Skip to main content

S’allontana il delirio ferragostano funestato dalle terribili notizie del ponte crollato a Genova sul torrente Polcevera. Le immagini ripetute ossessivamente dalle tv e da internet ci mostrano uno dei più assurdi attraversamenti di una città. Un ponte che sovrasta case e scavalca un fiume, una situazione ambientale e paesaggistica indegna anche delle più spaventose realtà orientali. Una noncuranza etica e umana che è stata imposta ad una tra le città più importanti storicamente dell’Occidente. Rileggo in questa luce i contributi apparsi sull’‘Espresso’ del 12 agosto che propone una rivisitazione del “Caro diario” di Nanni Moretti nel 2018 a pochi giorni dalla tragedia di Genova. Moretti nel film ripercorreva in vespa Roma deserta tra il 1992 e il Ferragosto 1993; abbandona il suo alter ego Michele Apicella protagonista dei film precedenti, si riappropria della sua identità e per primo è capace di testimoniare la frattura tra la cosiddetta intellighentia e la scelta politica degli italiani, prodromo del governo giallo-verde. Ne dà conto l’articolo di Giovanni Orsina, Intellighenzia addio, che in exergo scrive “Gli italiani sono uno dei popoli più condizionati e volgari del mondo”.
Ed è verissimo.

Quando un popolo sospetta della sua identità culturale e la schernisce per rivolgersi al ‘fatto’ nudo e crudo la frattura sembra irreversibile (e questo ‘sembra’ invece di ‘è’ lascia ancora un esile filo di speranza). Orsina ribadisce un concetto assai chiaro: “Gli intellettuali sono in una spirale: più la realtà li ignora, più loro la detestano. Un fallimento politico macroscopico”.

Sulla ‘Repubblica’ del 15 agosto così scrive Nadia Urbinati. “Il degrado delle infrastrutture che la tragedia di Genova (a quanto pare annunciata e quindi evitabile) ha mostrato è il segno di un degrado etico e ambientale profondo. Sta insieme alla caduta di responsabilità del pubblico rispetto alla cura e alla valorizzazione dei suoi beni, che sono i beni della Repubblica, non di una parte della popolazione, non di uno specifico territorio. Il viadotto di Genova era parte della rete nazionale di autostrade, di un sistema di comunicazione che è come la spina dorsale del paese, ramificazione che connette le aree e la gente che le abita. E’ una componente essenziale del “paesaggio” che insieme al “patrimonio storico e artistico” l’articolo 9 della Costituzione assegna alla Repubblica il “dovere” di “tutelare”. Degrado etico e ambientale e caduta della responsabilità pubblica e politica verso i beni pubblici sono andati di pari passo”.
Una considerazione che considero fondamentale per capire il fallimento dell’intellighenzia.

Che la sconfitta della cultura fomentata da una politica tesa a sfruttare il consenso immediato senza più agganciarsi a un programma o un’adesione al progetto è la colpa più grave da imputarsi alla sinistra che dopo Berlinguer e fino a Renzi non ha saputo impegnarsi a risolvere una crisi che dai valori si è trasferita all’etica. Il riflesso più evidente di questo abbandono lo si nota anche nel costume e nel comportamento, le spie più evidenti di questa scelta al ribasso.

Dal mio osservatorio sotto l’ombrellone i commenti che ascolto sono l’esatta proiezione del non-pensiero che coinvolge ormai l’80% degli ‘itagliani’. Queste considerazioni potranno consolidare il mio pensiero da radical-chic o shit a seconda dei punti di vista ma è ormai fatto comune e ampiamente pervasivo. Ultra sessantenni di tagli forte esibiscono bikini che nella separazione tra le due culatte si riducono a un filo. Panciuti ‘umarel’ ciabattano verso la riva avvolti nella seconda pelle dei tatuaggi che li rivestono come i protagonisti di qualche film sulla mafia cinese. Sono gli eredi di quella classe sociale operaia o piccolo-borghese che erano i frequentatori delle feste dell’Unità o dei circoli Pci.

E noi intellettuali? Come ci sentivamo nel giusto a vendere il giornale la domenica illusorio esempio di una parità sociale improbabile! E all’Università? Il voto politico e l’assoluzione dell’anarchismo. Era una fede con quel che di sbagliato ma anche di costruttivo che si può richiedere a questo concetto.

Solo Pasolini predicava la sua complessa adesione alle ragioni dei figli del Sud impiegati nelle forze dell’ordine contro l’anarchismo dei giovani intellettuali. Ma lui poteva scrivere anche sulle pagine del ‘Corriere’ perché era un uomo di mondo, un artista e quindi sempre contro-corrente.

Errori dunque ma nei migliori dettati da una consapevolezza di far parte di una società che s’identificava in programmi politici.
Nel fallimento attuale ciò che manca, ciò che ci rattrista è la mancanza di una riflessione, di un atto di umiltà. Regna solo il silenzio.
E in attesa di questo necessario ripensamento che significa ritornare a un visione etica della politica assistiamo al trionfo corporale del ministro Salvini.

Nell’ansito che monta, nell’attesa di toccare il ministro del miracolo, di poterlo assimilare a ognuno di noi, di imitarne mosse, atteggiamenti, scelte da quelle vestimentarie a quelle politiche lasciandosi andare al fremito del minuto che lo si fa riconoscere simile se non uguale a chi implora un selfie con lui, la storia capitola e si sbriciola come attesta il proprietario Tonino Tringali della casa di Brancaleone Calabro in cui visse Cesare Pavese mandato al confino “La sua presenza qui ha un significato, non si può negare” (Brunella Giovara, ‘La Repubblica 18 agosto, 2018, p.21).

E allo studioso di Pavese scendono lacrime amare.

tag:

Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it