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Fervono le celebrazioni bassaniane: convegni, conferenze, ‘eventi’, fino a una seduta di body art dedicata allo scrittore!
E ancora: polemiche a non finire sull’apertura del Centro studi bassaniani e il trasferimento a Casa Ariosto di parte del materiale della Fondazione Bassani che, all’occhio dei non addetti ai lavori, sembra una duplicità difficilmente spiegabile, non essendo stato chiarito a sufficienza come le due realtà scientifiche siano complementari, non oppositive, per il ruolo che esse svolgono all’interno dello studio e del ricordo dell’autore.
Le circa 1760 persone nell’open day del Centro Studi o la presenza  del presidente del comitato nazionale delle celebrazioni per il Centenario al Liceo Ariosto nel giorno natale del grande scrittore dimostrano chiaramente, come ha sottolineato il sindaco Tagliani, che la conoscenza di una città e della sua storia recente è affidata alla prestigiosa penna di Bassani. Occorre solamente continuare a tener fede al complesso programma varato dal Comitato Nazionale delle celebrazioni per il Centenario, che si sta muovendo tempestivamente per realizzare le sue scelte.
Eppure un dubbio mi assale.
Non sarà che, nell’affollamento delle proposte, l’adesione entusiastica cada poi in una cadenza routinaria capace di affievolirne l’impatto? Non è una domanda scontata. E bisognerebbe riflettere anche sui modi e i tempi della diffusione di questo come dell’altro evento annunciato e pubblicizzato con rullar di tamburi: la grande mostra a Palazzo dei Diamanti sull’immaginario ariostesco e su ciò che il poeta sognava.
A qualcuno che mi chiedeva se abitare a Firenze e a Ferrara non mi rendesse lieto di poter fruire giornalmente di tanta mèsse di tesori d’arte e di cultura ho risposto che nutrirsi sempre di dolci e pasticcini alla fine può provocare sazietà.
Ecco allora sorgere una preoccupazione – che non mi pare infondata – che pone in primo piano il modo con cui la cultura va gestita per evitare di esaurirne la carica, ma anzi riuscire a metterne in evidenza oculatamente la potenzialità insita.
Dunque sarebbe il caso di abbassare la febbre provocata dalla ‘bassanite’ con una serie di precauzioni da prendere, che si risolvono in una fondamentale richiesta attorno a cui dovrebbe ruotare tutto il complesso apparato delle celebrazioni: il ruolo e la funzione della memoria.
Scrive l’amico Fiorenzo Baratelli riportando una frase di Milan Kundera: “La lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio”. E commenta di seguito: “L’oblio dell’opinione pubblica è il più potente alleato dei corrotti, corruttori e cialtroni di ogni tipo che possono rientrare in gioco e riciclarsi proprio in virtù dell’oblio. E’ successo dopo il Fascismo. E’ accaduto dopo ‘tangentopoli’. Sta accadendo dopo il ventennio berlusconiano […] Ovviamente, non si tratta di malattia ‘solo’ italiana […] Diciamo, però, che da noi è particolarmente grave e diffusa”.
Dal commento, che ovviamente travalica i limiti temporali in cui s’inserisce l’opera bassaniana, si ricava un monito assai importante, interpretato quasi come una costante della Storia: la trappola del non ricordare usata per riproporre situazioni pericolosamente simili proprio in virtù della dimenticanza. Tutta l’opera di Giorgio Bassani, al contrario, si conforma in una tensione quasi spasmodica al valore della memoria, alle sue possibilità di trar fuori dagli inferi della dimenticanza una Euridice che è una città: Ferrara. E allora questa operazione memoriale, naturalmente legata all’interpretazione critica che l’accompagna, deve star molto attenta a riproporre il momento storico nella sua prismaticità, ma anche nella sua verità.
