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Finalmente concluso il derby dell’anno Spal-Juventus con un impeccabile 0-0, Ferrara si risveglia sotto piogge inaudite che sembra vogliano inondare l’intera pianura padana. Addio allora a cortei ducali che aprono il Palio (comunemente pronunciato ‘paglio’ per l’insopprimibile fonìa ferrarese), ai mercatini domenicali, alle visite in libreria che di solito condiscono il riposo settimanale. Così si riascolta la divina Martha Argerich e si affrontano letture di cataloghi d’arte e di libri che pericolosamente s’impilano sul tavolo.
Tutto pur di non ascoltare le notizie del Palazzo di casa e di quello romano.
Bando dunque alle dichiarazioni che rivelano i gusti sessuali del giovinetto Di Maio, rivelati dal personaggio cultural-politico onore e vanto della città estense. Bando alle accuse scagliate dall’oscena parola ‘inciucio’ che nel giornalista spiritoso si carica e minaccia con profusione consonantica ‘inciuccio’. Bando, se si potesse, al tormentone delle calotte poiché sempre di spazzatura si tratta.
E si prendano in mano i libri, “ovvia!!!” direbbero gli amici fiorentini tra i quali non posso certo annoverare il rottamatore, anche se spesso l’interiezione sorge spontanea sulle sue labbra.

L’attenzione si appunta, quasi un segno del destino, su di un romanzo di Gabriele Dadati, ‘L’ultima notte di Canova’ (Baldini&Castoldi, 2018). Condannato dal destino a canoveggiare m’immergo nella lettura che parte da serissime carte d’archivio per spaziare nelle più fantastiche e oniriche fantasie con profusione di momenti sessuali che strappano dal trono l’imperatrice di Francia in una notturna confessione sessual-politica fatta al casto Canova. Nel prosieguo la giovane imperatrice compie atti perlomeno stravaganti come, scrive l’autore, addentare un melograno, che non è ovviamente “l’albero a cui tendevi la pargoletta mano/ il verde melograno dai bei vermigli fior” di carducciana memoria, ma è – probabilmente – la melagrana che il sobrio vocabolario descrive così: “melagrana s. f. [rifacimento del lat. malum granatum «mela granata» (v. l’agg. granato)] (pl. melagrane, raro melegrane). – Il frutto del melograno (detto anche mela granata): di forma sferica, con buccia coriacea di colore giallo che diventa rossastro a maturità, contiene numerosi caratteristici semi trasparenti, di color rosso rubino e di sapore acidulo”. Ma a quanto pare al nostro piace usare la forma maschile. Così tra le labbra di una giovane seppur non coltissima imperatrice, nella minuziosa descrizione del rito sessual-fallico che subisce Maria Luigia con dispersione e consistenza di umori spiccano le ‘mollizie di un’unione appagante” (p.176).
Comunque il, per me, non esaltante romanzo viene diffuso nei luoghi sacri canoviani: dalla grande mostra alle Gallerie dell’Accademia di Venezia al museo di Bassano del Grappa. Una utilizzazione del nome come attrazione scandalistico-scandalosa che fa il paro con il (falso) annuncio mortuario di Agostino Tassi, pittore seicentesco stupratore di Artemisia Gentileschi, fosco pittore il cui quadro veniva così propagandato per annunciarne l’arrivo alla mostra ora in corso al Castello estense di Ferrara.

Certo è evidente che la fruizione delle opere d’arte e degli artisti ormai non può prescindere o dagli ‘stati d’animo’ nella pur intelligente mostra di Palazzo dei Diamanti o nella dissacrazione di opere che si prestino per una manciata di dollari a diventare scenario della moda (le modelle di intimo che si strusciavano ai gessi canoviani di Possagno, qualche anno fa). Certo le nudità canoviane ben si prestano a esaltare la natura più che il bello ideale, ma un poco di riservatezza le renderebbe ancor più esaltanti. Leggo nel frattempo libri straordinari: Appenfeld, Oz, Singer, Grossman, Potok, che i giovani dovrebbero conoscere, ma che forse nemmeno sanno esistano. Nel turbinìo affannoso di una situazione politica che sbava sul fare e ripudia l’intelligenza e la cultura come ‘ il rimedio ultimo ai mali’ assisto assieme a pochi al disfacimento del mondo che ho percorso: dalla ri-nascita dopo il fascismo fino alla dissoluzione delle forme politiche. Ma sarebbe ingiusto cedere, ritirarsi a disegnare ikebana mentre i tuoi valori (sì ancora ‘valore’ per me ha un senso) si accumulano nel gran falò di ‘Farenheit 451’, un libro e un film dove i pompieri non spengono gli incendi ma gli appiccano nelle case di coloro che in un passato ormai prossimo nascondevano nelle case i libri.
Catastrofismo? Non lo so. Ormai è giunto il momento che l’intero Occidente debba difendersi non con giochi, soprattutto con i giochi economici, ma con un ritorno alla vera cultura.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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