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Tutti in tiro a Ferrara per sentire il trio ministeriale e gli altri rappresentanti del potere politico regionale e comunale, con la benedizione dell’Agenzia delle Entrate, per la devoluzione (termine assai praticato in questa città) dei beni del Demanio al Comune. Diciotto luoghi di straordinaria importanza ora dismessi e in rovina che dovrebbero, con l’aiuto dei Ministeri a cui appartengono, essere affidati al Comune che ne garantirà funzionalità e restauro. Problema spinoso e soluzioni assai intelligenti esposti con serenità e compartecipazione generale. Conduzione impeccabile dell’assessore Fusari e regia quasi occulta ma perfetta di Daniele Ravenna. Adesso verrà il difficile e si scoprirà se il ‘modello Ferrara’ terrà oppure si risolverà in un altro sogno nel cassetto. Tifo per la tenuta!

Poi arriva la parte meno nobile, ma tanto più vera in quanto produce imbarazzo e scontento. L’imprenditore che vuol parlare ai ministri ed esporre loro i suoi problemi, la quasi furtiva visita ai lavori eterni di riscaldimento e refrigerazione delle sale della Pinacoteca, ancora non risolti, e lo stucchevole show di Staffelli di “Striscia la notizia” che vuole consegnare il tapiro alla ministra Giannini tra falsi ansiti, accuse di linciaggio e botte, voce tremante di sdegno e tra l’indifferenza assoluta degli spettatori fuori e dentro Palazzo dei Diamanti.
Miracolo! Sembriamo diventati quasi degli adulti.
E nel frattempo s’accavallano notizie, ipotesi, commenti sul destino della Pinacoteca. Compattarla con Modena in una gestione unica che eviti il mescolamento nel polo museale? Dove situarla? Castello o altro edificio monumentale? Rifletto: perché non lasciarla nel suo ambiente storico, ovvero quel Palazzo dei Diamanti che sembra finalmente possa trovare – in un futuro prossimo o remoto – il suo equilibrio termico?

Così tra confortanti ‘problematiche’, un poco del fiele accumulato nella breve visita alla mia casa fiorentina si stempera, ma rimane viva e brillante l’immagine offerta del vero problema della città del Giglio che è sicuramente la ‘monnezza’.
Partiamo in una gloriosa giornata di sole (era stato preannunciata pioggia) e pazientemente ci affidiamo alle code dei taxi alla stazione, ancora ignari della durissima protesta iniziata dalla potente lobby dei taxisti contro il comune che aveva proposto cento nuove licenze contro le dieci avvanzate dalla parte avversa. Rotto il tavolo di confronto. Se eri fortunato, sventolando disperatamente le braccia potevi forse essere raccolto dai taxisti per strada come a New York e a Parigi: potenza della globalizzazione. Mentre infinite file di scariolanti, quasi tutti asiatici, trascinavano dal Cupolone di Santa Maria del Fiore alla stazione immense valige dove tutto e di più veniva stipato.
E i selfie? Da quando Michele Serra ha svelato il vero significato della parole che nel gergo americano significa “pugnetta” mi si è svelato un mondo. Autosoddisfacimento della propria immagine con contorno di celeberrimi monumenti, pongono in primo piano non ciò che ti circonda, ma la tua immagine: bella o brutta, spirante intelligenza o stupidità. Quell’egofono di cui parla Serra nel suo nuovo intelligente libro.
Scavalco monnezza a gogò, che invade la mia via e i dintorni poiché si è pensato bene di togliere i bidoni della spazzatura e di inaugurare la nuova raccolta differenziata porta a porta.
Pensate a Firenze! Dove le vie del centro sono quasi tutte seconde case o bed and breakfast. Dove le montagne di scatoloni vuoti prodotti dalle centinaia di negozi di pelle retti e diretti dai pakistani stazionano per ore e giorni, ostacolando il cammino dei coondannati alle visite dei monumenti che seguono l’ombrello o la bandierina a cui sono stati affidati. E che producono a loro volta monnezza gettando per terra carte bisunte o lattine di bibite, quet’ultime doverosamente appoggiate ai davanzali dei palazzi antichi, lasciando dietro di sé un olezzo di frittura di terz’ordine. E migrano con la faccia in su a guardare le divine bellezze di Firenze, che s’offre spudoratamente mentre noi cerchiamo semmai in ogni più piccolo anfratto di trovare qualche sua autentica originalità e conservazione del passato in locali di venti metri quadrati con file e file di gestori di baracche o negozi, che si vogliono ristorare con un buon bicchier di vino o un panino col lampredotto. Eppure aprono – e dopo qualche mese chiudono – immensi locali tra le volte medioevali di palazzi storici a soddisfare la fame mai sazia dei migranti della cultura.
Il Rivoire, come ai tempi di “Cronache di poveri amanti”, offre la più buona schiacciata con l’uva e stupefatto ritrovo ancora attivi e pimpanti i gestori che conobbi ragazzino da Giacosa, quando con i maestri s’usciva dalla facoltà per un bicchiere da sorbellare tra fitti conversari e critiche feroci. Ma attenti ai selfie! Giapponesi in costume tradizionale si sposano (ma dal vestito escono scarpe da tennis avrebbe detto Jannacci) e s’abbarbicano ai semafori, per poter godere di belle immagini con loro in prima linea e dietro avanzi di piazza della Signoria o della Loggia dei Lanzi. Dalle sontuose vetrine di via Tornabuoni e di via della Vigna Nuova, rigorosamente deserte, escono profumi d’essenze rare che s’azzuffano col sudaticcio delle masse adoranti che premono a sbirciare l’incomprabile per loro. E… stupite Stupite! Il premuroso sindaco Nardella copre con un paravento l’audace opera di Jeff Koons in Palazzo Vecchio: la copia del Fauno Barberini con Bol di vetro che mostra le palle, ovvero testicoli, giudiziosamente scolpiti nella statua antica, per non offendere la sensibilità di non so quale emiro miliardario, ma sensibile, molto sensibile all’anatomia umana…..

Se è vero che bisogna inventarsi un nuovo umanesimo, se è vero che la previsione di tanti filosofi novecenteschi sulla riproducibilità e annientamento dell’arte sta avverandosi, resta un solo interrogativo alla mia flebile voce di protesta. No! La monnezza no! Firenze merita qualcosina di più.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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