Così appare veramente fuorviante riproporre, a quasi un cinquantennio della presentazione in prima nazionale del Giardino dei Finzi-Contini a Ferrara nella Casa di Stella dell’Assassino – un luogo fondamentale nella cultura ferrarese del secondo Novecento – il senso di un rifiuto che ancora una volta la città avrebbe operato nei confronti dello scrittore, secondo un parametro di giudizio pericolosamente non rispondente al vero. Sarebbe cioè stata la città stessa a rifiutare ancora una volta Bassani, invece (e come il poeta disse “io c’era!”), è necessario riferirsi a un episodio legato esclusivamente alla cronaca familiare che in qualche modo turbò la serata. Questo non può essere accettato né diventare momento critico. Ferrara, la Ferrara dei tardi anni Trenta, che come si sa è lo sfondo storico e memoriale su cui s’impalca la vicenda di Micòl e del giovane protagonista era, per così dire, diversa: di una diversità che si proponeva come una contraddizione in termini, ovvero essere governata da un podestà ebreo che aveva riscosso la fiducia di Italo Balbo – che si oppose fino al momento della sua morte alle proteste della corte mussoliniana, che vedeva la situazione di Ferrara come uno scandalo e venne prontamente normalizzata dopo la scomparsa del gerarca. Da qui l’input a quella memoria storica che è anche scelta e scelta autoriale: la cacciata dal Circolo del Tennis, dalla Biblioteca Ariostea, fino al compimento della tragedia. A questo proposito l’indagine storica si fa più stringente al vero in studi meritori che molto spesso non hanno potuto superare la cerchia ristretta degli addetti ai lavori, specie quelli condotti da bravissimi insegnanti quali Claudio Cazzola, Antonietta Molinari e Rita Castaldi, che hanno operato e operano all’interno del Liceo classico Ariosto dove Bassani compì i suoi studi e che aprono pagine famose del romanzo più celebre. Ora i contributi di Rita Castaldi sono approdati a un libro, “Scritti su Bassani” (Diogene, 2016), che ci rivela un tessuto storico di grande importanza per comprendere le condizioni in cui vivevano lo scrittore, i suoi amici e parenti specie per gli anni trascorsi a Liceo Ariosto e alla Facoltà di Lettere di Bologna. Particolarmente suggestive le analisi condotte sulle scelte del percorso universitario bolognese e l’elezione a Maestro da parte del giovane allievo di Roberto Longhi. E’ uno sguardo intrigante sulla cultura universitaria, sull’aura del carduccianesimo imperante nell’Alma Mater, ma anche sulla capacità critica del giovane studente nel saper cogliere la novità di cui darà ben presto prova nei racconti d’inizio raccolti sotto il titolo “Una città di pianura”.
L’attenzione alla cronaca dunque si attesta come momento memoriale della Storia e spiace che nell’oblio siano caduti momenti di riscatto della e dalla Storia e di nuova possibilità ermeneutica. Penso al convegno su Bassani e Ferrara, “Le intermittenze del cuore”, tenutosi negli anni Novanta e i cui atti sono stati pubblicati nel 1995 a cura di Alessandra Chiappini e di chi scrive queste note. Ma ancora i festeggiamenti per il quarantennale della pubblicazione de “Il giardino dei Finzi-Contini”, voluto dal Garden Club e dagli Amici dei Musei, con gli splendidi interventi di Jenny, la sorella di Bassani, e del figlio di Guido Fink, allievo di Bassani alla scuola israelitica di Ferrara quando gli ebrei furono espulsi dalle scuole pubbliche.
Ferrara dunque non ha dimenticato e non rifiuta il suo grande scrittore, ma l’elaborazione storico-critica subisce necessari adattamenti che solo l’occhio attento e paziente del critico può proporre nella sua ‘verità’, che come sappiamo è scelta, e scelta motivata e legata ai tempi.
Abbassiamo dunque la febbre provocata dalla “bassanite” con una responsabile offerta che, secondo una splendida metafora dell’autore, faccia intravvedere la luce in fondo al tunnel. Una luce chiara, ma non un’esplosione di fuochi d’artificio.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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