella sintesi scaturita come sinonimo del lavoro che attende il museo non solo nel titolo: il ‘grande Meis’.

In questi finalmente autentici giorni settembrini ci si attendeva tanto dal concerto di Andrea Bocelli al Colosseo, dove le star mondiali lo hanno aiutato a raccogliere il denaro per la sua encomiabile attività caritativa. Concerto splendido funestato alla fine da una scelta non consona della canzone di chiusura: il pucciniano Inno a Roma che noi ragazzetti eravamo tenuti a cantare nelle più varie occasioni. “Sole che sorgi libero e giocondo.. i tuoi cavalli doma”. Basta recarsi nella Sala dell’Arengo dove Apollo ‘doma’ i cavalli. D’accordo la musica è incolpevole. Si pensi a Wagner e all’utilizzo che ne fece il nazismo. Eppure risentire quelle parole e quella musica a onore della Città eterna mi ha procurato disagio e tristezza.
La Storia non si cancella e neppure il ricordo di certi avvenimenti.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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